Hénin, E. - Lecercle, F - Wajeman, L. (dir.): La théorie subreptice. Les anecdotes dans la théorie de l’art (XVIe-XVIIIe siècles). II+276 p., 17 b/w ill., 156 x 234 mm, ISBN: 978-2-503-53681-1, 65 €
(Brepols Publishers, Turnhout 2012)
 
Reseña de Claudio Franzoni
 
Número de palabras : 2152 palabras
Publicado en línea el 2014-01-23
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1935
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          Il libro riunisce una serie di interventi presentati a un convegno del 2008 (Université de Paris-Sorbonne) in cui si affrontavano i diversi aspetti di una forma letteraria di lunghissima durata come l’aneddoto in rapporto alla storia dell’arte e alle teorie artistiche. Tema già presente nel lontano saggio sulla “leggenda dell’artista” di E. Kris e O. Kurz (1934) e, più tardi, affrontato sotto un profilo filologico negli studi di Paola Barocchi, a cominciare dall’edizione dei Trattati d’arte del Cinquecento (1962).

 

          Le caratteristiche ricorrenti negli aneddoti vengono puntualizzate da F. Lecercle nell’avant-propos: la natura micro-narrativa, l’aderenza a una situazione concreta e verosimile, la capacità di aprirsi a un senso più generale, la tendenza a porsi come segmento autonomo dal contesto narrativo, l’intreccio con esiti inattesi e quindi potenzialmente memorabile, l’autonomia rispetto ai consueti generi letterari. Ma l’obiettivo dei diversi saggi presenti nel volume, che vanno da Plinio (e dalle sue fonti) a Diderot, non è tanto quello di definire il carattere dell’aneddoto o di osservarne diramazioni e parentele, quanto quello di riflettere più a fondo sul modo in cui gli aneddoti – in apparenza episodi finiti in sé e spesso dotati di una godibile capacità di bastare a se stessi – si coniughino nel discorso storico artistico con una prospettiva più schiettamente teorica; ciò accadrebbe non tanto in modo conclamato, ma per una via indiretta e, appunto, surrettizia.

 

          I testi – raggruppati in quattro sezioni (“Pline et sa réinvention”, “Le goût de l’excentrique”, “Un art du détail”, “Légitimité de l’anecdote”) – sono preceduti dal saggio di uno dei curatori, Emmanuelle Hénin, che parte da un dato di fatto quanto mai rilevante: l’aneddoto artistico è ampiamente presente nella letteratura artistica dell’epoca classica e, in essa, nasce – per così dire – già armato, sostanziato cioè di tutte quelle caratteristiche che lo renderanno esemplare per secoli anche dopo la fine del mondo antico. E, anzi, quella degli aneddoti antichi nella letteratura europea medioevale e moderna sarà una lunghissima storia di ricezioni consapevoli e piene, ma anche di variazioni, di trasposizioni, di interpretazioni o di glosse e, naturalmente, anche di manifestazioni di scetticismo, se non addirittura di rifiuto; è, in particolare, la fase del secondo Seicento in cui i micro-racconti di Plinio e di altri autori vengono osservati con un nuovo sguardo critico, ad esempio da un Félibien o da un Perrault.

 

          Quello che è certo è che già nella letteratura artistica degli antichi esiste – tutt’altro che ovvio, ma di volta in volta da individuare – un preciso legame tra aneddoti e teoria artistica, come spiega Valérie Naas nel suo saggio; vi sono quelli che servono a sostenere la teoria della mimesis, quelli che ribadiscono la speciale posizione dell’artista e della sua dignità, quelli che hanno la funzione di giustificare la teoria di un’evoluzione dell’arte.

 

          Gli aneddoti pliniani sono al centro anche dell’intervento di Mathilde Bert, che si interroga sulle forme della loro presenza nel Dialogo di pittura di Paolo Pino (1548). Secondo la studiosa vi sono temi precisi che suggeriscono a Pino di ricorrere al testo della Naturalis historia: la bellezza femminile come paradigma della bellezza artistica, il potere illusivo dei dipinti, la dignità dei pittori nel mondo antico, l’esecuzione dei dipinti, la storia della pittura e l’idea di perfezione artistica. La studiosa, inoltre, sostiene che l’uso degli aneddoti pliniani da parte di Paolo Pino sia funzionale a certificare e sottolineare il valore della pittura veneziana, nello speciale ruolo da essa attribuito al colore.

 

          Ancora a proposito dell’autore della Naturalis historia, è particolarmente rilevante la ricerca svolta da Ralph Dekoninck sull’emblematica e sulla letteratura edificante del Cinquecento e del Seicento, in cui assistiamo a un recupero di  Plinio in chiave morale e spirituale. Un esempio tra gli altri è quello del celebre episodio di Apelle e del calzolaio (NH, 35.84-85) che fa il suo ingresso nell’emblematica congiungendosi con la citazione di un passo biblico riguardante Mosè (fig. 11). È altrettanto interessante l’interpretazione allegorica degli aneddoti pliniani da parte di san Francesco di Sales, che li carica di un’inedita valenza religiosa ad uso dell’eloquenza sacra.

 

          Anna Sconza riprende invece la trama degli aneddoti vasariani su Leonardo, che culmina con il celeberrimo episodio di Francesco I di Francia e della morte dell’artista “in braccio a quel re”; questa scena, non a caso destinata a una grande fortuna nella pittura fino all’Ottocento, da un lato si riallaccia a una topica antica, dall’altro diviene la soluzione ottimale per chiudere una biografia artistica di speciale complessità.

 

          Vasari è di nuovo al centro del brillante saggio di Lise Wajeman, dedicato al ricorrente tema del cibo e dell’alimentazione nelle biografie degli artisti; il percorso offerto dalla studiosa mette in mostra una gustosa sequenza di situazioni, dal regime alimentare di Protogene quando dipingeva Ialiso a quello del tutto bizzarro di Piero di Cosimo, la vernaccia di Buffalmacco e la rabbia di Davide Ghirlandaio per la cattiva qualità del cibo che gli veniva offerto, l’idea di Mariotto Albertinelli di aprire un’osteria e la fame del giovane Taddeo Zuccari, e altro ancora. Ma il punto è che persino qui, anche in questo versante apparentemente laterale che è il modo di mangiare degli artisti, si insinuano riflessioni a più ampio raggio e di spessore più profondo, come nel caso di Piero di Cosimo: è chiaro infatti come le osservazioni di Vasari su ciò che mangiava (“si riduceva a mangiar continuamente ova sode”) e, ancora di più, sul modo di prepararle, sottintendono un giudizio più generale sull’eccentricità dell’uomo e del pittore, sulla confusione tra arte e vita che l’artista non era in grado di risolvere.

 

          François Lecercle analizza con finezza un altro aneddoto, quello della gara tra i pittori proposta da Sisto IV per gli affreschi della Sistina (“un premio, oltra il pagamento, a chi meglio avesse lavorato”), seguendone gli sviluppi dalle Vite di Vasari al Trattato della pittura e scultura di Giandomenico Ottonelli e Pietro da Cortona. Prima di tutto si osserva che il racconto si inserisce nella ben attestata tradizione di competizioni tra artisti, poi si fa notare come esso vada ben al di là della apparente contrapposizione tra un pittore scaltro (Cosimo Rosselli) e un papa di mediocre intelligenza artistica. Le scelte del papa sarebbero dettate, al contrario di quanto suggerirebbe la superficie del testo vasariano, da un preciso disegno teologico e politico, sostenuto in questo da una forma artistica volutamente arcaicizzante. Ma, come osserva Lecercle, anche in questo caso l’aneddoto rinvia a una “nebulosa teorica” e si apre a una pluralità di letture e di questioni. Una di esse è il ruolo che gioca il puro piacere estetico nella valutazione di un’opera d’arte, quel “diletto sensitivo” su cui rifletteranno, partendo dal medesimo episodio tardoquattrocentesco, Ottonelli e Pietro da Cortona.

 

          Pouneh Mochiri prende in esame il ruolo degli aneddoti artistici in alcuni dialoghi del Cinquecento, da Francisco de Hollanda (1548-1549) a Louis Le Caron (1556) a Baldassarre Castiglione: richiamare episodi riguardanti – ancora una volta – gli artisti dell’antichità ha soprattutto la funzione di ribadire l’importanza della pittura elevandola al rango delle arti liberali; ma pittori come Apelle e Protogene sono chiamati in causa anche a proposito di un tema così caro al pieno Rinascimento, come quello della grazia e della “sprezzatura”.

 

          Jan Blanc tenta di mettere a fuoco il concetto di “aneddoto visivo”, procedendo con una serie di paralleli inattesi, ma più pertinenti di quanto si direbbe a prima vista: un illustratore contemporaneo come Martin Handford viene accostato a Studius, pittore parietale di età augustea; quest’ultimo a Procopio di Cesarea e ai suoi Anekdota sive historia arcana; lo scrittore tardoantico viene a sua volta affiancato all’autore degli Anecdotes de Florence (1685), Antoine Varillas; da qui si passa al Michelangelo dei dialoghi con Francisco de Hollanda e alla ben nota critica alla pittura fiamminga che, secondo Blanc, sarebbe in sostanza una critica rivolta al suo carattere aneddotico.

 

          Come osserva Jean-François Corpataux, il motivo delle "dita nella carne" presente in Plinio (36.24) a proposito di un symplegma perduto di Cefisodoto riappare (per forza declinato in altra forma) in epoca moderna, da Bernini alla scultura francese del secondo Ottocento. Si tratta, in definitiva del motivo del marmo che prende vita, della pietra inerte che diventa, appunto, carne; come tale il motivo si riannoda a miti come quello di Pigmalione, ma anche ai racconti che riferiscono esempi di agalmatophilia, di amore per le statue. A proposito di questa area – per così dire – di confine tra arte e vita, ha ragione l’autore a chiamare in causa anche il dibattito sui procedimenti tecnici nella scultura del secondo Ottocento, tema ben illustrato da un dipinto di Édouard Dantan, Un moulage sur nature (1887, fig. 17).

 

          Jacqueline Lichtenstein dimostra come, nella teoria artistica del Seicento, gli aneddoti relativi agli pittori – ancora una volta soprattutto del mondo antico – siano soprattutto usati per servire alla legittimazione sociale dell’artista; e allora non sorprende trovarne alcuni in testi del tutto speciali, come quello che Martin de Charmois indirizza al re (1648) e che servirà da fondazione teorica dell’Académie royale de peinture et de sculpture; o come il Plaidoyer letto davanti agli accademici da Lamoignon de Basville a sostegno dello scultore Van Opstal (1668).

 

          Jean-Louis Haquette affronta gli Anecdotes of Painting in England di Horace Walpole, opera che si basa sulle note manoscritte dell’incisore George Vertue (1684-1756). Walpole ci offre un punto di vista speciale, quello di un aristocratico-dilettante e per di più collezionista, che tende sostanzialmente a rifiutare un pensiero sistematico; non stupisce allora che gli aneddoti sui pittori assumano un ruolo tutto sommato secondario, letti in una prospettiva sociologica e con una portata teorica ormai scarsa.

 

          Come spiega Julie Boch, infine, gli aneddoti punteggiano fittamente i resoconti dei Salons di Diderot, in una sorprendente varietà di gradazioni, di toni e valenze: vi sono aneddoti biografici tesi a illuminare la personalità degli artisti in correlazione alle loro opere, in un frequente slittamento dall’opera alla vita del pittore e viceversa; vi sono poi quelli che servono a enunciare questo o quel principio estetico e quelli che si prestano a sollecitare riflessioni filosofiche più generali. Un posto speciale spetta ai brevi racconti che riprendono conversazioni tra il Diderot e i pittori oppure – addirittura – tra lo stesso filosofo e il pubblico dei visitatori: si tratta di una strada nuova, ma accade che così si riconduca l’aneddoto alla sua etimologia, al suo carattere originario di racconto inedito, strettamente connesso, perdippiù, alla dimensione dell’oralità.

 

          Il volume offre, in conclusione, un’utile serie di contributi sul tema dell’aneddoto a sfondo artistico, sollecitando di fatto nuove ricerche e nuove messe a punto; ma poiché con l’aneddoto siamo di fronte a uno speciale genere di forma breve in letteratura, si può affermare che i diversi saggi assumono un valore che va anche oltre lo spazio disciplinare della storia dell’arte.

 

          Le riproduzioni fotografiche – figg. 1-17 – sono di qualità modesta, tuttavia svolgono il prezioso ruolo di ricordare le ricadute tutt’altro che isolate che gli aneddoti artistici antichi hanno avuto nella stessa storia dell’arte, se è vero che la loro esemplarità ha spinto artisti moderni a reinventarne l’immagine; si segnala per la sua rarità (Festus, s. v. Pictor) l’aneddoto di Zeusi che muore dal ridere dipingendo una vecchia, in un quadro di Aert de Gelder (fig. 6), che così facendo segue un’idea già sperimentata dal suo maestro Rembrandt.

 

          Chiudono il libro un indice dei nomi e, scelta utilissima, un indice degli aneddoti antichi.

 

 

SOMMAIRE

 

François Lecercle, Avant-propos, p. 9-17.

Emmanuelle Hénin, Reflexions liminaires. L’invention des anecdotes dans la thèorie de l’art: de la variation au dètournement, p. 19-36.

Valérie Naas, Anecdote et théorie de l’art chez Pline l’Ancien, p. 39-52.

Mathilde Bert, Figures de l’anecdote plinienne dans la littérature artistique de la Renaissance. Le cas du Dialogo di pittura (1548) de Paolo Pino, p. 53-72.

Ralph Dekoninck, Pline moralisé et spiritualisé. La conversion chrétienne des anecdotes pliniennes dans la littèrature emblématique et spirituelle au tournant des XVIe et XVIIe siècles, p. 73-85.

Anna Sconza, Les anecdotes vasariennes sur Léonard de Vinci, p. 89-108. 

Lise Wajeman, Manger la peinture, p. 109-127.

François Lecercle, Peintre rusé et pape obtus: les dessous d’une anecdote sur le plaisir des images, chez Vasari et Ottonelli, p. 129-150.

Pouneh Mochiri, L’anecdote de peinture dans quelques dialogues du XVIe siècle: entre gracieux ornement et pensée figurée, p. 153-169.

Jan Blanc, Histoires secrètes. Autour de la notion d’«anecdote visuelle», p. 171-185.

Jean-François Corpataux, «Doigts dans la chair»: de Céphisodote à Rodin, p. 187-200.

Jacqueline Lichtenstein, Anecdotes et lieux communs dans la théorie de l’art au XVIIe siècle, p. 203-214.

Jean-Louis Haquette, L’histoire et l’anecdote: réflexions sur les Anecdotes of Painting d’Horace Walpole, p. 215-233

Julie Boch, «Si nous continuions à faire des contes?» Les anecdotes dans les Salons de Diderot, p. 235-252.