Orejas, Almudena – Rico, Christian (dir.): Minería y metalurgia antiguas. Visiones y revisiones, 310 p., 111 ill., 21 x 29,7 cm, ISBN 978-84-96820-68-5, 49€
(Casa de Velázquez, Madrid 2012)
 
Recensione di Alessandro Cavagna, Scuola Normale Superiore - Pisa
 
Numero di parole: 2910 parole
Pubblicato on line il 2016-02-23
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Come ricordano Almudena Orejas e Christian Rico, il volume Minería y metalurgia antiguas rappresenta il frutto aggiornato del convegno Minería antigua. Estudios regionales y tema de investigación actual tenutosi tra il 28 e il 29 novembre 2005 presso la Casa del Velázquez a Madrid. Per quanto esso si inserisca in una ampia tradizione di studi sul mondo minerario antico (al cui proposito si veda l’ampia bibliografia alle pp. 273-297), sia gli stessi curatori nella breve Presentación sia Francisco Javier Sánchez-Palencia nella Introducción non potevano non rimarcare l’importanza dell’orientamento di ricerca indicato da Claude Domergue, il quale per anni ha affiancato alla classica analisi delle fonti antiche un orientamento militante «su convencimiento de la importancia de los trabajos sobre el terreno» (p. 2). Proprio tale insegnamento trova nel volume una manifesta e pratica applicazione, divenendo il sotteso trait d’union dei diversi contributi.

 

          La prima, e più ampia sezione del volume, comprendente dodici lavori concentrati sulle aree dell’Attica, della Spagna e della Romania, viene dedicata ad Arqueominería y arqueometalurgia en proyectos regionales. Métodos, técnicas y casos de estudio (pp. 7-241).

 

         Spetta a Denis Morin e Adonis Photiades, autori di Les mines antiques du Laurion (Attique, Grèce): techniques minières et stratégies d’exploitation (pp. 9-26), il compito di aprire il settore più strettamente scientifico del lavoro. Nonostante almeno due secoli di studi e analisi attorno alle miniere attiche, l’applicazione di una diversa prospettiva di indagine trova qui un primo e fecondo risultato: come viene sottolineato, infatti, sono qui presentati alcuni rilievi derivanti da campagne e prospezioni non di superficie (come consuetudine vorrebbe), bensì secondo un approccio speleologico. Un’analisi “di profondità” rivolta ad alcuni settori delle miniere antiche ha così permesso l’identificazione delle fasi di formazione geologica del complesso del Laurion; accanto a tali osservazioni, vengono inoltre indagati i sistemi di aerazione, le tecniche di illuminazione, la conformazione delle gallerie e dei pozzi verticali. Di particolare interesse risulta, inoltre, il quesito ‒ provocatoriamente lasciato in sospeso dagli autori ‒ attorno al rapporto tra la diversa concentrazione dei pozzi, osservabile in determinate sezioni delle miniere, e una possibile antica ripartizione in concessione delle aree di sfruttamento.

 

         Con Metalurgia y explotación de recursos minerales en el entorno de la ciudad-estado celtibérica de Segeda I (Mara, Zaragoza) (pp. 27-42) di Salvador Rovira, Francisco Burillo, Raúl López e Javier Ibáñez, l’attenzione si sposta dal mondo greco all’area spagnola e, in particolare, a quella (prima) Segeda, che rappresenta l’aggregato urbano più esteso del territorio celtiberico. Come viene dichiarato dagli autori, proprio l’importanza del centro, provata dalle fonti letterarie e dallo sforzo militare che Roma qui riversò nel II sec. a.C., ha fornito il primario impulso per lo studio dell’attività mineraria del distretto. In tal senso, vengono passate in rassegna le informazioni relative alle miniere, in considerazione del fatto che all’interno del “sistema iberico dell’argento” tali aree sarebbero state per lo più tralasciate dagli studi. Così, trovano spazio una veloce disamina dei centri di produzione monetaria, un excursus sui gioielli considerati «dinero de carácter premonetal» e un breve accenno attorno alla nota tessera cortonense. In una ultima sezione vengono infine considerati i locali centri di estrazione del ferro, del rame e del rame-argento, del piombo e del piombo-argento.

 

         Il terzo intervento, Minería y siderurgia antigua en Sierra Menera (Teruel-Guadalajara). Nuevos avances de la explotación del hierro en época antigua (siglos II a.C. - II d.C.) (pp. 43-62), viene presentato da Jean-Marc Fabre, Clemente Polo Cutando, Christian Rico, Carolina Villargordo Ros e Marie-Pierre Coustoures. Una diretta indagine delle aree di estrazione (poco fruttosa a causa delle trasformazioni subite dai luoghi) e un ben più promettente studio sui residui e sui centri di trasformazione del ferro estratto rimandano e descrivono la Sierra Menera come un luogo secondario di produzione e lavorazione dei metalli, il quale tra il II a.C. e il II d.C. avrebbe progressivamente esteso la sua rendita produttiva (per l’età romana si calcolano 10.000 t di metalli estratti contro le 80.000 t di ferro provenienti dall’area della Montagne Noire in Gallia) grazie all’attività di piccoli nuclei umani ivi stabilitisi e alla limitata domanda di ferro proveniente da La Caridad e, in seguito (ma qui mancano prove più stringenti), da Bilbilis o Segobriga.

 

         Spostandosi di area, Juan Antonio Antolinos Marín si concentra, invece, su Centros de producción y administración en el territorio minero de Carthago Nova: a propósito de los hallazgos documentados en El Gorguel (Sierra de Cartagena) (pp. 63-79). Gli scavi, spesso di emergenza, che sono stati condotti negli ultimi anni in alcune aree del settore orientale di El Gorguel, hanno fatto emergere un certo numero di ambienti dedicati alla lavorazione dei metalli, alla «trituración y lavado» e, ancora, al «almacenamiento del mineral y a la fundición de plomo, plata y, quizás, cobre». Accanto a tali zone, dagli scavi sono però emersi anche ambienti più raffinati, che aprono importanti prospettive sull’ambiente umano ed economico delle aree minerarie antiche. Nella stessa direzione si pone inoltre il tentativo condotto dall’autore di decifrare le finalità d’uso di «diversos centros secundarios o áreas productivas vinculados» alle strutture produttive primarie: si tratterebbe infatti di aree riservate a quelle attività economiche essenziali al sostentamento delle comunità attive nei centri di estrazione, la conoscenza delle quali potrebbe descrivere in modo più complesso il sistema economico delle antiche miniere.

 

         La nave romana di Valle Ponti, scoperta nel 1981, ha da tempo offerto argomento di dibattito principalmente in relazione alle 102 massae plumbee del carico. Proprio su tali lingotti si riferisce il contributo di Claude Domergue, Piero Quarati, Antonio Nesta e Pier Renato Trincherini intitolato Retour sul les lingots de plomb de Comacchio (Ferrara, Italie) en passant par l’archéométrie et l’épigraphie (pp. 81-103). In una prima sezione dell’intervento vengono riferiti i risultati delle analisi condotte nel Laboratorio di Spettrometria di Massa di Verbania su un limitato gruppo di lingotti, i cui dati, incrociati con le analisi sul piombo estratto da diverse miniere europee, hanno permesso di localizzare l’origine del carico della nave ferrarese nelle miniere di Cartagena-Mazarrón (contra altre interpretazioni). Considerata quindi la probabile provenienza delle massae, i 10 timbri/marchi/firme presenti sui lingotti sono stati così riferiti a specifiche famiglie di imprenditori residenti in Carthago Nova oppure, come nel caso noto di Agrippa, a quanti potessero aver intrecciato feconde relazione (anche politiche) con la città spagnola. Definiti i dettagli sul luogo di produzione, in un ampio paragrafo ricco di spunti e di interpretazioni gli autori hanno infine tentato di ricostruire il viaggio che avrebbe portato tali lingotti dalla Spagna sino all’Italia.

 

         Su El Centenillo e con la finalità di approfondire la conoscenza del territorio è dedicato il contributo Luis María Gutiérrez Soler (Arqueología del paisaje minero en le sector oriental de Sierra Morena: pp. 105-128). Dopo un attento vaglio dei ritrovamenti archeologici (tra cui epigrafi, utensili e strumenti, tesori monetari) e dei contributi che da tempo hanno permesso di ricostruire le forme e le fasi storiche dello sfruttamento minerario dell’area, l’autore affronta il problema delle dimensioni originarie dei luoghi di estrazione, tornando sul ruolo (e sul significato: cfr. pp. 124-125) dei diversi castilletes disseminati nel territorio.

 

         A loro volta, partendo da una solida base documentaria (cfr. pp. 148-150) ‒ raccolta e analizzata all’interno di un progetto finanziato dal Ministerio de Ciencia e Innovación ‒ Mar Zarzalejos Prieto, Carmen Fernández Ochoa, Germán Esteban Borrajo e Patricia Hevia Gómez si concentrano su El paisaje minero antiguo de la Comarca de Almadén (Ciudad Real): nuevas aportaciones sobre el territorium de Sisapo (pp. 129-150). In tal senso, la raccolta e lo studio delle rilevanze archeologiche del territorio di Almadén, Alamillo e Chillón hanno permesso di definire le aree di sfruttamento minerario ma, soprattutto, di identificare e isolare quei centri produttivi, quelle unità rurali minori, le villae e gli agglomerati secondari che in età imperiale caratterizzarono il paesaggio di riferimento delle attività estrattive.

 

         Il municipium muniguense, parzialmente indagato già dal Settecento, viene invece indagato da Thomas G. Schattner, Gobain Ovejero Zappino e Juan Aurelio Pérez Macías (Minería y Metalurgia antiguas en Munigua: estado de la cuestión: pp. 151-168), i quali, dopo aver considerato anche i dati forniti dalle esplorazioni ottocentesche e novecentesche, hanno approfondito i problemi relativi al rapporto tra la città e le vicine aree estrattive. I rilievi, attentamente vagliati, hanno così reso più concreta la conoscenza delle miniere di rame e ferro; inoltre, il riconoscimento di alcune gentes, nelle cui mani era concentrata l’attività siderurgica, ha poi permesso di illustrare le possibili dinamiche economiche e sociali della città.

 

         L’analisi degli isotopi del piombo (metodo ampiamente discusso in letteratura), al fine di disegnare una più specifica mappa dei luoghi di provenienza dei metalli utilizzati in età preistorica e storica, è stata invece oggetto del saggio di Mark A. Hunt Ortiz (Análisis de isótopos de plomo en la investigación archeológica de la minería prehistórica e histórica del sudoeste hispano: pp. 169-182). In particolare, mettendo a frutto indagini precedenti (cfr. i diversi lavori di M.A. Hunt Ortiz citati in bibliografia), l’autore si è dapprima concentrato sui depositi preistorici di San Blas, Novillero Viejo, Norte Alconchele e La Pijotilla. Per l’età romana, invece, sono state le analisi sulla composizione di 105 monete emesse da Roma tra i regni di Augusto e Tiberio (analisi tratte da un lavoro di S. Klein, Y. Lanhaye, G. Brey, H.-M. von Kaenel del 2004) ad aver offerto elementi di discussione: ne risulterebbe, infatti, che l’approvigionamento di rame per la produzione monetaria di età augustea avrebbe tratto beneficio soprattutto dai depositi minerari del sud della Spagna e di Cerdeña, mentre per l’età tiberiana sarebbero state ampiamenti sfruttate soprattutto le miniere di Murcia e del Rio Tinto. Per quanto i risultati provenienti dall’analisi di un campione assai limitato (105 monete per una impressionante produzione monetaria) debbano essere trattati con grande cautela, di certo le prospettive di questo approccio scientifico potranno ulteriormente aprirsi ‒ come ricorda lo stesso Hunt Ortiz ‒ a «enormes posibilidades».

 

         Tra le provincie di Toledo e di Cuenca, lungo il tratto viario che da Toledo, da Complutum e da Ercavica giunge a Segobriga e procede verso Carthago Nova, si colloca il distretto estrattivo indagato da María José Bernárdez Gómez e Juan Carlos Guisado di Monti (El distrito minero romano de lapis specularis de Castilla-La Mancha: pp. 183-199). Infrangendo l’omogeneità strutturale del volume e approfondendo un aspetto meno noto delle attività estrattive spagnole, non sono in questo caso i metalli a essere oggetto di analisi, bensì quel lapis speculare («variedad mineralógica del yeso») che per le sue caratteristiche fisiche venne utilizzato in antico sia come eccellente materiale da costruzione sia per uso decorativo ed estetico grazie alle sue capacità di riflessione della luce. Analizzate le evidenze sotterranee e superficiali, il distretto minerario viene così inquadrato in chiave storica, rilevando un’ampia attività riferibile ai primi due secoli dell’impero sino ai regni di Traiano e Adriano, quando lo sfruttamento “industriale” iniziò a declinare; allo stesso tempo, le analisi hanno permesso di evidenziare l’importanza che tale bacino ebbe in relazione al conformarsi di una specifica geografia di popolamento dell’area, comprendente centri primari, centri secondari, centri satellite e aree di controllo militare.

 

         Abbandonata l’area centrale della Spagna, María Mercedes Urteaga Artigas si concentra invece su La minería romana en Gipuzkoa y en el distrito de Oiasso (Irún) (pp. 201-218), ossia su quelle aree basche alle pendici occidentali dei Pirenei che grazie agli scavi archeologici dell’ultimo cinquantennio sono state oggetto di una profonda rilettura: così, abbandonata l’idea ormai desueta di territori impenetrabili, boscosi e privi di presenza urbana, il modello della “romanizzazione” pare essere ora applicabile con maggior incisività. A confermare l’erroneità della precedente lettura è intervenuto, d’altro canto, proprio lo studio delle modalità che, durante l’età romana, vennero messe in atto per incentivare l’utilizzo delle varie risorse del sottosuolo. In tale direzione, quindi, i diversi contesti minerari hanno offerto dati per disegnare la vita del distretto facente capo all’antica Oiasso, il quale sarebbe stato sfruttato in modo intensivo tra la fine del I sec. a.C. e il pieno II sec. d.C.

 

         Roşia Montana, tra i clamori della cronaca a causa del progetto rumeno-canadese di ripresa intensiva delle attività estrattive (con relativa distruzione di contesti archeologici unici), rappresenta l’oggetto centrale del contributo di Béatrice Cauuet e di Călin Gabriel Tămaş (Les travaux miniers antiques de Roşia Montană. Apports croisés entre archéologie et géologie: pp. 219-241). La mappatura e l’analisi della rimanenze in situ della miniera rumena, il maggior centro europeo di estrazione dell’oro in età romana, procedono nel corso del lavoro con grande precisione e con particolare attenzione alle aree di Cetate (di cui si conservano due settori delle antiche miniere) e di Cârnic (preservata in modo ottimale). In particolare, a Cârnic ‒ e ciò risulta di grande interesse ‒ proprio l’esplorazione dei 16 km di galleria (di cui 4 di età romana) permette di giungere a una conoscenza assai specifica delle abilità tecniche ed estrattive del mondo romano.

 

         Con questo saggio si conclude la parte “archeologica” del volume, per lasciare spazio a una seconda sezione in cui vengono approfonditi alcuni aspetti della gestione giuridica e amministrativa delle miniere spagnole (Marcos jurídicos y administrativos de la explotación minera antigua: pp. 243-272).

 

         Antonio Mateo Sanz, considerando dapprima le occupationes e le adsignationes agrarie, tenta di intravedere nella documentazione epigrafica di Vipasca segni dei diversi regimi giuridici relativi al mondo minerario (Nuevas reflexiones sobre el régimen jurídico minero romano: pp. 245-254): in tal senso, l’usurpatio e l’occupatio (citati in Vip. I, 9), ossia le forme che descrivono l’ottenimento del diritto a mantenere o ad acquisire lo sfruttamento dei giacimenti, divengono elementi essenziali per la definizione del «paso inicial» dello sfruttamento minerario. Dalla definizione giuridica l’autore procede, poi, all’approfondimento di alcuni aspetti del relativo regime fiscale (proponendo, oltretutto, emendamenti a Vip. I, 1).

 

         Se Inés Sastre in Las zonas mineras auríferas en el sistema provincial altoimperial (pp. 255-259) presenta una generale analisi dei meccanismi che permisero al governo di Roma di procedere e organizzare lo sfruttamento delle risorse auree provinciali, Francisco Javier Sánchez-Palencia e Almudena Orejas (partendo da alcuni dei risultati ottenuti dal progetto Estructura Social y territorio - Arqueología del Paisaje) considerano infine le nuove linee di tendenza dello studio sulle miniere spagnole ed evidenziano come solo la collaborazione interdisciplinare tra studiosi abbia permesso di orientare le ricerche (dapprima caratterizzati da una semplice giustapposizione di elementi) verso forme più coerenti di comprensione (Alcance e impacto de la minería provincial hispanorromana: pp. 261-272). Proprio in tale direzione vengono, quindi, presentati i risultati dei lavori condotti nella aree delle Asturie e del sud-est della Lusitania, offrendo inquadramenti storici, che spesso possono divenire modelli utili anche per la strutturazione di future ricerche.

 

         Nessuna conclusione completa il denso lavoro che, pur nella frammentazione dovuta alle particolareggiate indagini, rappresenta di certo un ottimo strumento per la comprensione dei fecondi risultati che una storiografia per lo più militante, ma nel contempo non dimentica delle fonti classiche, può fornire alla conoscenza delle miniere e della metallurgia antiche.

 

 

Sommaire 

p. V

Almudena Orejas, Christian Rico, Presentación, p. VII

Francisco Javier Sánchez Palencia, Introducción, p. 1 

I. ARQUEOMINERÍA Y ARQUEOMETALURGIA EN PROYECTOS REGIONALES. MÉTODOS, TÉCNICAS Y CASOS DE ESTUDIO
 
Denis Morin, Adonis Photiades, Les mines antiques du Laurion (Grèce) : techniques minières et stratégies d’exploitation, p. 9 

Salvador Rovira, Francisco Burillo Mozota, Raúl López, Javier Ibáñez, Metalurgia y explotación de recursos minerales en el entorno de la ciudad-estado celtibérica de Segeda I (Mara, Zaragoza), p. 27

Jean-Marc Fabre, Clemente Polo Cutando, Christian Rico, Carolina Villagordo Ros, Minería y siderurgia antigua en Sierra Menera (Teruel-Guadalajara). Nuevos avances de la explotación del hierro en época antigua (siglos II a. C. - II d. C.), p. 43

Juan Antonio Antolinos Marín, Centros de producción y administración en el territorio minero de Carthago Nova: a propósito de los hallazgos documentados en El Gorguel (sierra de Cartagena), p. 63

Claude Domergue, Piero Quarati, Antonio Nesta, Pier Renato Trincherini, Retour sur les lingots de plomb de Comacchio (Ferrara, Italie) en passant par l’archéométrie et l’épigraphie, p. 81

Luis María Gutiérrez Soler, Arqueología del paisaje minero en el sector oriental de Sierra Morena, p. 105

Mar Zarzalejos Prieto, Carmen Fernández Ochoa, Germán Esteban Borrajo, Patricia Hevia Gómez, El paisaje minero antiguo de la comarca de Almadén (Ciudad Real): nuevas aportaciones sobre el territorium de Sisapo, p. 129

Thomas G. Schattner, Gobain Ovejero Zappino, Juan Aurelio Pérez Macías, Minería y metalurgia antiguas en Munigua. Estado de la cuestión, p. 151

Mark Hunt Ortiz, Análisis de isótopos de plomo. Aplicaciones en la investigación arqueológica de la minería prehistórica e histórica del sudoeste hispano, p. 169

María José Bernárdez Gómez, Juan Carlos Guisado di Monti, El distrito minero romano de lapis specularis de Castilla - La Mancha, p. 183

María Mercedes Urteaga Artigas, La minería romana en Gipuzkoa y el distrito de Oiasso (Irún), p. 201

Béatrice Cauuet, Calin Gabriel Tamas, Les travaux miniers antiques de Rosia Montana; (Roumanie). Apports croisés entre archéologie et géologie, p. 219

II. MARCOS JURÍDICOS Y ADMINISTRATIVOS DE LA EXPLOTACIÓN MINERA ANTIGUA

Antonio Mateo Sanz, Nuevas reflexiones sobre el régimen jurídico minero romano, p. 245

Inés Sastre Prats, Las zonas mineras auríferas en el sistema provincial altoimperial: el caso del Noroeste Hispano, p. 255

Francisco Javier Sánchez Palencia, Almudena Orejas, Alcance e impacto de la minería en la economía provincial hispanorromana, p. 261

Bibliografía p. 273