Pagliardi, M. N. - Magnani Cianetti, M.: Il mosaico di castel porziano. pp. 35, XXV tavole B/N fuori testo, 3 illustrazioni a colori nel testo cm 24,5x34
 «Monumenti Antichi», serie miscellanea - vol. XV, serie generale vol. LXIX ISBN: 978-88-7689-274-5 Euro 85,00
(Giorgio Bretschneider, Roma 2012)
 
Rezension von Paolo Liverani, Università di Firenze
 
Anzahl Wörter : 1118 Wörter
Online publiziert am 2014-05-13
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1888
Bestellen Sie dieses Buch
 
 

          Il volume presenta un mosaico in bianco e nero di grandi dimensioni che, benché scavato più di un secolo fa e a lungo esposto al Museo Nazionale Romano, non poteva contare su una vera edizione. Inoltre era importante considerare il monumento alla luce della sua particolare storia espositiva e conservativa e dare notizia della complessa opera di restauro e di ricollocazione.

 

          I primi due capitoli – a firma di Maria Nicoletta Pagliardi – riguardano il rinvenimento e l’analisi archeologica dell’opera. Il mosaico decorava il peristilio di un complesso termale di grandi dimensioni del Vicus Augustanus Laurentium nella tenuta di Castel Porziano, poco distante dalla costa, a 25 km da Roma. Si tratta della tenuta che venne acquistata nel 1872 dai Grazioli per il Re d’Italia ed è ora riservata al Presidente della Repubblica. Lo scavo e il distacco avvennero nel 1910 e il re lo donò al Museo Nazionale Romano allora in fase di costituzione. Il mosaico venne ricomposto nel pavimento del chiostro piccolo della Certosa in previsione della mostra archeologica contestuale alle manifestazioni per l’Esposizione Universale di Roma del 1911. In questo stesso chiostro due anni più tardi venne esposta la collezione Boncompagni-Ludovisi.

 

          La comprensione dell’iconografia tiene conto delle vicende conservative: nel distacco dal peristilio vennero sacrificate alcune parti per ragioni di praticità ed economia e nella ricomposizione nel chiostro vennero aggiunti i bordi, ricostruite alcune parti danneggiate o resecate in fase di distacco e infine vennero inseriti spazi a tessere bianche per adattare il mosaico antico alle dimensioni della sua nuova collocazione. Un lavoro filologico è stato necessario dunque per ricostruire la situazione originale – purtroppo documentata in maniera insoddisfacente al momento del distacco. Nei due lati lunghi del peristilio originario erano raffigurate scene marine, del tutto usuali in ambienti termali, mentre nei lati brevi erano scene di venatio, assai più rare. I migliori confronti sono quelli con Ostia (Terme di Nettuno) e con la vicina villa di Risaro. I cartoni di partenza di questi mosaicisti mostrano alcune differenze stilistiche e in misura minore iconografiche, che sono forse spia di una cronologia originaria differente, ma nel complesso viene confermata la datazione canonica del mosaico, proposta a suo tempo dal Becatti al periodo 160-180 d.C. Forse si sarebbe potuto valorizzare maggiormente il terminus post quem offerto dal rinvenimento di un bollo laterizio del 154 d.C. (CIL XV, 1072) sui gradini nell’angolo settentrionale del peristilio che separavano il lato NE con scene di venatio da quello SE con scene marine (A. Claridge, in M.G. Lauro (a cura di), Castelporziano III. Campagne di scavo e restauro 1987-1991, Roma 1988, p. 121). Il soggetto relativamente raro della venatio viene interpretato come un riferimento all’attività del proprietario, che potrebbe essere stato uno dei fornitori di animali esotici per gli spettacoli circensi di Roma.

 

          Il terzo capitolo, a firma di Marina Magnani Cianetti, è relativo alla storia conservativa e al restauro. Nella sua ricollocazione nel chiostro minore del Museo Nazionale Romano all’inizio del ‘900, come s’è detto, il mosaico venne adattato alle dimensioni della sua nuova sede, modificandone il ritmo e intervenendo con ricostruzioni invasive. Si trattava di una prassi che aveva cominciato ad affermarsi già negli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento, ma che era divenuta pienamente disinvolta dopo la metà del secolo. Il mosaico, che fino al Settecento era considerato una forma di pittura, si integra invece nell’architettura e ne diventa un accessorio. Il suo statuto cambia e non è più considerato un’arte come la pittura o la scultura, per i cui restauri esistevano metodi più o meno scientifici ma che mantenevano un certo rispetto per l’integrità dell’originale: esso diventa piuttosto un accessorio decorativo funzionale all’ambiente a cui è destinato (P. Liverani, in P. Liverani – G. Spinola, Vaticano. I Mosaici antichi, Roma 2002, pp. 15-19). La disinvoltura dell’intervento fu dovuta, inoltre, anche al significato politico che aveva acquisito l’opera: dono del re al costituendo museo sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale per l’Esposizione Universale. Si può dire dunque che il distacco e la ricollocazione del 1910 hanno salvato e al tempo stesso fortemente compromesso il mosaico di Castel Porziano. Forse sarebbe stato utile corredare il lavoro con un’appendice dei documenti consultati; sembra inoltre che non siano state valorizzate le carte relative allo scavo e al trasporto del mosaico che si conservano presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma (cfr. le tesi inedite di C. Frontani e M.C. Salerno per la Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Firenze). Va detto subito, però, che questi ultimi documenti avrebbero aggiunto dettagli utili a chiarire il quadro, ma non avrebbero modificano la sostanza di quanto delineato nel volume né delle decisioni operative che hanno determinato e guidato il nuovo restauro. 

 

          Infatti con il riallestimento del Museo Nazionale Romano, dopo una lunga chiusura per i complessi lavori, si è deciso di trasferire nuovamente il mosaico – che non sarebbe potuto rimanere nel chiostro – in una collocazione più vicina a quella originale, immediatamente all’esterno del castello della tenuta presidenziale. L’intervento ha dunque eliminato la maggior parte delle integrazioni novecentesche, quelle cioè finalizzate all’espansione – per così dire – della superficie per adattarlo al chiostro e ha cercato di rimuovere il cemento di supporto, in maniera forzosamente parziale per non danneggiare più gravemente le tessere che ormai vi aderivano fortemente e in maniera pressoché irreversibile. Si è dovuto studiare un difficile equilibrio tra le ragioni della filologia archeologica, quelle delle istanze storiche ed estetiche e quelle dell’allestimento all’aperto, che richiede comunque una buona solidità dell’opera. Vengono pubblicate anche tavole con la mappatura delle parti antiche e di quelle di integrazione moderna.

 

          L’intervento di “riambientamento” – almeno parziale – del mosaico, va letto nel quadro degli sforzi assai notevoli compiuti in questi ultimi decenni per una approfondita lettura storico-archeologica dell’area della tenuta presidenziale e per una valorizzazione del suo patrimonio culturale. Si segnalano infatti l’allestimento di un Antiquarium nell’area del Castello, scavi mirati, restauri monumentali e la mappatura sistematica della tenuta ad opera dell’Ufficio Conservazione del Patrimonio Artistico del Quirinale, con varie collaborazioni tra cui la principale riguarda il rilevamento delle emergenze archeologiche affidata al Department of Classics, della Royal Holloway University di Londra.

 

          In sintesi il volume offre finalmente l’editio princeps di un monumento di notevole significato che si segnala per la cura della documentazione e la ricerca critica di una soluzione equilibrata ai problemi di conoscenza, conservazione e valorizzazione e che potrà contribuire ottimamente a quel rifiorire degli studi su questo tratto della costa laziale, che trova nella Tenuta dai Castel Porziano l’ultimo spazio in cui l’aspetto naturalistico e quello archeologico non sono stati compromessi dai processi di trasformazione territoriale del suburbio romano.