Coppola, Alessandra: L’eroe ritrovato. Il mito del corpo nella Grecia classica. 13x18, pp. 173, ISBN 978 88 31 794251,
12 Euro
(Marsilio, Venezia 2008)
 
Rezension von Massimiliano Papini, Università la Sapienza
 
Anzahl Wörter : 1818 Wörter
Online publiziert am 2012-07-30
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1308
Bestellen Sie dieses Buch
 
 


          Il libro di Alessandra Coppola è dedicato agli «eroi ritrovati», ossia alla (ri)scoperta dei corpi attribuiti a grandi figure del patrimonio mitologico, semistorico e storico, non solo appartenenti non per forza alle tradizioni più celebri (come ad esempio l’epica del ciclo troiano), bensì soprattutto a quelle più locali o regionali; il recupero e il possesso delle loro ossa, dotate di valenze protettive e taumaturgiche, serviva in particolare alle poleis, a prescindere dai loro sistemi politici, nei momenti di fondazione e rifondazione/ridefinizione dell’identità nelle relazioni intercittadine e nei rapporti interni attraverso la riappropriazione delle tracce materiali del passato. Tale riscoperta degli eroi è anche un fenomeno piuttosto recente nella storiografia e nell’archeologia italiana, con qualche anno di ritardo rispetto al dibattito (e in parte alla moda culturale) in lingua francese, tedesca e inglese, vivace soprattutto nell’ultimo decennio del secolo scorso anche grazie agli studi di Carla Maria Antonaccio (con l’introduzione della controversa distinzione di tomb cult e hero cult) o della monografia stranamente ancora poco utilizzata di David Boehringer, Heroenkulte in Griechenland von der geometrischen Zeit bis zur klassischen Zeit. Attika, Argolis, Messenien, Berlin 2001, forse uno dei lavori più circostanziati in assoluto sul tema. In Italia abbondano ora gli scritti sugli eroi in contemporanea al «ritorno» di Angelo Brelich; non a caso risale al 2010 la ristampa del suo fondamentale libro del 1958, Gli eroi greci. Un problema storico-religioso, al quale peraltro anche Andrea Carandini molto ha attinto, con esplicita ammissione, nella premessa all’edizione commentata delle fonti sulla leggenda di Roma, in un tentativo volto a svelare le comunanze tra i «temi» e i «motivi» mitici degli eroi greci e la figura di Romolo (La leggenda di Roma, I. Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città, 2006, pp. XXVI-XXXVII).

 

          La prima parte (Traslazioni) esordisce con un’introduzione nella quale l’Autrice illustra in modo rapido alcune linee-guida della ricerca sugli eroi, a partire dalle prime emergenze del loro culto specie dall’epoca tardo-geometrica (ma non può mancare la menzione dell’interpretazione - anche per lei fuorviante - della sepoltura di Lefkandi come heroon) e dei loro legami con le città; ma al centro della sua attenzione è soprattutto un aspetto specifico dell’«archeologia della nostalgia», più limitato in senso cronologico e temporale e per lo più affrontato in articoli sui singoli casi: i «viaggi» dei corpi eroici, eccezionali per dimensioni e scoperti in modo per lo più casuale, di cui serbano memoria le fonti letterarie (concentrate sul trasferimento, meno sugli antecedenti e sulle conseguenze) nel periodo compreso tra VI e IV sec. a.C.; operazioni queste che, spesso legittimate dall’oracolo di Delfi, oltre a un impatto ideologico e politico, ebbero conseguenze anche sul piano mitico-religioso con l’introduzione di nuove festività e con la manipolazione delle leggende. Benché a volte convenga abbandonare la «prospettiva limitata della Altertumswissenschaft» (secondo una definizione proprio di Brelich) per far parlare i dati con un linguaggio nuovo o più fresco e per far diventare comparatista la storia delle religioni, un’attitudine costitutiva di quella disciplina (vd. anche P. Borgeaud, Y. Volokhine, a cura di, Les objects de la mémoire. Pour une approche comparatiste des reliques et de leur culte, Berne 2005, p. 7), è un peccato che l’Autrice non sappia resistere alla tentazione di un confronto un po’ scontato con la scoperta e con il trasferimento dei resti di illustri personaggi in svariate età, mediante una carrellata di fondatori, storici, poeti, rivoluzionari e cantanti (Antenore, Tito Livio, Dante, Che Guevara, Bob Marley). D’altronde, il recupero degli eroi è stato spesso visto come un antecedente della ricerca e della scoperta delle reliquie dei santi, benché, malgrado la parentela strutturale, le differenze non siano da poco: al di là del fatto che i corpi degli eroi greci, al contrario di quelli dei martiri, sono quasi sempre considerati nell’interezza (come notato dall’Autrice, a p. 10), il loro spostamento non si trasformò mai in Grecia in un fenomeno consolidato come nella religione cristiana. Anche la terminologia adottata nelle fonti antiche è significativa: come sono qualificate le spoglie, e quale verbo ne indica la reintegrazione? In greco manca un termine corrispettivo di reliquie, adattato alla cultura greca antica da Friedrich Pfister (ed esteso anche a oggetti leggendari come le armi eroiche, invece qualificate da Pausania come anathemata); nella maggior parte dei casi si trova menzione delle «ossa» (ostea), nozione sostituita solo di rado e in epoca romana dal più indeterminato «resti» (leipsana), il che si spiega con il fatto che la lingua greca d’epoca arcaica e classica aveva una rappresentazione concreta dei resti eroici (ossa appunto); quanto alle forme verbali adoperate per il loro trasporto, non è poi possibile riscontrare una specializzazione pari a quella del verbo italiano «traslare». La considerazione delle ossa come reliquie e del trasporto come traslazione risponde così a un uso ormai convenzionale e inevitabile, ma la moderna risemantizzazione avrebbe avuto bisogno almeno di una breve chiarificazione preliminare.

 

          Segue il nucleo più consistente del libro, un elenco di eroi/eroine soggetti a spostamenti, ben al di là dei casi più conosciuti e paradigmatici di Oreste e di Teseo; a ciascuna figura è riservata un’analisi molto densa, senza note a piè di pagina, ma con bibliografia ragionata alla fine, contenente riferimenti antichi e moderni raccolti con completezza. Quasi sempre l’Autrice avanza qualche pur cauta congettura sulle motivazioni e sulle datazioni delle operazioni di recupero delle ossa anche quando, come spesso capita, le testimonianze degli autori antichi e dei loro scolii sono tutt’altro che perspicue e/o discordanti; del resto, le ipotesi non possono che rimanere senza riscontro, poiché, oltre alla fragilità degli indizi, le circostanze storiche favorevoli a un recupero sono spesso molteplici, per cui si può scegliere in un ventaglio di opzioni. Qualche esempio. Quando arrivò Arcade dalla Menalia a Mantinea? Con la nascita della confederazione arcade dopo la battaglia di Leuttra del 371 a.C. o in precedenza, negli anni compresi tra il 423 e il 418 a.C., in un contesto di alleanza anti-spartana (al momento della sottomissione della Menalia da parte di Mantinea)? I Tebani quando ripresero i resti di Ettore a Ofrino nella Troade e per far fronte a quale situazione? Con la rifondazione della città dopo la distruzione di Alessandro (Albert Schachter), o al tempo dell’occupazione della rocca cadmea da parte degli Spartani (questa l’alternativa prospettata dall’Autrice), oppure ancora, come sostenuto da Francesco Neri (per la cui opera vd. infra) all’epoca della seconda guerra persiana, prima della vittoria greca, per sottolineare la vicinanza tebana a Serse? Ippodamia quando fece ritorno da Midea a Olimpia? In coincidenza dell’introduzione delle gare con il carro dal 680 a.C. oppure dopo il 572 a.C. in un’operazione di marca elea oppure ancora al tempo dell’alleanza eleo-argiva tra il 423 e il 418 a.C.? Infine, il figlio di Oreste, Tisameno, da Elice in Acaia quando fu rimpatriato a Sparta? In un contesto di V secolo - quando è noto un omonimo indovino eleo che ottenne la cittadinanza spartana - piuttosto che in età arcaica, intorno alla metà del VI sec. a.C., in parallelo al ritrovamento delle ossa del padre a Tegea?

 

          Quanto ad altri casi, alla scapola d’avorio di Pelope, ripescata in Eubea e perduta ai giorni di Pausania, l’Autrice dedica non molto spazio, sostenendo, in linea con la maggior parte dei pareri, che essa dovesse trovarsi a Olimpia nel Pelopion (anche perché il periegeta ne parla proprio dopo aver fatto menzione del Pelopion); per converso, Neri ha sottolineato forse con sin troppa sottigliezza come in fondo il sito di sua conservazione dopo il ritorno in Elide non sia del tutto chiaro e, nel valorizzare un indizio molto vago fornito da Plinio il Vecchio, non ha escluso che fosse stata la città stessa di Elide a ospitare l’osso (ad ogni modo, a proposito del Pelopion e per la sua genesi in correlazione a una ristrutturazione della topografia sacra di Olimpia intorno al 600 a.C. vd. la monografia di H. Kyrieleis, Anfänge und Frühzeit des Heiligtums von Olympia. Die Ausgrabungen am Pelopion 1987-1996, Berlin-New York 2006, in part. pp. 55-61). Infine, riguardo a Reso, arrivato ad Anfipoli al momento della fondazione nel 437 a.C., per l’Autrice è possibile che anche lui abbia condiviso il destino di Agnone colpito da damnatio memoriae nel 424 a.C., anche se Marsia di Filippi, citato negli Scolii al Reso di Euripide, ricorda l’esistenza di una sua tomba in età ellenistica. 

 

          Se sin qui le voci da Arcade a Tisameno si susseguono in ordine alfabetico, la discussione riparte con un’esemplificazione di altri casi, come quelli di Esiodo, Solone (un po’ forzato il suo inserimento), Leonida (l’Autrice, in un nesso poco comprensibile, ipotizza che all’eroe di Platea, Pausania, in base a un oracolo fossero state erette dopo la morte due statue di bronzo in surrogato di un corpo, il suo, forse proprio perché egli poté essere il vendicatore di Leonida) e persino Alessandro (ella dà «per oltremodo suggestiva» l’audace identificazione avanzata da Andrew Michael Chugg, del suo corpo con quello di S. Marco), in una sequenza non molto compatta - storicamente e culturalmente - che unisce poeti, legislatori e condottieri.

 

          La seconda parte (Variazioni sul tema) contiene altri esempi (Niso, Pandione, Atteone, Aiace, Edipo), laddove quello più attinente alla logica del libro riguarda la guerra di culti - e probabilmente anche di ossa - tra Adrasto e Melanippo a Sicione durante la tirannide di Clistene all’inizio del VI sec. a.C., la più antica traslazione di resti quindi di cui si abbia notizia.

 

          Si arriva così alla terza parte con le conclusioni. L’Autrice constata i motivi topici tra i vari racconti, la tipologia delle funzioni degli eroi ritrovati per i recuperatori, la topografia e il culto (parte, questa, poco sviluppata, benché rispondente più a interessi archeologici). Almeno due sono le possibili fasce cronologiche per l’intensificazione del fenomeno: a ridosso delle guerre persiane in un momento cruciale per la sopravvivenza della grecità coloniale e della madrepatria - dunque in coincidenza della ridefinizione degli assetti istituzionali e interstatali del mondo greco - e (forse) nel clima culturale e politico delle guerre fra Sparta e Tebe. Qui, almeno per le guerre persiane, i risultati coincidono in parte con quelli del libro dedicato allo stesso argomento da Francesco Neri, Reliquie eroiche nella Grecia arcaica e classica (VI-IV sec. a.C.), Napoli 2010, il quale ha riservato al IV sec. a.C. poca attenzione; d’altronde, la datazione dei trasporti di Arcade ed Ettore in quel secolo è frutto di ipotesi, mentre Neri ha espunto l’episodio riguardante Alcmena tra quelli di effettive traslazioni di ossa.

 

          Proprio nella parte riservata alle conclusioni nel libro della Coppola manca una focalizzazione più precisa sulla quantificazione delle «città che prendono, città che danno»; al di là delle città che prendono menzionate dall’Autrice (nel Peloponneso, in Beozia, in Attica, in Tracia e a Creta), sfugge il dato per cui sono la Troade e il Peloponneso le aree a maggior concentrazione di recuperi, il che non stupisce, poiché nella prima si ambienta l’intera vicenda della guerra di Troia, mentre la seconda è il palcoscenico della saga dei Pelopidi e degli Atridi (anche se poi più di frequente sono figure minori del mito a essere interessate dal fenomeno); così il Peloponneso primeggia anche tra i luoghi di arrivo, con il che coincide oltretutto il fatto che la penisola abbia restituito un alto numero di sepolture dell’età del bronzo (e di vecchie ossa).

 

          In breve, il libro è apprezzabile per la scelta di esaminare le peripezie delle ossa in maniera sistematica nonché per la volontà di raggiungere una cerchia di lettori più ampia, oltre il pubblico ristretto degli specialisti, in un mercato, come quello delle librerie, oramai dominato in Italia in modo quasi esclusivo da ristampe di vecchi e autorevoli saggi di antichistica e da una manualistica in larga parte esangue e ripetitiva; la lettura va però ora integrata con la citata monografia di Neri e in particolare con le sue più articolate conclusioni.