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Compte rendu par Daniela Marchiandi, Università di Torino Nombre de mots : 2762 mots Publié en ligne le 2015-03-13 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1879 Lien pour commander ce livre
Il volume è la rielaborazione della tesi di dottorato discussa nel 2006 presso l’Università Autonoma di Barcellona, sotto la guida di R.-A. Santiago Álvarez, che firma la Presentazione (pp. 9-10). Il testo è redatto in catalano, anche se una traduzione in tedesco rende la prima parte dell’opera (ma non il catalogo) più facilmente accessibile anche agli studiosi che non abbiano familiarità con le lingue latine. Le Conclusioni, invece, sono utilmente tradotte in inglese (pp. 395-402).
Il nucleo portante del lavoro consiste senza dubbio nel Catalogo (pp. 141-357). Esso riunisce ben 519 iscrizioni funerarie riferibili a stranieri, greci e alloglotti, sepolti nelle necropoli di Atene e dell’Attica tra il tardo VI e la fine del IV secolo a.C. La raccolta è stata effettuata avvalendosi di tutti i repertori disponibili, a cominciare dalle Inscriptiones Graecae e dal Supplementum Epigraficum Graecum, fino al recente Συμπλήρωμα τῶν ἐπιτυμβίων μνημείων τῆς Ἀττικὴς (p. 17). Il dossier può dunque considerarsi aggiornato allo stato attuale delle conoscenze disponibili. Il corpus è organizzato seguendo criteri geografici: le iscrizioni sono divise per macroaree, a seconda della provenienza dei loro titolari, replicando esattamente la ripartizione geografica adottata nel SEG (p. 18). All’interno del Catalogo, ogni documento è oggetto di un’analisi estremamente accurata, basata, in molti casi, sull’autopsia della pietra e, talvolta, a fronte di testi particolarmente problematici, anche su un’ulteriore verifica sui calchi conservati a Berlino (p. 17; v. ex. gr. n° 228).
Ogni scheda si apre con l’esame morfologico del manufatto: la descrizione del supporto e dell’iconografia del rilievo, quando presente, è accompagnata dai dati riguardanti la provenienza della pietra e l’attuale luogo di conservazione. Segue il lemma, comprensivo di datazione e riferimenti bibliografici. L’attenzione si concentra poi sull’iscrizione, di cui si forniscono il testo in trascrizione e la traduzione, che talvolta è il frutto di una meditata interpretazione. Dei documenti che l’Autrice ha avuto modo di visionare personalmente, si allegano una o più fotografie. Si è scelto invece di non includere alcuna immagine dei segnacoli non soggetti ad autopsia. Nel commento che segue, grande spazio è riservato alle caratteristiche linguistiche e grafiche dell’iscrizione (dialetto, tipo di alfabeto). Gli epigrammi sono oggetto di un puntuale esame stilistico (lessico, influssi della lingua letteraria, metrica). Quando il documento ne offra il destro, conclude la scheda un commento di più ampio respiro, mirato alla contestualizzazione storica (rapporti tra Atene e la madrepatria del defunto) e all’inquadramento del titolare sulla base delle informazioni biografiche eventualmente desumibili dal testo (status giuridico, occupazione, legami familiari, altre attività note etc.).
Alcuni cenni sono dedicati anche al contesto originario dell’iscrizione, quando questa sia parte di un monumento funerario familiare. Questa parte del lavoro si avvale di una bibliografia il più possibile esaustiva. Si fa sempre riferimento all’editio princeps, ma anche a tutti i successivi interventi sul testo, così da pervenire ad un’edizione critica puntuale, utile tanto più nel caso di testi tormentati o frammentari. Nel contempo si rende conto di tutti gli studi dedicati al monumento, il che significa, in alcuni casi, confrontarsi con un dossier bibliografico di mole notevole. Concludono il Catalogo una serie di indici (antroponimi, etnici, parole greche selezionate) ed una tabella delle corrispondenze con i principali corpora. Il risultato complessivo è un lavoro indubbiamente di grande utilità, sia perché mette a disposizione degli studiosi una raccolta di documenti finora inesistente, sia perché è il frutto di un’analisi condotta con grande serietà e rigore scientifico. Posto il dossier documentario come solida base di ogni ulteriore ragionamento, l’Autrice si propone quindi, nella prima parte del volume, di elaborare la notevole mole di dati raccolti. Si tratta di un unico, lungo capitolo (pp. 21-139), in cui gli aspetti linguistici appaiono largamente predominanti (pp. 21-129).
Riprendendo la stessa divisione geografica utilizzata nel Catalogo, la studiosa esamina, area per area, il comportamento linguistico adottato dalle diverse comunità presenti ad Atene nell’epigrafia funeraria, sia in un’ottica diacronica, cioè nella sua evoluzione nel tempo, sia in un’ottica sincronica, cioè in confronto con i fenomeni linguistici attestati nella madrepatria. Emergono così scelte di segno opposto, che è ragionevole ritenere indicative di attitudini socio-culturali differenti. La tendenza maggioritaria sembra essere quella al progressivo adattamento, con la perdita conseguente dei tratti epicorici di partenza. Nella serie messenica, per esempio, la stele più antica conserva dialetto e alfabeto locale, mentre quelle più recenti hanno perso ogni caratterizzazione originaria; solo l’antroponimo rimane eventualmente a testimoniare l’origine straniera del defunto. Parallelamente, però, emerge anche una tendenza, se pure minoritaria, alla conservazione. Nella serie beotica, per esempio, che, con 62 iscrizioni, è in assoluto la più numerosa, si coglie nel IV secolo una netta bipartizione: a fronte di un gruppo che si mostra pienamente integrato nell’ambiente attico, un secondo gruppo mantiene invece fermamente il dialetto di origine. Anche tra gli alloglotti, i Fenici, che ricorrono con relativa frequenza al bilinguismo, si contrappongono nettamente ad altre comunità, pure ben presenti, come gli Egiziani o i Traci.
In queste pagine è, senza alcun dubbio, il contributo maggiore dell’opera al panorama degli studi sull’epigrafia funeraria attica. L’analisi linguistica delle iscrizioni è infatti un tipo di approccio finora mai applicato, in cui l’Autrice mostra grande competenza, certo in linea con la sua formazione dichiaratamente filologica (pp. 9, 15). La studiosa, tuttavia, non si limita a rendere conto dei fenomeni linguistici, ma ne tenta un’interpretazione storica, secondo un’impostazione inedita e certamente di grande potenzialità documentaria. La lingua diviene così un tracciante prezioso del livello di integrazione degli stranieri all’interno della società ateniese. In questa chiave, lo studio è autenticamente rivoluzionario: esso infatti sfrutta, ai fini della ricostruzione della storia sociale, un osservatorio finora ignorato, certo anche per le scarse competenze filologiche di cui in genere dispongono coloro che si occupano di stele funerarie, quasi sempre da un punto di vista morfologico e storico-artistico.
Poche pagine, decisamente meno felici, sono infine dedicate agli “Aspectes policojurídics” (pp. 130-134). Alcuni macro-temi, cruciali e quasi sempre molto problematici, sono affrontati con una certa superficialità, senza riferimenti alla bibliografia specialistica, spesso molto vasta ed articolata, e dunque senza una reale e concreta presa di coscienza delle numerose questioni alle quali il corpus delle iscrizioni in esame avrebbe potuto senza dubbio offrire un apporto significativo. L’intenzione, dichiarata nell’introduzione (p. 15), era quella di avvalersi di un approccio il più possibile multi- ed inter-disciplinare e dunque di utilizzare categorie ermeneutiche proprie di discipline diverse, facendo dialogare settori spesso scarsamente comunicanti dell’antichistica, come l’epigrafia, la storia della lingua, la storia della letteratura, ma anche l’archeologia, la storia dell’arte, la storia del diritto, la storia sociale, l’antropologia. Del resto, un corpus delle iscrizioni funerarie degli stranieri ad Atene è, nei presupposti (ma anche nelle attese del lettore), un contributo importante allo studio della società ateniese, peraltro in secoli cruciali della storia della polis. È proprio nell’approccio interdisciplinare, tuttavia, che il volume rivela evidenti debolezze.
Senza entrare in eccessivi dettagli, mi limiterò ad alcune osservazioni esemplificative. Partendo dalla storia della letteratura, con cui l’Autrice ha sicuramente grande familiarità, certo avrebbe giovato includere nel capitolo sugli epigrammi (pp. 123-129) anche un paragrafo dedicato ad una riflessione sui contenuti dei componimenti. Accanto al tema dominante della morte lontano da casa (ex. gr. nn° 29, 401, 515, 518), colpisce la ricorrenza, tra i motivi di lode del defunto, delle virtù cardinali del cittadino ateniese, quali la sophrosyne e la dikaiosyne (ex. gr. nn° 12, 293, 379), oppure la presenza, seppure in un unico caso, di un altro tema molto caro alla commemorazione dei politai, quale è l’elogio della vecchiaia (n° 268). È evidente che un epitaffio che pone l’accento sulla lontananza dalla patria di origine rappresenta il defunto in maniera completamente diversa da un epitaffio che, al contrario, ne celebra le stesse virtù abitualmente vantate dai cittadini ateniesi. Tale prospettiva d’indagine avrebbe dunque potuto fornire un contributo importante all’esame del livello di integrazione degli stranieri nella società ateniese.
Passando all’archeologia e alla storia dell’arte, con cui l’Autrice sembra invece avere una scarsa dimestichezza, rimane totalmente non sfruttato il patrimonio di informazioni concernenti l’iconografia dei segnacoli, di cui pure le schede di catalogo rendono puntualmente conto, peraltro facendo riferimento agli studi principali del settore. Anche in questo caso sarebbe stato un osservatorio prezioso per valutare il grado di adattamento di uno straniero. Prendendo ad esempio il tema iconografico della morte di parto, colpisce la differenza tra la stele della beota Plangon (n° 101), che la rappresenta in pieno travaglio, secondo modalità attestate in diverse aree del mondo greco, ma non in Attica, e quello di Eirene (n° 202), fenicia proveniente da Bisanzio, che, pure evidenziando il proprio status di straniera con un epitaffio bilingue greco-fenicio, si fa raffigurare secondo lo schema iconografico adottato abitualmente in Attica: l’ancella che porge un neonato in fasce ad una donna assisa su un elaborato seggio è normalmente l’unica allusione concessa dall’ideologia ateniese alla morte prematura di una donna nel dare alla luce il figlio. Più in generale, la tendenza alla mimesi nei modi dell’auto-rappresentazione sembra essere prevalente: coppie di coniugi o di genitore-figlio/a impegnate nelle consueta scena di dexiosis (ex. gr. nn° 82, 89, 123, 288, 378, 423, 442, 455), efebi contraddistinti dagli attributi dell’età (nn° 50, 337), opliti in armi (nn° 287, 456), matrone intente nella scelta dei gioielli (n° 400) riproducono fedelmente le scene rappresentate sui semata dei cittadini ateniesi. Alla base vi sono certo ragioni di mercato (i segnacoli funerari appartengono ad una produzione di massa, normalmente preconfezionata e disponibile per l’acquisto in bottega), ma possibilmente vi è anche la precisa volontà di dissimulare la diversità. Le eccezioni sono molto rare e avrebbero meritato perciò una riflessione sistematica. Risulta sporadica la ricorrenza di temi allogeni, come il banchetto funebre dei cd. Totenmahl Reliefs, molto diffusi invece nel resto della Grecia (nn° 385, 396, 467). Rimane per ora unico il caso della stele bilingue dell’ascalonita Antipatros (n° 488), in cui sia l’iconografia che l’epigramma si spiegano verosimilmente solo alla luce delle credenze religiose fenicie. In genere, le anomalie sono meno evidenti: si manifestano, per esempio, in alcune varianti di iconografie attiche molto diffuse (ex. gr. nn° 241, 281, 349) o nell’alterazione degli equilibri consueti tra la scena figurata e la parola scritta (n° 357). In generale, si ravvisa dunque anche in quest’ambito la stessa bipartizione rilevata in campo linguistico, tra un gruppo, maggioritario, tendenzialmente mimetico ed un gruppo, minoritario, deciso invece a mantenere, in maniera più o meno evidente, la propria caratterizzazione etnica.
Rimanendo al settore archeologico, una maggiore attenzione alle specifiche classi di materiali avrebbe dato esiti sicuramente interessanti. Per esempio, si nota nel corpus una netta prevalenza delle stele semplicemente iscritte, oppure, tra le stele figurate, di quelle in cui la scena è soltanto dipinta oppure scolpita all’interno di un piccolo riquadro. In tutti i casi, si tratta di classi economicamente meno impegnative dei più grandi e costosi naiskoi a rilievo. È evidente che il fenomeno è diagnostico della capacità economica dei committenti, su cui l’Autrice pure si interroga, giungendo a conclusioni forse un po’ troppo frettolose (p. 132). Per contrasto, avrebbero assunto un maggiore rilievo i rari casi in cui una famiglia di meteci era in grado di esibire costosi naiskoi: per esempio gli Eracleoti o i Messeni proprietari di periboli siti in luoghi prestigioso del Ceramico ateniese (nn° 420-421, 34); oppure l’Istriano titolare di un grandioso mausoleo che si ergeva lungo la trafficata via che collegava Atene al Pireo (n° 223).
Ugualmente proficua sarebbe certamente risultata una contestualizzazione topografica dei documenti nelle necropoli urbane di Atene e in quelle demotiche dell’Attica. Basta scorrere i luoghi di provenienza delle iscrizioni per rendersi conto che una larghissima maggioranza di esse proviene dal Pireo o, in seconda battuta, dalla necropoli urbana Ceramico. Il dato fa riflettere. Il Pireo è il porto di Atene, ma sicuramente anche uno dei principali approdi del Mediterraneo nei secoli presi in esame, dove, non a caso, la presenza degli stranieri è ben attestata anche per altre a vie. Il Ceramico è invece la principale necropoli di Atene, dove evidentemente uno spazio importante era riservato agli stranieri. Molto rari sono invece i segnacoli rinvenuti nel resto dell’Attica, con una concentrazione, certo non casuale, ad Eleusi, senza dubbio il demo più ‘urbano’ tra quelli esterni all’asty, e nel Laurium, sede delle risorse minerarie della regione e dunque della manodopera, servile ma non soltanto, impegnata nel loro sfruttamento. Una riflessione più generale sui luoghi di sepoltura degli stranieri avrebbe portato l’Autrice a confrontarsi con tematiche attuali nel dibattito storico, come per esempio i problemi giuridici posti dal possesso dei lotti funerari in cui erano sepolte più generazioni di una stessa famiglia di meteci, come nei casi citati degli Eracleoti e dei Messeni.
Nel contempo, manca completamente anche una contestualizzazione puntale dei segnacoli all’interno del monumento di pertinenza. Le associazioni familiari sono soltanto brevemente rilevate nelle schede (ex. gr. nn° 34; 337-338; 366-367; 420-421) e frettolosamente trattate nella parte generale (p. 132). Curiosamente sono esclusi dal Catalogo segnacoli certamente pertinenti a periboli funerari di stranieri, in cui però non compare l’etnico, secondo un’applicazione certo troppo rigida dei criteri di selezione (per esempio, nel peribolo degli Eracleoti sono prese in considerazione le due stele con etnico, ma non altri segnacoli appartenenti agli stessi personaggi). Diversamente, la ricostruzione del monumento funerario nella sua interezza avrebbe certamente contribuito ad una migliore comprensione della logica che guidava l’auto-rappresentazione in ambito funerario di stranieri di status sociale e capacità economica notevoli. Di nuovo, si sarebbe profilata con grande evidenza un’assoluta volontà di mimesi.
Passando infine all’ambito più propriamente storico, il criterio di analisi costantemente perseguito si riduce nella sostanza al tentativo di relazionare la patria d’origine del titolare della stele con Atene, attingendo esclusivamente agli eventi della macrostoria. L’obiettivo, più o meno dichiarato, ma forse errato nei presupposti, è quello di giustificare la presenza di uno straniero ad Atene alla luce dei rapporti della sua patria d’origine con la nuova patria d’adozione. Le ricostruzioni sono talvolta verosimili, ma spesso di evidente arbitrarietà. Di fatto, in uno dei rari casi in cui conosciamo dalle fonti antiche le ragioni precise che condussero un meteco ad Atene, ed alludo al ricco siracusano Kephalos, padre di Lysias, esse afferiscono all’orizzonte delle reti relazionali e degli interessi economici, nel caso specifico un legame privilegiato con Pericle e la promessa di un florido mercato. Ci si muove dunque nell’ambito di una microstoria che ben poco ha a che fare con i rapporti tra Atene e Siracusa. Del resto, l’importanza del ruolo degli stranieri nell’economia ateniese, così come emersa nel dibattito recente, lascia presumere che siano state quasi sempre ragioni di natura economica ad indurre stranieri di status sociale differente a stabilirsi in Attica. In tale prospettiva, un capitolo generale, costruito su un dossier di fonti più ampio e riguardante le attività degli stranieri ad Atene, ma anche i luoghi frequentati, i culti praticati, le relazioni intessute con i cittadini, avrebbe offerto un orizzonte di riferimento molto utile, di cui si sente fortemente la mancanza. Su questo sfondo, per esempio, la riflessione sulle attività lavorative attestate dalle stele, di fatto ridotta a qualche estemporanea osservazione contenuta nelle schede (ex. gr. nn° 4, 168, 421) e ad un breve elenco (p. 133), avrebbe assunto tutt’altro spessore storico.
Ugualmente carente è la trattazione dei rapporti tra gli stranieri e le istituzioni della polis, di cui pure gli epitaffi conservano significativi riflessi, per esempio in materia di regime fiscale (stele degli isoteleis: v. nn° 426, 502/513 e pp. 119, 132), di obblighi militari e paramilitari (stele in cui uno straniero si fa rappresentare come oplita o lamenta una morte in guerra: nn° 287, 365, 441, 456), di naturalizzazione (nn° 276, 411). Di contro, le concessioni alla storia giuridica si riducono di fatto alla distinzione effettuata tra le varie categorie di stranieri sepolti nelle necropoli attiche: da un lato, i residenti e, all’interno di questa categoria, il gruppo privilegiato dei meteci esentati dalla tassa del metoikon, gli isoteleis; dall’altro lato, gli stranieri più o meno di passaggio, morti per accidente ad Atene, come ostaggi (nn° 257, 258), ambasciatori (nn° 132, 308), prosseni (nn° 56, 188) o benefattori a vario titolo (n° 45).
In conclusione, l’opera apporta, nell’interpretazione storica dei dati linguistici, un contributo nuovo e fondamentale allo studio della presenza degli stranieri nell’Atene tardo-arcaica e classica e, come tale, ritengo debba diventare un punto di riferimento imprescindibile per chi intenda occuparsi dell’argomento. In quest’ottica, il proposito che l’Autrice indica nell’introduzione, di fornire cioè un punto di partenza agli specialisti di altre discipline (p. 20), mi pare pienamente assolto.
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Éditeurs : Lorenz E. Baumer, Université de Genève ; Jan Blanc, Université de Genève ; Christian Heck, Université Lille III ; François Queyrel, École pratique des Hautes Études, Paris |