Lemerle, Frédérique - Pauwels, Yves - Thomine-Berrada, Alice (dir.): Le XIXe siècle et l’architecture de la Renaissance. 270 p., 17 x 24, ISBN : 978-2-7084-0852-4, 41 €
(Picard, Paris 2010)
 
Rezension von Paolo San Martino, Direzione Regionale alla Cultura Piemonte, Settore Musei
 
Anzahl Wörter : 1208 Wörter
Online publiziert am 2012-11-30
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1493
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          Il libro nasce sotto gli auspici dell’Institut national d’histoire de l’art e del Centre d’études supérieures de la Renaissance. Sono gli atti  del colloque international organizzato a Tour e Blois dal 30 maggio al 1 giugno 2007. I curatori hanno riunito un folto gruppo di studiosi, le cui specializzazioni spaziano dalla storia dell’arte e dell’architettura, alla tecnica delle costruzioni e al restauro e conservazione del patrimonio artistico e culturale.

 

          L’Ottocento, avvertono i curatori nella sintetica prefazione, è il secolo dei «neo», specie, da una prospettiva nordeuropea, del neogotico, ma non si può trascurare l’impatto e l’importanza del revival rinascimentale (come quello, più tardo, del barocco). Gli autori esaminano il problema, analizzandolo attraverso la lettura dei teorici d’arte, della biobliografia d’epoca, delle guide e riviste illustrate, ovvero con l’applicazione in corpore vili sui monumenti ottocenteschi e sul restauro integrativo dell’autentico, senza dimenticare l’estetica e la ricezione collettiva dello storicismo, che è divenuto una costante immagine di riferimento nell’Europa delle capitali, ma anche nel nord-est degli Stati Uniti.

 

          Il volume è diviso in tre parti, dopo una breve sezione introduttiva: Percezioni e interpretazioni; Collezioni, biblioteche, rappresentazioni; Realizzazione e restauri. Bruno Foucart ripercorre le tappe della rivalutazione del Rinascimento francese in Hugo, Viollet-le-Duc, Garnier, Daly; Alice Thomine-Berrada si sofferma sull’oblio di un’epoca, che è la conseguenza di una superficiale affermazione del modernismo; Werner Oechslin ricostruisce l’approccio di Semper e Burckhardt al Rinascimento (alla piena Renaissance, mentre il manierismo è soltanto, per Burckhardt, “quello stile che potremmo chiamare lo stile delle smorfie”); Joëlle Prungaud si sofferma su ambivalenza teoriche di fine Ottocento; Barthélémy Jobert sulla pittura di storia della seconda metà del XIX: stile accademico e temi romantici per l’arte europea; Yves Pauwels tratta di Alexandre Dumas e l’architettura del Rinascimento, con riferimento al château de Monte-Cristo, fatto erigere dallo scrittore nella Port-Marly cara a Sisley; Jean-Philippe Garric si occupa delle ville di Roma di Percier et Fontaine, specie della manipolata Villa Barberini al Gianicolo, acquarellata da Ettore Roesler Franz nella serie di Roma sparita; Frédérique Lemerle considera l’interesse neoclassico di Jean-Baptiste Wicar, riferendo del libro di schizzo di Michelangelo; Annie Jacques parla delle biblioteche di architetti, che potevano contenere, come era d’uso nei secoli, la trattatistica cinquecentesca; Juliette Jestaz si sofferma su Joseph Lesoufaché, architetto eclettico; Valérie Nègre indaga le raccolte d’architettura sotto Napoleone III; Ulrich Maximilian Schumann si sofferma sulla situazione tedesca; Piet Lombaerde su Anversa e il suo bizzarro neo-Rinascimento; Alberto Grimoldi approfondisce il tema del restauro dell’antico nel Lombardo-Veneto; Ornella Selvafolta dà una colta rassegna delle numerosissime riviste d’arte e architettura italiane, fra cui la fiorentina e antiquariale Ricordi di Architettura; Marc Le Coeur considera un argomento sottovalutato: i décor Luigi Filippo di caffè e ristoranti parigini; Barry Bergdoll introduce «Le véritable but de la Renaissance»; Marianne Métais analizza il restauro ottocentesco del château de Sully, Saône-et-Loire; Patrick Ponsot si interroga su quale Rinascimento sia da restaurare, citando il teorico Cesare Brandi.

 

          Il libro è godibile e ricco di spunti critici; seppur variegato mantiene una cornice data da specialisti di Rinascimento e teoretica quali Lemerle e Pauwel,  di Ottocento come Thomine-Berrada. Il XIX secolo è in parte ancora periodo controverso e poco conosciuto, e sta appunto in questa proficua discussione il principale valore degli atti del colloquio, stampati da Picard.

 

          La conseguenza delle rivoluzioni politiche e industriali europee fu una rinascita di tutti i settori dell’agire umano e un notevolissimo aumento della popolazione che si andava inurbando in metropoli spesso sacrificanti il loro antico aspetto per far posto a nuove imponenti costruzioni. Le capitali subiscono una dopo l’altra ambiziosi progetti di rinnovamento urbanistico e lo stile adottato da ingegneri e architetti è quello eclettico, storicista, con una netta prevalenza del revival rinascimentale. Ma non si pensi ad una meccanica e unidimensionale riproposizione degli antichi stili. V’era il culto del Rinascimento e la conoscenza della teoria e degli Ordini era quasi maniacale.

 

          L’architettura era gioco formale, bricolage ornatistico ma senza perdere di vista una coerenza di fondo. Non esiste un solo Rinascimento ma moltissimi: quelli locali, che venivano riprodotti ancorandoli alle memorie municipali; quelli nazionali e internazionali, i primi legati ad una concezione politicamente autarchica, i secondi autenticamente considerati in ragion di stile.

 

          Un esempio classico è il neo Rinascimento fiorentino: lo adottano a Monaco di Baviera Klenze e Gärtner traendo modelli - sublimati nella copia - dalla Loggia della Signoria e da Palazzo Pitti, e rileggendo direttamente la grammatica compositiva nel corso dei viaggi di studio e nella riflessione a tavolino, anche attraverso repertori quali l’Architecture toscane di Grandjean de Montigny (Parigi 1815). E’ un segno distintivo del regno bavarese di Luigi I (1825-46), che presenta non poche tangenze stilistiche con l’età di Carlo X e con quella lombardeggiante di Carlo Alberto in Piemonte, ma che presenta un diverso retroterra culturale e artistico, che non affonda in un passato di eguale importanza. Un momento dello storicismo quasi ingenuo - spontaneo - accostato senza intermediazioni ai testi classici, cosa che si incontrata, sul versante palladiano, nelle nuove costruzioni statunitensi, che volentieri sfociano nel plagio. Un impostazione sconosciuta in Italia, il paese che ha dato i natali a buona parte degli storicismi occidentali, ma che risulta negletta anche in altre nazioni di grande tradizione culturale, come Francia e Inghilterra. In Italia il neo toscano si incontra tardi: nella muraglia incombente della Ca’ de sass di Milano, ossia il palazzo della Cassa di Risparmio di Balzaretto, decoratore del Museo Poldi Pezzoli; nel toscanissimo e filologico bugnato di Palazzo Sillani di Antonio Cipolla a Bologna. E corrisponde al momento dei conoscitore d’arte e del letterati alla moda (a Firenze Gabriele d’Annunzio e Bernard Berenson).

 

          Un serio professionista era capace di grandi scarti formali, mescolando Francia e Italia con decorativismo e understatement, partendo dal neo Cinquecento stringato tra Lombardia, Veneto e Fontainebleau  per approdare a Palladio,  ai neo Louis classicisti e ad un Rinascimento floreale.

 

          Il neo toscano è soltanto uno degli innumerevoli esempi dei temi stilistici dello storicismo. A fine secolo l’umbertino in Italia, come il guglielmino in Germania, saranno una versione estremizzata, barocchizzata, del tardo Rinascimento, come si può osservare a Torino - nel segno della mediazione tra Roma e Parigi - in Casa Bellia di via Sant’Agostino 30.

 

          Ma è a partire da questi che si può rileggere con più padronanza una congerie stilistica che altrimenti risulterebbe indecifrabile. L’immagine delle città occidentali è l’immagine di un eclettismo intelligente e duttile, che si è innestato nella tradizione locale prefigurando la spregiudicatezza del funzionalismo. Parigi ha Opéra e Boulevards, Londra Palace of Westminster e Tower Bridge, Roma Vittoriano e Palazzaccio; monumenti simbolo spesso contestati ma di indubbio valore monumentale. Ma è il tessuto fitto di interi quartieri di città in espansione che fanno dell’Ottocento «neo» un fenomeno di grandissima portata, in molti casi il protagonista principale della scena urbana. E’ ancora attuale il problema della salvaguardia e della conservazione di un patrimonio così ingente e malnoto, dove spesso il nome di eminenti professionisti dell’architettura sono stati totalmente dimenticati. Merito a questo libro di aver riportato intelligentemente l’attenzione su un periodo ancora piuttosto negletto, ma che avrà sempre più considerazione di critica e di pubblico.