Lohner-Urban, Ute: Untersuchungen im römerzeitlichen Vicus von Kalsdorf bei Graz. Die Ergebnisse der Ausgrabungen auf der Parzelle 421/1. Baubefund und Kleinfunde (Veröffentlichungen des Instituts für Archäologie der Karl-Franzens-Universität Graz 9)
(Forschungen zur geschichtlichen Landeskunde der Steiermark 50) 649 S., zahlr. Abb. und Pläne im Text, 5 Faltpläne, 29,7 x 21 cm, kartoniert, ISBN 978-3-85161-018-5, 74,90 €
(Wien, Phoibos Verlag 2009)
 
Compte rendu par Maurizio Buora, Società friulana di archeologia
 
Nombre de mots : 1445 mots
Publié en ligne le 2010-07-20
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Ute Lohner-Urban, per conto dell’Istituto di archeologia classica di Graz, pubblica in questo volume i risultati degli scavi condotti tra 1991 e 1995 nella particella 421/1 in un insediamento civile del Norico sudorientale lontano dalle grandi vie di traffico, allo scopo di paragonarne i dati con quelli delle maggiori città romane – in particolare del vicino capoluogo Flavia Solva (13).  

 

          Nei dintorni del vicus erano già state rinvenute alla metà dell’Ottocento alcune tombe appartenenti a due distinte necropoli e altri rinvenimenti tombali, casuali o in seguito a scavi programmati, si fecero negli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. Nel 1979, immediatamente a ovest dell’area oggetto degli scavi qui pubblicati, si rinvennero 201 etichette di piombo, di cui 131 iscritte, edite da Elizabeth Römer-Martijnse nel 1990.

 

 

          Gli strati inferiori si sono potuti, ovviamente, raggiungere solo in determinati punti.  Dopo sporadici rinvenimenti della prima età imperiale, gli scavi hanno dimostrato che vi fu una prima fase precoce (circa 70 d. C. – inizio II sec. d. C.), con edifici in legno  dismessi grosso modo in età traianea, quando s’interruppe la vita del sito. Lo sviluppo in quest’epoca del vicus è strettamente connesso alle vicende amministrative ed edilizie del centro principale di Flavia Solva. In quest’epoca compare dapprima in grande quantità la ceramica tardopadana del gruppo A, mentre è assente quella sudgallica: successivamente si trovano anche la tardopadana del gruppo B, la sudgallica e la ceramica a pareti sottili di impasto F.

 

          Nella seconda metà del II secolo l’insediamento viene ricostruito in pietra con un nuovo piano urbanistico. È il momento di massima fioritura di tutto il Norico che viene interrotto in questa zona dall’incursione dei Marcomanni nel 170 d. C., cui sembrano riferirsi anche in loco tracce di incendio.  Sono stati indagati resti appartenenti a sette edifici, ma le indagini, susseguitesi fino al 2000 hanno rivelato resti di strutture anche nelle aree circostanti. A partire dalla prima metà del II secolo cambia la tecnica edilizia e si costruisce un largo zoccolo in pietra, su cui viene eretta una parete in legno. Una settantina di frammenti di intonaco dipinto fanno comprendere che almeno alcuni edifici erano decorati da pitture murali, che oggi non si possono più riconoscere, ma che certo non erano dissimili da quelle della vicina villa di Thalerhof.

 

 

          Nulla si può dire, a causa degli intensi lavori agricoli susseguitisi nel tempo, degli strati superiori e di un ritorno della popolazione verso la fine del II secolo (169). Va anche ricordato che mentre nella prima fase troviamo affiancate case di abitazione e officine, nella seconda sembrano essere presenti solo abitazioni e un probabile edificio (Gebäude 5) per il culto o con funzioni di rappresentanza: non sono state trovate officine per la lavorazione del metallo né fornaci per ceramica grezza – plausibili per un insediamento di questa grandezza – o per la lavorazione del vetro, parimenti probabile. Il rinvenimento delle numerose etichette in piombo lascia pensare a una fullonica. La sopravvivenza dell’abitato è documentata soprattutto dalle monete rinvenute.

 

          Com’era consueto in altri vici del Norico, anche qui le abitazioni si disponevano ai lati di una strada che in qualche punto è larga 12 m.

 

          Tutti i rinvenimenti sono accuratamente descritti, con il preciso luogo di ritrovamento, nell’appendice (573-608).

 

          Per quanto concerne le relazioni di scavo, notevole è quella dedicata all’edificio 5 (145-152) interpretato come edificio di culto, a motivo della pianta che presenta tre vani rettangolari (un porticus?) intorno a uno spazio quadrato. Da qui proviene una patera con manico (rinvenuto separatamente) del tipo Alikaria, con rara raffigurazione sull’umbo, che è stata attribuita al culto di Isis. Nel volume vi è a questo punto un interessante excursus sul culto di Iside nel Norico, a partire dalla famosa ipostasi di Iside-Noreia – nel territorio di Virunum – per arrivare al 400 circa quando fu distrutto il tempio di Flavia Solva (149).

 

          Ogni sezione è formata da una parte generale, in cui si discute la problematica dei pezzi esaminati, un catalogo e una serie di illustrazioni (disegni e foto per i pezzi più significativi). Alcune classi di materiale, come  le fibule che sono già state oggetto di pubblicazione. Mancano poi nell’opera  altre, come i vetri, in corso di studio.

 

          Hannes Heymans, Christoph Hinkler e Reinhold Wedenig si occupano dei 351 piccoli rinvenimenti in bronzo (179-212). Wedenig studia un manico di casseruola con il timbro MELLOF (213-215), che non è finora attestato tra i produttori di questi oggetti.

 

          Ute Lehner-Urban tratta la terra sigillata (217-282), di cui sono stati catalogati 2233 frammenti, di cui 11 di aretina, 59 non determinabili e gli altri 303 di padana. In generale fino alla metà del II sec. d. C. le importazioni di ceramica dall’Italia sono circa il doppio rispetto a quelle dalla Gallia meridionale.

 

          Jutta Leger tratta invece le ceramiche fini (283-340) di cui si contano 1050 frammenti appartenuti a 922 recipienti. Importante in questo contributo l’analisi delle produzioni noriche.

 

          Julia Schlager analizza le lucerne (341-347) per cui non ci soccorrono tavole nel volume. Importante la pagina 343 ove si stabiliscono le differenze tra la comparsa e la durata di alcuni tipi (Loescke IX e X) in Italia e in Norico. La bibliografia italiana si ferma a 35 anni fa e forse alcune date andrebbero riviste. Anche per Kalsdorf si constata la scarsa presenza di lucerne, probabilmente connessa alle ridotte importazioni di olio e alla prassi radicata di utilizzare altri grassi e altri recipienti nonché rami impregnati con pece per l’illuminazione, forse in larga parte affidata anche al focolare domestico.

 

          Un’enorme e apprezzabile parte del lavoro è dedicata alla ceramica grezza, a opera di Yasmine Pammer-Hudeczek (349-488). Chi si occupa di pubblicazioni di scavi sa quanto sia ingrata e tuttavia importante questa parte. La ceramica grezza (in tedesco “Grobkeramik”) è, come riconosce l’A. a p. 349, per definizione, un prodotto locale. All’inizio si è scelto qui di pubblicare alcuni contesti, in cui la ceramica grezza sia associata con altro materiale databile (es. terra sigillata etc.), quindi segue un’analisi tipologica, resa difficile dal fatto che nella stragrande maggioranza si tratta di minuti frammenti (358). Essi non rendono possibile riconoscere sempre i tipi e neppure, a volte, distinguere tra scodelle e olle, per cui si è fatto ricorso, come nella letteratura consolidata, agli elementi meglio conservati, tra cui in primo luogo l’andamento dell’orlo. Per la loro lunga durata alcune forme appaiono difficilmente databili, come ad es. le terrine che richiamano la forma italica dei “piatti per pizza” e per le quali si propone una cronologia che si distende dal I al IV secolo d. C. (379).

 

          L’esame dei resti ossei animali (alle pp. 489-505 a cura di Angelika Adam e Sigrid Czeika) riguarda 870 frammenti, appartenuti a 73 individui. Essi comprendono, tra gli animali domestici, il bue (specialmente tra i 2 e i 5 anni di età), la pecora, la capra, il maiale, il cane, il colombo, l’oca, domestica o selvatica e il pollo, mentre tra i selvatici troviamo il cervo rosso, il capriolo, il castoro e il grifone. L’età dei maiali non si discosta da quanto riscontrato in altri luoghi: uno ha 2-4 settimane, tre oltre un anno, uno sotto i due anni e due maggiori di due anni.

 

          La terza parte del volume è dedicata alle monete, a cura di Ursula Schachinger. Esse formano un corpus di oltre 900 esemplari. Vi sono ben 32 diagrammi, che offrono la possibilità di effettuare osservazioni di grande interesse, anche perché il testo è arricchito da paragoni molto dettagliati con i dati relativi alla circolazione monetaria di altri vici e di parti della città di Flavia Solva. Interessante la presenza di monete repubblicane:  i denari di Antonio, – a Flavia Solva ma anche più a nord  frequenti fino all’età traianea (p. 511), –  sono  solo  4. Il flusso monetario comincia a farsi regolare a partire dall’età di Claudio e si interrompe alla fine del IV o inizio del V (ultima moneta coniata nel 395).

 

 

          In conclusione va valutata molto positivamente la pubblicazione completa, molto dettagliata e soprattutto veloce – rispetto ai tempi normali per l’archeologia – di un importante  scavo che dà ragione della struttura e del tenore di vita di un abitato di ridotte dimensioni nel Norico. Il vicus era già noto nella letteratura a motivo delle parziali pubblicazioni di materiali, susseguitesi fin dagli anni Novanta del secolo scorso. Ora si dispone finalmente di una trattazione completa ed esauriente. Una maggiore abbondanza di carte topografiche d’insieme – e non di rilievi di dettaglio – avrebbe certo giovato alla comprensione del testo.

 

          Da notare nel complesso gli scarsi danni provocati dall’irruzione dei Marcomanni.

 

          Tra gli elementi per così dire di ’resistenza alla romanizzazione’, in questo vicus lontano dalle grandi vie di traffico, troviamo l’uso del costume norico nel II e forse anche III sec. d. C., la scarsità di lucerne, probabilmente una cucina basata su cibi e pratiche locali (ceramica grezza, ove ad es. manca il mortaio per i vegetali romani). Scarsa pratica della scrittura (uno o due soli stili, mancanza di calamai).

 

          Minimi gli errori di stampa, segno che l’opera, anche  in  bozze, è stata riletta più volte con grande cura. Segnaliamo a p. 359 un “Paralleln”; si dice che sono state rinvenute 918 monete (p. 509) ma ne sono elencate 919.