Rendeli, Marco (dir.): Ceramica, abitati, territorio nella bassa valle del Tevere e Latium Vetus. Collection de l’École française de Rome 425, 328 p., ill. n/b, ISBN: 978-2-7283-0838-5, 81,00 €
(École française de Rome, Rome 2009)
 
Reseña de Maria Cristina Biella, University of Southampton
 
Número de palabras : 3174 palabras
Publicado en línea el 2015-03-13
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1086
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          Il volume è l’edizione di una giornata di studi tenutasi all’École Française de Rome nel febbraio del 2003 e pubblicata nel 2009. Anche se a distanza di anni il libro merita ancora una recensione, perché ha il merito di avere tentato di attirare l’attenzione su di una serie di problemi che sono ad oggi in parte rimasti irrisolti.  Chi si trova ad affrontare lo studio della ceramica rinvenuta in contesti abitativi di epoca preromana in ambito medio-tirrenico non di rado si imbatte in problemi di ordine metodologico a partire da questioni che riguardano la definizione stessa di alcune classi ceramiche, per la classificazione delle quali non si sono ancora ad oggi stabilite “linee guida” condivise. Questo accade soprattutto con le cosiddette “ceramiche di uso comune”, che, come noto, costituiscono la gran parte dei rinvenimenti negli scavi d’abitato 1. Anche dal punto di vista tassonomico le soluzioni adottate nel corso degli anni non sono state univoche e sono frutto di diverse impostazioni metodologiche, il dialogo tra le quali non è sempre immediato.

 

          Senza volontà di fornire un quadro esaustivo, e anzi limitandosi esclusivamente all’ambito etrusco e ai soli contesti urbani maggiormente e più recentemente indagati, si incontrano redazioni di cataloghi per singoli frammenti 2, applicazioni di tipologie di stampo peroniano 3e riflessioni teoriche complesse, che portano al riconoscimento di “capofila” da cui procedere poi alla classificazione della produzione ceramica 4. Per tutte queste ragioni, l’opera, della quale si offre una valutazione, ha sicuramente il merito di avere (ri)aperto il dibattito su questo aspetto della ricerca archeologica d’abitato, in anni in cui questo tipo di indagini sono sempre più in aumento. L’attenzione del curatore del volume per la ceramica d’abitato ha radici lontane e trova forse le sue premesse metodologiche nelle poche ma significative pagine dedicate ai cosiddetti impasti di età arcaica e tardo-arcaica nel volume dedicato all’analisi del contesto ceretano di Vigna Parrocchiale 5.

 

          I contributi presentati nel libro coprono, come dichiarato nel titolo, l’areale della bassa valle del Tevere, occupandosi degli insediamenti su entrambe le sponde e in un arco cronologico che va grossomodo dalla Prima Età del Ferro al periodo Taro Arcaico. In particolare, vengono presi in considerazione i centri di Roma, Ficana, Centocelle, Fidenae, Crustumerium, Veio, Cures Sabini e Magliano Sabina. Come ovvio, i singoli contributi mettono in evidenza i diversi gradi di approfondimento raggiunti nell’indagine e nell’analisi dei vari contesti, e danno in un certo senso conto anche delle già ricordate differenze metodologiche che sottendono all’approccio di questi materiali. Così a saggi che forniscono lo spaccato di un’indagine specifica sono accostati studi che mirano a fornire un quadro complessivo su ampio arco cronologico di un singolo insediamento. La maggior parte dei contributi rientra nel primo caso. Così accade per le analisi dei contesti romani: l’area SW del Palatino tra VIII e IV sec. a.C. (P. Pensabene, pp. 5-49), gli scavi francesi della Vigna Barberini sul Palatino (C. Giontella e F. Villedieu, pp. 51-66) e ancora i pozzi della Velia (A. Magagnini e I. van Kampen pp. 67-84). Analoga impostazione presentano gli studi sui contesti arcaici del pianoro di Centocelle (RM) (R. Volpe, M. Bettelli et al., pp. 125-136), su Veio, Piazza d’Armi (G. Bartoloni et al., pp. 215-266) e su Cures Sabini (A. Guidi, pp. 287-300).

 

          Al secondo filone appartiene invece in particolare il caso dello studio delle ceramiche di età orientalizzante, arcaica e tardo-arcaica da Fidenae, frutto di un consistente sforzo di sintesi, condotto dall’équipe coordinata da F. di Gennaro (pp. 137-210). Anche l’analisi delle ricerche di J. Ward-Perkins a Veio va nella medesima direzione e il contributo di M. Rendeli, R. Cascino e M.T. Di Sarcina (pp. 267-285) si presentava all’epoca come un quadro riassuntivo di un lavoro in progress, che poi avrebbe infatti visto la luce in forma più compiuta nel 2012 con la riedizione sistematica delle ricerche britanniche condotte nella città etrusca negli anni ’50 e ‘60 6. Nello specifico del caso di Veio la stretta interazione tra le ricerche di superficie, condotte dalla British School at Rome, e gli scavi che hanno luogo con cadenza regolare in vari settori della città etrusca nell’ambito del Progetto Veio ormai dal 1996 7, ci potrebbero dare, forse per la prima volta, uno spaccato sufficientemente articolato delle modalità di produzione e di consumo delle ceramiche nell’ambito di una grande città etrusca. Sforzi in tal senso sono stati condotti nel corso degli anni e il dialogo tra i vari gruppi di ricerca che hanno in carico i diversi settori stanno portando sempre più verso la stesura di un quadro ricostruttivo unitario 8.

 

          Accanto a questi contributi, concentrati sullo studio tipologico dei reperti, ve ne sono due che invece puntano a un’analisi di tipo diverso, concentrandosi sull’aspetto funzionale degli stessi e ponendo in particolare l’accento sulla capacità dei contenitori. E. Jarva porta avanti questo tentativo sulle ceramiche di uso comune a Ficana (pp. 113-124) e P. Togninelli si focalizza sulla possibilità di riconoscere un sistema metrologico legato ai liquidi, tramite l’analisi delle capacità dei fittili rinvenuti a Crustumerium (pp. 211-214). Questo filone di ricerche è andato sviluppandosi anche in anni recenti e successivi all’edizione del volume di cui si dà conto in questa sede, come testimoniato, ad esempio, dalle indagini sulle piccole olpai acrome dai contesti sacri di Veio 9 e di Pyrgi 10. Anche il contributo di R. Brandt, che si concentra sulle ceramiche di uso domestico da Ficana, Satricum e Lavinium (pp. 93-111) punta a prendere le distanze da questioni legate a cronologia e tipologia per discutere invece le funzioni del vasellame e cercare di trarre un quadro relativo all’organizzazione sociale degli insediamenti. La crescente attenzione ad aspetti funzionali per queste ceramiche di suo comune è un altro filone che si è sviluppato in studi recenti, quali, ad esempio, quello di V. Bellelli sulle funzioni in particolare delle olle e delle cosiddette ciotole-coperchio 11.

 

          Fuori dalle due principali linee individuate nell’organizzazione del volume si pone infine il saggio di P. Santoro. Dedicato all’analisi delle ceramiche di impasto bruno da Magliano Sabina (pp. 301-314), lo studio apre interessanti prospettive sulle modalità di circolazione di produzioni che sono del tutto diverse da quelle prese in esame nel resto del volume. La studiosa presenta infatti materiali che afferiscono ai cosiddetti impasti bruni lucidati a stecca di età orientalizzante. Il fulcro produttivo di questi manufatti è da collocare nel corso del VII sec. a.C., con code – a seconda degli areali geografici – anche nella prima metà del VI sec. a.C.. Nel contributo di P. Santoro non è chiara la distinzione tra ciò che viene dall’abitato di Magliano e ciò che viene dalla necropoli, probabilmente per via dello stato della documentazione esistente. È un peccato, perché una delle questioni legate a queste produzioni, a noi note soprattutto, se non quasi esclusivamente, in relazione ai corredi funerari, è la modalità della loro circolazione, se cioè limitata alle sole aree sepolcrali, oppure coinvolgente, come probabile, ma forse in quantità minore, anche gli abitati, come dimostrato, ad esempio, anche dalla recente edizione degli scavi di San Giovenale 12. Le forme presentate dalla studiosa, unitamente alle decorazioni, mettono chiaramente in evidenza ancora una volta la stretta “località” di queste produzioni, che, non casualmente ed esattamente come accade per le aree falisca e capenate 13, ma non solo, sono molto “specifiche”, sia dal punto di vista formale, sia, soprattutto, da quello decorativo. Vanno in questa direzione, ad esempio, dal punto di vista formale le grandi olle costolate con corpo piriforme, qui attestate in un numero rilevante di esemplari (figg. 5-15 pp. 306-309) e da quello decorativo la presenza dei cavalli con dorso molto arcuato (fig. 16 p. 310), o ancora le catene di palmette estremamente stilizzate (fig. 17 p. 310), desinenti in motivi a freccia che poi, non casualmente, godono di diffusione anche nell’ambito appenninico e anche adriatico 14.

 

          L’aspetto che forse è più evidente nel volume sono le difficoltà di classificazione giustamente sottolineate da alcuni degli autori e da questo punto di vista proprio da queste difficoltà si potrebbero trarre le “linee guida” per le ricerche dei prossimi anni. È il caso, ad esempio, di A. Colazangheri che giustamente in relazione alle ceramiche di uso comune dall’età arcaica al III sec. a.C., sottolinea come “esistono, nella morfologia dei tipi e nella fattura dell’impasto, svariati elementi di continuità che rendono oggettivamente difficile una trattazione schematica delle ceramiche di uso domestico posteriori all’età del ferro” (pp. 17 s.). È effettivamente questo, al di là del caso di studio specifico, un problema di più ampia portata e che si incontra ogni qualvolta ci si trovi a studiare contesti d’abitato di area medio-tirrenica: nelle pubblicazioni si è infatti scelto spesso per questo tipo di ceramiche una divisione per fasce cronologiche, che in realtà non sempre corrisponde appieno allo sviluppo della produzione in antico15.

 

          Un altro problema di classificazione viene espresso da S. Falzone e da M. Rossi in relazione alla difficoltà di classificazione del bucchero (p. 38). Come da tradizione, e in un certo senso ancora quasi inevitabilmente, nel saggio ci si appoggia alla classificazione del Rasmussen, che, oltre a risalire al 1979, ha ormai necessità di essere non solo integrata, ma in parte “rimodulata” secondo una prospettiva di produzioni locali e regionali, variamente interrelate tra di loro e, fattore non secondario, con le locali produzioni d’impasto di epoca orientalizzante. Questa prospettiva, che era stata alla base delle giornate di studio sul bucchero tenutesi a Blera ormai un quindicennio fa 16, merita ulteriori approfondimenti e questa è probabilmente la via da seguire per evitare l’imbarazzo classificatorio dovuto alla mancanza di confronti puntuali nell’opera di T.B. Rasmussen per molte fogge che si rinvengono in ambito insediativo. Un altro dato significativo che emerge dallo studio di S. Falzone e di M. Rossi è quello – ancora tutto da indagare – delle modalità con cui le officine operavano in relazione alla produzione di quelle che per noi sono diverse classi di materiali. Le studiose sottolineano giustamente le analogie esistenti tra alcune forme, soprattutto scodelle, in bucchero e in ceramica depurata e si chiedono se si tratti solamente di “tipologie che ebbero particolare fortuna e quindi perpetuate nelle diverse classi ceramiche” oppure se si possa pensare a “materiali in qualche modo collegati forse all’interno delle medesime officine” (p. 41). Si tratta di un dubbio che è stato espresso in anni recenti anche in relazione ad alcuni contesti da Falerii 17 e che ha trovato conferma nelle indagini nel quartiere artigianale rinvenuto in località Piano di Comunità a Veio 18. In altri termini, queste osservazioni sono il punto di partenza per cercare di capire le modalità organizzative delle officine, che, stando anche agli studi più recenti, sembrano essere state responsabili in taluni casi della produzione di più “classi ceramiche” contemporaneamente 19.

 

          Per concludere, è proprio nell’analisi di questo tipo di ceramiche di uso comune che trae la sua persistente attualità il volume, affrontando una problematica ancora aperta e che attende una soluzione condivisa, a partire dalle denominazioni delle classi ceramiche, dalla “nomenclatura” specifica sino al necessario tentativo di leggere in continuità questo tipo di produzioni almeno dall’Età Arcaica sino al periodo ellenistico, potendo in questo modo seguire quel continuum produttivo che in molti casi è rintracciabile nei singoli contesti, ma che è stato spezzato per “convenzioni” disciplinari. Marco Rendeli nella Presentazione del volume scriveva: “Naturalmente eravamo ben consci dei problemi e delle difficoltà che avremmo potuto incontrare, e che poi regolarmente si sono presentati: lo scoglio più difficile era costituito dalla normalizzazione di linguaggi differenti, frutto di studi ormai decennali, e dalla compresenza di discipline tra loro diverse, con loro approcci, loro tradizioni e loro metodi d’indagine” (p. 2). Ebbene, questo assunto è ad oggi ancora valido e merito principale di questo volume è quello di avere cercato di attirare l’attenzione su questa problematica, gettando le basi per un auspicabile futuro e fruttuoso dialogo sul tema.

 

 

1 Per un breve quadro riassuntivo della questione si veda da ultimo M.C. Biella in B. Belelli Marchesini, M.C. Biella, L.M. Michetti, Il santuario di Montetosto sulla via Caere-Pyrgi, Roma 2015, pp. 95-97.

 

2 Così in M. Cristofani et al. (a cura di), Caere 4. Vigna Parrocchiale: scavi 1983-1989. Il santuario la «residenza» e l’edificio ellittico, Roma 2003; E. Acampa e B. Belelli Marchesini in V. Bellelli (a cura di), Caere 6. Caere e Pyrgi: il territorio, la viabilità e le fortificazioni, Atti della giornata di studio (Roma 2012) (Mediterranea, Suppl. 11), Pisa-Roma 2014, rispettivamente pp. 97-122 e 225-256. Diverso invece l’approccio in M. Rendeli in M. Cristofani (a cura di), Caere 3.2. Lo scarico arcaico della Vigna Parrocchiale, Roma 1993.

 

3 Per una breve analisi sui criteri tipologici seguiti nelle indagini nel sito di Veio-Piazza d’Armi si veda V. Acconcia in G. Bartoloni, V. Acconcia (a cura di), L’abitato etrusco di Veio, Ricerche dell’Università di Roma ‘La Sapienza”, II – Un edificio tardo-arcaico e la sequenza stratigrafica, Roma 2012, pp. 87-89.

 

4 Per un’analisi teorica dei principi che sottendono alla classificazione delle ceramiche nell’ambito delle indagini condotte dall’Università degli Studi di Milano si veda in particolare G. Bagnasco Gianni, Tra importazione e produzione locale: lineamenti teoretici e applicazioni pratiche per l’individuazione di modelli culturali. Il caso di Tarquinia, in Bollettino di Archeologia online, I-2010, pp. 1-8 (http://www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/

documenti/generale/1_BagnascoGianni_Introduzione.pdf).

 

5 M. Rendeli in M. Cristofani (a cura di), Caere, 3.1. Lo scarico arcaico della Vigna Parrocchiale, Roma 1992, pp. 311-315.

 

6 R. Cascino, H. Di Giuseppe, H.L. Patterson (eds.), Veii, The historical topography of the ancient city, A restudy of John Ward-Perkins’s Survey, London 2012.

 

7 Si veda di recente G. Bartoloni et al., Progetto Veio: novità dalle ultime campagne di scavo, in Scienze dell’Antichità 19-2013, pp. 133-156 con bibl. prec.

 

8 Si veda in particolare il volume R. Cascino, U. Fusco, C. Smith (eds.), Novità nella ricerca archeologica a Veio. Dagli studi di John Ward-Perkins alle ultime scoperte, Roma 2015 c.s. 

 

9 L. Ambrosini, Le olpette in ceramica acroma depurata nei contesti votivi: il caso del santuario di Portonaccio a Veio, in MEFRA 124/2, 2012, pp. 345-376.

 

10 J. Tabolli, Appendice metrologica, in Riflessioni su Pyrgi 2013, pp. 71-72.

 

11 V. Bellelli, Particolarità d’uso della ceramica comune etrusca, in MEFRA, 124/2, 2012, pp. 377-392.

 

12 I. Pohl, San Giovenale, Vol. V, fasc. 2, The Borgo, The Etruscan habitation quarter on the north-west slope, Stratification and materials, Stockholm 2009.

 

13 M.C. Biella, Impasti orientalizzanti con decorazione incisa di aree falisca e capenate: un primo bilancio, in “Bollettino di Archeologia on line”, (http://151.12.58.75/archeologia/bao_document/poster/4_BIELLA.pdf).

 

14 A semplice titolo esemplificativo si vedano l’anforetta dalla tb. 175, l’olla con decorazione incisa dalla tb. 399 e l’anforetta dalla tb. 415 della necropoli di Fossa (V. d’Ercole, E. Benelli, La necropoli di Fossa, Volume II, I corredi orientalizzanti e arcaici, rispettivamente n. 4 p. 72, n. 6 pp. 166 s. e tav. XV e n. 9 pp. 176 s.). Elementi decorativi simili sono noti anche da Bazzano sulla kotyle dalla tb. 8 Finesa, sull’anforetta (fr.) dal riempimento della tb. 824, sul vaso biconico dalla tb. 870, sul fr. di anforetta dalla tb. 1118= “1120”, sul fr. dalla tb. 123 e sull’anforetta dalla tb. 1607 (J. Weidig, Bazzano – Ein Gräberfeld bei L’Aquila (Abruzzen). I – Die Bestattungen des 8.-5. Jhs. v. Chr. Utersuchungen zu Chronologie, Bestattungsbräuchen und Sozialstrukturen im apenninischen Mittelitalien, Mainz 2014, rispettivamente tavv. 6; 281, 1; 299; 381, 2; 409 e 439). Il motivo è attestato in una realizzazione simile anche a Campovalano, su due calici a stami, dalle ttbb. 55 e 73, su un coperchio dalla tb. 132 e su un’anforetta dalla tb. 415 (C. Chiaramonte Treré, V. d’Ercole, C. Scotti (a cura di), La Necropoli di Campovalano, Tombe orientalizzanti e arcaiche II, Oxford 2010, rispettivamente, tavv. 3; 2; 15, 3; 71, 6; 126, 3).

 

15 Si veda supra, nota n. 1.

 

16 A. Naso (a cura di), Appunti sul bucchero, Atti delle giornate di studio, Firenze 2004.

 

17 M.A. De Lucia Brolli, Dalla tutela alla ricerca recenti rinvenimenti dall’area urbana di Falerii, in M. Pandolfini Angeletti (a cura di), Archeologia in Etruria Meridionale, Atti delle giornate di studio in ricordo di Mario Moretti, Roma 2006, pp. 70-78; M.C. Biella, La collezione Feroldi Antonisi De Rosa, Tra indagini archeologiche e ricerca di un’identità culturale nella Civita Castellana postunitaria, Pisa-Roma 2011, pp. 226 s.

 

18 Si veda di recente B. Belelli Marchesini, in op. cit. nota n. 7, pp. 144-146.

 

19 Per la produzione di impasti incisi, excisi e dipinti nelle officine ceramiche falische di età orientalizzante si veda da ultimo M.C. Biella, Tra produzione e consumo nell’artigianato falisco (VIII-V sec. a.C.): un caso di studio, in Artisti, committenti e fruitori in Etruria tra VIII e V secolo a.C., Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina» 21, pp.106 s.
 

 

SOMMARIO

 

Marco RENDELI, Presentazione,1-3

Patrizio PENSABENE, L’area sud ovest del Palatino tra l’VIII e il VI secolo : introduzione ai contesti e ai materiali ceramici, 5-11

Olga COLAZINGARI, L’area sudoccidentale del Palatino : produzioni domestiche di età protostorica e arcaica,13-29

Stella FALZONE e Federica ROSSI, L’area sud ovest del Palatino tra l’VIII e il VI secolo a.C. : il bucchero e la ceramica depurata come indicatori della produzione e della circolazione di vasellame di uso domestico e sacrale, 31-49

Claudia GIONTELLA e Françoise VILLEDIEU, Palatino, Vigna Barberini : i resti di costruzioni e le attestazioni materiali più antiche, 51-65

Antonella MAGAGNINI e Iefke VAN KAMPEN, I pozzi della Velia : la lettura di un contesto, con Appendice a cura di J. DE GROSSI MAZZORIN e C. MINNITI, 67-91

Rasmus BRANDT, Ceramics in context : some observations on the Late Iron Age and archaic settlements at Ficana, Satricum, and Lavinium, 93-111

Eero JARVA, La funzione della ceramica comune a Ficana : note sulla capacità dei vasi, 113-124

Rita VOLPE, Marco BETTELLI, Silvia FESTUCCIA, Esmeralda REMOTTI, Contesti di VI secolo a.C. sul pianoro di Centocelle (Roma) , 125-136

Francesco DI GENNARO, Federica BARTOLI, Elena FODDAI, Beatrice GIORGIETTA, Cristiano IAIA, Manuela MERLO, Sara PASQUARELLI, Silvia TEN KORTENAAR, Contesti e materiali della prima età del ferro, di età orientalizzante, arcaica e tardoarcaica da Fidene,137-210

Paolo TOGNINELLI, Per la ricostruzione di un sistema metrologico per liquidi attestato da alcune produzioni artigianali di Crustumerium, 211-214

Valeria ACCONCIA, Gilda BARTOLONI, Andrea DI NAPOLI, Gloria GALANTE, Iefke VAN KAMPEN, Silvia TEN KORTENAAR, Maria Helena MARCHETTI, Manuela MERLO, Matteo MILLETTI, Valentino NIZZO, Valeria PAOLINI, Alessandra  PIERGROSSI, Federica PITZALIS, Federica ROSSI, Ferdinando SCIACCA, Contesti abitativi di Veio-Piazza d’Armi a confronto : materiali da una capanna e da una casa , 215-266

Marco RENDELI, Roberta CASCINO, Maria Teresa DI SARCINA, Ricerche di J. Ward Perkins a Veio : le fasi orientalizzante, arcaica e classica , 267-285

Alessandro GUIDI, Cures sabini : un contesto della fine della prima età del ferro , 287-300

Paola SANTORO, L’insediamento di Magliano Sabina e la produzione d’impasto bruno in epoca orientalizzante ed arcaica , 301-314

INDICE DEI LUOGHI, 315-318

INDICE DEI NOMI, 319-320

INDICE DELLE FONTI LETTERARIE GRECHE E LATINE, 321

RIASSUNTI, 323-326

SOMMARIO, 327-328