Fagnart, Laure: Léonard de Vinci en France, Collections et collectionneurs (XVe-XVIIe siècles), 402 pages, ill. (coll. LermArte, 3), ISBN 978-88-8265-554-9, 245 euros
(L’Erma di Bretschneider, Roma 2009)
 
Rezension von Stefano de Bosio, Università di Torino
 
Anzahl Wörter : 3494 Wörter
Online publiziert am 2011-06-09
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1147
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          Il volume di Laure Fagnart, nato da una tesi di dottorato discussa al Centre d’Etudes de la Renaissance (Université de Tours) e pubblicato in quanto vincitore nel 2006 del Premio Erminia Bretschneider per la Storia dell’Arte, è dedicato all’analisi della storia collezionisitica dei dipinti di Leonardo (e di quelli nelle varie epoche ritenuti tali) presenti nelle collezioni francesi. L’arco cronologico considerato va dal regno di Carlo VIII a quello di Louis XIV, ossia dagli anni ’90 del Quattrocento, quando le guerre d’Italia conducono i francesi nella Penisola, fino al primo Settecento. Il libro, solidamente costruito, trova dunque un suo posto entro l’ambito di studi riguardante la ricezione di Leonardo in Francia, nei multiformi aspetti che ne caratterizzano l’attività di artista e scrittore. Ed è in effetti entro il quadro variegato della ramificata fortuna di Leonardo, specie nella sua veste di disegnatore e teorico, che le analitiche osservazioni dell’autrice sulla fortuna collezionistica dei dipinti sono destinate ad acquistare maggiore profondità critica e storica.

 

          Dopo una Préface di Pietro C. Marani ed una Introduction, la prima parte del volume (Prologue) ambisce a fornire una Chronique des relations entre Léonard de Vinci et les Français, nella quale vengono brevemente considerati i rapporti veri o presunti tra Leonardo e alcuni artisti francesi - tra cui spicca Jean Perréal - uomini di chiesa e funzionari, a vario titolo coinvolti nell’amministrazione francese del ducato di Milano, dal 1499 e fino al 1521 in mano ai francesi (pur con la parentesi di Massimiliano Sforza). Si incontrano così, tra gli altri, Jean de Luxembourg conte de Ligny, Florimond Robertet, segretario di Stato, Georges d’Amboise, cardinale di Rouen, che cerca di acquistare un non meglio identificabile Bacco, opera del Vinci, suo nipote Charles II d’Amboise, governatore di Milano, che nel maggio 1506 riesce a richiamare Leonardo a Milano da Firenze e per il quale il maestro fornisce il progetto per una villa suburbana. Leonardo è inoltre coinvolto in committenze emananti direttamente dal re Louis XII, di cui danno notizie - non chiare - alcune lettere del 1507, dove l’artista è chiamato per la prima volta “nostre peintre et ingenieur ordinaire”. Emerge al contempo il fascino particolare esercitato dall’Ultima Cena affrescata nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, opera che, specie nel Cinquecento, rappresenta un momento privilegiato della lettura critica di Leonardo da parte francese.

 

          Nella definizione di una cronologia affidabile di questi primi rapporti tra i francesi e Leonardo permangono diversi punti oscuri: è proprio Jean Pélerin de Toul, l’autore della De artificialis perspectiva (Toul 1505, I ed.), il “maestro Giovanni franzese” che aveva promesso a Leonardo “la misura del sole” ricordato in un appunto del Codex atlanticus databile al 1487-90? Leonardo seguì effettivamente il sieur de Ligny a Napoli? Per volere del re Francesco I, nel 1517 ha infine luogo il trasferimento di Leonardo in Francia, a Cloux (oggi Clos Lucé), vicino al castello di Amboise, con una pensione paragonabile a quella dei comandanti dell’esercito: momento cruciale del rapporto tra Leonardo e la Francia, da considerarsi entro una più generale strategia politica e culturale tesa a fare di Francesco I  il padre “des arts et des lettres”.

 

          La Première Partie analizza, suddividendola in tre ampi capitoli, la fortuna collezionistica delle opere di Leonardo in Francia, mettendo in evidenza i due momenti più significativi della fortuna francese di Leonardo pittore: i decenni iniziali del regno di Francesco I (1515-1530) ed il 1620-1640 presso gli amateurs d’arte parigini, una passione che dai curieux passerà a Louis XIV.

 

          È questo per molti versi il cuore della ricerca della Fagnart, che tra i suoi obiettivi si poneva quello di raccogliere le informazioni disponibili sulla fortuna collezionistica di alcune opere tra le più celebri del musée du Louvre come la Gioconda, la Vergine delle Rocce e la Belle Ferronnière: passaggi collezionistici che persistono in diversi casi di non piana comprensione, da cui l’utilità del presente lavoro di sintesi che dà puntualmente conto delle varie opinioni riguardanti le opere e le date di ingresso nelle collezioni reali, per giungere in diversi casi a proposte critiche originali.

 

          È verosimile che a Louis XII risalga la commissione per la Sant’Anna con la Vergine e il Bambino del Louvre e che tra le opere della collezione di Ludovico il Moro confiscate nell’autunno 1499 figurasse anche il Ritratto di dama noto impropriamente come “La Belle Ferronière” (Parigi, musée du Louvre), al quale l’autrice preferisce riferirsi come “portrait d’une dame de la cour de Milan”. La Vergine delle Rocce (la prima versione) poté entrare ugualmente nelle collezioni reali già sotto Louis XII, e, tra le varie ipotesi formulate dalla critica, Fagnart mostra di condividere quella del possibile ingresso nelle collezioni reali intorno al 1508, con la sostituzione sull’altare in San Francesco Grande a Milano della versione ora alla National Gallery di Londra.

 

          Sono ugualmente elementi indiziari quelli su cui può basarsi una ricostruzione del gruppo di opere di Leonardo acquistate da Francesco I:  nel 1518 - l’anno precedente alla morte del maestro - un cospicuo pagamento “pour quelques tables de paintures baillées au Roy” è fatto ad Andrea Salai, stretto collaboratore e poi erede del maestro; Bertrand Jestaz (1999) ha proposto di riferire questa attestazione all’acquisto di tutte o alcune delle opere portate da Leonardo in Francia e ricordate da Antonio de Beatis nel resoconto della visita fatta il 10 ottobre 1517 dal cardinale Ludovico d’Aragona a Cloux; tra queste dovevano figurare una versione del Ritratto di dama nuda (nota anche come Monna Vanna o la Gioconda nuda, di cui si conservano unicamente copie o disegni di ambito leonardesco: un’invenzione che fu con probabilità alla base della Fornarina di Raffaello ma anche della Dame au bain di François Clouet), il San Giovanni Battista e la Sant’Anna con la Vergine ed il Bambino, entrambi al Louvre.

 

          Riguardo al San Giovanni Battista menzionato dal de Beatis, Fagnart ne propone un’identificazione con il San Giovanni Battista nel deserto (noto come San Giovanni Battista - Bacco per una certa voluta ambiguità iconografica, resa più esplicita da alcune ridipinture databili al 1683-95), piuttosto che con il San Giovanni Battista a mezza figura, ugualmente al Louvre; questa proposta di identificazione appare rafforzata dalla menzione in un inventario post mortem del surintendent des bâtiments Sébastien Zamet, datato 1614, di una copia dell’opera, all’epoca conservata a Fontainbleau.

 

          La ricostruzione del nucleo di opere leonardesche acquistate da Francesco I deve inoltre considerare i numeri dati nell’inventario, redatto da Charles Le Brun nel 1683, dei dipinti del Cabinet di Louis XIV, che lasciano appunto supporre una loro provenienza dai fondi più antichi delle collezioni reali francesi, cioè di Francesco I. Secondo Laure Fagnart, le opere che entrano nelle collezioni reali con Francesco I sono dunque il San Giovanni Battista - Bacco, la Sant’Anna con la Vergine ed il Bambino e, probabilmente, la Gioconda, tutte attualmente al Louvre. Sotto il nome di Leonardo entrano ugualmente nelle collezioni reali una Leda in piedi (perduta), un Ratto di Proserpina (perduto, opera in realtà di Gaudenzio Ferrari, inviata a Francesco I, come ricorda Giovan Pietro Lomazzo nel 1584), il Salvator Mundi (ora Nancy, musée des Beaux-Arts), una Vergine col Bambino con San Giovanni Battista e una figura inginocchiata (perduto) e la ‘vera’ Belle Ferronière, cioè quel dipinto, ora al Louvre, opera di un pittore leonardesco (Berenson pensava a Bernardino de’ Conti) raffigurante Madame Le Ferron, amante di Francesco I e la cui confusione con il superbo ritratto di Leonardo di tre quarti - il Ritratto di dama del Louvre - risale a inventari settecenteschi. Come fa notare Fagnart, si profila in questo modo il gruppo più cospicuo di opere attribuite ad un solo artista nella collezione reale.

 

          Sarà solo con Louis XIV che nuove opere ritenute di Leonardo entreranno nelle collezioni reali: il San Giovanni Battista ora al Louvre, il Sonno del Bambino Gesù (Louvre), la Madonna delle bilance (Louvre), Santa Caterina tra gli angeli (Compiègne, musée du chateau) e la Coppia mal assortita (Fagnart ne propone un’identificazione con la tavola di ambito di Quentin Metsys dal 1966 a São Paulo, museo de Arte); tra queste è oggi considerato autografo solo il San Giovanni Battista, acquistato nel 1661-62 da Everhard Jabach, banchiere di origine tedesca che venderà al re anche diversi disegni di Leonardo. Jabach è del resto figura cruciale per intendere la rinnovata fortuna del maestro negli anni centrali del Seicento, in parallelo a quella riscoperta di Leonardo come ‘teorico delle arti’ che culmina, nel 1651, con la pubblicazione a Parigi del Trattato della pittura, in italiano e francece; promotore di tale iniziativa fu Roland Fréart de Chambray sieur de Chantelou, mentre per volontà di Charles Le Brun il Trattato divenne testo di insegnamento all’Académie Royale de Peinture.

 

          I due capitoli successivi di questa prima sezione del libro di Laure Fagnart trattano di quelle che l’autrice definisce “les pérégrinations des tableaux de Léonard de Vinci dans la collection royale française”, fenomeno che risulta essere spia significativa della fortuna altalenante dei singoli dipinti legati al nome di Leonardo e di più generali oscillazioni, tra Cinque e Seicento, del ‘gusto’ artistico degli ambienti legati alla corte. In un quadro che continua a presentare solo notizie frammentarie e diversi punti non chiariti, Fagnart raccoglie le informazioni disponibili per seguire i passaggi delle opere dai castelli nella valle della Loira a Fontainebleau, a Parigi, dalle Tuileries al Cabinet du roi al Louvre sotto Louis XIV, fino alla petite galerie dell’appartamento di Louis XIV a Versailles. Il quadro che ne esce è particolarmente sfaccettato e ricco di suggestioni, in cui si intrecciano le differenti predilezioni dei sovrani per le varie residenze, le diverse stagioni del gusto nell’allestimento degli appartamenti di corte, nonché la costitutiva natura effimera di questi allestimenti, che obbliga, specie a partire dal Seicento, a particolari cautele nel derivare da una menzione di opere in un dato anno una loro presenza storica in quella sede.

 

          Il capitolo dedicato al castello di Fontainebleau si concentra sull’allestimento dell’appartement des bains, distrutto nel 1697, ambienti in cui, a partire dagli studi di Louis Dimier dedicati a inizio Novecento al Primaticcio, si ritiene fosse collocata la maggior parte della collezione reale. Fagnart fa notare come la principale fonte utilizzata da Dimier - la Description historique des chateau, bourg … de Fontainebleau di Pierre Guilbert del 1731 - non sia in realtà esente da notizie inesatte. All’allestimento dell’appartement des bains si possono ricondurre con sicurezza solo il San Giovanni Battista – Bacco, il Ratto di Prosperpina e forse la Leda in piedi, opere - nota Fagnart - accomunate dal tema mitologico. Per il “ritratto di Monna Lisa è invece Giorgio Vasari a ricordare, già nell’edizione delle Vite del 1550, come “oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanbleo”. L’assetto delle collezioni date da Francesco I sarà modificato in profondità con la creazione nel 1565, sotto Carlo IX, di un Cabinet des peintures, pensato per presentare i dipinti antichi di proprietà reale; nel 1625, Cassiano del Pozzo vi ammirerà la Vergine delle Rocce, il San Giovanni Battista – Bacco, la Leda, il Ratto di Proserpina e la Gioconda. Ed è Cassiano del Pozzo che fornisce una significativa testimonianza della fortuna della Gioconda sul terzo decennio, ricordando come “[i]l duca di Buckingham, mandato d’Inghilterra per condur la sposa al nuovo Re, hebbe qualche intentione d’haver questo ritratto, ma, essendone stato distolto il Re dall’instanze fattegli da diversi, che messero in consideratione che S.M. mandava fuor del Regno il più bel quadro che havesse, detto Duca sentì con disgusto questo intorbidamento e tra quelli con chi si dolse fu il Rubens d’Anversa, Pittor dell’arciduchessa”. Nel Cabinet des peintures dovettero inoltre confluire anche altri dipinti di Leonardo precedentemente conservati a Fontainebleau, ma probabilmente in ambienti diversi dall’appartement des bains, come il Ritratto di dama e il Salvator Mundi.

 

          All’inizio del regno personale di Louis XIV (1661) a Parigi si trovano il San Giovanni Battista, il Sonno del Bambino Gesù, la Gioconda, il Salvator Mundi, il Ritratto di dama e la Belle Ferronnière (di questi ultimi quattro dipinti, Fagnart precisa al 1665-1666 il loro invio da Fontainebleau a Parigi). Come detto, si aggiungono ad essi le opere acquistate da Louis XIV ed ulteriori arrivi da Fontainebleau nel 1679-81 (San Giovanni Battista – Bacco, la Sant’Anna, la Vergine delle Rocce e la Vergine col Bambino e San Giovanni inginocchiato), destinati al nuovo Cabinet des tableaux du roi al Louvre. Fagnart ne segue i passaggi tra il palazzo delle Tuileries, i cabinets del palazzo del Louvre, il Cabinet des tableaux du roi, fino poi al progressivo affermarsi della reggia di Versailles a partire dal 1682, dove però le opere di Leonardo non hanno ruoli di prestigio paragonabili ai dipinti di Raffaello e dei Carracci.

 

          La Seconde Partie è interamente dedicata all’analisi della fortuna, in ambito francese, dell’Ultima Cena in Santa Maria delle Grazie, per molti versi l’opera simbolo dell’attività pittorica di Leonardo. Sono dunque considerate le copie della Cena legate a vario titolo a committenti francesi. La fascinazione per la Cena sembra fondarsi su un interesse di Louis XII, emulato da vari ufficiali regi che ne richiedono una copia: sia membri della cancelleria come Antoine Turpin e forse Jean Bardelot, che ecclesiastici come Gabriel Gouffier e Guillaume Petit. L’emulazione delle scelte reali da parte delle élite è in effetti un filo rosso che emerge dallo studio di Fagnart: la volontà di avere copia delle opere conservate presso la collezione reale, particolarmente evidente considerando le copie cinque e seicentesche menzionate dalle fonti della Gioconda (Fagnart ne ricorda 18), che per il soggetto - il ritratto di una dama ignota - non possedeva certo lo stesso valore di un ben noto episodio di storia sacra come l’Ultima Cena.

 

          La stessa Fagnart ha precisato nel 2001 come François d’Angouleme, futuro Francesco I, e sua madre, Louise de Savoie, facciano tessere una versione della Cena che decorerà fino al 1533 il castello di Blois, in seguito donata a papa Clemente VII dei Medici e oggi ai Musei Vaticani. Il cartone alla base di questo arazzo, tessuto presso l’atelier di Bruxelles di Pieter van Aelst, poté forse essere realizzato, suggerisce l’autrice, dal Bramantino, allora impiegato nell’esecuzione dei cartoni per il ciclo di arazzi dei Mesi per il Trivulzio.

 

          Vengono ugualmente prese in considerazione altre copie, più o meno fedeli, della Cena di cui meno chiara risulta la committenza o la paternità: la versione dipinta a tempera su una parete del refettorio dei Cordeliers di Blois, la Cena conservata nella cattedrale di Troyes, commissionata dal vescovo Guillaume Petit, la copia conservata nella chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois a Parigi, il rilievo a Saint-Martin-des-Monts (Sarthe).

          La Troisième partie considera la fortuna dei dipinti di Leonardo presso i “cabinets de ceux qu’on appelle curieux”, integrando dunque il discorso condotto precedentemente sulle collezioni reali entro un più ampio quadro di storia del collezionismo. A detta della stessa autrice, questa sezione deve intendersi come una primo censimento, passibile di futuri incrementi, nonché, si può aggiungere, di una più generale valutazione delle sue implicazioni nell’apprezzamento dell’arte di Leonardo nel Grand Siècle.

 

          L’analisi degli inventari, di testimonianze d’epoca e della letteratura sette-ottocentesca fa emergere un quadro sfaccettato della fortuna seicentesca di Leonardo, il cui apprezzamento si confronta di necessità con il gusto classicista dominante, che incorona, assieme alla pittura bolognese e veneziana, Raffaello quale campione della prima “maniera moderna”, Poussin della pittura contemporanea.

 

          Nessun dipinto di Leonardo sembrano aver posseduto Gaston d’Orleans, il maresciallo Charles Ier de Créquy o il cardinale Mazzarino, tra i protagonisti assoluti di questa stagione. Ma anche dalle parole di Cassiano del Pozzo sopra riportate emerge l’importanza avuta dagli amateurs nella fortuna seicentesca di Leonardo: il Re era stato distolto dal consegnare la Gioconda al duca di Buckingham proprio “dall’instanze fattegli da diversi, che messero in consideratione che S.M. mandava fuor del Regno il più bel quadro che havesse”. Tra le testimonianze più significative dell’apprezzamento di Leonardo, visto il prestigio del collezionista – Richelieu – e la cultura aggiornata dei redattori degli inventari – Simon Vouet e Laurent de la Hyre – si annovera l’inventario dei dipinti del Palais-Cardinal (attuale  Palais-Royal) di Parigi, eseguito nel 1643 dopo la morte del cardinale. Sotto il nome di Leonardo figurano una “Testa di Flora, che Fagnart propone di identificare con la Colombina dell’Hermitage di Francesco Melzi (ma in questo modo è obbligata a ritenere un errore dei redattori degli inventari l’indicazione “testa”), una Salomé e una Vergine col Bambino, entrambe di incerta identificazione. È invece un inventario della collezione reale di Carlo I d’Inghilterra stilato nel palazzo di Whitehall nel 1631 a ricordare come il San Giovanni Battista ora al Louvre vi sia giunto “sent from ffraunce” nel 1630, donato da Roger du Plessis duc de Liancourt, primo gentiluomo della chambre du roi, che in cambio ricevette un Ritratto di Erasmo di Holbein e una San Giovanni Battista di Tiziano; al momento della dispersione della collezione reale inglese nel 1650-53, l’opera è acquistata dal banchiere Jabach, che ne fa trarre anche una stampa da Jean Boulanger (una delle rarissime traduzioni di un’opera di Leonardo incise durante il Seicento); al 1661-1662, come già ricordato, data il primo acquisto di buona parte della collezione Jabach fatto da Louis XIV. Tra le altre opere considerate da Fagnart, la Madonna delle bilance (Louvre) può con buona probabilità identificarsi con una dipinto ricordato nel 1651 nella collezione di Martin de Charmois, mentre più problematica, anche allargando lo sguardo ai dipinti leonardeschi, l’identificazione del “quadro del Vinci, nel quale con due mezze figure si rappresenta il giovine e bel Giuseppe che fuggendo volta le spalle alla bella ma dishonesta moglie di Putifar”, ricordato Raphael Trichet du Fresne nella Vita di Lionardo contenuta nell’edizione in italiano del Trattato della pittura del 1651.

 

          In questo capitolo, Fagnart intreccia intelligentemente alla fortuna collezionistica dei dipinti di Leonardo (o supposti tali) la fortuna delle copie tratte da dipinti vinciani, tra i quali la “Joconde” riveste un ruolo di primo piano, giungendo ad indicare una tipologia iconografica di donna sorridente seduta, nell’atteggiamento di Lisa del Giocondo: una fortuna che, almeno in parte, “est séduisant d’associer […] à sa tentative d’achat par le duc de Buckingham en 1625” (p. 201) e che verrà ulteriormente sancita dalla prima riproduzione ad incisione del dipinto nell’edizione del 1651 del Traité de la peinture.

 

          Il volume si conclude con una breve sintesi dei principali risultati critici e novità conseguite dallo studio (Épilogue), seguita da un catalogo analitico delle opere, un’antologia selettiva delle fonti e la bibliografia. Meritorio è in particolare il catalogo delle opere, per l’agilità che, insieme all’indice analitico, conferisce alla lettura del volume e delle principali acquisizioni critiche in esso contenute. Questo Catalogue prevede, oltre ad una prima bibliografia d’orientamento e alla ricostruzione delle “Pérégrinations de l’oeuvre en France”, una voce dedicata alle “Copies conservées dans les collections françaises”, con relativa bibliografia. Per ultima, una Table des illustrations rimanda al dossier iconografico in bianco e nero e a colori, mediamente di buona qualità, che si trova a chiusura delle singole sezioni del volume.

 

Indice

  

Préface de Pietro C. Marani, p. 9

Introduction, p. 11

Prologue: De Milan à Cloux Chronique des relations entre Léonard de Vinci et les Français

1. Premiers échanges, p. 17

2. Les Français en Milanais (1499), p. 24

3. Léonard au service de Charles II d’Amboise (1506-1511), p. 28

4. Léonard et François Ier (1515-1519), p. 31

5. « A Salay pour quelques tables de paintures baillées au Roy ». Le sort des tableaux de Léonard, p. 38

 

Première partie : Du château de Blois au cabinet des médailles de Versailles. Pérégrinations des tableaux de Léonard de Vinci dans la collection royale française

1. En Touraine (1499-vers 1540), p. 53

2. à Fontainebleau (vers 1540-vers 1665), p. 79

3. à Paris (vers 1600-1682) et à Versailles (1673-1715), p. 96

 

Seconde partie: à l’image des rois de France Les membres de la cour et la Cène de Santa Maria delle Grazie de Milan

1. La Cène, la peinture de Léonard la plus appréciée des Français, p. 151

2. Les copies « françaises » de la Cène, p. 154

 

Troisième partie: Les tableaux de Léonard de Vinci dans les « cabinets de ceux qu’on appelle curieux »

1. « Joconde » et « Pourtraict en forme de Joconde », p. 201

2. Le cabinet de Pierre Bonnard, p. 204

3. Les collections du cardinal de Richelieu, p. 205

4. Les peintures de Roger du Plessis, duc de Liancourt, p. 209

5. Sept tableaux du maître chez Louis II Phélypeaux de la Vrillière, p. 213

6. Une Vierge à l’Enfant chez Charles d’Escoubleau, marquis de Sourdis, p. 214

7. Le cabinet de Jean-Baptiste de Bretagne, p. 215

8. Les tableaux « rares et de prix » de Jacques du Lorens, p. 215

9. La Vierge à la balance du Musée du Louvre chez Martin de Charmois, p. 215

10. Le cabinet des époux Bordier, p. 216

11. Une Tête de saint Jean-Baptiste sur un plat chez Louis II de Bourbon, p. 217

12. Le cabinet de Marie de Lorraine, duchesse de Guise, 218

 

Épilogue, p. 235

 

Catalogue des oeuvres, p. 239

 

Corpus des sources, p. 309

 

Bibliographie

1. Sources manuscrites, p. 365

2. Sources imprimées, p. 366

3. Littérature secondaire, p. 369

 

Index, p. 385

 

Table des illustrations, p. 391