Bevilacqua, Gabriella : Scrittura e magia, Un repertorio di oggetti iscritti della magia greco-romana. 21,5x27 cm; 182 p..; ill. NB; ISBN 978-88-7140-439-4; 30,00 €
(Edizioni Quasar, Roma 2010)
 
Recensione di Filippo Canali De Rossi, Liceo Classico Dante Alighieri, Roma
 
Numero di parole: 1403 parole
Pubblicato on line il 2011-06-24
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1231
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          Questo volume di ampio formato (cm 21 x 27) rappresenta un sussidio didattico per lo studio della magia antica. Esso accoglie uno studio più corposo e altri contributi minori della stessa curatrice Bevilacqua, e singoli articoli, dedicati a singoli temi, degli altri tre autori, Vallarino, Centrone e Viglione. Il volume nasce da un seminario tenuto da Bevilacqua presso l’Università di Roma « La Sapienza ». Nella premessa l’autrice evidenzia l’ampio arco cronologico dei materiali presi in considerazione, che spazia dal VI secolo a.C. al VII secolo d.C. Il criterio seguito nella classificazione è però quello della distinzione dei materiali e delle forme dei supporti. Tale impostazione normativa è integrata dai contributi raccolti nella parte finale del volume, che si incentrano invece principalmente sul fenomeno grafico, indagando la relazione fra il testo e il supporto. Il lavoro costituisce dunque una tappa di avvicinamento al ’definitivo’ corpus delle iscrizioni magiche di Roma, che l’autrice si ripromette di compiere.

 

          Nella introduzione Bevilacqua traccia una storia degli studi nel settore, descrivendone l’attuale orizzonte, che tende ad evidenziare la polarità fra l’uso offensivo della magia, corrispondente al genere delle defixiones e quello difensivo esplicantesi nella creazione dei cosiddetti phylakteria o amuleti.

 

          In un breve capitolo intitolato I prontuari magici e la scrittura, rifacendosi ai Papyri Graecae Magicae del Preisendanz e al Supplementum Magicum di Daniel e Maltomini, l’autrice prende in considerazione la letteratura magica antica, quale emerge dai testi papiracei, dove vengono offerte una serie di ’ricette’ pratiche, ad esempio per la salute del corpo o il soddisfacimento di vagheggiamenti erotici. Componente essenziale di tali pratiche è l’atto della scrittura ma anche la natura del materiale destinato ad accoglierla (dai metalli più o meno preziosi, ai supporti organici e deperibili) e l’inchiostro (per la cui composizione in tali ricette si richiede l’uso di ingredienti specifici, in particolare il sangue di vari animali).

 

          Nel secondo e più corposo contributo, intitolato La magia applicata (pp. 21-82), Bevilacqua traccia una tipologia dei supporti che ospitano iscrizioni magiche. A loro volta questi supporti possono essere distinti a seconda del materiale utilizzato o della forma. Pertanto la prima parte è dedicata alla rassegna dei materiali: non è un caso che i metalli più preziosi, quali l’argento e l’oro, siano destinati ad amuleti con funzione protettiva (phylakteria), mentre le defixiones siano confinate a laminette in metalli ’a perdere’, come il piombo. Oltre che su metalli le iscrizioni magiche figurano su oggetti di pietra, di terracotta, o anche su pietre dure come la selenite. In questa sezione l’autrice include anche le scritture magiche conservate su papiro, lino e pergamena, la cui pertinenza al dominio epigrafico è questionabile. La seconda parte della rassegna è articolata, come detto, per tipologie d’oggetti, fra le quali predominano le figurine antropomorfe con chiara funzione defigitoria (cosiddette voodoo dolls) e i chiodi, simbolo dell’atto stesso della defixio, ma anche gioielli, ornamenti personali e medaglioni, che vengono usati, al contrario, in funzione profilattica; inoltre vari piccoli oggetti (lucerne, tintinnabula, pinakes, vasi, prismi, amuleti a forma di libro), fra i quali risaltano le sfere disseminate di charaktéres  o simboli magici. Di ogni tipologia viene in generale fornito un esempio.

 

          Un altro breve scritto di Bevilacqua, intitolato La ’scrittura della magia’ costituisce una sorta di transizione ai contenuti sviluppati nella seconda parte del libro. Il primo di questi, Parole invisibili di G. Vallarino, evidenzia il valore intrinsecamente magico della scrittura, nella considerazione che molte di tali iscrizioni, ad esempio le defixiones incise su tavolette di piombo poi arrotolate, erano destinate a non essere mai lette. L’incantesimo si compiva dunque nel momento della incisione, atto unico e irripetibile al quale si attribuiva il potere di modificare la realtà in maniera irreversibile.

 

          Il contributo di M. Centrone, L’impaginazione del testo e gli espedienti grafici, è il più esteso (pp. 95-117) di questa seconda sezione. Esso costituisce un complemento al contributo della Bevilacqua. Se non stupisce la constatazione che liste di defigendi potessero essere disposte sia ’a tutta pagina’ che in colonna o in colonne affiancate, significativi appaiono invece i casi di riempimento pervasivo della superficie scrittoria a disposizione: grazie all’uso dei charaktéres e alla ripetizione di parole magiche, lo scritto tende dunque a occupare tutto lo spazio dell’oggetto, a volte diviso in sezioni dalla presenza di varie riquadrature, che possono assumere in alcuni casi la forma del serpente ourobóros ’che si morde la coda) o di figure antropomorfe. 

 

          Conclude il libro un contributo di A. Viglione, Le immagini figurate nei documenti magici, incentrato in particolare su alcune figurine presenti nelle Sethianorum tabellae rinvenute a Roma (cosiddette dalla frequente ricorrenza su di esse di un démone dalla testa equina, da identificare con la divinità egiziana Seth, uccisore di Osiride). In tale archivio figurano defixiones circensi in cui gli aurighi vengono rappresentati con il caratteristico abito a strisce protettive, con gli arti legati a esprimere il katadesmós di cui sono oggetto. Anche l’ambito atletico, al pari di quello circense, non era risparmiato da forme di maledizione nei confronti degli avversari, come ci insegna una defixio proveniente dall’Istmo di Corinto che rappresenta le figure di quattro atleti, corredati dai rispettivi incantesimi. Inquietante è infine la figura di un uomo mummificato avvolto fra le spire di due serpenti, presente su un altro simile oggetto.

 

          Il volume è provvisto di illustrazioni, sia a corredo del testo che in appendice. La qualità di tali figure è variabile, ma alcune, in particolare quelle a fondo grigio presenti nel contributo della Centrone, avrebbero potuto essere notevolmente migliorate con un semplice lavoro di editing al computer.  

 

          Per quanto riguarda la qualità epigrafica del lavoro, è apprezzabile la redazione di un indice delle parole greche (suddivise in nomi di persona, nomi comuni, nomi di entità divine inclusi angeli e démoni, termini magici) ma, se l’intenzione era quella di costituire una vera e propria sylloge di testi magici, è un peccato che le iscrizioni non siano numerate, inoltre che non si sia fornito sistematicamente un lemma, un apparato critico e un commento (se non quello funzionale al discorso sviluppato nei singoli contributi). In alcuni casi, confrontando l’immagine riprodotta con il testo a stampa si ha anche l’impressione di una edizione non del tutto affidabile, cosa che si può giustificare con la natura stessa dei testi, infarciti di parole poco intellegibili. Così ad esempio nell’iscrizione a p. 25, l. 9 il nome divino Iao (=Iahwe) non è riportato nella traduzione; lo stesso avviene per il nome Aristis nell’iscrizione a p. 47, linea 21; nell’iscrizione a p. 31 mancano due righe del testo greco. Questo aspetto inficia anche le traduzioni, troppo spesso affidate a interpretazioni soggettive, estemporanee, di elementi oscuri e meno oscuri. Così nell’iscrizione a p. 38 ’báskanos’ significa ’invidioso’ e non ’invidia’; a p. 39 ’apállaxon’ significa ’libera’, non ’proteggi’; nella iscrizione a p. 44 la traduzione ’consacrato’ corrisponde a ’hier(ós)’, non a ’hier(éus)’ accolto nel testo greco; nella iscrizione a p. 47, l. 20 ’antilégein’ significa ’controbattere’, non ’accusare’; in quella a p. 115 ’eidóti’ significa che ’conosce’ e non che ’vede’ il dio; ’áptoton’ significa ’infallibile’ e non ’innegabile’; ’sfáze’ significa ’sgozzala’ e non ’falla soffocare’. Anche nel testo della trattazione sono presenti alcuni refusi (ad es. p. 15: though[t]; p. 24: i[l] culti; p. 38: non è sicur<o>; p. 72 un[a] carme; p. 83: linee <d>i scrittura; p. 131: appa<r>izioni; p. 145, nota 154: Anat[a]omical). Frequente è poi l’apparire di un carattere ’sigma’ parassita in luogo delle virgolette di chiusura (pp. 10, 17, 83, 106). A p. 43 vi è un abbaglio cronologico in quanto naturalmente la defixio del circo di Antiochia non può essere della fine VI – inizio V secolo a.C. In qualche caso mi spingerei a ipotizzare un possibile miglioramento al senso: nell’iscrizione a p. 44 mi sembra che Erogene ed Erofane non vengano associati alla defixio di Aristotele, ma che se ne auspichi la presenza alla morte in ulteriore oltraggio di quello; a p. 51 tradurrei le righe 15-17 come ’il quale in ogni cosa ha obbedito ad Eulamo’; a p. 54, ll. 5-7 "ascoltando il cui nome il leone ha ruggito".

 

          Per concludere: il volume, che costituisce un utile strumento per l’approccio a questo settore di studi, si gioverebbe ai fini scientifici di una considerazione problematica sulla natura e l’efficacia delle pratiche magiche, facendo così partecipe il lettore se, dedicandosi allo studio di tali iscrizioni, l’autrice consideri la magia soltanto come ingenua quanto inefficace espressione di una cultura primitiva, oppure ne ammetta in qualche misura la potenza.