Canali De Rossi, Filippo: Hippiká. Corse di cavalli e di carri in Grecia, Etruria e Roma. Le radici classiche della moderna competizione sportiva. Volume I: La gara delle quadrighe nel mondo greco, 155 + 7 tavole B/N, Nikephoros Beihefte 18, ISBN 978-3-615-00384-0, EUR 39.80
(Weidmannsche Hildesheim, Hildesheim 2011)
 
Reseña de Giulia Isetti, Università degli Studi di Genova
 
Número de palabras : 1423 palabras
Publicado en línea el 2012-01-16
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1400
 
 


          Il volume si apre con un’Introduzione (p. 3-8) in cui l’Autore (d’ora in avanti A.) presenta brevemente il progetto editoriale Corse di cavalli e di carri in Grecia, Etruria e Roma, di cui il presente saggio costituisce il primo volume. Tale progetto è volto ad offrire una sintesi delle modalità con le quali le corse dei cavalli venivano disputate nel mondo greco, etrusco e romano, basandosi sulla raccolta e analisi della documentazione archeologica, epigrafica e letteraria. Sempre nell’ambito di queste ricerche l’A. si propone di indagare nei saggi successivi anche alcune specialità ippiche minori che furono disputate solo per pochi anni prima di essere abolite.

 

          Questo volume, focalizzato sulle gare con le quadrighe nel mondo greco, si divide in quattro sezioni: la prima, Rappresentazioni micenee della gara col carro (p. 9-11), si sofferma sulla descrizione delle prove archeologiche che testimoniano l’esistenza delle competizioni sportive coi carri già in epoca micenea. La seconda sezione, Preistoria delle competizioni sportive ad Olimpia (p. 11-12), discute brevemente l’origine mitica dei giochi Olimpici, mentre nella terza, Svolgimento di alcune gare di carri nella proiezione mitica (p. 13-23), l’A., riportando le fonti in lingua originale e corredate di traduzione, ripercorre alcuni famosi episodi mitici legati a tali competizioni. In particolare si ricostruiscono i dettagli delle corse, le modalità del loro svolgimento, i nomi dei concorrenti e la consistenza dei premi della sfida tra Enomao e Pelope (a), dei giochi funebri in onore di Pelia (b), quelli in onore di Ofelte (c), di Patroclo (d) e di Achille (e). L’A. ripercorre quindi l’origine mitica dei giochi Istmici (f), riporta e commenta la descrizione nell’Elettra sofoclea della presunta morte di Oreste avvenuta durante una gara  disputata durante i giochi pitici (g), la rappresentazione pseudoesiodea (Aspis 305-313) della competizione coi carri raffigurata sullo scudo di Eracle (h) e, infine, introduce come esempio di raffigurazioni arcaiche della gara col carro (i) il cosiddetto cratere "di Anfiarao".

 

          L’ultima sezione (p. 23-83) costituisce il corpo principale del volume, dove l’A. si propone di indagare in dettaglio lo Svolgimento degli agoni ippici in età storica. In particolare si risale alla ripresa delle competizioni dopo la pausa dei secoli bui (a), per poi procedere nella descrizione fisica dell’ippodromo di Olimpia (b) e dello svolgimento della gara con la quadriga (c). Si riporta poi l’elenco dei vincitori in questa specialità in età arcaica (d), anche qui con un puntuale regesto delle fonti epigrafiche e letterarie in nostro possesso, sia in originale che in traduzione, insieme alla descrizione delle prime rappresentazioni di carri su anfore panatenaiche (e). L’A. procede poi, secondo lo stesso criterio, con l’elenco dei vincitori in età classica (f), sottolineando anche il ruolo di Sparta all’interno delle competizioni (g) e fornendo anche di questo periodo la descrizione di alcune rappresentazioni di carri su anfore panatenaiche (h). Si passa poi ad analizzare il IV secolo, quando cominciarono a registrarsi i primi successi macedoni (i), dedicando una breve parentesi alle rappresentazioni del carro in età macedone (k). L’ultimo sottocapitolo è infine dedicato allo sviluppo degli agoni durante la prima età ellenistica (l).

 

          Il volume si conclude con un ricco Indice dei nomi (divinità; eroi; persone; luoghi e di popoli; luoghi moderni; nomi di cavalli (p. 87-105). Seguono un Indice delle cose (cose ippiche; altre cose antiche; cose ippiche moderne) (p. 106-111) e un Indice delle fonti (Autori antichi; Indice antiquario, epigrafico, archeologico e infine Indice papirologico) (p. 112-120). Segue un Lessico ippico ed agonistico (p. 121-146), la Bibliografia per l’ippica antica (p. 147-154) e moderna (p. 155). Concludono il volume sette Tavole in bianco e nero dove si possono trovare le riproduzioni, in buona qualità, di molte delle prove archeologiche (soprattutto dei vasi panatenaici) citate e discusse nel corso della trattazione.

 

          Il presente saggio sopperisce alla mancanza di un lavoro complessivo sulle corse dei carri nel mondo greco antico, e dà, grazie all’originalità del metodo trasversale utilizzato, un interessante contributo ai tradizionali studi sugli agoni del mondo greco, generalmente focalizzati sulla mera riscostruzione della cronologia di giochi locali, senza però una dettagliata analisi delle specialità agonistiche nella loro singolarità e nel loro sviluppo storico. L’A. infatti, basandosi soprattutto sull’importante lavoro di Luigi Moretti, Olympionikai, Roma 1957 (d’ora in avanti M.), integra le informazioni sulle vittorie olimpiche con quelle sugli altri principali agoni e propone un elenco discorsivo dei singoli vincitori. Se è vero che questa tipologia espositiva rende la materia più fruibile e godibile, si sente tuttavia la mancanza di una tavola cronologica che permetta al lettore di avere una visione più chiara degli avvenimenti e della loro successione temporale. Tale elenco rischia infatti di essere allo stesso tempo dispersivo, e talvolta, non del tutto esauriente. Ad esempio, non si fa menzione di Pantares di Gela (1), Arybbas di Epiro e Karteros di Tessaglia, vincitori olimpici rispettivamente nel 508 (M. 151), nel 344 (M. 450) e nel 268 (P.Oxy 2082, M. 546), e della vittoria, nel 520 (M. 136), di un tebano il cui nome non ci è pervenuto, ma che si pensa essere avo del Trasideo, in onore del quale Pindaro compose la Pitica XI.

 

          Particolarmente apprezzabile è il fatto che, come già accennato, vengano riportate le fonti in lingua originale corredate di traduzioni complete, anche se in rari casi l’A., pur riportando il testo greco completo, tralascia la traduzione di una piccola parte del testo (2). Si segnalano inoltre lievi imprecisioni nella traduzione (3) (ad esempio, a p. 67, n. 210, ΔΠΙ ἀμφορῆς ὲλαίο è reso con "13 anfore d’olio" invece che con 16, per probabile confusione tra ΙΙ e Π (4)).

 

          Il Lessico ippico ed agonistico si presenta come uno strumento utile, in cui si possono trovare sia chiarimenti su lemmi specifici che rimandi ai testi e agli autori in cui tali termini compaiono. Si registra tuttavia, di fronte alla lemmatizzazione di voci non specificamente tecniche, quali ad esempio δείδω e ἀρετή/, l’assenza di altre che sembrerebbero invece più pertinenti (5), mentre alcune gare ippiche minori (quali ἀποβάτης, ἀφιππολάμπας etc.) qui non registrate saranno oggetto di uno studio a parte.

 

          Dal punto di vista contenutistico, a fronte dei numerosi punti di accordo, in un unico caso mi parrebbe possibile proporre un’interpretazione differente da quella adottata dall’A. per quanto riguarda un passo pindarico. Si legge (p. 48) che Pindaro, quando afferma nella Pitica V che l’auriga Carroto sarebbe stato l’unico a non cadere tra quaranta contendenti, forse "ingigantisce la portata di un incidente che ha coinvolto alcuni partecipanti", oppure bisognerebbe pensare a una divisione in batterie per cui i partecipanti contendevano in piccoli gruppi. L’A. giunge a questa conclusione basandosi sulla constatazione che lo stadio non sarebbe stato abbastanza grande per permettere a quaranta carri di correre insieme. Tuttavia, se tale considerazione può applicarsi giustamente in relazione ad una gara svoltasi ad Olimpia, dove la struttura dell’ippodromo era fissa e di dimensioni effettivamente troppo ridotte per un numero di partecipanti così alto, bisogna considerare che questo episodio avvenne a Delfi, dove le gare si svolgevano su una pianura non delimitata, che quindi permetteva un numero più elevato di concorrenti (6). Inoltre non si può dimenticare che Pindaro, nel narrare i particolari della gara a chi aveva davvero assistito alla competizione, sarà stato portato a riprodurre un resoconto veritiero piuttosto che fantasioso (7).

 

          In conclusione, al di là di alcuni rilievi formali e contenutistici, il volume costituisce senz’altro uno strumento utile per lo studio dell’argomento, offrendo un originale approccio alla materia e un’accurata scelta da parte dell’A. nella presentazione e nell’utilizzo delle fonti.

 

(1) Da segnalare, sempre a proposito della mancata citazione di Pantares di Gela, l’ulteriore confusione creata da un errore tipografico nell’Indice dei nomi, dove si registra la voce "Pantares, di Elide" invece di "Pantarkes di Elide".

(2) È il caso di tre passi riportati nelle note 130, 144 e 194.

(3) Da notare infatti che nel volume, soprattutto nella parte iniziale, si rilevano diversi errori tipografici: ad es. "un’esito" a p. 22, n. 54; πίττοντα per πίπτοντα a p. 41, n. 131; κτίσσειν per κτίσσειεν a p. 46, n. 148; due volte poi l’A. riporta il nome dell’artista Hageladas (p. 32 e p. 44), anche se nell’originale greco il nome ha lo spirito dolce e non aspro. Ulteriore imprecisione formale è cosituita dalla mancata corrispondenza tra i rinvii delle prime tre immagini all’interno delle tavole e le pagine in cui tali raffigurazioni vengono analizzate (rimandando cioè a p. 2 invece che a p. 10).

(4) Vedi l’edizione della lista dei vincitori alle panatenee proposta in A. Mommsen, Feste der Stadt Athen im Altertum, Leipzig 1898, p. 65-97.

(5) Quali ad esempio βαλβίς (che indica la linea di partenza e di arrivo delle gare con le quadrighe; citato ad. es. in Ar. Eq. 1159, E. HF 867 e s.v. Suda β 69), ἔμβολον (per il significato tecnico di "vertice dell’ἄφεσις" cf. Paus. VI 20 10) e μέτρον (inteso come "briglia, freno del cavallo" in Pindaro, Olimpica XIII, 20).

(6) Come si rileva anche in Pindaro, Le Pitiche, a cura di B. Gentili et al., Milano 19954, p. 526. Anche E. N. Gardiner, Athletics of the Ancient World, Oxford 1955, p. 227 ritiene l’affermazione pindarica verosimile.

(7) Si vedano a questo proposito anche le constatazioni, a mio parere condivisibili,  di L. R. Farnell, The Works of Pindar, Vol. III: Citical Commentary, London 1932, p. 175-176.