Olcese, Gloria: Le anfore greco italiche di Ischia: archeologia e archeometria : Artigianato ed economia nel Golfo di Napoli. f.to 21x29,7; brossura; 480 pp.; ill. in b/n e a colori; ISBN 978-88-7140-450-9, € 60,00
(Edizioni Quasar, Roma 2010)
 
Reviewed by Carlo De Mitri
 
Number of words : 1902 words
Published online 2011-07-25
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1359
Link to order this book
 
 


          Il prezioso lavoro della Olcese, attraverso lo studio di una classe ceramica quale le anfore greco italiche di produzione ischitana, consente di delineare un importante quadro sulla circolazione di prodotti campani, nello specifico dell’area del golfo di Napoli, ed in generale sulla situazione economica tra la fine del IV ed il III secolo a.C. nel Mediterraneo occidentale.

 

          Le linee programmatiche della pubblicazione, che prende l’avvio dallo studio del materiale relativo ad un quartiere artigianale rinvenuto sotto la Chiesa di Santa Restituta di Lacco Ameno di Ischia, sono ben esplicitate dall’autrice nel primo capito: quali sono le anfore prodotte ad Ischia (e/o Napoli)? Dove e quando hanno circolato? Quali sono i tipi? Quali i bolli? Quali gli impasti? Gi interrogativi, oltre a trovare una risposta nei capitoli successivi, innestano una serie di nuove domande e nuovi spunti interpretativi che arricchiscono le conoscenze sull’economia tardo ellenistica nel Mediterraeo occidentale.

 

          Nel capitolo 2, dedicato alla “vocazione vinicola” dell’isola, viene sottolineatà la continuità di produzione dall’età arcaica, attestata gli indicatori produttivi di Punta Chiarito che sembrano addirittura rimandare al VII sec. a.C., sino all’età moderna, come attestano i vitigni autoctoni ancora presenti (ad esempio il Biancolella, Forastera e Piedirosso), passando dall’età romana, significativa per i cambiamenti legati alla viticultura, e dall’età medievale.

 

          Nel capitolo 3 si passa allo studio archeologico delle anfore greco italiche antiche di Ischia. Presso la chiesa di Santa Restituta di Lacco Ameno è stata infatti scavato parte del kerameikos di Pithecusa, con l’individuazione di almeno 7 fornaci che dovevano costituire solo una parte del complesso produttivo. L’area oggetto di scavo ben rispetta i requisiti necessari per l’impianto di una figlina e per la successiva diffusione dei prodotti ivi realizzati, ovvero la presenza di materia prima facilmente recuperabile; l’esistenza di vigneti nelle vicinanze; la facilità di far circolare le anfore; la vicinanza di un centro urbano. Lo scavo ha consentito di verificare l’esistenza di un’area di lavoro articolata dove si distinguono, oltre alle fornaci per le anfore, altri spazi funzionali, come quello per la lavorazione dell’argilla e per l’asciugatura dei laterizi che dovevano essere realizzati sempre nello stesso impianto, oltre a ceramiche comuni, fini e pesi da telaio anche bollati.

 

          Soffermandosi nello specifico sui manufatti anforacei prodotti nelle fornaci ischitane, una scelta intelligente si rivela lo studio tipologico: non viene infatti proposta una tipologia ex novo ma la studiosa arricchisce e definisce con nuovi dati quella già esistente elaborata dal Van der Mersch, omettendo la sigla MGS che è ormai troppo generica. Tale approccio consente così di evitare un inutile duplicazione di tipologie riferibili alla stessa classe che tende a differenziarsi non per elementi morfologici ma unicamente per la provenienza dato che nel gruppo delle anfore greco italiche sono spesso inseriti manufatti simili ma prodotti in diverse aree del Mediterraneo ellenistico. I tipi documentati sono il III, il IV, una forma di passaggio tra IV e V e fose il V, il V/VI e, in numero ridotto, il VI. Si passa quindi ad una presentazioni dei tipi attestati fornendo prime indicazioni riguardo alle caratteristiche morfologiche, agli impasti, anticipando alcuni argomenti, come i dati delle analisi di laboratorio e l’associazione con i bolli, affronati in capitoli specifici; inoltre, funzionale ad una proposta di datazione, è un prima nota relativa ai confronti ed alla circolazione. Tale schedatura preliminare è corredata da un validissimo apparato grafico e fotografico.

 

          I due capitoli successivi sono dedicati ai bolli. Nel cap. 4 l’autrice cerca di studiare il caso di Ischia confrontandolo con il fenomeno della bollatura ben attestato in età ellenistica nel Mediterraneo egeo orientale. Riassumendo le posizioni cui sono pervenuti gli studi su questo settore in un recente convegno svoltosi ad Atene del 2010, si evidenziano tre aspetti dirimenti che vedono nel mondo greco la bollatura come iniziativa privata, come iniziativa pubblica di natura economica o come iniziativa pubblica di natura amministrativa.

 

          La storia degli studi consente di approdare a due visioni riassunte da Garlan e da Finkielsztjn. Il primo studioso sottolinea come la bollatura avesse lo scopo di consentire un controllo fiscale, una specie di tassa sulla produzione. Nella seconda tesi si evidenzia come i bolli greci fossero destinati ad assicurare la validità del contenuto, prassi questa accertata per l’età romana, costituendo così una garanzia per l’acquirente. 

 

          Nell’analisi della situazione di Ischia l’autrice sostiene che, prima di giungere ad una certa conclusione, occorre prima capire se i sistemi ipotizzati per il mondo egeo orientale possano essere riferiti anche al mondo greco occidentale, e tenendo bene a mente che indicazioni per la comprensione delle dinamiche della produzione ceramica di Ischia vengono anche dai bolli delle altre classi (laterizi soprattutto) e dalla puntualizzazione dei rapporti tra Ischia e Napoli, soprattutto alla luce dei recenti scavi della Metropolitana che hanno rivelato la produzione partenopea di contenitori simili agli esemplari ischitani, spesso con gli stessi bolli.

 

          La studiosa constata come che la bollatura delle anfore di Ischia si concentri tra la fine del IV ed i primi decenni del III secolo a.C., in concomitanza con l’elaborazione di un sistema di siglatura delle monete di Neapoli. Infatti i bolli delle anfore di Ischia sono costituiti da abbreviazioni, nomi Greci o di Osci grecizzati, che compaiono sotto forma di lettere libere o monogrammi; alcune di queste abbreviazioni sembrano essere appunto le stesse presenti sulle monete. Infine una suggestiva ipotesi di lavoro viene presentata per le anfore bollate con il bollo raffigurante una corona e da lettere, elemento che ritorna anche su alcune emissioni monetali; tali contenitori potrbbero essere produzioni particolari realizzzate in occasione di feste, quali gli agoni sacri, che dovevano aver luogo a Napoli sicuramente in età augustea e che potevano risalire ad una tradizione precedente.

 

          Pur ipotizzando suggestive interpretazioni, la Olcese sottolinea come al momento non sia possibile stabilire  se la bollatura delle anfore rispecchiasse i testi ed i simboli delle monete nè se dietro ai bolli vi fosse la volontà di un controllo fiscale o di garantire un volume preciso. Appare però significativa la concomitanza tra la bollatura (a Ischia come a Napoli) e le emissioni monetali con sigle e simboli e, ancora più significativo, che tali iniziative vengano introdotte in coincidenza con l’ampliamento della sfera di interessi politico-commerciali di Roma nell’area del Golfo.

 

          Il capitolo 5 offre una puntuale analisi dei bolli, con schede sintetiche sui dati di provenienza, di afferenza al tipo anforaceo, di eventuali analisi e di presenza degli stessi nel Mediterraneo occidentale.

 

          Il capitolo 6, la parte centrale del volume, è quello precipuamente dedicato ai dati delle analisi di laboratorio, con i contribuiti di V. Thirion Merle, G. Montana e I. Iliopoulos. Le analisi chimiche e mineralogiche hanno permesso di definire un gruppo ceramico (gruppo D) molto probabilmente locale che comprende non solo anfore, ma anche ceramica geometrica ed alcune classi di ceramiche comuni; inoltre è stato isolato l’insieme E ed F con produzioni riferibili a Napoli e/o altri siti ubicati nel Golfo. Infine un gruppetto con esemplari tutti riferibili ad anfore con bollo di Trebio Loisio, anfore rinvenuti in diversi siti del Mediterranneo, vicini a produzioni ubicabili a Cuma.

 

          Sono anche presentati dati dai siti di confronto, soprattutto dai relitti siculi e da centri a terra, la cui trattazione analitica è rinviata ai capitoli succesivi.

 

          Nel capitolo 7 si espongono i dati relativi alle analisi su alcuni relitti con carichi di greco italiche, in un periodo compreso tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C. Il risultato avvalora l’ipotesi di un origine campana della maggior parte dei contenitori circolanti nel Mediterraneo occidentale.

 

          In particolare nei relitti siciliani (soprattutto eoliani con Filicudi F e Secca di Capistello) si riconosce un’alta (quasi esclusiva!!) presenza di greco italiche prodotte nell’area del Golfo di Napoli, tra cui anche Ischia, e di altro materiale (vernice nera) riconducibile a fabbriche campane. Per i relitti posti lungo il litorale toscano e del Lazio l’attribuzione di esemplari all’area campana si basa su confronti tipologici ed autoptici e non su analisi di laboratorio. Le analisi di laboratorio condotte su esemplari rinvenuti in alcuni relitti di Francia e Spagna confermano la presenza del materiale prodotto nell’area del Golfo.

 

          Nel capitolo succesivo si riportano i risultati sulle verifiche archeologiche ed archeometriche effettuate su anfore greco italiche rinvenuti in alcuni siti della Sicilia e del Mediterraneo occidentale che supportano i dati dei relitti già analizzati in precedenza. Nello specifico i dati dalla Sicilia dimostrano come, pur essendoci contenitori afferenti ad aree di produzione riferibili a Campania settentrionale – Lazio – Etruria, ed a produzioni locali, probabilmente dall’area geloa e agrigentina, predominino le anfore di produzione campana e, ancor di più, quelle del Golfo. A tale posizioni rimandano anche gli studi sui materiali di Gela analizzati da S. Giunta in un contributo posto al termine del capitolo.

 

          I dati provenienti da altri siti della Campaia e da Ostia confermano la compresenza di produzioni afferenti sia ad altre aree della Campania (come ad esempio Mondragone) sia dell’Etruria meridionale e del Lazio. Anche le analisi effettuate su campioni in Francia e Spagna confermano i dati già appurati con lo studio dei manufatti rinvenuti nei relitti.

 

          L’origine campana di alcune anfore, sulla base dei confronti con i bolli, viene supposta anche in altre aree come in Grecia (a Koroni), in nord Africa (a Berenice, Sabratha, Laptis Magna) ed in Siria (Tell Sukas e Euesperides).


          L’insieme dei dati sulla circolazione confermano i peso economico esercitato da Napoli (ed Ischia) alla fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. in concomitanza con il foedus aequum del 326 a.C. stipulato con Roma che, probabilmente, garantì alle produzioni campane un forte incremento commerciale nel Mediterraneo occidentale.


          La quantità delle informazioni fornite nel testo viene riassunta nelle conclusioni che consentono di puntualizzare alcuni aspetti significativi:

·   Tra fine IV ed inizi III secolo a.C. il vino del Golfo di Napoli viene distribuito attraverso un commercio marittimo e trasportato in contenitori controllati mediante bollatura, tra questi contenitori è possibile distinguere una produzione ischitana.

·   Le anfore circolavano insieme ad altri manufatti ceramici prodotti sempre nelle stesse aree, soprattutto vernice nera.

·   Probabile che anfore tipologicamente similari fabbricate in diversi siti del golfo viaggiassero insieme, ed i centro di costituzione del carico fosse Napoli.

·   Allo stato attuale è possibile affermare che centri di produzione di anfore greco italiche erano presenti nell’area del Golfo di Napoli, tra cui appunto Ischia e Cuma, ma anche in altri siti della Campania setentriolale interna ed al Lazio meridionale. Al di fuori del territorio campano centri di produzione erano attivi in Calabria, in Sicila ed in Etruria meridionale.

·   La presenza di anfore simili, spesso con gli stessi bolli, a Napoli e ad Ischia ha determinato nuovi interrogativi sui rapporti economici tra i due centri, rafforzando l’ipotesi di una dipendenza amministrativa dell’isola alla città di Napoli in età ellenistica

·   Un’interessante ipotesi di lavoro è quella relativa ad un collegamento tra le anfore con il bollo con la corona e gli agoni napoletani, ovvero se la produzione di queste anfore fosse connessa a queste gare sacre, o al ricordo di eventi particolari, oppure, ipotesi affascinante ma tutta da verificare, che tali anfore fossero un premio.

·   La possibilità di incrociare i dati dei bolli con le emissioni numismatiche ed altre informazioni, archeologiche ma anche letterarie, consente di redigere una lista di personaggi afferenti alle élites napoletane ed a famiglie romane che avevano una grossa influenza nella vita politica ed economica.

 

          Tutti questi aspetti portano ad interrogarsi sui rapporti che dovevano intercorrere tra Ischia, Napoli e Roma, avvalorando così la tesi di un inserimento di Roma in una koiné commerciale ellenistica, atraverso l’attività svolta da personaggi romani, o direttamente collegati ad essi,  nella vita quotidiana delle città greche del’Italia come, nel caso specifico Napoli ed il suo hinterland, che contemplava anche Ischia. Lo studio del materiale anforaceo effettuato in questo volume, integrato con le analisi di laboratorio, con la numismatica, l’epigrafia ed i nuovi dati di scavo, dimostra come la ceramologia possa realmente aiutare a ricostruire un quadro non solo economico, ma storico e sociale di un territorio in un epoca.

 

          Chiudono il volume i cataloghi, con ricco apparato grafico e fotografico; i primi tre sono dedicati ai reperti diagnostici ed ai bolli rinvenuti nello scavo delle fornaci di Santa Restituta, nello scario Gosetti e nella necropoli di San Montano ed altri siti di ischia; gli ultimi due presentano le schede delle analisi mineralogiche.