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Compte rendu par Maria Luisa de Gasperis Nombre de mots : 2508 mots Publié en ligne le 2016-03-31 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2076 Lien pour commander ce livre
Nel 1920 il Prof. Jean Marie Leclant ( 1920 – 2011 ) iniziò i lavori che portarono allo scoperta e allo studio del sito archeologico di Lalibela in Etiopia, istituendo una Missione Archeologica Permanente “ in situ” e circondandosi di abili studiosi come Claude Lepage, rimasto successivamente alla presidenza della Società Francese di Studi d’Etiopia e Roger Schneider. Tutto questo portò alla scoperta di grandiose costruzioni monolitiche decorate da affreschi, di manufatti preziosi e di una ricca documentazione. Questo luogo è considerato la “ Summa “ dell’arte rupestre etiope; l’edificazione di queste Chiese fu iniziata intorno al IV secolo e proseguita fino al XIV secolo. Tali chiese costituiscono un complesso senza uguali nel mondo cristiano: sono scavate nella roccia con la peculiarità di svilupparsi dall’alto verso il basso e sono unite fra loro da profondi tunnel e cunicoli, eseguiti da una moltitudine di persone che per la loro realizzazione e per il loro abbellimento utilizzarono dei “ piccoli scalpelli “concepiti espressamente per decorare queste maestose strutture.
Questo sito è noto a tutti i cristiani d’Etiopia, e Aksum è la capitale di questa cristianità, il luogo tradizionale del suo primo edificio. Tuttavia, è necessario ricordare che la celebrità internazionale delle Chiese di Lalibela si deve alla descrizione che ne fecero vari studiosi di differenti paesi e in diversi periodi. Tra i più importanti si ricordano Francesco Alvarez e la sua missione portoghese, che rimase sei anni in Etiopia dal 1520 al 1526 e gli permise di acquisire ottima conoscenza del paese, fino ad allora sconosciuto all’Occidente e lo descrisse in un testo pubblicato nel 1540; una edizione italiana uscì nel 1550, quella francese nel 1556 e la I^ edizione inglese nel 1881.
Successivamente, nel 1940, Alessandro Monti della Corte ed il suo allievo Bianchi-Barriviera, effettuarono una descrizione rigorosa di questo territorio e dei suoi edifici straordinari. Dal dicembre 1966 al 1970 in collaborazione con il comitato etiope, per la restaurazione, rinnovazione e conservazione del sito di Lalibela che nel 1978 fu dichiarato dall’Unesco, Patrimonio dell’Umanità, l’architetto Sandro Angelini condusse tre campagne di scavo e acquisizione , delle opere rinvenute. .
È necessario partire dal personaggio che dette il nome a questo sito. Egli nacque dalla leggenda che lo circondò dal momento della sua nascita. Infatti, si narra che fu avviluppato da uno sciame di api, che in lingua Agaw significa “le api riconoscono la sovranità”; per questo episodio leggendario fu dichiarato Re con il nome di Lalibela; la sua Tomba è divenuta un vero centro di pellegrinaggio, tanto che, fin dal XV sec. fu istituito il culto della “ Via del Re Lalibela“; le Chiese furono costruite con colori diversi e dopo la morte di Lalibela, la sua autorità regale, fu trasmessa alla “Casa d’ Israele “, linea detta anche di Zagwé verso il 1270.
Il nome di Lalibela, e la data del suo Regno, iniziano dall’analisi che deriva dall’agiografia etiope della parola “abeille e bala” (la forza della api) e il nome del regno di Lalibela, da Gabra Masqal “Servitore della Croce“: il significato di questo titolo è spiegato in due atti conservati nel testo “Saveur du Monde”, a Dabra-Libanos; l’appellativo “Salvatore del Mondo”, è una formula originale incisa sulla pietra, che cita un atto di donazione di terre, e che fece di questa Chiesa la più importante del Regno. La genealogia di Lalibela e del suo insediamento è stata stabilita da due documenti rinvenuti a Dabra-Libanos e dalla “Chronique des Patriarches”. Egli voleva realizzare non soltanto una città unica ma soprattutto avrebbe dovuto magnificare l’eterna glorificazione di Dio.
Dopo Lalibela si successero diverse generazioni di Re e si ebbe la costruzione di una immagine illogica delle dinastie, alcune delle quali considerate illegittime. Dopo un periodo difficile, il regno ritrovò la sua prosperità ed il suo potere con Aksum ed il suo commercio degli “ Aromi “, ma ben presto, anche questa prosperità, declinò.
Si sa che Dabra-Libanos divenne un grande centro di insegnamento e furono fondati, fino al XIV secolo, dei Monasteri che divennero famosi attraverso S. Libano, venuto dall’Egitto in Etiopia all’epoca aksumita ed al quale fu dedicata Abba-Libanos. Diversi mutamenti si susseguirono negli anni, ma la sola informazione attendibile che ci sia pervenuta, è data dal “Chronique des patriarches” nel quale si parla di due principali gruppi di Chiese e del Seggio Episcopale del 1203 o 1204 che rimase vacante tra il 1208 e il 1209.
Al primo gruppo appartenevano la chiesa chiamata la “Casa della Croce”, la “Casa di Maria” e quella del “Salvatore del Mondo” che aveva lo Statuto di Cattedrale; ebbe in dono terre da Lalibela e commemorò la memoria del Re con una scritta incisa nel centro del sito. Queste Chiese hanno delle misure e delle proporzioni variabili; la Chiesa del “Salvatore del Mondo”, è la più grande Chiesa monolitica ma anche la più originale per la sua prospettiva avendo un colonnato esterno che prosegue all’interno con una vasta spaziosità volumetrica, in grado di ospitare un maggior numero di fedeli. La “ Chiesa di Maria “ , monolitica, finemente intagliata, si distingue da tutte le altre Chiese per avere tre porte a nord-ovest ; all’interno si incontrano decorazioni, affreschi e sculture. La “Chiesa della Santa Croce”, edificata nella parte nord, è costituita da una serie di sale scavate nella roccia, con due porte esterne ed una sopraelevazione che indica la zona sacra, orientata verso est e ricorda la piccola “Cappella della Croce” a Gerusalemme o anche quella del Golgota; la facciata ha una decorazione molto ricca, la Corte è vasta e oblunga ed anche questa, potrebbe essere stata fondata dal Re Lalibela. Il complesso funerario del Monte Sinai, rappresenta il passaggio obbligato per raggiungere il Golgota e la Trinità: l’entrata si presenta con due porte, mentre nell’interno mostra una pianta come quelle delle Basiliche a tre navate con colonne cruciformi e decorazioni scolpite nel soffitto. Da qui si raggiunge il Golgota la cui pianta interna è rappresentata da due navate; è molto simbolica perché in essa si possono ammirare le sole rappresentazioni di figure umane dell’antica arte cristiana d’Etiopia con uno straordinario dipinto del Cristo; in fondo alla navata una porta conduce alla “ Cripta della Trinità “; secondo la tradizione, sembra che in questa sala, si trovi la tomba del Re Lalibela. A trecento metri circa, si scorge il decimo gruppo di Chiese scavato nella roccia, su una montagna, ancora quasi sconosciuto. Si incontra la Chiesa “ Cristo Emanuele “ che significa “Dio è con noi “, come quelle dei “ Sapienti…” e di “...Maria …”; è un blocco unico a tre navate e per la sua tipologia è quella che rappresenta l’antichità etiope; purtroppo, le infiltrazioni d’acqua hanno generato dei danni. La “Chiesa di San Libano” è sopraelevata con tre navate ed ha componenti simili alle altre ma con un accesso indipendente dalle altre Chiese. La “Chiesa di S. Mercurio” ha una facciata che denuncia le ferite del tempo e degli agenti atmosferici ; il prospetto e l’ingresso sono stati rimaneggiati nel 1989-90 e molte parti hanno subito cambiamenti e alterazioni, è priva di decorazioni. Le funzioni di questo complesso rimangono misteriose tenendo conto dei suoi passaggi sotterranei che collegano con l’interno della “ Chiesa di Emanuele “ da una parte e “ Betlemme “ dall’altra. La “ Chiesa di San Gabriele e Raffaele “ sembra non essere anteriore al XVIII sec. ; ha una magnifica facciata scolpita nella roccia con delle arcate e delle finestre sormontate da archetti; si da il nome di San Gabriele all’edificio perché racchiude quattro sale che costituiscono il Santuario dell’Arcangelo Gabriele e di Raffaele.Lo schema di questo secondo gruppo di Chiese si distingue dal primo perché la “Chiesa di Santa Maria” è nel centro e le altre sono situate nelle zone periferiche. Il terzo gruppo di Chiese si trova su uno sperone naturale di cui fa parte la “ Chiesa di San Giorgio “ che è un esempio di Chiesa monolitica a forma di Croce, il suo accesso non è stato modificato durante i secoli, i tre ingressi sono disposti a ovest; nella Cupola è scolpita una grande Croce, le finestre superiori sono finemente cesellate, forse il complesso risale al XIV sec.
Pertanto, tutte queste Chiese, pur avendo delle forme diverse le une dalle altre, possiedono numerosi elementi comuni: ingresso, gallerie e strade che fanno pensare essere appartenute all’epoca aksumita o post-aksumita.
E’ importante l’iconografia che rivela la tradizione aksumita: essere scolpite nella roccia in una sola pietra e da questo il termine “ monolite “. Un esempio è dato dalle Steli gigantesche di Aksum che sono interamente intagliate nella roccia ed hanno delle decorazioni che richiamano le gabbie dei colombi e le cornici di porte e finestre. Troviamo anche delle tombe che sono precedute da una falsa porta, alcune delle quali, purtroppo, sono state abbandonate, anche perché l’identità dei personaggi sepolti è rimasta sconosciuta.
Le Chiese semimonolitiche funerarie del Tigray, o cosiddetto complesso funerario di Lalibela, si distinguono per tre caratteristiche : quelle di epoca post-aksumita fedele alla tradizione; quelle che seguono un uso paleocristiano e infine quelle delle tombe semimonolitiche anteriori a Lalibela, prive di una cripta funeraria. Le tipologie si modificarono, tenendo conto che tra il IV ed il V sec., numerose basiliche a cinque e tre navate furono edificate sui resti lasciati dalla cristianità. I gradini davanti all’ingresso sono riconducibili ad esempi etiopi attestati anche dalle rovine di Aksum. Altro elemento interessante è il tetto a terrazza che si può vedere nella chiesa cruciforme di S. Giorgio; le rientranze e sporgenze delle pareti sono un altro elemento caratteristico distintivo degli edifici aksumiti e presumibilmente del periodo fra il IX e il XIII sec; sulla facciata si trovano delle decorazioni tondeggianti che ricordano l’ovale di una testa mentre i muri sono decorati da travi orizzontali e da murature che rammentano le decorazioni delle steli. Questo tipo di costruzioni dettero luogo a diverse innovazioni: il tetto della navata centrale a forma di volta sostenuta da archi doppi apparsi fra il X e l’XI sec. secondo un prototipo conosciuto in Siria e Mesopotamia. Alcune decorazioni architettoniche si riflettono sulle arcate delle volte e il santuario centrale é generalmente sovrastato da arco trionfale. Si trovano esempi di finestre decorate con elementi simbolici specialmente quelli della croce e degli archi. E’ importante la disposizione delle colonne, dei capitelli con una forma a cubo e delle “ imposte “ che hanno delle tavolette collocate ai piedi di porte o finestre, tutte dello stesso tipo. La sopraelevazione è una reminiscenza del “presbyterium”, uno spazio riservato ai preti nell’antica cristianità. Le decorazioni geometriche che tappezzano le arcate e gli intradossi sono d’origine paleocristiana. Blocchi cesellati ornano la base dei muri; queste decorazioni e architetture si possono riconoscere nella Stele di Aksum come per esempio, le finestre cieche e tutti gli elementi aksumiti presenti a Lalibela possono essere stati poi assorbiti dall’architettura post-aksumita.
Si inseriscono nella antica architettura religiosa e civile, elementi nuovi pervenuti attraverso esperienze esterne che hanno dato vita a nuovi stili. Una rete di trincee, drenaggi, canali, coorti, abitazioni, cisterne, terrazzamenti, giardini dimostrano la conoscenza idrica e lo sforzo per proteggersi dalla desertificazione. I capitelli di forma cubica sostituiscono gli architravi dissimulandone l’aspetto poderoso mentre altri sono arricchiti da decorazioni nelle quali si riconoscono collegamenti all’arte egizia per es. alla “Ank” che simboleggia la vita eterna come pure la croce ansata che avrebbe avuto origine nella Siria-Palestina del IV-V sec.; inoltre le pitture che ricoprono gli alti muri e le vele dei soffitti ricordano le decorazioni affrescate dei Monasteri egizi nei deserti del Mar Rosso, del IV^-V^ sec. ,dove vivevano gli Anacoreti; queste decorazioni hanno un carattere esclusivamente liturgico e alcune caratteristiche come l’ “Ambone “, circoscritto da una recinzione di marmo destinato alla liturgia della Parola di Dio e uno “ Sgabello “ con quattro grandi Croci decorate sui lati ed un’iscrizione accompagnata dalle particolari “ Croci di Lalibela “ dedicati al Re per dimostrare la forza del suo Regno, pur differenziandosi da chiesa e chiesa e da un Evangelista e l’altro. L’esempio più sfarzoso rimane quello dei 115 Angiolettti affrescati sul soffitto della Chiesa di Debra Berhan.
Tutte queste architetture chiesastiche, si arricchirono col tempo di decorazioni particolari ; in alcune di esse, i cicli di affreschi sono quasi scomparsi, in altre sono conservate tanto da poter effettuare una lettura critica delle pitture come quella che rappresenta “ La fuga in Egitto “, “ Maria ed Elisabetta “ ed i “ Miracoli di Gesù “; lo stile ricorda quello dell’Egitto Copto, della Nubia e dell’Etiopia del X-XIII sec. Il Cristo Pantocratore e le immagini dei Santi celebrano quelle delle chiese di Macario, S. Antonio e Ciriaco. La forte influenza dell’arte pittorica si riconosce nelle figure che diventano scultura figurativa – es. di S. Giorgio - anch’esse scavate nella roccia dei portali e dei corridoi e soprattutto nella decorazione architettonica che si osserva sul il tetto a forma di croce e che determina pertanto la forma dell’edificio stesso.
E’ importante ricordare il programma mistico di Lalibela che si sviluppava su diverse tematiche: il Cristo nella luce e la Trinità, che mette in evidenza l’importanza della tradizione funeraria e la conseguente architettura che ne deriva con il compito di intercessione spirituale come nell’Arcosolio decorato con l’Angelo ai piedi di Gesù; la pittura murale e il Mosaico della Trasfigurazione dove il Cristo ha proporzioni maggiori dei profeti e degli apostoli; gli archivolti, decorati con immagini di aquile a due teste o altri animali, circondati da palmette e greche.
A scopo difensivo si notano larghe trincee anulari intersecate da quelle traverse che hanno uno scopo difensivo, alte più di dieci metri, nelle quali può passare solo una persona salendo o scendendo delle alte scale , usate come fortificazioni per la difesa dell’ accesso ai santuari e per filtrare quelli che arrivavano.La stessa struttura architettonica, pittorica e di sicurezza, si usava per le abitazioni private o di rappresentanza, ma soprattutto per la raccolta e la protezione delle acque, attraverso delle trincee di contenimento e dighe che completavano le cisterne. I sotterranei potevano essere raggiunti senza essere visti e si componevano di due o tre piani.
Questi complessi architettonici, comprese le certose, ebbero la funzione di delineare l’immagine e la funzione di un sacerdote di alto livello, per esempio un vescovo, affinché potesse rappresentare l’importanza della liturgia. Si fa riferimento alla “ Tomba di Adamo “ con un ingresso composto da un blocco monolitico decorato da una magnifica croce e alle porte in legno e in pietra che apparivano fortificate con meccanismo di serrature estremamente complesso.
A fronte di quanto analizzato se pur succintamente ma soprattutto dalle ipotesi affermate dagli studiosi che hanno potuto studiare questi siti, potrebbero essere avvenute diverse contaminazione da parte della cultura copta assorbita da quella etiope tenendo conto anche delle figure evangeliche che si sono susseguite nell’arco dei secoli fino ai tempi moderni e soprattutto con una conoscenza ravvicinata della liturgia chiesastica occidentale senza dimenticare come fattore coinvolgente.
Attualmente il sito di Lalibela è un luogo divenuto meta di regolari pellegrinaggi, promossi da turisti che hanno portato la conoscenza di un occidente, fino a poco prima sconosciuto, con la conseguenza di assuefazione e cambiamenti di alcune peculiarità tipiche di questo luogo e dei suoi abitanti.
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Éditeurs : Lorenz E. Baumer, Université de Genève ; Jan Blanc, Université de Genève ; Christian Heck, Université Lille III ; François Queyrel, École pratique des Hautes Études, Paris |