Lacam, Jean-Claude: Variations rituelles : les pratiques religieuses en Italie centrale et méridionale au temps de la deuxième guerre punique. 400 p., 24 cm, ill. n/b, 7 pl. coul. et n/b, ISBN: 978-2-7283-0828-6, 63 €
(École française de Rome, Rome 2010)
 
Compte rendu par Massimiliano Di Fazio, Università di Roma "La Sapienza"
 
Nombre de mots : 1518 mots
Publié en ligne le 2011-08-25
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1354
Lien pour commander ce livre
 
 

          Il libro qui recensito si pone l’obiettivo di riconsiderare in maniera critica uno dei tanti “luoghi comuni” che nutrono la storia dell’Italia di età repubblicana. Si dà infatti spesso per scontato che il periodo a cavallo della seconda guerra punica sia stato un’epoca di grande cambiamento nella penisola italiana, non solo a livello storico, sociale e politico, ma anche dal punto di vista religioso: lo sconvolgente effetto della calata di Annibale avrebbe indotto la società romana a cercare diverse soluzioni religiose per trovare risposte ad un momento di fortissima crisi. L’Autore intende dimostrare che i cambiamenti intervenuti in quest’epoca non furono così profondi, e che invece è possibile individuare una continuità di fondo a livello di concezioni e pratiche religiose, sia nel mondo romano che nel resto delle comunità dell’Italia antica.

 

          Una introduzione fornisce al lettore il quadro generale, delineando la documentazione romana ed italica su cui si baserà l’analisi, e spiegando i motivi della struttura duplice, che parte con la rassegna della documentazione romana e passa poi ad analizzare quella di ambito italico. Il motivo della preminenza dell’ambito romano è, ragionevolmente, indicato nella assai maggiore ampiezza di dati e di informazioni disponibili.

 

          La prima parte è dunque intitolata “L’obstiné refrain des rituels romains”, ed inizia con un capitolo che programmaticamente aggiunge un punto interrogativo alla frequente etichetta di “une religion en crise”. Il secondo capitolo procede ad una ampia rassegna delle fonti che testimoniano di pratiche religiose nel periodo considerato: sacrifici, preghiere, voti, giuramenti, forme di divinazione, rituali di guerra, trionfi, luoghi di culto; la rassegna è supportata da tabelle di rapida ed efficace consultazione. In particolare, questa sezione si segnala per l’uso intelligente delle fonti letterarie, soprattutto di Plauto, che fornisce preziosi indizi sulla religiosità anche popolare dell’epoca. Il terzo capitolo passa a considerare il rapporto tra pratiche religiose e comunità, presentando il ruolo degli specialisti della religione e in generale il valore pubblico delle cerimonie religiose. Il quarto capitolo sottolinea un aspetto che si distacca dal periodo precedente, ma ponendosi comunque in continuità: le pratiche religiose del periodo considerato sembrano acquisire una maggiore teatralità, una maggiore enfasi; è ancora attraverso tabelle che l’Autore riesce a evidenziare efficacemente la quantità di offerte, giochi pubblici e celebrazioni simili ricordati da Livio. Il quinto capitolo chiude la prima parte focalizzando l’attenzione sulle divinità: “une nouvelle conception des dieux?”. Anche in questo caso, il punto interrogativo preannuncia la conclusione: in realtà, secondo l’Autore, il sistema teologico romano rimane sostanzialmente immutato in questa fase, anche nonostante l’arrivo di nuove divinità nel pantheon romano. Va detto che forse su questo punto una maggiore attenzione al tema della evocatio sarebbe stato opportuno (mancano in bibliografia il classico lavoro di Basanoff e quello più recente di G. Gustafsson). La conclusione generale di questa prima parte è che l’epoca della seconda guerra punica è “le temps de la permanence ou, mieux encore, de l’exaspération du scrupule religieux” (p. 167).

 

          La seconda parte è dedicata a “Les infinies variations des rituels italiques”, dove gli “Italici” sono quelli di un’area definita Osco-umbra. Il capitolo VI ricalca l’andamento della prima parte, passando in rassegna rituali e attività religiose, con l’obiettivo di verificare le eventuali analogie con la religione romana dell’epoca. Si passa poi a considerare gli aspetti “pubblici” nel capitolo VII, e le caratteristiche del politeismo italico nel capitolo VIII, utilizzando ampiamente anche i documenti linguistici (le Tavole di Gubbio, la Tavola di Agnone etc.). La conclusione è che tra i due sistemi religiosi, anzi più precisamente tra il sistema religioso romano e i vari sistemi delle popolazioni italiche, vi sono indubbiamente omologie, ma rimangono forti punti di autonomia, configurandosi come “mondes religieux contigus mais différents” (p. 260).

 

          La terza parte, “Vers une nouvelle harmonie religieuse ?”, consta di due capitoli, dedicati il primo al tema della “romanizzazione” religiosa ed il secondo a quello, in qualche modo gemello, dell’ “ellenizzazione”. Nel IX capitolo ci si pone la questione di quanto la religione romana abbia influenzato quelle italiche; e per converso, di quanto quelle italiche abbiano potuto influenzare quella romana. Ancora una volta, il punto interrogativo prelude ad una risposta negativa: i fenomeni di acculturazione reciproca che si possono constatare in questa fase a livello religioso, secondo l’Autore, rimangono tutto sommato marginali. C’è forse, in questo capitolo, una certa sottovalutazione dell’importanza della diffusione dell’alfabeto latino nelle religioni italiche, specie quando si consideri l’importanza pubblica del documento scritto esposto nei santuari. Il capitolo X, infine, indaga l’influenza della cultura greca, giungendo ad una conclusione che sembra paradossale: “Imiter, c’est encore rester soi-même” (p. 328).

 

          Dopo un breve inserto fotografico, troviamo le sintetiche conclusioni generali, la bibliografia, e diversi utili indici.  

 

           Si può dire che complessivamente il libro sembra riuscire nel suo intento di mostrare che l’idea di un grande cambiamento di tipo religioso nell’epoca della seconda guerra punica non è così evidente. Certo, si potrebbe osservare che in generale la religione, in quanto fenomeno di longue durée, raramente va incontro a cambiamenti radicali e rapidi. Tuttavia Lacam riesce a raccogliere buoni argomenti per dimostrare che vi sono importanti indizi di continuità. 

 

          Vi sono piuttosto, a parere dello scrivente, due ordini di “criticità” in questo libro. Il primo è dato dall’impostazione stessa della ricerca, che ha, come detto, un obiettivo preciso. Nel perseguire questo obiettivo, in alcuni casi, sembra che l’Autore tenda ad accentuare certe posizioni e certi dati al fine di dimostrare la sua tesi. Un esempio su tutti è la sottovalutazione della diffusione delle dottrine pitagoriche nella Roma di questo momento storico, che sono viste come un fenomeno limitato all’élite (pp. 317-319); gli importanti studi della Storchi Marino al riguardo sarebbero stati utili per un quadro più equilibrato del tema. Del pari, la necessità di sottolineare che nel periodo considerato non vi sono grandi novità nel sistema religioso romano porta l’Autore a presentare il sacrificio umano compiuto nel Foro Boario nel 216 (secondo Livio XXII, 57) come una pratica tutto sommato non radicalmente estranea alla religione romana (pp. 47-50); resta così inspiegato come mai lo stesso Livio lo presenti come minime Romano sacro (se ne veda la trattazione di F. Prescendi, Décrire et comprendre le sacrifice, Stuttgart 2007). Nello stesso solco si inserisce un altro punto: in alcuni casi sembra prospettarsi una eccessiva polarizzazione tra romano ed italico, laddove la realtà poteva essere più articolata e meno netta. Ad esempio, il santuario di Pisaurum viene considerato romano, e viene di conseguenza vista come traccia di una “divergence rituelle” la presenza di divinità “forestiere” come Marica ed i Novensides (p. 284). Eppure oggi sappiamo che alla fondazione del santuario parteciparono presumibilmente elementi di origine sabina, ai quali è più ragionevole attribuire l’introduzione di quei culti (rimando agli studi di F. Coarelli, in particolare quello nel volume curato da Ch. Bruun, The Roman Middle Republic, Roma 2000). 

 

          Vi è poi un secondo, e più consistente, problema. Il libro nasce da una tesi di dottorato discussa nel 2001; la bibliografia è sostanzialmente ferma proprio al 2001, tranne alcune aggiunte (perlopiù le opere di due autori), anche se di ciò il lettore non viene avvertito. Questo implica che nel testo manchino dieci anni di discussioni e di novità di una certa rilevanza. Mancano in bibliografia opere importanti dell’ultimo decennio come il Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, e i lavori di Ed Bispham, Christopher Smith, Andrew Wallace-Hadrill, Jason Davies, tanto per fare alcuni nomi. Queste lacune hanno purtroppo inevitabilmente una ricaduta negativa sull’argomentazione. Tanto per fare un esempio, la discussione sul valore da assegnare alla distribuzione dei votivi fittili in Italia, che secondo diversi studiosi è legata alla presenza di colonie romane, negli ultimi anni è stata rimessa in causa anche grazie a recenti scoperte e ad un ampliamento del quadro delle nostre conoscenze: mi riferisco a contributi come quello di Fay Glinister in C.E. Schultz-P.B. Harvey (edd.), Religion in Republican Rome, Cambridge 2006. Del pari, la discussione sul triumphus si sarebbe molto giovata di diversi importanti volumi usciti nell’ultimo decennio (di Mary Beard, di J.-L. Bastien, etc.).

 

          Nonostante queste osservazioni, il volume mantiene una sua utilità, innanzitutto come raccolta di dati e di informazioni, oltre che come repertorio di fonti, e per interessanti spunti di riflessione offerti soprattutto nell’analisi dei testi letterari (mentre più corsiva è la discussione dei dati archeologici). E’ in definitiva un lavoro che ha il merito di riaprire un dibattito su un tema molto importante, al quale si intrecciano altri argomenti come quello della “romanizzazione” religiosa della penisola italiana, su cui sembra che vi sia ancora parecchio lavoro da fare, come dimostrano importanti contributi di recente pubblicazione (penso al libro di Tesse Stek, Cult Places and Cultural Change in Republican Italy, Amsterdam 2009). In questa discussione, il lavoro di Lacam sarà certamente utile. Dal punto di vista editoriale il libro è ben curato, secondo la tradizione dei volumi dell’École Française. Si segnalano però alcuni refusi soprattutto nei nomi degli autori moderni (Della Setta per Della Seta, Edlung per Edlund, Strazzula per Strazzulla, e un sorprendente Pigagnol per Piganiol).