Golvin, Jean-Claude: Le stade et le cirque antiques. Sport et courses de chevaux dans le monde gréco-romain. 160 pages, ISBN-13: 978-2953397376, 28 €
(Archéologie Nouvelle, Lacapelle-Marival 2012)
 
Reviewed by Filippo Canali De Rossi
 
Number of words : 1295 words
Published online 2014-02-25
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1823
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          Il libro di J.-C. Golvin è il secondo di una serie dedicata ai luoghi di spettacolo nel mondo antico. Mentre il quasi contemporaneo volume dello stesso autore (L’Amphithéâtre romain et les jeux du cirque dans le monde antique, ibid. 2012) è dedicato alle arene degli anfiteatri ed agli spettacoli gladiatorî che in essi si tenevano, questo tratta degli edifici di forma allungata destinati allo svolgimento delle corse, siano essi stadi per le corse a piedi oppure circhi ed ippodromi per le corse di cavalli sciolti o di carri trainati, oppure ancora edifici polivalenti capaci di servire all’una e all’altra funzione.

 

          Il libro è articolato in una serie di capitoli non numerati e, dopo aver trattato in generale degli edifici destinati alla pratica sportiva, inclusi i ginnasi, le terme, le palestre, e in forma sintetica dello stadio, sia negli agoni panellenici dell’ antica Grecia,(1) sia nei giochi ’alla greca’ istituiti a Roma dall’imperatore Domiziano con la costruzione dello stadio agonale di Piazza Navona, passa alla considerazione degli edifici polivalenti costruiti in Asia minore e destinati allo svolgimento di gare di corsa di uomini a piedi, quanto di carri trainati. Un edificio di questo tipo, con una pista di ben 370 metri di lunghezza si riscontra ad esempio a Laodicea al Lico, mentre non è del tutto certo che altri edifici di minore estensione, quali quelli che sono conservati a volte in maniera notevole ad Afrodisia (264 metri), Perge (234 metri), Aspendos (215 metri), Nysa (192 metri), fossero di lunghezza sufficiente per farvi svolgere anche le corse dei cavalli. Importante sarebbe acccertare in questi casi la presenza di strutture adeguate allo svolgimento delle complesse operazioni di partenza (vedi infra). In ogni caso la loro polivalenza sembra assicurata dalla possibilità, documentata dalle tracce archeologiche, di poter utilizzare la cavea della curva anche come teatro o anfiteatro (tramite una opportuna chiusura).

 

          La sezione maggiore del libro è però dedicata agli edifici circensi, specificamente destinati ad ospitare le corse dei cavalli, a Roma ed in tutto l’impero. Apparentemente manca una sezione dedicata ai luoghi di svolgimento di tali corse nel mondo greco, gli ippodromi, in quanto essi non costituivano dei veri e propri edifici, ma solamente degli impianti allestititi su spazî aperti, che conseguentemente non hanno lasciato traccia, anche se del loro funzionamento, in particolare del meccanismo legato alla laboriosa fase della partenza (hysplex), ci è pervenuta qualche testimonianza letteraria.

 

          La prima parte della trattazione dedicata ai veri e propri circhi riguarda la città di Roma. Qui sin dalla età arcaica trovavano spazio, oltre al Circo Massimo, edifici circensi poi passati in disuso quali il Trigarium ed il Circo Flaminio. A differenza dell’ippodromo greco, esclusivamente riservato alle corse dei cavalli, il circo romano venne largamente usato per altre forme di spettacolo ed in particolare per l’esibizione di bestie feroci (cosiddette venationes) nelle quali, a causa del verificarsi di alcuni incidenti, fu poi richiesta, a salvaguardia del pubblico, l’adozione di misure di sicurezza speciali.

 

          Il circo si venne ancora progressivamente caratterizzando per l’adozione di una serie di abbellimenti architettonici che si andarono concentrando nella erezione di una barriera divisoria centrale, comunemente detta spina, costituita da una serie di bacini allungati contenenti acqua (per questa caratteristica ebbe anche il nome di Euripus, come lo stretto canale che separa l’eubea dalla Grecia), ed arricchita da piccoli edifici cultuali, statue di divinità, meccanismi di misurazione dei giri di corsa effettuati (cosiddette ’uova’ e ’delfini’) e infine dall’elemento più prestigioso, l’obelisco, sul cui vertice si appuntava la dimensione simbolica della corsa, descritta da Cassiodoro come allegoria del sistema solare. La maggior parte degli obelischi di Roma ha una provenienza circense e, affianco al Circo Massimo (i cui due obelischi si ergono oggi uno a piazza del Popolo e l’altro a San Giovanni in Laterano), richiama l’esistenza di circhi minori urbani. Preminente fra questi è senz’altro il Circo Vaticano, luogo delle esibizioni private degli imperatori Caligola e Nerone e poi luogo di crocifissione dell’apostolo Pietro, nella cui piazza antistante la basilica si erge oggi il monumentale obelisco un tempo punto di riferimento degli augusti aurighi.

 

          Un capitolo dedicato allo svolgimento della gara della quadriga nel circo a è accompagnato da belle immagini tratte da mosaici o affreschi. In esse vengono in genere condensate in una sola rappresentazione tutte le fasi dello svolgimento della gara, dall’apertura dei carceres all’attraversamento della riga di lancio, dalla delicata fase del passaggio in curva all’inevitabile e spettacolare naufragium di almeno uno dei concorrenti, alla retta finale a fruste alzate, alla proclamazione del vincitore. Tali rappresentazioni forniscono anche preziosi dettagli sia sull’architettura dell’impianto (che si tratti del Circo Massimo, il quale appare anche in mosaici extraurbani, come a Luna o a Piazza Armerina, o di un circo locale, come quello raffigurato nel mosaico di Lione), sia sulla presenza di vari protagonisti minori, a piedi e a cavallo, il cui ruolo appare ancora da definire al meglio.

 

          In un capitolo successivo l’autore passa alla ricognizione dei circhi diffusi nelle varie provincie dell’impero a cominciare dalla Gallia. Va detto che Golvin è di formazione un architetto e che il suo principale contributo personale è costituito da eccellenti ricostruzioni architettoniche a volo d’uccello degli impianti. Sotto questo aspetto il libro, oltre ad essere di per sé sufficientemente valido sotto l’aspetto divulgativo, si propone anche a livello scientifico come un assai utile complemento alla monumentale opera dello Humphrey,(2) che rimane insuperata sotto l’aspetto analitico, pur dovendosi tenere conto di alcune nuove scoperte ed alcuni lavori integrativi intervenuti nel frattempo.(3)

 

          Ai circhi della Gallia (in particolare quello d’Arles e quello di Vienne, mentre del circo di Lione si sono perdute le tracce archeologiche), fa seguito la considerazione dei circhi della Spagna, fra cui vi sono quello molto ben conservato di Merida, quello di Tarragona dallo sviluppo piuttosto compatto (circa 290 metri: faceva parte di un complesso monumentale a carattere sacro e civile costruito su una terrazza), quindi dell’Africa, ove a Cartagine si trova il circo che per dimensioni più si avvicina al Circo Massimo, con una estensione di 580 metri, benché probabilmente al centro della sua spina non figurasse alcun obelisco. Ottimamente conservato è anche il circo di Leptis Magna, con una estensione di 450 metri lungo il bordo marino e con una peculiarità relativa alla sistemazione dei carceres, addossati ad un solo lato della pista.

 

          Fra i circhi sorti in Oriente si ha notizia di alcuni impianti ad Alessandria, dei quali uno potrebbe risalire ad età tolemaica, mentre a Cesarea in Palestina il re Erode il Grande fece costruire un impianto polivalente (cosiddetto stadio/circo, utilizzabile anche come teatro) dello sviluppo di 365 metri. Impianti circensi di dimensioni adeguate troviamo invece a Tiro, ad Antiochia sull’Oronte (492 metri), a Bostra (420 metri).

 

          Il libro si conclude con la considerazione di due monumenti eccezionali, per ragioni diverse: il primo è il circo di Massenzio, che sorge nelle vicinanze di Roma sulla via Appia, e che si integra in un complesso monumentale tipico dell’età tetrarchica, a cui afferiscono anche un palazzo imperiale e un mausoleo dinastico. Il secondo, appartenente alla stessa temperie, è il circo di Costantinopoli la cui fondazione iniziale risale all’imperatore Settimio Severo, ma che ricevette la sua definitiva trasformazione sotto l’imperatore Costantino e sarà destinato ad ospitare le competizioni circensi ancora per molti secoli.

 

(1) Ottimamente conservato è lo stadio di Delfi, mentre dello stadio di Olimpia possiamo almeno definire con certezza l’ubicazione.

(2) J.H. Humphrey, Roman Circuses. Arenas for Chariot Racing, London 1986.

(3) La più recente messa a punto di un certo respiro è costituita dagli atti del convegno Le cirque romain et son image, a cura di J. Nelis-Clement e J.-M. Roddaz, Ausonius, Bordeaux 2008.