Muzio, Francesca (a cura di) : Un trattato universale dei colori. Il ms. 2861 della Biblioteca Universitaria di Bologna. XXIV-300 p., ISBN-13: 978-8822260840, € 32.00
(Olschki, Firenze 2012)
 
Reviewed by Emanuela Vai
 
Number of words : 1285 words
Published online 2012-12-10
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1689
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          La curatrice del volume, Francesca Muzio, laureata in Codicologia presso la Scuola Speciale Archivisti e Bibliotecari dell’Università "La Sapienza" di Roma, già assistente presso la Sovrintendenza Archeologica dell’Umbria e dei Beni Artistici e Storici di Roma, oltre ad aver curato la realizzazione delle Cuciture e dei Capitelli per la mostra "Legature Bizantine Vaticane - Storia dei materiali e delle Tecniche di manifattura" e aver altresì allestito la sezione dedicata ai Libri nella mostra "L’idea del Bello - Viaggio per Roma nel  seicento", ha voluto raccogliere in questo testo trecentonovantatre ricette tratte da un manoscritto anonimo, redatte in latino e in volgare, relative alla preparazione dei colori.

 

          Attraverso la disciplina della codicologia,  o ’archeologia del libro’ , la curatrice si è proposta di  indagare e descrivere il manuale in sé, rintracciando e ponendo in relazione tra loro elementi paleografici e di manifattura che rilevano il contesto storico, culturale e sociale dell’epoca, giungendo inoltre a segnalare uno stretto rapporto tra il documento in oggetto e le botteghe di rinomati ceramisti pesaresi del  XV secolo.

 

          Le prime notizie del manoscritto 2861, conosciuto come "manoscritto bolognese", così come denominato da M.P. Merriefield [1], risalgono alla sua conservazione nella Biblioteca dei Canonici Regolari del S. Salvatore di Bologna. Donato all’ istituzione prima del 1758 da Padre Giovanni Crisostomo Trombelli, che lo aveva probabilmente rintracciato in una biblioteca degli Agostiniani, ordine religioso al quale egli stesso apparteneva, venne consultato da un appassionato studioso della maiolica pesarese, Giovambattista Passeri, che  ne curò successivamente in Venezia la pubblicazione relativa agli smalti per ceramiche nel suo "Istoria delle Maioliche fatte in Pesaro e ne’ paesi circonvicini" [2].  Esiste tuttavia una seconda annotazione di possesso dello stesso manoscritto da parte di un certo Giovani Battista Nozzi, forse in relazione con il Trombelli; ma ciò che è particolarmente interessante notare è la presenza di una numerazione, attinente  alle carte, più antica e stilisticamente differente che, secondo Guerrini e Ricci [3], può riferirsi alla stessa mano che vergò il codice. Ciò documenterebbe, secondo la curatrice, una dissimile successione originaria dei fascicoli e degli argomenti, soprattutto perché l’indice delle ricette, non completo, non riporterebbe invece la successione attuale.

 

          Come  evidenzia  la curatrice, l’autore o il compilatore distingue in otto capitoli i procedimenti per la preparazione dei colori: azzurri naturali, azzurri artificiali, azzurri derivanti dai succhi d’erbe, verdi di rame e verdi da succhi d’erbe, lacche con i verzini, i dorati, i cinabri con le mescole e le tempere dei colori, le tinture delle pelli e dei tessuti, smalti per ceramiche secondo gli accorgimenti  di Iacopo da Toledo.

 

          L’ultimo capitolo, l’ottavo, relativo alla tintura delle pelli e dei tessuti in seta, si distingue nettamente dai precedenti non solo per l’argomento che non affronta le usuali tecniche pittoriche ma particolarmente nella misura in cui si evidenzia in esso il riproporsi di misure di peso e di capacità tipiche del meridione.

 

          Anche il precedente capitolo oltre ad includere il maggior numero di prescrizioni per la preparazione del colori, il loro utilizzo per la  pittura e le diverse mescole da approntare, comprende ricette che riguardano i mosaici e gli smalti per la manifattura, nonché indicazioni e procedimenti per la realizzazione di sostanze diverse per la decorazione dei vasi.In particolare vengono esaltati il bianco, il verde, l’azzurro e il giallo, tipici dei primi decenni del quattrocento e relativi alla ceramica delle aree toscana e pesarese. Alcune di queste ricette paiono piuttosto antiche per l’uso di termini che sembrerebbero risalire al XIII secolo.

 

          Nel manoscritto infatti non solo si trovano termini anteriori al XV e al XIV secolo ma il testo rivela altresì la presenza del lessico tipico dell’Italia centrale: toscano, marchigiano, umbro, abruzzese,  anche se si riscontrano talune espressioni e termini veneti. Nel manoscritto inoltre ricorrono soventemente nomi geografici che denotano l’area senese, come la Val d’Arno, la Mersa e la Civitella, che fungono da confine alle colline metallifere del monte Amiata. Tuttavia la maggior parte dei termini in uso nel ricettario sono senza dubbio di origine umbra e marchigiana. Inoltre il riferimento a monete come il ducato, il bolognino, l’anconetano, benché battute in periodi diversi, evidenziano l’area dello Stato della Chiesa e del Ducato di Urbino, suggerendo l’ipotesi che coloro che usufruivano di tali tecniche fossero per lo più mercanti e artigiani del versante adriatico. D’altra parte la denominazione di misure di peso napoletane come il rotolo e di capacità come il terzarulo farebbero invece  pensare  ad una raccolta di elenchi di ricette di diversa provenienza. La curatrice del libro ci rende edotti sul valore del ducato d’oro, ricavato dal confronto dei prezzi relativi ai lapislazzuli sia grezzi che raffinati, che compare nel primo capitolo insieme con una ricetta per il rosso cardinale: tale riferimento farebbe supporre che la compilazione del manoscritto possa essere identificata tra il 1440 e il 1490 circa.

 

          E’ interessante notare come, nei primi capitoli relativi alle ricette sui colori, vi sia un’ampia descrizione soprattutto degli azzurri; più dettagliatamente si può constatare come l’autore del ricettario dedichi ben quattro degli otto capitoli alla trattazione dell’azzurro nelle sue diverse specificità. Inoltre è necessario rilevare che, per indicare la distinzione tra un tema generale ed altre prospettive e punti di vista - come dimostra l’abbandono della trattazione degli azzurri e l’avvio dell’analisi di altre prescrizioni -  egli utilizzi il termine giuridico distinctio - l’approfondimento di un discorso generale da altri punti di vista: ciò manifesterebbe apertamente, come sostiene la curatrice del libro, che l’autore o compilatore potrebbe rivelarsi non soltanto un pittore di tele, affreschi e miniature ma anche e soprattutto un pittore di vetri e di maioliche, queste appunto caratterizzate costantemente  dall’utilizzo del colore azzurro in svariate tonalità.

Dal testo del Passeri citato nel volume dalla curatrice, la pittura su ceramica, vetri e  maioliche, riprese vigore nelle terre del  Pesarese proprio nei primi decenni del quattrocento con l’arrivo degli Sforza che diedero grande impulso e sviluppo alle manifatture di quel territorio, arrivando al punto di massima  esaltazione sotto la signoria di Guidobaldo II.    

 

          La stretta relazione tra il manoscritto 2861 e gli artigiani maiolicari del pesarese è dimostrata inoltre da un atto di vendita di una porzione di terra a due frati spagnoli dell’ordine dei Girolimini, congregazione del Beato Gambacorta di Pisa, città che nel XII secolo aveva sviluppato un fiorente commercio con Majorca, esportatrice di maioliche eccellenti. Giovanni Berengario da Valenza e Pietro di Gualcerano Barbarani da Barcellona avrebbero potuto certamente portare dalla Spagna esempi di lavorazione di maioliche e conseguentemente istruire i boccalari locali. A favore di questa ipotesi la curatrice del libro ricorda che, a seguito degli scavi effettuati nell’area del Palazzo Bonamini , costruito tra 1539 e il 1542 proprio sull’area adiacente al terreno acquistato dai due frati, dove sorgevano le botteghe di maiolicari, affiorarono migliaia di reperti ceramici "a foglia gotica pesarese", molti dei quali "a lustro", derivanti direttamente da quelle spagnole. 

 

          Il valore del volume di Francesca Muzio non risiede esclusivamente nell’elaborazione dei contenuti e del commento fisico-chimico, storiografico e lessicale, ma anche nella comprensione dell’ambiente culturale e sociale in cui il manoscritto si è andato dispiegando, ponendo in luce sia i caratteri socio-economici di un’epoca sia il valore umano e spirituale della ricerca stessa.

 

[1] M.P.Merrifield, Original Treatises dating from XIIth to XVIIIth centuries in art of painting, in oil, miniature, mosaic and glass; on gilding dying and preparation of colours and artificial gems, London, John Murray, 1849.

[2] G.B.Passeri, Istoria delle Maioliche fatte in Pesaro e ne’ paesi circonvicini, Pesaro, Della Stamperia Nobiliana, 1838.

[3] O.Guerrini, C.Ricci, Il libro dei colori - segreti del secolo XV, Bologna, Forni, 1969, ristampa fotomeccanica sulla edizione di G.Romagnoli, Bologna, 1887.