Momigliano, Nicoletta : Bronze age Carian Iasos. Structures and finds from the area of the Roman agora (ca. 3000-1500 bC), pp. XVI-226 di testo 168 Tavole b/n fuori testo VIII Tavole a colori fuori testo, Archaeologica 166, Missione Archeologica di Iasos 4, ISBN: 978-88-7689-267-7, Prezzo: Euro 100,00
(Giorgio Bretschneider Editore, Roma 2012)
 
Recensione di Nicola Cucuzza, Università degli studi di Genova
 
Numero di parole: 1864 parole
Pubblicato on line il 2012-10-29
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1726
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          La conoscenza dell’Età del Bronzo nell’Egeo dipende largamente dalle indagini archeologiche condotte in siti della penisola balcanica o delle isole. Di gran lunga meno noti sono ancora gli insediamenti lunga la costa della penisola anatolica, con alcune notevoli eccezioni quali ad esempio Troia e Mileto. Questa lacuna nel nostro quadro di conoscenze va progressivamente colmandosi, grazie a ricerche intraprese in località fino a questo momento inesplorate o grazie a nuove indagini condotte in quei siti già da tempo noti. È in questo filone di ricerca che si inquadra l’opera di N. Momigliano, che prende in analisi l’occupazione dell’Età del Bronzo del sito di Iasos in Caria.

 

          Il volume si apre con alcune pagine di prefazione (che includono una breve presentazione di F. Berti e M. Spanu) che inquadrano il progetto di studio BACI (acronimo di Bronze Age Carian Iasos) nell’ambito delle ricerche condotte nella località anatolica. Segue un primo capitolo di introduzione (pp. 1-19) comprendente un inquadramento geografico del sito ed una storia degli studi: dopo una trattazione delle fonti letterarie antiche e dei viaggiatori che visitarono Iasos fra il Seicento e gli inizi del Novecento, vengono infatti riepilogate le ricerche archeologiche condotte a Iasos, avviate da D. Levi nel 1960 dopo un sopralluogo condotto nel 1955. N. Momigliano mette convincentemente in luce come sulla scelta di avviare delle indagini nel sito giocarono un ruolo rilevante le valutazioni espresse da Alessandro Della Seta in seguito ad una visita (alla quale lo stesso Levi prese parte) effettuata a Iasos nel 1921-1922, nell’ambito delle esplorazioni archeologiche avviate in quel periodo in Turchia dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene. Sono quindi riepilogate le scoperte relative alle fasi preistoriche attestate nel sito, mettendo in luce le acquisizioni nelle diverse campagne di scavo;  tale trattazione è necessaria, dato che, come viene spiegato, lo stato della documentazione di scavo disponibile presenta purtroppo delle lacune (in particolare dal 1977 al 1984). Questa circostanza ed il fatto che la metodologia di scavo seguita nel corso delle esplorazioni non era particolarmente aggiornata costituiscono infatti delle difficoltà oggettive per una adeguata interpretazione dei rinvenimenti. Viene quindi sintetizzata l’opera del progetto BACI (1998-2004), che si è concentrato sulla frequentazione del sito durante l’Età del Bronzo limitatamente all’area della Agorà romana, messa in luce dagli scavi condotti da D. Levi e C. Laviosa tra il 1960 ed il 1984: l’opera si focalizza fino al periodo coincidente con il neopalaziale minoico, mentre la fase "micenea" verrà trattata in un differente volume da M. Benzi.

 

          Il secondo capitolo (pp. 21-39, con un contributo di P. Belli) presenta la descrizione dei resti delle strutture portate alla luce dagli scavi e la seriazione delle fasi cronologiche individuate, che coprono il periodo dal Calcolitico/Antica Età del Bronzo fino al XII secolo a.C. Alcune tombe dell’Antica Età del Bronzo sembrano coeve a quelle della necropoli presso l’istmo, già edita da P.E. Pecorella: non è tuttavia possibile al momento comprendere se esse siano relative allo stesso abitato o ad un differente insediamento. Le strutture meglio documentate sono però quelle delle fasi contemporanee al periodo neopalaziale minoico (la tab. 1 di p. 46 mette utilmente in correlazione le diverse cronologie relative di Creta, Grecia continentale, Dodecanneso ed Anatolia): sono distinti i resti di cinque edifici ed un paio di altri muri al momento isolati. La presenza di risistemazioni interne indica che le strutture esaminate ebbero una occupazione abbastanza prolungata, anche se la penuria di dati non permette di quantificare questo lasso temporale. Non sempre è infatti possibile associare alle strutture architettoniche dei rinvenimenti ceramici: il paziente studio condotto dall’équipe del BACI, integrando le osservazioni desunte dalla documentazione di scavo con quelle ricavabile dalla diretta analisi dei resti ancora in situ, ha tuttavia permesso di acquisire dei dati di indubbio interesse. Uno strato di tephra relativo all’eruzione di Santorini che distrusse l’insediamento di Akrotiri è un importante punto di riferimento cronologico e stratigrafico. Esso infatti è stato identificato al di sotto del Building B che, per ragioni stratigrafiche, è più recente del Building F, cui sono probabilmente contemporanei i Building A e G. I materiali relativi all’abbandono del Building F (che presenta una successione di tre pavimentazioni, la cui cronologia viene precisata rispetto a quella fornita dai primi scavatori) sono coevi al Tardo Minoico IA, mentre non è possibile essere certi se i reperti associabili all’abbandono del Building B (il lavoro di rivisitazione dei dati di scavo condotto dal team BACI è stato in questo caso meno fortunato) coincidano cronologicamente con il Tardo Minoico IA o – come sembra più probabile – IB: in ogni caso la distruzione di questo edificio fu causata da un incendio. La collocazione del Building E all’interno di questa sequenza rimane al momento problematica (p. 39). Pur con la dovuta cautela, N. Momigliano nota come il Building F presenti delle caratteristiche comuni all’architettura minoica, quali in particolare l’uso di conci in pietra squadrata dalla caratteristica forma a cuneo.

 

          Nel terzo capitolo (pp. 41-151, con contributi di C.J. Knappett, J. Hilditch, M. Power, D. Pirrie, M. Bichler e J.H. Sterba) sono presentati i rinvenimenti; nel catalogo la descrizione dei singoli pezzi – in netta prevalenza ceramici  – è ridotta all’essenziale, dato che per ciascuno di essi si presentano disegno e (sebbene "not very photogenic", p. 42) fotografia. La parte principale è costituita dallo studio della ceramica della Media e della Tarda età del Bronzo, con una particolare attenzione alle fabbriche ed alle tecnologie (pp. 58-106). Sulla base delle analisi (condotte con il sistema di elaborazione mineralogica QUEMSCAN che integra analisi petrografiche e SEM-EDS) alle quali sono stati sottoposti 103 campioni vengono distinti sette gruppi, ciascuno dei quali con sottogruppi: tre di questi sono ascrivibili a produzioni locali, dato che la loro composizione trova un riscontro nella conformazione geologica del territorio; gli altri quattro gruppi sono invece interpretati come possibili importazioni da aree esterne, identificabili con altre regioni della costa anatolica, Cos, Rodi, Creta. La riproduzione delle carte geologiche delle aree menzionate (pp. 83, 89 e 100; pl. II) e quella delle sezioni sottili (anche tramite QEMSCAN, pl. III-VIII) aiutano il lettore ad orientarsi meglio nella discussione sulle caratteristiche delle fabbriche ceramiche distinte. Gli altri rinvenimenti, poco numerosi, sono essenzialmente pesi da telaio e fuseruole in ceramica, un paio di frammenti con potter’s marks (in due casi ritenuti segni della lineare A), lame di ossidiana (la provenienza di un esemplare analizzato è melia, pp. 108-112) e strumenti in pietra. Fra i materiali litici viene segnalato un vaso frammentario, forse non finito, la cui forma è minoica. Questo rinvenimento potrebbe fare ipotizzare una fabbricazione locale di vasi in pietra; la difficoltà nel distinguere, in assenza di specifiche analisi, il rosso antico della Laconia dal marmo rosso della Caria (p. 107) rende tale ipotesi particolarmente seducente e potenzialmente molto interessante, dato che alcuni dei vasi in pietra noti nell’Egeo potrebbero essere stati prodotti in questa regione.

 

          Nel quarto capitolo (pp. 153-170) si riassumono i dati ricavati dall’indagine e si avanzano alcune considerazioni conclusive sul ruolo di Iasos nel contesto dell’Età del Bronzo egea. Anche se l’insediamento mostra delle tracce di occupazione che risalgono almeno all’Antica Età del Bronzo, la fase meglio documentata è quella coeva al periodo neopalaziale minoico, quando l’estensione dell’abitato può stimarsi in un’area compresa tra 6,5 e 12 ha. L’evidenza disponibile indica il particolare rilievo del Building F, che si differenzia dalle altre strutture sia per le dimensioni che per le tecniche costruttive, analoghe a quelle della contemporanea architettura minoica. Il tema principale affrontato in queste pagine conclusive è quello della "minoicizzazione" dell’insediamento: N. Momigliano osserva come solo una migliore conoscenza archeologica dell’area nel periodo in questione permetterebbe di apprezzare meglio le interrelazioni esistenti fra costa anatolica e Creta: il richiamo (p. 159) all’evidenza del forno per la cottura della ceramica portato alla luce a Mileto (di tipo "minoico", ma più antico degli esemplari minoici noti ed usato per la produzione di ceramica locale) è quanto mai opportuno. L’evidenza offerta dalla cultura materiale – innanzi tutto la ceramica – indica un’influenza culturale minoica, che però, piuttosto che con una sorta di controllo diretto, può essere spiegata nell’ambito del modello interpretativo degli small-world networks (pp. 164-170), ossia grazie alla mediazione offerta dai diversi insediamenti egei (Rodi, Cos, le Cicladi, Mileto) con i quali, alla luce dei dati emersi dallo studio della ceramica, Iasos era in contatto. Queste considerazioni da una parte confermano la notevole importanza in ambito macro-regionale di Cnosso in questo periodo (p. 167), dall’altro permettono di inquadrare meglio il ruolo dell’insediamento di Iasos, defilato –in accordo con la sua ubicazione geografica- rispetto a quelle che dovettero essere le rotte Nord-Sud dell’Egeo (il cosiddetto eastern string), in cui i siti di Mileto e del Serraglio di Cos erano certamente centri di primo piano.

 

          Chiudono la trattazione la necessaria tabella di raccordo fra i numeri di catalogo, l’inventario della missione di Iasos e quelli dei musei di Izmir e di Milas (un ordinamento secondo il numero di inventario di Iasos – che comprende il maggior numero dei reperti esaminati – piuttosto che la riproposizione del medesimo ordine del catalogo sarebbe stato forse preferibile), una vasta ed aggiornata bibliografia ed un indice (curato da S. Vaughan).

 

          Anche se alcuni dei dati presentati (ad esempio la scoperta della tephra di Santorini) erano stati già resi noti in forma preliminare, il volume si segnala per la ricchezza di informazioni che il team guidato da N. Momigliano ha saputo trarre da uno scavo condotto così tanto tempo fa e la cui documentazione è andata in parte perduta. Se l’esplorazione avviata negli anni Sessanta era stata motivata dal desiderio di indagare la realtà archeologica della talassocrazia minoica, in quello che N. Momigliano giustamente definisce (pp. 14-15) un argomento circolare (l’interpretazione dei dati archeologici confermava la lettura delle fonti storiche, che però influenzavano pesantemente l’interpretazione stessa), lo studio permette di porre in una maniera più corretta il tema della "minoicizzazione" di Iasos, precisandone anzitutto meglio i limiti cronologici, da riferire solo al neopalaziale e non anche al protopalaziale. L’evidenza di Iasos, sommata a quella relativa alle indagini condotte a Mileto, aumenta infatti sensibilmente la nostra conoscenza archeologica del periodo della costa anatolica e permette senza dubbio di formulare in modo diverso anche rispetto ad un decennio fa il problema delle interrelazioni fra le diverse regioni dell’Egeo nel periodo corrispondente al neopalaziale minoico. Lo studio della ceramica, che costituisce la parte principale dell’opera, offre un interessante spaccato sulla circolazione dei manufatti e delle influenze culturali nel periodo e permette di definire le caratteristiche delle produzioni locali, fino a questo momento decisamente neglette. Il fatto che i reperti ceramici oggi conservati (talvolta privi di indicazioni di provenienza) non sono stati rinvenuti in uno scavo stratigrafico è un valido motivo per spiegare l’assenza di una trattazione sistematica sulle forme (pp. 42-43): forse sarebbe stato comunque interessante inserire almeno qualche tabella che riassumesse attestazione e distribuzione delle forme ceramiche documentate, anche in considerazione del fatto che, come asserito, i materiali preistorici trovati non furono oggetto di uno scarto in occasione dello scavo. Sono quindi decisamente limitati gli elementi utili a chiarire quale genere di attività fosse svolto in questa zona dell’insediamento, oltre alla lavorazione della lana, desumibile dal rinvenimento di pesi e fuseruole, particolarmente numerosi nel Building F.

 

          Le molte illustrazioni presentate aiutano il lettore nella descrizione dello scavo e nell’analisi dei reperti. Purtroppo, anche se giustificata (p. XV), si rileva invece l’assenza di un più approfondito studio dei resti architettonici: un paio di piante schematiche per fase (livello pre-tephra e post-tephra) sarebbero state certamente utili a comprendere meglio l’organizzazione dell’insediamento.

 

          Malgrado i piccoli rilievi espressi in questa sede, il libro di Nicoletta Momigliano accresce in modo significativo la conoscenza su un sito della costa anatolica di grande interesse per un periodo cruciale nella Età del Bronzo egea, quale quello segnato dalla eruzione del vulcano di Santorini; l’opera, di agevole e piana lettura, rappresenta un prezioso punto di riferimento che contribuisce a colmare una lacuna negli studi. Nell’attesa del volume sui rinvenimenti delle fasi più recenti della Tarda Età del Bronzo, è da augurarsi che successivi interventi di scavo, confortati da più moderne metodologie di intervento rispetto a quelle impiegate nelle precedenti esplorazioni, possano presto permettere di precisare meglio i contorni della Bronze Age Carian Iasos.