Jufresa, Montserrat - Reig, Montserrat (eds): Ta zôia. L’espai a Grècia II: els animals i l’espai. (Documenta ; 20), 140 p., il·l., Textos en castellà, francès, anglès, italià i resums en anglès, ISBN: 978-84-939033-3-6, 27€
(Institut Català d’Arqueologia Clàssica, Tarragona 2011)
 
Recensione di Flavia Cecchi
 
Numero di parole: 1682 parole
Pubblicato on line il 2013-06-26
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1735
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         Il volume raccoglie gli interventi esposti nell’omonimo Convegno Internazionale organizzato nel dicembre 2009, secondo di tre momenti facenti capo al progetto interdisciplinare L’espai tal com el veien i el pensaven els grecs, finanziato dall’IEC (Institut d’Estudis Catalans) per il triennio 2008-2010. Come illustrato da Montserrat Jufresa Muñoz e Isabel Rodà de Lianza nella presentazione del volume frutto del primo Convegno (Topos-Chôra. L’espai a Grècia I: perspectives interdisciplinàries Tarragona 2010, p. 7), realizzato nel 2008, il gruppo di ricerca, nato nel 2007 per opera dei membri della Societat Catalana d’Estudis Clàssics e di quelli dell’Institut Català d’Arqeologia Clàssica, ha portato avanti con approccio multidisciplinare uno studio sulla concezione greca della dimensione spazio. Il progetto si è concluso nel 2010 con il terzo incontro, dal titolo Cel i Terra: anomenar l’espai a Grècia.

 

          I contributi del presente volume sono incentrati sugli animali, intesi quali compagni di spazio dell’uomo. Nell’introduzione (pp. 11-12) Montserrat Jufresa e Montserrat Reig si premurano di ricordare come obbiettivo del Convegno non sia stato certo quello di esaurire l’argomento, quanto piuttosto quello di mostrare le molteplici possibilità di studio offerte da questa tematica.

 

         Giovanni Manetti (pp. 13-20) individua in Aristotele il primo dei filosofi cosiddetti “continuisti”, cioè che considerano solo quantitativa la differenza tra lo spazio cognitivo/comunicativo umano e quello animale: per lo Stagirita il continuismo uomo-animale si sviluppa secondo la dimensione naturale, per la conformazione fisica delle espressioni vocali, ma non per quanto riguarda la dimensione culturale, ossia l’intreccio tra linguaggio e pensiero. Le aree concettuali sulla cui base viene istituito il paragone tra il linguaggio umano e quello animale (semanticità, capacità di associare alla voce una rappresentazione mentale, articolazione) si distinguono unicamente per grado e solo l’uomo risulta possedere il perfetto compimento della funzione della lingua. In conclusione, Manetti propone un confronto con la ricezione delle categorie aristoteliche nella grammatica e nella filosofia: in Prisciano l’articolazione coesiste con la semanticità ed è considerata presupposto della comprensibilità; in Ammonio sussistono le due dicotomie voce semantica/ asemantica e trascrivibile/non trascrivibile, mentre l’uso del concetto di articolazione appare legato non alla semanticità ma alla trascrivibilità.

 

          Carlos García Gual (pp. 21-27) analizza l’impiego di animali come termine di paragone per tipi umani. A parte il giambo sulle donne di Semonide di Amorgo, la metafora animale si sviluppa particolarmente nella favolistica, che secondo una convenzione di genere non mira a descrivere il mondo animale, ma a umanizzarlo dotandolo di ragione e parola, offrendo con espediente parodico una lezione morale all’uomo. Se la storia dell’usignolo e dello sparviero di Esiodo vuole essere un monito a non comportarsi come gli animali, in Esopo invece la società umana è esattamente come quella ferina: una società conflittuale, pragmatica e feroce, senza giustizia o compassione, dove si assiste al trionfo della violenza e dell’inganno. Dopo un riepilogo dei principali caratteri animali, García Gual definisce l’ideologia della favola greca come fortemente conservatrice.

 

          Xavier Riu (pp. 29-37) contesta l’interpretazione dei cori animali su vasi come rappresentazioni di un tipo di performance comica, sulla base di uno studio del ruolo degli animali nelle commedie di Aristofane. I testi che in base al titolo potrebbero aver presentato un coro animale sono i Cavalieri, in cui i coreuti potevano essere a cavallo, visto che questi animali sono nominati spesso nel testo, le Vespe, dove però gli insetti non sarebbero reali, ma indicherebbero metaforicamente i vecchi Ateniesi, gli Uccelli, in cui il coro è composto da volatili umanizzati, e le Rane, in cui queste costituiscono però un coro secondario. Per quanto riguarda i Cavalieri, inoltre, un attento studio lessicale, che evidenzia la presenza di continui doppi sensi osceni con riferimento ai cavalli, mostra come in realtà tali animali non siano mai menzionati come presenza fisica reale.

 

          Julien Averty (pp. 39-47) considera la separazione natura/cultura negli Sciti descritti da Erodoto, popoli che essendo nomadi e cacciatori sono collocati ai margini tra animalità e umanità. La descrizione erodotea della loro religione e delle loro usanze presenta apparenti paralleli con i culti greci, ma alcune pratiche guerriere si mostrano assai lontane dall’etica eroica. Averty riflette inoltre sulle modalità scite della sepoltura dei sovrani presso i confini settentrionali, in uno spazio indifferenziato, senza punti fissi di riferimento.

 

         Montserrat Reig (pp. 49-56) analizza il ruolo polisemantico della zootoponimia nei miti di fondazione, per cui il toponimo di origine pregreca subisce una risemantizzazione in epoca greca. Reig si concentra in particolare sul rapporto tra testo letterario, mito e realia di alcuni zootoponimi desunti da fonti periegetiche, stabilendo tipologie generali di animali suscettibili della creazione di toponimi. Da queste tipologie ricorrenti si ricavano alcune conclusioni: per lo più le caratteristiche positive dell’animale vengono trasferite al gruppo umano o all’eroe fondatore; il toponimo non è applicato all’intera città, ma a una sua parte; infine, esso appartiene a una fase iniziale e preumana, in cui lo spazio non è ancora abitato dall’uomo, assumendo un carattere prefondativo e iniziatico.

 

         Pedro Azara (pp. 57-62) conduce un’indagine sulle relazioni tra Apollo, il suo santuario e i delfini, dopo aver evidenziato il dominio apollineo dello spazio, sancito dalle capacità architettonico-urbanistiche del dio, in particolare per i centri di Delos e Delfi. Se la forma arcuata degli animali ricorderebbe l’arco, arma del dio, il loro ruolo come guida per i marinai nel mito della colonizzazione greca richiamerebbe quello della divinità preposta ai riti di transizione e passaggio, oltre che all’assegnazione di lotti di terra agli uomini. Inoltre, la costellazione del delfino svolgeva per i Greci un ruolo di guida anche dall’alto, comunicando l’inizio dei viaggi a Delfi, indicando il periodo in cui l’oracolo iniziava a funzionare e segnalandone l’apertura e la chiusura con la sua apparizione e sparizione.

 

         Arnaud Zucker (pp. 63-71) va alla ricerca del legame tra zoologia, mitologia e astronomia insito nella figura dell’orso. L’invenzione del nome di Orsa per la costellazione dell’UMa è ascrivibile sia alla tradizione greca che a quella indiana. Da un punto di vista zoologico, i trattati scientifici antichi  sottolineano la natura nordica di tale animale, associato all’inverno per il letargo; la tradizione mitologica identifica la costellazione con la ninfa Callisto, mutata in orsa da Zeus, legata alla dea della luna e connessa in Arcadia al culto delle figlie orse. Dall’analisi delle caratteristiche zoologiche, mitologiche e siderali emerge però l’assenza di un chiaro programma di mitologia stellare per l’UMa, nonostante l’esistenza del genere del catasterisma nella Letteratura greca.

 

         François Quantin (pp. 73-84) considera il ruolo degli animali nella creazione dello spazio e il loro rapporto con la divinità nell’ambito dei culti epiroti, fornendo alcuni esempi. Dopo aver riscontrato la  testimonianza di sacrifici a Zeus Areios non a scopo alimentare presso i Molossi, nel santuario di Passaron, Quantin evidenzia la funzione del motivo iconografico dei tori sulle monete molosse ed epirote successive al 330, la cui rappresentazione troverebbe la sua ragione di essere in un contesto preciso. La presenza reale e mitica dei colombi a Dodona si integrerebbe con il calendario del santuario, mentre i cani molossi difensori dei greggi richiamerebbero il ruolo di Cerbero nel loro compito di agli animali di lasciare il gruppo.

 

         Francisca Chavez Tristán (pp. 85-103) tratta la presenza di animali nell’iconografia monetaria dalle origini al periodo ellenistico, che risulta il tipo figurativo più ricorrente dopo quello degli dèi. Individuato uno schema generico di classi di animali, forme di rappresentazione, diversità di attitudini e funzioni, Chavez Tristán considera in particolare le monete di Atene, caratterizzate dall’effige della civetta, di Corinto, in cui Pegaso è coprotagonista di Bellerofonte, e di Siracusa, dove si riscontra l’immagine di delfini, presenti anche nel mito di fondazione della città. Se la tipologia monetaria che vede l’affiancamento dell’immagine animale a quella dell’eroe o del dio di cui esso è simbolo non è rara in epoca arcaica e classica, nel periodo ellenistico essa  è sostituita da quella dei sovrani, allegoria del trionfo del logos come strumento di potere.

 

        Margarita Moreno Conde (pp. 105-120) affronta il tema della metamorfosi in animale nel mito e nell’iconografia greci. Dall’analisi di alcuni esempi emerge che mentre la metamorfosi divina è sempre finalizzata al raggiungimento di uno scopo, solitamente erotico, e risulta transitoria, quella umana appare come un castigo ed è definitiva, configurandosi come un’irreversibile perdita della propria umanità. Si citano in particolare i casi di Europa, Leda e Teti, tra gli dèi, Aracne, Procne, Filomela, Atteone, Callisto, Io, Titono e i compagni di Odisseo, tra gli uomini.

 

         Lydia Trakatelli (pp. 121-135) considera infine le rappresentazioni animali come motivo iconografico vascolare: tale tipologia decorativa risulta impiegata o come attributo del vaso, o in connessione all’impiego di questo, oppure ancora a puro scopo ornamentale. In epoca arcaica e classica si riscontra la presenza di tutte e tre le categorie: nel ruolo di attributo la presenza dell’animale aiuta a decifrare la scena rappresentata sul vaso, come nel caso della relazione tra Afrodite e le colombe, mentre la presenza di delfini, animali legati a Dioniso, su contenitori per il vino allude evidentemente all’impiego di questi ultimi. Durante il periodo ellenistico, invece, si assiste a una riduzione dei temi decorativi e dello spazio stesso di decorazione.

 

 

Indice:

 

Presentació, p. 9.

Introducció, p. 11.

G. Manetti,  Semanticità, articolazione, ascrivibilità: gli spazi di confine tra l’uomo e l’animale nella Grecia antica, p. 13.

C. García Gual, Los animales de la fábula, p. 21.

X. Riu, Animal Choruses in Comedy, p. 29.

J. Averty, Les Scythes d’Hérodote. Des passeurs de frontière entre nature et culture, p. 39.

M. Reig, La fonction des animaux dans les toponymes grecs: quelcues exemples, p. 49.

P. Azara, El delfín, señalando el camino, de Delos a Delfos, p. 57.

A. Zucker, Pourquoi l’ourse tourne-t-elle au pôle? p. 63.

F. Quantin, Animaux et imaginaire en Grèce nord-occidentale, p. 73.

F. Chaves, Imágenes de animales en la moneda griega o el triunfo animal, p. 85.

M. Moreno, La naturaleza alterada. Imágenes de la metamorfosis animal en la antigua Grecia, p. 105.

L. Trakatelli, Representations of Animals in Hellenistic Times: Some Examples from Pottery, p. 121.

Abstracts in English, p. 137.