Passini, Michela: La fabrique de l’art national. Le nationalisme et les origines de l’histoire de l’art en France et en Allemagne, 1870-1933. Avant-propos de Andreas Beyer, Préface de Roland Recht, 336 pages, ill. en noir. ISBN : 978-2-7351-1439-9, 48 €
(Editions de la Maison des sciences de l’homme, Paris 2013)
 
Compte rendu par Antonella Trotta, Università degli studi di Salerno
 
Nombre de mots : 2263 mots
Publié en ligne le 2014-11-26
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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         Quali sono le radici intellettuali della storia dell’arte che oggi pratichiamo? In quale dimensione sociale, culturale e politica ha definito i suoi saperi specifici, ha fondato le istituzioni e le pratiche con cui trasmetterli e, dunque, si è costituita in disciplina autonoma?

 

         Il libro di Michela PassiniLa fabrique de l’art national. Le nationalisme et lesorigines de l’histoire de l’art en France et en Allemagne (1870-1933), che pubblica la tesi di dottorato sostenuta nel 2007 presso la Scuola Normale di Pisa, ricostruisce con chiarezza i momenti centrali di tale processo, dimostrando che esso coincide con la definizione transnazionaledi «modalités de l’écriture d’une histoire de l’art commerécit de l’art national » (p. 3). In Europa, ha scritto Anne-Marie Thiesse, la nazione è il risultato di un processo storico collettivo, maturato, tra regionalismo, patriottismo militante e transnazionalismo, e si istruisce in un modello comune articolato in elementi specifici ed individualizzanti: il mito della fondazione, la lingua, gli eroi, la tradizione, i monumenti. Così, tra XIX e XX secolo,la competizione tra le nazioni si è giocata tanto sul piano geopolitico che su quello della produzione simbolica. La storia dell’arte ha studiato, classificato, ordinato e raccontato la consistenza visuale e materiale di oggetti e monumenti;ha disegnato le mappe del tempo e dello spazio della nazione; ha inventato la nozione di patrimonio nazionalecome luogo privilegiato della negoziazione di valori identitari; ha contribuito a creare le“imaginedcommunities”,per Benedict Anderson il distillato spontaneo di distinte forze storichealla base del moderno concetto di nazionalità. La storia dell’arte, propone Passini, si è costituita in una «dimensionintrinsèquementpolitique», tanto che all'istituzionalizzazione politica della nazione comestato nazionale,ha corrisposto una politica di istituzionalizzazione (e professionalizzazione)della storia dell'arte nelle università, negli enti di tutela, nei musei (pp. 3-4).

 

         Le discipline intellettuali si strutturano per convenzione e così anche il discorso intorno alle istituzioni che traducono il sapere disciplinare in racconto, o, come nel caso della storia dell’arte, vedere in dire. Convenzionale è l’intervallo cronologico scelto da Passini – «destendencesnationalistesémergentdans le discourssur l’art bienavant 1870 (…), de manière analogue, 1933 n’en marquepas la fin (p.4)» – che enuncia il partito preso metodologico (e politico)della ricerca, ne giustifica gli assi portanti e il punto d’osservazione.Uno dei paradossi del nazionalismo, ha scritto Anderson, è l’oggettiva modernità della nazione agli occhi dello storico vs. l’antichità soggettiva e presunta agli occhi dei nazionalisti, e Passini individua il campo d’azione del più rilevante investimento identitario nel dibattito sul Rinascimento, sui Primitivi e sul Gotico come testimonianza delle origini. Su questi temi la storia dell’arte europea espande, contrare, rigetta, riscrive, e nazionalizza il proprio canone, a fronte di una internazionalizzazione delle pratiche: i meccanismi costitutivi della «fabrique de l’art national» di ciascun paese, infatti, non si comprendono se non riconoscendo che «touteconstructionintellectuelle, artistique et politique d’un art nationalcomportenécessairement une dimensioninternationale». In Francia, per esempio, dove, alla fine del secolo XIX la cultura tedesca gode di un notevole prestigio ma sollecita sentimenti di competizione e rivalsa, la disciplina si è progressivamente svincolata dal dominio dell’estetica e dell’archeologica istruendo la sua legittimità accademica sul rigore storiografico e disciplinare della Germania, che, più precocemente – lo ricorda Roland Recht nella Preface al volume – ha riconosciuto alle scienze umane la propria autonomia procedurale e di campo. Inoltre, poiché «dans la genése d’un discourssur l’art commelieu d’identification, le recoursà l’étranger, et donc la définition par l’étranger, on étéstructurels»(p.5), entrambe le storiografie si costituiscono come storie dell’arte nazionali in opposizione al medesimo paradigma normativo: l’Italia, che il Grand Tour aveva apprezzato come museo dell’Antico a cielo aperto, e la sintesi di storia della cultura di Jacob Burckhardtaveva celebrato comepatria dell’ ‘uomo nuovo’ del Rinascimento. Die Kulturder Renaissance in Italien(1860) appare in francese nel 1884, come l’opera meritoria di un ricercatore infaticabile, un conoscitore esperto e un amatore curioso, giustamente apprezzata in Germania. Malgrado qualche eccesso di retrospettivo «chauvinismegermanique»,si legge sulla“Revuehistorique” di Ernest Lavisse, Charles-Victor Langlois e Charles Seignobos (i protagonisti della ‘crise allemande de la pensée française’), la traduzione rende «un reél service á la science française» per conoscere a pieno l’Italia del XV e del XVI secolo. Ma, purtroppo, non Rabelais.

 

         E’ in virtù del costante riferimento più o meno esplicito all’Italia come «troisième pôle» che il «binome franco-allemand» scelto da Passini (p.5)si conferma punto di vista privilegiato per studiare i transfert tra analisi stilistiche e significati ideologici, linguaggio nazionalistico e racconto della storia dell’arte nazionale, genealogie della nazione e genealogie artistiche, che gli storici e i critici della giovane disciplina – così come i teorici della politica –  costruiscono misurando lo scarto tra identità e alterità, genio nazionale e influenze esogene.  In Francia, la sistematizzazione della disciplina e l’affermazione di una nuova figura di storico dell’arte, funzionario della Repubblica engagésul piano della politica culturale, coincidono con il primo approccio comparativo alla produzione artistica in Italia e in Francia: è il caso degli studi di Louis Courajod (diplomato all’Ècoledes Chartes nel 1866, conservatore al dipartimento delle sculture del Louvre nel 1874 e professore della neonata Ècoledu Louvre dal 1887) chedall’analisi della direzione e degli effetti degli scambi – «lesrapports, lesluttes et lesallianceentrelesdeuxarts, l’un étranger et l’autre indigène» (p.17) –nel XV e XVI secolo approdano al rovesciamento radicale del modello burchkardtiano del Rinascimento come canone universale. Per Courajod, il Rinascimento è un fenomeno franco-fiammingo anteriore al risveglio dell’arte italiana, in ‘ritardo’ di quasi mezzo secolo, che si innesta sulla fioritura delGotico nelle scuole del Nord. Trasferite all’analisi delle qualità visuali e materiali degli oggetti d’arte, le principali direttrici del discorso sulla nazione - il tempo e lo spazio - mettono in crisi la cronologia e la topografia tradizionale della cultura europea e attivano un «processus de dénormativisation, qui constitue l’une desconditions de la naissance d’une histoire de l’art» (p.24).

 

         Intanto, (ed è utile ricordarlo)nel 1887, Adolfo Venturi pubblicail‘manifesto’della storia dell’arte italiana con l’obiettivo di colmare la distanza dal rigore della ricerca tedesca («Germania docet!») e dalla determinazione nazionalista francese: «I Francesi, mossi da pregiudizi di amor patrio – scrive - da parecchi anni lavorano a dimostrare che il Rinascimento italiano tornò alla Francia nocivo e fatale». La stessa considerazioneè in La Reinassance en Italie et en France (1885) di Eugène Müntz,che sconta l’adesione al modello ideologico, storico e geografico di Burckhardt con l’isolamento nella storiografia francese contemporanea: per Müntz, l’arte nuova nasce in Italia, a Firenze, dallo studio dell’antico e della natura, e si irradia in tutt’Europa, come un movimento di conquista la cui portata è sullo sviluppo dei fenomeni artistici nazionali è insensato guardare con diffidenza. Il Rinascimento ha confermato la Francianella tradizione delle «racesromanes» e, per la seconda volta, «lesLatinsontconquis la Gaule» (p.34).

 

         Nel 1935, la Francia avrebbe accolto i capolavori del Rinascimento presentati all’Exposition de l’Art italien al Petit Palais – per Francis Haskellun caso esemplaredella serie di ‘mostre irripetibili’ tra XIX e XX secolo - come «illustresambassadeurs de la latinité»(R.Escholier, Le voyagedes chefs- d'oeuvre ambassadeurs de la latinité, in «Le Figaro», 24.05.1935).

        

          La nazione moderna è concepita come una «communautétranssociale»(Thiesse): immaginata grazie ad un patrimonio comune, che deve essere amato, protetto e trasmesso, la comunità nazionale, di qualunque classe sociale siano i suoi membri, è necessario condivida il medesimo standarddi gusto e lo sviluppo rapido dei musei e l’allestimento di grandi mostre sono la pubblica arena per presentare «identitésesthétiquesnationales en compétition» (p.80). A Bruges (1902), a Parigi (1904) e a Düssendolf (1902 e 1904), le esposizioni sui Primitivi sono veri e propri dispositivi nazionalizzanti, la cui dimensione internazionale «n’est paradoxalequ’enapparence»(p.111): esse consolidano la storia dell’arte come insieme di pratiche riconosciute da un gruppo transnazionale auto-delimitato e legittimato dall’impegno nella riscoperta e valorizzazione dell’arte del proprio paese e inventano una coerente tradizione visuale per il pubblico ampio, nazionale ed internazionale, anche quando hanno un carattere essenzialmente regionale. Il lavoro di Paul Clemen per laKunsthistorischeAusstellung, per esempio,ha l’obiettivo di affermare, per i tedeschi, il valore civico e patriottico, prima ancora che erudito, delle ricerche sui caratteri specifici del patrimonio della ‘piccola Germania’, e di individuare, per il pubblico internazionale, i caratteri generali dell’arte tedesca. Di fronte all’arte italiana, classica e idealizzante, l’arte tedesca è naturalista, come tutti gli stili nazionali del Nord.

 

         Il patrimonio, d’altra parte, è il terreno di immediata attivazione delle tensioni tra centro e periferia: se in Francia, sottolinea Passini, la mostra sui Primitivi è allestita nella prospettiva unificante della ‘grande patria’, il dibattito sulla «spécificitéalsacienne» della ‘Vergine di Colmar’– esposta a Düssendolf come capolavoro della scuola dell’ Haut-Rhin – implica i termini del regionalismo nazionalista (p.112). In Italia, aggiungiamo noi, dove la politica culturale del nuovo stato si confronta con l’orgoglio civico, le rivendicazioni di singoli gruppi e le spinte centrifughe di intere comunità, la grande Mostra di antica arte senese(1904) di Corrado Ricci è la prima mostra block-buster dall’Unità, e un evento scientifico che iscrive l’impegno degli eruditi locali nella vasta portata internazionale degli studi sul tema, inglesi, tedeschie francesi, come ha dimostrato Elisa Camporeale (cfr.1904, annusmirabilis per l’antica arte senese, in Medioevo/Medioevi, a cura di E. Castelnuovo e A. Monciatti, Pisa 2008 ). Per MécislasGolberg, che visita la mostra per le sue Impressions(1906),«Sienne c’est l’Auvergne de l’Italie!»e la pittura dei Lorenzetti«primitivité plus complète et plus infranchissable». Il modellato pittorico, l’espressione «sensible et dramatique d’une idée» delle loro figure è in Böcklin e Puvis de Chavanne.

 

         Le storie dell’arte antica sono imbricate di critica militante sull’arte contemporanea: in Germania, lo scontro sul ruolo dell’invenzione immaginativa di Arnold Böcklin nello sviluppo della pittura moderna, infatti, è acceso dalla preoccupazione per la crescente fortuna europea dell’Impressionismoma si gioca sul riconoscimento dei caratteri artistici nazionali e, ancora una volta, sulla nozione diRinascimento. Per Henri Thode, Böcklin è il punto di arrivo, logico, legittimo e naturale, dello svolgimento organico dell’espressione e l’adesione al soggetto, del profondo sentimento della natura e del realismo della rappresentazione, del potere dell’invenzione fantasticadellatradizione tedesca, del tutto estranea – come la tradizione francese per Courajod – alla «latinitéartistique» (p. 71). Gli Italiani hanno chiarezza di visione formale, i Tedeschi il potere del sentimento e dell’immaginazione, ma - dimostra Passini – la distanza non è incolmabile quanto quella dall’avanguardia francese: per Thode, il rinnovamento figurativo dell’arte Italiana da Giotto a Raffaello è cristiano e naturalista perché attivato della predicazione di San Francesco d’Assisi, la cui portata sovversiva della visione di Dio e del mondo è assimilabile a quella di Lutero. A dispetto della diversa sensibilità formale, alcuni valori di questa Italia idealizzata «s’apparentent à celle du ‘peuple’ allemand» (p.78). Gli stessi motivi - il rifiuto del modello burckhardtiano di un Rinascimento classico e pagano, l’adesione all’irrazionalismo e al sentimento mistico della natura dei circoli wagneriani, lo scambio tra passato e presente, strutturano, nel lavoro di Thode, l’intreccio tra indagine filologica, ricerca documentaria e immaginazione letteraria delle kunstnovellen sul Rinascimento italiano, di cui Silvia Urbini ha appena pubblicato un’accurata edizione critica (cfr. Somniiexplanatio. Novelle sull’arte italiana di Henry Thode, Roma 2014).

        

         Su questa traiettoria si innestano le ricerche di Heinrich Wölfflin su arte italiana e arte tedesca, che approdano, nel 1931, a Die Kustder Renaissance. Italien und dasdeutscheFormgefül. Il lavoro, propone convincentemente Passini, risolve i temi dei KunstgeschichtlicheGrundbegriffe (1915) e sviluppa (non interrompe) il percorso intellettuale dello studioso svizzero: l’etnicizzazione dei caratteri, che di fattoistruisce la storia dello stile per binomi di contrasto dei Grundbegriffe, si scioglie in una rimeditazione profonda della nozione di classico. Il tema è l’individuazione di un differente ‘sentimento della forma’, che istruisce l’alterità nella ‘mite legge’ degli scambi possibili, non nell’opposizione o nell’affermazione di primati nazionali, razziali, o etnici. L’Italia è lo specchio che definisce e completa l’arte tedesca: se, con il XX secolo, l’esperienza dell’arte contemporanea, in Germania, ha spostato il centro del dibattito - e la competizione -sull’arte antica intorno alla nozione di Gotico, Wöfflin insiste sulla possibilità (almeno intellettuale) di un classicismo nordico. Il nuovo eroe della nazione tedesca è l’espressionista Grünenwald, maDürer, che ha messo in crisi la coerenza interna della sua pittura per la chiarezza di visione dell’arte italiana, è il campione della SittlichketdesSehens.

 

         Nel 1933, conclude Passini, il XIII Congresso di storia dell’arte di Stoccolma si riunisce per delinearela mappa (intellettuale e politica) dei metodi e delle pratiche della disciplina nell’Europa delle nazioni (e dei nazionalismi). Il dibattito è animato dagli interventi sul Medioevo come momento aurorale dei caratteri artistici nazionali e lo scontro si accende intorno alla natura (tedesca o francese) del Gotico. Alle origini medievali della civiltà europea, nello stesso anno, comincia a lavorareHenri Focillonche pubblica l’Art d’Occident nel 1938, appena prima di partire per gli Stati Uniti e vedere, dall’altra sponda dell’oceano, la Francia occupata. Il discorso sulla storia dell’arte si fa di nuovo discorso sull’attualità: contro la teoria delgéniedu Nord, inspirateurdescathédral», mistico e irrazionale, il Gotico, scrive Focillon, è razionale, funzionalista, monumentale, e francese. Come la Francia, incarna i valori dell’«humanismeoccidental»(p.250).

 

         Trent’anni più tardi, Erwin Panofsky, in America del 1933, riassume le responsabilità politiche e culturali della disciplina in un magistrale saggio di storia della storia dell’arte comparata: gli studiosi europei, scrive, hanno lavorato per generazioni intorno a luoghi (e spazi) comuni in adesione o contrasto ad emozioni profondamente radicate nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Vista dall’America, l’Europa intera,dalla Spagna al Mediterraneo orientale, è un unico panorama, con i piani tutti alla giusta distanza e ben a fuoco.

        

          «International, transhistorique, transculturel – per Roland Barthes - le récit est là, comme la vie».

 

         Il libro di Passini indaga le possibilità della storia della storia dell’arte come paesaggio storico, tessuto di storie incrociate di rappresentazioni culturali, istituzioni, gruppi, individui e oggetti; il potere politico e culturaledei termini di ‘centro’ e periferia’; la nozione di canone come referente di un sistema di valori e di interpretazioni di identità collettiva; e, più in generale ci invita a pensare i modi del presente di ripensare il passato e aprogrammare il futuro. Almeno della storia dell’arte.

 

 

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