Vincent-Cassy, Cécile: Les saintes vierges et martyres dans l’Espagne du XVIIe siècle. Culte et image, 548 p., 24 ill + CD, 17 x 24 cms, ISBN 978-84-96820-56-2, 47 €
(Casa de Velázquez, Madrid 2011)
 
Rezension von Angelo Loda, Galleria Nazionale di Parma
 
Anzahl Wörter : 1101 Wörter
Online publiziert am 2014-04-16
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1388
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          Il ponderoso volume sulla raffigurazione delle sante vergini e martiri nella Spagna del diciassettesimo secolo è in parte tratto dalla tesi di dottorato di ricerca sostenuta dall’autrice nel 2004 presso l’Università Sorbonne Nouvelle-Paris III ed è preceduto da una nutrita serie di contributi più specifici editi su riviste specializzate ed in volumi miscellanei a partire dal 2000 in poi. Trattasi di un’indagine a tutto campo che spazia dalla storia delle immagini, alla loro interpretazione in chiave sociologica, dall’analisi approfondita di una serie quanto mai vasta di testi storici, letterari, teatrali ed agiografici allo studio del culto della santità e del suo utilizzo in chiave di controllo della devozione popolare nel territorio spagnolo.

 

          Lo studio, cui è premessa una lunga introduzione programmatica, si compone di tre parti, suddivise al loro interno in vari capitoli.

 

          Nella prima parte l’autrice inizia ad esaminare il culto delle sante martiri a partire dalla sua diffusione post-tridentina a Roma alla fine del sedicesimo secolo all’interno di un contesto di generale rinascita di questi culti in linea con la riscoperta delle prime testimonianze storiche della Roma cristiana primitiva, sottolineando in questo il ruolo fondamentale dei trattati di Antonio Gallonio, il Trattato de gli instrumenti di martirio e l’Historia delle sante vergini romane. Il culto di una serie di martiri quali Agnese, Agata, Margherita d’Antiochia, Caterina d’Alessandria, Barbara, Ursula trova grande riscontro anche nella penisola iberica, affiancato ad alcune martiri locali quali Orosia, Giusta e Rufina, Eulalia, Leocadia, Marina, Casilda, Librada, grazie in particolare all’incredibile diffusione del best-seller del gesuita Pedro de Ribadeneira, Flos sanctorum, la cui prima edizione è del 1599, e poi del Templo militante di Bartolomé Cairasco de Figueroa, pubblicato nel 1603. Viene giustamente sottolineato come in questo contesto sia stata la corte reale degli Absburgo, ed in particolare alcune donne, fra cui Giovanna del Portogallo, sorella di Filippo II, o Margherita della Croce, nipote dello stesso re, ad aver catalizzato in maniera decisiva la devozione su queste martiri. La fondazione poi del convento dell’Incarnazione da parte della regina Margherita in persona nel 1611, all’interno di un generale piano di riforma degli ordini religiosi sostenuto e promosso dalla monarchia, iniziato con l’erezione del convento delle Descalzas Reales nel 1552 ad opera di Giovanna d’Austria, segna una tappa fondamentale nel processo di ricezione e diffusione di questo culto, anche grazie alla realizzazione di una serie di copie dei celebri affreschi del Pomarancio con scene di martirî della chiesa romana di Santo Stefano Rotondo, voluta da re Filippo III tra il 1616 ed il 1621, per decorare il chiostro superiore. Vengono analizzati in particolare alcuni cicli di raffigurazioni di sante martiri, la serie di ventisette coppie di martiri ad affresco lungo la navata della chiesa di Sant’Agostino a Cordoba realizzate verso il 1635 e il grande retablo della chiesa collegiata di San Bonaventura a Pastrana, con dieci tele di martiri, eseguito verso gli anni trenta, in cui le sante diventano a tutti gli effetti componenti della corte celeste, equiparate al ruolo delle gerarchie angeliche, in quanto intermediari, con la propria testimonianza fino alla morte, fra la divinità e l’umanità terrena.

 

          Nella seconda parte viene analizzato il culto di alcune sante martiri spagnole, attraverso una lettura dei testi agiografici e devoti scritti a partire dalla fine del sedicesimo secolo, fra cui l’Historia ecclesiastica, y flores de santos de España, scritto nel 1594 dal domenicano Juan de Marita, ma anche di partiture teatrali, ad esempio la Santa Casilda, attribuita a Lope de Vega, o la Santa Margarita di Diego Jiménez de Inciso, per meglio approfondire la capillare diffusione di queste devozioni nei vari ambiti della società del tempo. Molte di queste sante martiri erano inoltre di condizione regale, attributo questo sul quale la Vincent-Cassy pone fortemente l’accento, tale da assurgere nella sua ricostruzione critica a criterio agiografico di primaria importanza per giungere alla perfezione celeste, imposto sostanzialmente dalla volontà della corte absburgica, ed in particolare di Isabella di Borbone, moglie di Filippo IV, tanto che fra le regine e le martiri avviene uno scambio reciproco di ruoli e significati.

 

          Nella terza parte l’autrice sviluppa, sulla scia di precedenti intuizioni critiche di Emilio Orozco Dìaz, in maniera assai complessa e con dovizia di argomentazioni critiche, in parte desunte anche da una fitta disamina di alcuni testi agiografici teatrali spagnoli detti les comedias de santas virgines, l’assunto che le rappresentazioni figurative e letterarie delle sante vergini e martiri in Spagna sono sostanzialmente non narrative, ma risultano in pratica dei veri e propri ritratti di sante (retratos a lo divino).

 

          In particolare la produzione di alcune serie di tele eseguite da Zurbaran e dalla sua bottega verso gli anni trenta del Seicento, quella della chiesa di Santa Chiara a Carmona e quella dell’Ospedale del Sangue di Siviglia, oggi al Museo di Belle Arti di Siviglia, costituiscono un nuovo modo di rappresentazione figurale delle sante vergini, a figura naturale in piedi su fondo scuro, e vanno interpretati come dei cripto-ritratti attraverso i quali le donne dell’aristocrazia spagnola assumono i tratti delle sante cui risultano maggiormente devote. Tale tesi è supportata da un’analisi dei testi teorici di Vicente Carducho, Diàlogos de la pintura (1633)e Francisco Pacheco, Arte de la pintura (1649) nei quali si evince l’importanza fondamentale del ritratto nella trattatistica spagnola coeva. Nelle figure femminili di Zurbaran si suggerisce altresì un vero e proprio cammino processionale verso il cielo; le martiri diventano vere pellegrine spose del Cristo, cui hanno dedicato la vita tramite la fede incorruttibile professata in terra.

 

          L’analisi complessa condotta dall’autrice attraverso una comparazione fra elementi figurativi e testi letterari si pone come tentativo di interpretazione iconologico-sociologica di una determinata tipologia iconica, le figure per l’appunto delle santi martiri spagnole nei primi decenni del cosiddetto Siglo de Oro, giungendo ad una serie di considerazioni critiche del tutto plausibili, volte a sottolineare l’originalità di tali rappresentazioni, frutto di un culto sapientemente indirizzato dalla monarchia regnante e ben radicato a tutti i livelli, dagli ambienti claustrali più raffinati, alle parrocchie lontane dalla corte madrilena. L’interpretazione di queste martiri quali veri e propri ritratti in chiave sacrale, membri di quell’aristocrazia celeste, che riflette quella terrena, testimonia la peculiarità tutta spagnola di un modello figurale che troverà successo anche nella pittura coloniale ispano-americana, ma che non ha un equivalente nel resto dell’Europa cattolica o riformata.

 

          Il volume è corredato da un’imponente bibliografia, una breve, ma puntuale sintesi delle vite delle varie sante oggetto dell’intervento e da un CD-ROM che comprende un numero di riproduzioni alquanto più completo rispetto alle poche immagini pubblicate a corredo del testo.