Le Meaux, Hélène: L’iconographie orientalisante de la péninsule Ibérique. Questions de styles et d’échanges (VIIIe-VIe siècles av. J-C.), 216 p., 45 ill., 21 x 29,7 cm., ISBN 978-84-96820-42-5, 28€
(Casa de Velázquez, Madrid 2010)
 
Reviewed by Antonella Pautasso, CNR-IBAM-Catania
 
Number of words : 920 words
Published online 2011-03-28
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1163
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          Risultato di un’indagine svolta nell’ambito di un Dottorato di Ricerca concluso nel 2004 presso l’Università di Paris IV La Sorbona, il libro di H. Le Meaux affronta – secondo un approccio originale e certamente inconsueto – il problema della formazione dell’identità iberica in età orientalizzante. Come anticipato già dalle prime pagine, la ricerca riguarda le immagini, considerate  separatamente da contesti e associazioni, inserite in un corpus tipologico che consenta non solo di individuare convergences et divergences iconografiche tra le tradizioni orientale e occidentale, ma anche di mettere in luce le trasformazioni che i singoli motivi subiscono attraverso la rielaborazione che di essi viene fatta in ambito iberico. Il volume si articola in tre ampi capitoli ed in un breve paragrafo di conclusioni; la bibliografia e un utile riassunto in tre lingue diverse (francese, spagnolo e inglese) si trovano a chiusura del lavoro.

 

          Nel primo capitolo (pp. 5-79 “Thèmes, compositions, comparaisons”), l’A. propone un’analisi delle immagini fondata sulla classificazione per temi (vegetali, animali, ibridi, rappresentazioni antropomorfe, simboli e motivi geometrici), presentati in tabelle sinottiche articolate per media (ceramica, bronzi, avori, oreficeria), completati dall’indicazione del luogo di rinvenimento e da utili mappe geografiche; l’ampio commento riservato ad ogni tema e l’accurata articolazione della tipologia rivelano l’impegno profuso nella fase di documentazione e studio dei diversi motivi. Particolarmente interessante è il paragrafo relativo agli esseri ibridi (grifoni, sfingi, donne alate) (pp. 53-68), che più di altri temi mostrano la varietà e l’unicità delle elaborazioni locali. L’approccio diremmo tassonomico al repertorio delle immagini, consente all’A. di mettere in evidenza, pur all’interno di una innegabile unità tematica peninsulare, dei gruppi che presentano un certo grado di affinità iconografica, come gli avori e i bronzi, o alcune produzioni che costituiscono delle variazioni nell’elaborazioni di motivi, come la ceramica, nella quale prevalgono temi fantastici.

 

          Il secondo capitolo (pp. 81-108, “Une culture d’images en débat”), dedicato ad una rassegna ragionata e critica della storiografia e dei precedenti studi sull’iconografia d’influenza orientale nella penisola iberica, conduce il lettore su altri binari, puntando sui diversi aspetti relativi al problema della recezione delle immagini in ambiente indigeno. In particolare, l’A. si sofferma criticamente sulla tendenza di alcuni studi a spingere la lettura iconologica delle immagini offrendo come punti di riferimento assoluti miti e motivi ben conosciuti in ambito orientale e mediterraneo, o figure di eroi civilizzatori di area iberica.

 

          Il terzo capitolo (pp. 109-155, “Questions d’échange”) inserisce il fenomeno orientalizzante della penisola iberica in un quadro più ampio, sia riconsiderando i principali canali di trasmissione della cultura figurativa orientalizzante (ed in particolare limitando la funzione di vettori di motivi figurativi attribuita generalmente ai tessuti e alle coppe metalliche), sia mettendo in rilievo la multiformità del fenomeno orientalizzante nel Mediterraneo, sino a giungere a delineare l’elaborazione di un linguaggio figurativo locale originale. A tale processo formativo di un’identità culturale originale partecipano in ugual misura apporti esterni ed elementi indigeni, in un’interazione profonda che costituisce l’essenza stessa della cultura orientalizzante iberica.

 

          Il libro di H. Le Meaux rientra in una nutrita serie di pubblicazioni che più o meno recentemente hanno affrontato i vari aspetti dell’arcaismo iberico secondo impostazioni e punti di vista talora discordanti (un’ampia rassegna bibliografica è offerta proprio dall’A.). Lo specifico interesse rivestito da questa regione dipende in gran parte dalla sua collocazione geografica: posta in una posizione unica, a chiusura del Mediterraneo verso Occidente e nel contempo porta verso l’ignoto, oltre le mitiche ‛Ηρακλέους στηλαι, la penisola iberica è sempre stata un ponte tra la costa dell’Africa del Nord e l’Europa. Meta di peripli leggendari, simbolo di un Occidente lontano, e perciò luogo del mito nell’immaginario greco, essa è al tempo stesso terra ricca di materie prime. I Fenici per primi (dal IX sec.) e i Greci poi (soprattutto Focei, dal VII sec.) ne visitano le coste e si spingono verso l’interno, in quella fascia meridionale della penisola che la tradizione letteraria indica come la terra di Tartesso. Le scoperte archeologiche degli ultimi decenni hanno evidenziato chiaramente l’importanza di quest’area, ricca di insediamenti disseminati sulla costa e lungo il corso dei principali fiumi, e hanno offerto agli studiosi dati materiali di estremo interesse per valutare aspetti e portata dell’interazione tra Fenici, Greci e culture indigene (tema sul quale hanno insistito ancora recentissime pubblicazioni), [1] e per delineare il fenomeno dell’orientalizzante peninsulare non come recezione passiva di fattori culturali, ma come appropriazione selettiva di modelli subito rielaborati. In questo senso, il libro di H. Le Meaux è un contributo importante per lo studio delle immagini e per una più profonda comprensione delle dinamiche di recezione, metabolizzazione e rielaborazione dei motivi figurativi. In particolare, alcune osservazioni conclusive dell’A. relative al valore del termine “orientalizzante” meritano una riflessione, poiché è vero che tale termine, se applicato al fenomeno in generale, ha una sua validità, ma se applicato all’espressione artistica “s’accomode mal d’une réalité qui se décline en termes de diversité” (p. 159). E’ questo forse uno degli aspetti più singolari dell’Orientalizzante, fenomeno “globale” (se ci è concesso proiettare questo termine nell’antichità) del Mediterraneo antico, ma i cui esiti – pur nel persistere di un lessico figurativo “orientale” comune – appaiono diversificati di area in area. Uno degli esiti più evidenti, in aree così fortemente miste come la penisola iberica, è – nel corso dell’età arcaica –  lo sviluppo di un linguaggio figurativo ibrido, che combina caratteristiche formali di diversa provenienza in un’espressione nuova e originale, simbolo di un’identità culturale ormai formata.

   

          Se un rilievo può essere fatto a questo lavoro, esso riguarda l’assenza di tavole fotografiche degli oggetti più importanti che avrebbero reso più agevole seguire le minuziose descrizioni offerte nel testo.

 

          A parte questa osservazione, il volume di H. Le Meaux è, sia dal punto di vista documentario, sia da quello metodologico, un lavoro importante, ben condotto e completo, certamente utile a chiunque si occupi dei vari aspetti della diffusione, recezione e rielaborazione della cultura orientalizzante nel Mediterraneo.

 

[1] Per questo specifico aspetto, Colonial Encounters in Ancient Iberia: Phoenician, Greek, and Indigenous Relations, a cura di M. Dietler, C. López-Ruiz, Chicago-Londra 2009.