| Rossi Filli (a cura di): Il santuario di Minerva. Un luogo di culto a Breno, 504 p., ill. b/n e colori nt. ISBN-9788886752398, 65.00 euros (Edizioni ET, Milano 2010)
| Compte rendu par Marco Cavalieri, Université catholique de Louvain Nombre de mots : 2120 mots Publié en ligne le 2011-02-28 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1161
“Quando, nel 1982, fu
pubblicata la Guida Laterza del Piemonte, della Val d’Aosta, della Liguria e
della Lombardia, non si faceva ancora cenno del tempio di Breno. In un quarto
di secolo le cose sono radicalmente cambiate. Per ora bisogna quindi rallegrarsi
della scoperta di questo sito straordinario e della sua pubblicazione, che
mette a disposizione di tutti un luogo di culto attestato lungo un millennio”.
Così dalla breve introduzione al culto di Minerva a firma di J. Scheid (p.
17-18): queste parole, in effetti, sintetizzano bene la soddisfazione del
lettore di fronte a un volume che in maniera dettagliata e scientifica, ma
comunque sempre accessibile anche ai non addetti ai lavori, dà conto di più di
cinque lustri di scavi e interpretazioni archeologiche relativi a un sito
santuariale, Spinera (Comune di Breno, provincia di Brescia), oggi, a buon
diritto, da considerare tra i meglio conosciuti dell’area alpina in particolare
e cisalpina più in generale. Bisogna sottolineare come siano l’approccio metodologico
ed ermeneutico a fare dell’opera un reale riferimento nell’analisi del fenomeno
santuariale extraurbano in Cisalpina: in effetti, la natura, l’origine,
l’evoluzione del sito non sono studiate di per sé, come analitici dati
archeologici, ma ricollocate e interpretate nell’intento di ricostruire,
partendo dal santuario, un contesto storico, territoriale e culturale in cui
l’evidenza archeologica sia lo spin off di
un’interpretazione più ampia, relativa a tutto il comparto vallivo della Valle
Camonica e non solo.
La materia è trattata
per grandi sezioni che hanno prevalentemente un sequenza cronologica, non
trascurando mai la contestualizzazione geografica:
1. Il sito e gli scavi. Costituisce la parte
introduttiva storico-archeologica (p. 19-22) e morfologica relativa al
santuario. In poco più di venti pagine di testo, a partire dalla già menzionata
introduzione di J. Scheid, si fornisce al lettore un primo panorama del sito,
avvertendolo della natura comunitaria e limitanea del centro di culto, forse
più che del suo ruolo iatrico legato alla presenza di grotte e cunicoli
naturalmente scavati dall’acqua e dal fiume Oglio (p. 23-25), presso un ampio
meandro del quale il santuario trovò la sua sede fin dalla prima età del Ferro.
Contesto culturale, territorio, romanizzazione (nelle sue diverse accezioni e
sfumature) sono gli assi interpretativi delle pagine di sintesi (p. 26-36) che
presentano il santuario di Spinera dalla sua fase protostorica a quella della
piena romanità. Un percorso lucido, ancorché denso, che anticipa i grandi temi
ermeneutici, i fils rouges che
attraversano tutto il volume. Infine, un inquadramento di tipo morfo-geologico
e idrografico, unitamente a una sintesi per fasi di scavo, rappresentata
graficamente mediante una serie di planimetrie del sito evidenzianti i settori
oggetto di ricerche negli anni, concludono questa prima parte propedeutica
dell’opera.
2. L’area sacra nell’età del Ferro. La sezione si apre con un contributo di L. De
Vanna (p. 39-48), relativo alla descrizione dell’area archeologica del centro
di culto tra la media età del Ferro e l’età augustea. In effetti, a partire dal
VII sec. a.C., il pianoro alluvionale su cui in età romana sorgerà il santuario
dedicato a Minerva, si caratterizza per la presenza di un’area di culto detta Brandopferplatz: si tratta di uno spazio aperto, occupato da roghi votivi
costituiti da altari (il luogo di combustione), da spazi per la raccolta delle
offerte (bothroi), da aree funzionali
alla cerimonia, il tutto talora posto in ambiti spaziali delimitati da muri o
recinti (temene). Una vicenda storica
per il luogo di culto camuno che l’analisi archeologico-stratigrafica ha
suddiviso in quattro fasi cronologiche, dalla prima frequentazione precedente
il Brandopferplatz (VII-V sec. a.C.),
alla fase augusteo/giulio-claudia, allorquando fu innalzato il primo tempio in
muratura a Minerva; va notato, tuttavia, che le strutture d’età romana non
oblitereranno del tutto le tracce del precedente centro di culto preromano che
all’epoca di Domiziano. Capacità di sintesi e chiarezza espositiva
contraddistinguono le pagine che seguono, a firma di A. Massari (p. 49-60) e S.
Solano (p. 61-88): si tratta di due contributi cronologicamente e per contenuto
complementari, trattando rispettivamente dei materiali ceramici di Spinera
della più antica frequentazione e della media ed avanzata età del Ferro. Si
apprezza dei lavori la ricerca funzionale e le valenze connesse all’uso
(offerta e sacrificio) dei materiali ceramici, così come l’ampio e preciso
inquadramento cronologico-culturale che mira sempre a collocare le produzioni
locali nel più ampio contesto alpino e padano, tenendo presente lo stretto
rapporto che lega i materiali alla stratigrafia archeologica. La questione
circa l’originalità espressa dalle produzioni ceramiche locali, soprattutto a
partire dal V sec. a.C., posta alla fine del primo testo, è ripresa in maniera
risolutiva dalla Solano che afferma che, a fronte dell’incertezza per le fasi
precedenti, la media Valle Camonica nella seconda età del Ferro graviti
generalmente verso l’area centroalpina (influssi del gruppo Fritzens-Sanzeno e
di quello tardohallstattiano renano); paiono mancare, invece, significative
presenze dell’ambiente padano-golasecchiano, mostrando come in questo orizzonte
cronologico l’intera valle esprimesse un sistema culturale diverso da quello
dell’area bresciana cenomane, posta al crocevia tra mondo di Golasecca e quello
etrusco-padano. Una fisionomia specifica che la Valle Camonica sembra mantenere
ben oltre la fase di romanizzazione, per lo meno fino alla fine del I sec.
d.C., in diverse espressioni soprattutto della cultura materiale: a
dimostrazione dell’importanza del substrato culturale autoctono. In effetti, la
continuità con la tradizione locale emerge anche nelle testimonianze graffite
sulla ceramica (p. 89-91), databili a partire dal IV sec. a.C. e che, ancora
nelle iscrizioni latine, presentano nomi personali sicuramente locali e
adattati al nuovo modo di scrivere e parlare. Dal cortile d’età flavia, in
associazione ai materiali votivi depositati intorno agli altari preromani
proviene una delle testimonianze più interessanti dallo scavo, un
pendaglio-amuleto costituito da una placchetta di bronzo (decorata a sbalzo-repossé e databile al V sec. a.C.)
raffigurante una figura schematica su barca solare e protomi ornitomorfe (p.
92-97). Al di là delle pagine consacrate all’analisi tecnica circa la
fabbricazione di questa lamina e altre rinvenute a Spinera (p. 98-103), quanto
emerge ancora una volta è come l’oggetto, che incarna per F. Rossi, una
divinità femminile indigena che l’interpretatio romana assimilerà a
Minerva, sia l’esito della fusione tra la cultura indigena delle vallate alpine
e gli influssi centroitalici e adriatici. Conclude la sezione, la sintesi di S.
Solano (p. 127-131), che offre un’interpretazione generale sul culto del sito
in età protostorica, con particolare riferimento al ruolo territoriale del
centro di culto, al suo legame con l’acqua e alla sua relazione con il mondo
santuariale veneto. Materiali, ritualità, strutture, la cui analisi è
presentata nelle pagine precedenti (p. 104-126), divengono, quindi, fonte di
una profonda ricostruzione storica.
3. Il santuario romano. La sezione si apre con
una serie di pagine consacrate alla ricostruzione delle diverse fasi edilizie
su base stratigrafica: fasi giulio-claudia e flavia (p. 135-138, 139-148) di P.
Dander e fase tardoantica (p. 149-154) di L. De Vanna. Tale introduzione
tecnica apre l’analisi ad una trattazione comparativa planimetrica, degli
alzati e dell’arredo lapideo del santuario (p. 155-175, F. Sacchi, M. Piziali)
che mostra possibili confronti con modelli urbani, cisalpini e provinciali: in primis, il Templum Pacis di
Roma, il Capitolium di Brescia e il santuario del Cigognier di Avenches,
fino a risalire a schemi planimetrici di tradizione ellenistica (il santuario
di Zeus Soter a Megalopolis), visti come possibili “ispirazioni” al complesso
vespasianeo di Roma, divenuto, a sua volta, veicolo di una tradizione
architettonica che nelle province si legherà al culto divino ed imperiale.
Segue un’ampia descrizione dell’apparato decorativo scultoreo (F. Rossi p.
176-185), musivo, pittorico del santuario, con una sezione di G. L. Gregori (p.
186-193) dedicata alle iscrizioni di Breno. Se le pagine riguardanti la statua
di culto e le considerazioni storico-epigrafiche, riprendono e sostanzialmente
ribadiscono, pur se talora con alcuni nuovi dati e argomentazioni, quanto già
espresso dai medesimi autori sull’argomento in precedenti pubblicazioni,
finalmente completa ed esaustiva è la disamina dei pavimenti, in mosaico e
cementizio, (F. Morandini, F. Slavazzi p. 194-204) e lo studio sulle pitture
parietali, in cui si apprezzano gli approcci storico-artistico, stilistico e
comparativo sempre accompagnati da un’impalcatura tecnico-stratigrafica (E.
Mariani p. 205-222, B. Bianchi p. 223-239) e archeometrica sugli intonaci e gli
strati pittorici (R. Bugini, L. Folli p. 240-243). Di seguito prende avvio il
lungo, denso e dettagliatissimo susseguirsi di dati relativi ai materiali
ceramici d’età romana, suddivisi secondo le fasi architettoniche già viste; di
per sé questa parte avrebbe costituito una monografia compiuta in sé! La prima
classe ceramica esaminata è la comune, a partire dal periodo giulio-claudio
fino al IV sec. d.C. (A. Guglielmetti, S. Solano p. 245-259, A. Guglielmetti p.
260-270). Lo studio è improntato su una solida base morfologica e dicronica,
corredata da foto, disegni e tavole dalle caratteristiche tecniche omogenee,
pur variando gli autori. Fondamentale anche la parte archeometrica che,
analizzando reperti ceramici risalenti fino all’età protostorica (M.P.
Riccardi, E. Basso, S. Solano, A. Ronchi p. 271-285), si è avvalsa anche della
spettroscopia micro-Raman su alcuni pigmenti di ceramiche comuni (P. Galinetto,
M.S. Grandi p. 286-288). Vale la pena sottolineare, dato oggi non comune, come
le analisi archeometriche nei contributi siano messe in relazione con una carta
geologica del territorio lombardo, mostrando possibili implicazioni produttive
e distributive dei manufatti. La serie prosegue con la ceramica a vernice nera
(A. Bonini p. 289-290), quella a pareti sottili (S. Masseroli p. 291-306), la
ceramica a vernice rossa (A. Bonini p. 307) e i reperti in sigillata (S. Jorio
p. 308-3179. Ma quanto risulta più interessante, al di là del valore di questa
catalogazione argomentata delle classi, è lo studio tipo-cronologico e
antropologico di alcuni tipi, olle, boccali-coppe e teglie-bacili che
costituiscono il fil rouge delle
ceramiche funzionali ai rituali svolti nel santuario lungo i secoli, e dunque
in un orizzonte evolutivo delle forme (A. Guglielmetti, S. Masseroli, S. Solano
p. 318-321). La trattazione continua non tralasciando alcun aspetto, dalla
cosiddetta cultura materiale, ai vetri (E. Roffia p. 328-344), alle terrecotte
figurate (R. Invernizzi p. 346-353), alle anfore (B. Bruno p. 383-384), ai
bolli laterizi (F. Abelli Condina p. 385-395), alle monete (M. Chiaravalle p.
396-413), etc.; un elenco che qui sarebbe troppo lungo riportare, per questioni
di spazio, ma che per chiunque può costituire una buon modello analitico di
lavoro. Chiude la sezione l’importante sintesi di F. Rossi (p. 415-436)
relativa al significato e al ruolo del santuario di Breno nella valle lungo
l’arco del tempo. Riprendendo alcuni concetti già espressi nelle pagine
precedenti, argomentandoli e sostenendoli con confronti puntuali e appropriati,
la studiosa arriva a tracciare una vera e propria base interpretativa non solo
del fenomeno cultuale e insediamentale locale, ma dell’intera fenomenologia
santuariale in Cispadana. Un merito questo, se non altro per la quantità e la
frammentarietà dei dati elaborati in una sequenza logica e convincente.
4. Il sito in età
moderna e medievale. Il volume continua la presentazione della vicenda storico-archeologica
del santuario in età medievale con parziali rioccupazioni e mediante la
costruzione di piccole strutture funzionali in stretto rapporto con la presenza
di sorgenti (P. Dander, A. Guglielmetti p. 439-443). Seguono pagine
sull’interpretazione in senso cristiano della zona: una conservazione cultuale
che si adatta al nuovo ma che conserva ancestrali tradizioni, bene
riconoscibili nella presenza di una cappella dedicata all’Annunciazione e della
chiesa della Natività di Santa Maria al Ponte di Minerva, non lungi dal sito
dell’antico centro di culto (A. Giorgi p. 444-459).
5. Altri santuari
in Valle Camonica. Anche se quasi alla fine del testo, non per questo sono
meno importanti i due contributi che mostrano come tutta l’area della Valle
Camonica fosse tra età protostorica e romana, disseminata di altri luoghi di
culto con attrattiva demica sul circondario; tale fenomeno si evidenzia sia
presso il capoluogo, Cividate Camuno (F. Simonotti p. 463-464) sia a Borno e
Capo di Ponte (S. Solano p. 465-480). Questa analisi e i dati presentati sono
di grande interesse per conoscere anche il tessuto del popolamento vallivo in
rapporto ai centri amministrativi e religiosi maggiori.
6. Il parco
archeologico del santuario di Minerva a Breno. Valore morale della
ricerca archeologica non è solo la scoperta, ma anche la conservazione e la
promozione del patrimonio riemerso: in tal senso il volume si conclude con la
presentazione di alcune utilissime pagine che mostrano come il lavoro
dell’archeologo non termini con lo scavo, ma anzi questo apra le porte al post-processing dei dati, che comprende
anche il restauro, la pubblicazione e, se possibile, la restituzione alla
collettività della fruizione del bene.
In definitiva, il libro
compendia un approccio strettamente storico-archeologico, fondato sull’analisi
stratigrafica e tassonomica, in stretta relazione con materiali, strutture e
territorio, a una sintesi interpretativa fruibile da parte di un pubblico a più
livelli, dallo studioso all’amatore.
La trattazione apporta una grande quantità
d’informazioni e offre, dopo diverse pubblicazioni frammentarie e parziali del
sito di Breno, un’utile sintesi sul contesto storico-archeologico e sui
materiali. Nonostante la mole di dati e interpretazioni presentati, grazie alla
direzione attenta e competente di F. Rossi, la riflessione d’insieme e
l’interpretazione generale rispondono a un progetto unico: mostrare
l’importanza del sito e le implicazioni storiche, archeologiche e
antropologiche che esso veicola sul territorio, facendone un modello
interpretativo di altri centri santuariali cisalpini. Si riscontra, dato
inevitabile in opere a così elevato numero di contributi e così composite, un
reiterarsi di alcune argomentazioni e sintesi interpretative, quali il ruolo
del substrato locale persistente nei secoli, che talora appesantiscono
l’impianto generale del volume, già di per sé monumentale. Ciò non toglie nulla
al valore interpretativo sulla funzione, posizione geografica e socio-politica
così come sulle attività cultuali (mediante lo studio della cultura materiale)
del sito durante i secoli, dalla preistoria all’alto Medioevo. In tal senso è
raggiunto l’obiettivo di fare di una serie di capitoli a soggetto vario una
sintesi logica che si fonda su un ampio catalogo e che, in funzione della sua
completezza, permette di considerare accessorie tutte le precedenti
pubblicazioni in merito al medesimo centro.
In conclusione, un’opera che costituisce una tappa
fondamentale nella conoscenza non solo di Breno, ma del fenomeno cultuale, insediamentale
e socio-politico della Cisalpina transpadana dalle Alpi, al Po, dalla Lombardia
al Veneto.
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