Weber, Gregor (Hg.): Alexandreia und das ptolemäische Ägypten. Kulturbegegnungen in hellenistischer Zeit. 232 Seiten Gebunden, mit Fadenheftung, ISBN: 978-3-938032-37-4, € 49,90
(Verlag Antike, Berlin 2010)
 
Reviewed by Elena Calandra, Ministero Beni Culturali, Roma
 
Number of words : 1420 words
Published online 2012-10-29
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1324
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          Negli intenti del curatore, Gregor Weber (Kulturbegegnungen in Alexandreia und im  ptolemäischen  Ägypten. Begriffe – Perspektiven, pp. 9-29), il volume costituisce una panoramica sui metodi e sui contenuti riguardo alla città  di Alessandria e al mondo alessandrino, colto attraverso la chiave di lettura degli incontri e dei rapporti culturali. Si tratta di un approccio in uso da qualche tempo negli studi di antichistica, ed è particolarmente sensibile in un ambito come l’Egitto, dove l’innesto della civiltà greca su quella egizia, millenaria e paradigmatica, pone interrogativi in ordine alle forme e ai modi possibili (coesistenza o assimilazione), alle dinamiche (grecizzazione / egittizzazione / orientalizzazione), ai processi di acculturazione o di Transfer culturale. Non sfugge al curatore la natura liminare dell’Egitto tolemaico, se riguardato nella prospettiva egittologica, e per questo gli ambiti critici  individuati sono: la concezione della monarchia, di stampo macedone, che arrivava a una nuova misura; le élites sul territorio, da un lato la classe dominante greco-macedone, dall’altro la casta dei sacerdoti di Menfi e di Tebe; la situazione della chora, che grazie alla documentazione papirologica è ben nota, nella sua varietà e nelle sue microstorie – come rileva Weber, in alcuni villaggi sono attestati quartieri nettamente distinti fra Greci ed Egizi, in altri invece non v’è distinzione fra questi.

 

          Il contributo di Sitta von Reden (Kulturbegegnung und wirtschaftliche Transformation in den ersten Generationen  ptolemäischer Herrschaft, pp. 30-54) focalizza l’attenzione sulle trasformazioni economiche nella fase iniziale del regno tolemaico, preceduta da un excursus sulla storia degli studi  e corredata da un’appendice di testi (1. Contratto di lavoro per l’esecuzione di lavori al sistema di irrigazione; 2. Scritto ufficiale sui lavori necessari al sistema di irrigazione; 3. Contratto di affitto cosiddetto prodomatico con pagamento anticipato del canone d’affitto, pp. 46-49). Analizzando l’economia egizia alla luce dell’apporto del denaro greco (di cui sono esaminate le emissioni monetali in circolazione nella prima fase del regno, a partire già da quelle di Alessandro Magno), la von Reden conclude riflettendo sulle implicazioni dovute all’introduzione della moneta in Egitto, con le ripercussioni politiche su Alessandria, che diventa un "centro di produzione" della moneta e supera ampiamente gli altri regni ellenistici. Forti di conseguenza anche i mutamenti istituzionali.

 

          Il tema disuguaglianze / integrazione / adattamento è riproposto dallo stesso Weber in prospettiva greco-macedone (Gregor Weber, Ungleichheiten, Integration oder Adaptation? Der  ptolemäische Herrscher- und Dynastiekult in griechisch – makedonischer Perspektive, pp. 55-83). Dopo l’avvento di Alessandro in Egitto nel 332 a.C., Tolomeo I, prima satrapo e poi re, sostituisce i quadri indigeni dell’amministrazione del distretto con Greci e Macedoni, comunque ben  comprendendo il valore della cooperazione con le popolazioni locali; all’inizio gli immigrati dal mondo greco, compresi i Macedoni, erano 10.000 (soprattutto soldati e loro famiglie); nel III a.C. si giunge a 200.000 unità, pari al 5% sull’intera popolazione di 4 milioni. Questa è la composizione sociale su cui si impone il culto dinastico, da intendere secondo Weber come quello promosso ufficialmente o da un impulso privato, riguardante sia la sfera religiosa sia quella politica. Weber illustra il meccanismo delle progressive annessioni cultuali, dal  culto memoriale per Alessandro ai Ptolemaia, istituiti da Tolomeo II per celebrare i propri genitori, e sovrani, morti, al culto in vita appunto per Tolomeo II stesso e per la sorella e sposa Arsinoe; il cliché si ripete poi con i successori, che dedicano il culto sia ai propri genitori, sia a sé stessi in vita. A proposito di una simile modalità cultuale Weber si chiede se avesse la funzione di cementare o costituisse comunque il supporto per l’amalgamazione tra le genti diverse.

 

          Stefan Pfeiffer (Das Dekret von Rosette. Die ägyptischen Priester und der Hersrscherkult, pp. 84-108) analizza il decreto di Rosetta, del 196 a.C., che i sacerdoti licenziano per onorare Tolomeo V.  Esso descrive la preparazione del culto nei templi, e costituisce lo strumento di legittimazione del dinasta come faraone presso la popolazione indigena. Il decreto illustra le modalità del culto, imperniato sulla casta sacerdotale, autentico pilastro del regno tolemaico. Secondo lo studioso il culto dinastico, comprendente quello degli avi, si ripete immutato, come mostrano i rilievi del tempio di Month nella città di el – Tod al tempo di Tolomeo VIII, molto simili alle rappresentazioni della XIX Dinastia nel santuario di Abido. Non si può non osservare in proposito l’indubbio interesse di un’indagine che accerti, a tappeto, gli eventuali rapporti di derivazione con l’Egitto faraonico.

 

          La natura di Sarapis consente a Marianne Bergmann (Sarapis im 3. Jh. v. Chr., pp. 109-135) di fornire, dopo lo status quaestionis, un dettagliato esempio della poliedricità della religione alessandrina: non particolarmente diffuso presso gli strati più larghi della popolazione, il culto di Sarapis è prerogativa piuttosto della dinastia regale e dell’élite burocratica che da essa dipende: il Sarapis di età tolemaica, venerato da Tolomeo III e da Tolomeo IV, è assimilabile allo speciale Osiris (Osirapis / Osor-Apis; si escludono rapporti con Ammon) di Menfi, antica capitale d’Egitto. Il tempio di Sarapis, avviato da Tolomeo I, è continuato da Tolomeo II, ma è al III che la documentazione archeologica lega la parte più consistente del complesso. La statua di culto, un acrolito rappresentante il dio in trono, fu distrutta dai cristiani nel 391 d.C.

 

          Stefan Schmidt (Nekropolis – Grabarchitektur und Gesellschaft im hellenistischen Alexandreia, pp. 136-159) esamina le necropoli e l’organizzazione funeraria di Alessandria. Il più antico nucleo sepolcrale, Shatby, si caratterizza anche per la presenza di monumenti funerari, mentre le necropoli di età ellenistica e romana affidano la monumentalità alle strutture ipogeiche, già a Shatby, ma anche a Gabbary e alla Mâfrousa; le planimetrie e gli alzati degli ipogei richiamano le architetture dei vivi, le abitazioni ma anche le sale per i banchetti comuni. Molta importanza è giustamente  attribuita da  Schmidt alle associazioni, che rappresentano una forza organizzativa notevole: ogni associazione è infatti capace di promuovere ipogei comuni, spesso dalla planimetria molto articolata. In una città dall’espansione rapidissima (si stimano 300.000 abitanti al momento della nascita di Cristo), il corporativismo a destinazione anche funeraria riguarda tutte le categorie, fra cui i soldati, come mostrano due complessi tombali in cui sono state rinvenute sia stele funerarie sia hydriai di Hadra. Schmidt analizza vari ipogei alessandrini, in un quadro di confronti mediterraneo, tra l’Italia Meridionale e Rodi, e si interroga sulla persistenza di elementi egizi, che correttamente ritiene al momento non comprovabile.

 

          Irmgard Männlein-Robert (Zwischen Musen und Museion oder: Die poetische (Er-)-Findung Griechenlands in den Aitien des Kallimachos, pp. 160-186) affronta gli Aitia di Callimaco non solo come monumentale testimonianza dell’elegia, ma soprattutto come documento poetico della restituzione dell’identità greca. Essa è a maggior ragione ricercata in una città dalla composizione così eterogenea, divenuta nuovo centro culturale grazie alla fondazione della Biblioteca e del Museo a opera di Tolomeo I e alla "Biblioteca piccola" sotto Tolomeo III. Si tratta dunque di un’orchestrazione culturale ben studiata, che passa attraverso i massimi intellettuali del tempo, convenuti alla Biblioteca, la cui organizzazione la  Männlein-Robert ripercorre, riproponendo al tempo stesso le origini del nome del Museo. In particolare i Pinakes di Callimaco sono da considerare non solo come un catalogo, ma come una bibliografia critica completa della letteratura disponibile. Da questo quadro muove Callimaco con gli Aitia, sviluppando il discorso poetico ed eziologico a partire dal proemio ai Telchini. Secondo questa lettura, gli Aitia si configurano come un progetto "ellenico – ellenistico", con l’intento di costruire uno spazio memoriale per i Greci del tempo che vivono fuori dalla Grecia canonica, attraverso una carta che è geografica e al tempo stesso mitologica. In particolare il meccanismo del Transfer, tipico di ogni processo di acculturazione, si attua nella persona stessa del poeta, nel sogno da Cirene alla Beozia, dunque con una rotazione mentale che si ripete in altri casi negli Aitia.

 

          Il saggio di Karl-Heinz Stanzel (Neuer Wein in neuen Schläuchen?Kallimachos’Iambik, die Mimepen Theokrits und die Mimiamben des Herodas, pp. 187-207)  analizza produzioni scelte di Callimaco, Teocrito ed Eroda, come chiavi di lettura per comprendere il modo in cui sono declinate localmente tradizioni poetiche ben più antiche e diverse, aggiornate allo spirito nuovo che deriva dalla nuova ambientazione. Proprio l’intento di attualizzare induce a una poesia del quotidiano e dell’ordinario, che trasporta il contesto e il sentire dal modello di età arcaica al nuovo tempo.

 

          Il volume si chiude con l’Indice (pp. 209-216) e con le Fonti (pp. 217-220).

 

          Il quadro che di Alessandria nel complesso emerge è sfaccettato e ricco: non solo per l’ovvia ricchezza implicita nell’oggetto trattato, ma per la scelta di temi volti costantemente a porre in luce il meccanismo del contatto fra mondo greco e mondo indigeno, fra passato egizio e presente ellenico. Del nuovo mondo viene posta in risalto la necessità di costruirsi sotto tutti i punti di vista, politico, istituzionale, religioso, economico, sociale, giuridico. Tale costruzione è affidata a una pluralità di strumenti: l’assetto monarchico forte della tradizione macedone, che ha un pendant nell’organizzazione amministrativa, e che elegge una divinità, Sarapis, per autoriconoscersi e per distinguersi; la struttura economica, che riflette la composizione del territorio; la sfera prescrittiva inerente il culto dinastico, di cui sarebbe interessante comprendere se e in quale misura derivi da quello faraonico;  il mondo dell’associazionismo, con  risvolti anche nell’architettura funeraria. Di tutte queste componenti la cultura è l’elemento unificante, costituendo l’archivio della memoria passata e il programma per la nuova dinastia.