Romano, Serena - Zaru, Denise: Arte di corte in Italia del Nord. Programmi, modelli, artisti (1330-1402 ca.), p. 488, 48 tav. col. f.t., 190 ill. b/n, 17x24 cm, bross., ISBN: 9788867280087, 48 euros
(Viella, Roma 2013)
 
Reseña de Laura Fenelli, Università degli Studi, Bologna
 
Número de palabras : 2736 palabras
Publicado en línea el 2014-05-13
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2088
Enlace para pedir este libro
 
 

 

          Il corposo volume Arte di corte in Italia del Nord. Programmi, modelli, artisti (1330-1402 ca.), curato da Serena Romano e Denise Zaru, pubblicato per i tipi di Viella, raccoglie gli atti del convegno dall’omonimo titolo tenutosi all’Università di Losanna dal 24 al 26 maggio 2012 e ha l’innegabile pregio di essere stato pubblicato a breve distanza dall’incontro svizzero. 

 

          I diciannove contributi, redatti prevalentemente in italiano, con alcune eccezioni in lingua francese e inglese, affrontano da diverse angolazioni e prospettive le problematiche connesse all’arte di corte, ossia, come precisa l’introduzione, all’arte legata a un centro di potere, sia esso una famiglia, un nucleo dinastico o politico, "dal quale si sviluppino esigenze di autorappresentazione e prestigio".  Si tratta di un volume dedicato in gran parte alle istanze di committenza che caratterizzarono le corti dell’Italia del Nord tra gli anni trenta del Trecento e la fine del secolo: un’Italia del Nord geograficamente allargata, che arriva a toccare la Savoia (con il saggio di Roman), ma anche la corte ungherese dei re napoletani (con il testo di Lucherini), in una fruttuosa e ampia panoramica che aiuta a focalizzare dinamiche di scambio e reciproche influenze. 

 

          Corredano il volume, oltre a un indice dei nomi e dei luoghi, una ricca documentazione fotografica con numerose immagini in bianco e nero a corredo dei singoli saggi e un inserto a colori: purtroppo il bianco e nero penalizza spesso gli sfavillanti dettagli gotici di molti affreschi, tra l’altro in gran parte inediti o poco conosciuti. Non immediato è comprendere secondo che criterio siano disposti i contributi del volume: l’ordine pare cronologico, ma forse, per l’impostazione strettamente legata alle geografie locali, avrebbe aiutato maggiormente un’organizzazione più strettamente geografica, che in alcune sezioni è invece disattesa.

 

          Uno dei nuclei del volume è la pittura trecentesca nella corte di Mantova: Stefano L’Occaso ricostruisce, con ampio ricorso alla letteratura critica, le vicende artistiche della pittura mantovana su muro nel periodo del passaggio tra le due signorie dei Bonaccolsi e dei Gonzaga, analizzando un patrimonio frammentario (e spesso in cattive condizioni di conservazione) e che purtroppo manca di confronti con la coeva pittura su tavola, mentre Cristina Guarnieri affronta il problema della cappella gentilizia nel Palazzo ducale di Mantova, partendo dalla sua storia critica, e datandola, con un parere che la trova concorde con Stefano L’Occaso, al quarto decennio del Trecento, subito dopo la presa del potere dei Gonzaga nel 1328. L’autrice descrive dettagliatamente i brandelli di affreschi, individuando la pittura bolognese dello Pseudo Jacopino come rimando culturale più diretto.

 

          Alla corte di Padova sono dedicati i tre interventi di Laura Cavazzini, Zuleika Murat e Tiziana Franco. Laura Cavazzini, nel suo ricco testo, ripercorre le vicende attributive dell’arca di Jacopo Carrara: già legata, come quella del cugino Ubertino, al nome di Andriolo De Sanctis, l’opera è analizzata sulla base della letteratura critica, delle notizie archivistiche e dei confronti stilistici, per giungere a riaffermare la proposta di Valentiner, che vedeva nella Madonna con il bambino posta al centro del sepolcro la mano di Bonino da Campione. L’autrice ha così l’occasione di ripensare il catalogo di questo artista, stabilendo alcuni punti fermi e integrandoli con nuove proposte attributive. 

 

          Zuleika Murat torna sul tema della distruzione della chiesa di Sant’Agostino a Padova, da cui provengono anche i sepolcri dei Carraresi, questa volta per analizzare i frammenti di affreschi strappati da Giuseppe Zeni, di cui complesso è identificare l’originario progetto iconografico e ricollocare i brandelli nello spazio: la convincente proposta ricostruttiva è svolta grazie all’utilizzo sia di fonti inedite, sia di documentazione nota, riletta però con sguardo nuovo, e poi attraverso l’analisi dei frammenti pittorici dopo il restauro. Le nuove proposte sull’originaria collocazione degli arredi negli spazi sacri, che modificano in parte i suggerimenti già avanzati da Monica Merotto Ghedini, trovano importanti conferme nella Descrizione delle pitture sculture e architetture di Padova di Giovanbattista Rossetti, testo finora ignorato dalla critica.

 

          Il contributo di Tiziana Franco, da leggersi insieme al successivo, di Fausta Piccoli, sulla pittura di carattere ornamentale, punta la sua attenzione sulla reggia medievale, uno spazio che oggi spesso si presenta profondamente alterato, centro vuoto e spoglio o modificato da mutate destinazioni d’uso.

 

          I temi della conservazione e della tutela, strettamente legati all’indagine storica, volta a conoscere e valorizzare brandelli del passato, percorrono come traccia importante tutto il volume, i cui contributi spesso analizzano testimonianze artistiche sconosciute o poco note e trascurate. In questo contesto è esemplare il caso padovano carrarese della residenza Dotti, nei cui frammenti di decorazione si possono leggere in controluce un intenso legame del proprietario e committente con il milieu di corte e le ambiziose scelte di un uomo di potere.

 

          Il contributo di Fausta Piccoli sposta la sua attenzione sul Palatium novum di Cangrande I della Scala a Verona, ricordato dalle fonti e probabilmente da identificarsi con l’attuale palazzo della Provincia, molto alterato da usi successivi, continuando così a esplorare un soggetto prossimo a quello indagato da Tiziana Franco. Alcune recenti ricognizioni hanno permesso di individuare nell’attuale sede provinciale importanti testimonianze di pittura parietale, finora trascurate, tra cui un motivo in finto ammattonato, molto versatile e adatto per uniformare superfici murarie irregolari. A partire da questa residenza, che doveva essere sontuosa, e di cui oggi esiste solo un pallido ricordo, lo sguardo si allarga alle decorazioni delle residenze di Guglielmo Castelbarco, signore della Vallagrina, intimo consigliere di Cangrande: si tratta ancora una volta di dipinti che sono spesso solo esili lacerti nei sottotetti, ma che l’autrice ripercorre anche grazie all’aiuto di testimonianze archivistiche.

 

          Il saggio di Ettore Napione, ancora concentrato sulla città di Verona, ritorna sulla definizione di höfische-kunst di Schlosser e sul ruolo della città e della sua arte di corte come paradigma e modello: il testo focalizza la sua attenzione in particolare sulla serie di profili di imperatori rivenuti nel 1877 durante i restauri nel Palazzo della provincia (e ignorati da Schlosser), malauguratamente staccati nel 1967 e ora esposti al museo Cavalcaselle di Verona.

 

          Con il saggio di Marco Petoletti si apre la sezione dedicata alla città di Milano e alle corti lombarde: l’autore ripercorre la storia milanese tra tarda età romana e alto Medioevo e si focalizza su una serie di testi e panegirici storici: il cosiddetto Libellus de situ, scritto durante il pontificato di Arnolfo (morto nel 1018), sorta di Liber pontificalis della chiesa milanese, la Chronica Danielis, scritto visconteo riconducibile alla seconda metà del XIII secolo, il Chronicon di Benzo, iniziato intorno al 1320, fino al testo di Galavano Fiamma "clavicembalo squillante delle glorie di Milano e della famiglia Visconti".

 

          Sulla miniatura e il collezionismo librario si incentrano gli interventi di Laura Battaglia e Nathalie Roman. Laura Battaglia torna sulla definizione del corpus della miniatura lombarda del Trecento, a partire dalle definizioni critiche di Toesca e Salmi: si tratta di un gruppo di volumi miniati assai variegato per quanto riguarda la prima metà del Trecento, in cui molto forti sono le influenze della produzione bolognese. Due sono gli aspetti finora poco indagati di questi manoscritti: la committenza religiosa, anche perché spesso l’origine dei volumi è difficilmente tracciabile, e gli iter lavorativi delle botteghe miniatorie milanesi. L’intervento poi si concentra efficacemente su quattro messali di diversi committenti: il cosiddetto messale Visconti, il messale di San Maurilio, il messale Nardini e infine quello della biblioteca del Capitolo metropolitano, analizzati per quanto riguarda sia le occasioni di produzione, sia lo stile figurativo delle miniature, sia la tecnica con cui sono confezionati e rilegati i libri.

 

          Il saggio di Nathalie Roman si concentra invece sul più ampio tema delle scelte artistiche di Bianca di Savoia: con i Visconti si crea alla corte lombarda una biblioteca in cui esistono numerosi manoscritti francesi, e l’autrice ripercorre la nascita di queste precise scelte di gusto. Il cuore di queste dinamiche cortesi è individuato appunto in Bianca di Savoia: ne viene evocata la vita, poi se ne analizzano le scelte artistiche e collezionistiche in relazione a quelle della corte di Savoia, per ricostruire la personalità di una committente acuta nelle sue scelte e dalla spiccata personalità.

 

          Si muovono sempre in Lombardia le osservazioni di Serena Romano, una delle due curatrici del volume, nel suo saggio, riccamente illustrato a colori, sulla pittura lombarda cortese intorno alla metà del Trecento: l’autrice analizza il rapporto tra centri urbani e centri più periferici o addirittura di campagna per comprendere come si imposero gradualmente alcune scelte figurative di origine viscontea: da testo storico-artistico, il bel saggio diventa così un’analisi delle dinamiche attraverso le quali si consolida il potere attraverso le immagini e l’arte. Peculiari sono i casi di alcuni palazzi, la cui decorazione è ancora sconosciuta o trascurata, come il palazzo milanese della curia, sede dell’arcivescovo Giovanni e soprattutto il castello di Pandino, dove si svolge un ciclo di pittura aniconica di altissima qualità, in cui si intrecciano le armi araldiche dei Visconti e Bernabò, insieme a un potente recupero dell’antico, con decorazioni che simulano diversi materiali, quasi “metafisiche” nella loro astrazione. Il testo diventa così anche occasione per indagare quale poteva essere l’orizzonte culturale in cui si muoveva un pittore lombardo di metà Trecento, attivo tra città e campagna in un luogo dove i riferimenti alla classicità dovevano essere ricchissimi.

 

          L’altra curatrice del volume, Denise Zaru, sposta la sua attenzione, invece, dalla decorazione delle residenze civili a un gruppo di oratori eretti nella seconda metà del XIV secolo per committenze legate all’entourage della famiglia Visconti e propone di leggere i cicli decorativi, in cui abbondano ritratti di famiglia, come testimonianze dell’arte di corte lombarda, e insieme esempi della diffusione di uno stile retorico aristocratico.

 

          Santina Novelli ricostruisce la vicenda critica del maestro di Montiglio, autore che prende il nome del ciclo di affreschi nella cappella di Sant’Andrea nel castello omonimo, nel Monferrato, per poi concentrarsi sull’analisi dettagliata di alcuni cicli: oltre agli affreschi che danno il nome al maestro, vengono analizzate la cappella funeraria dei signori Rivalba di Castelnuovo, nel chiostro dell’Abbazia di Santa Maria di Vezzolano, poi gli affreschi di San Paolo a Vercelli, nell’ex cappella dell’Annunciata, per poi concludere con le pitture murali che  decorano la magna aula nel castello di Quart. In tutte queste opere l’autrice ravvisa una forte influenza del viterbese Matteo Giovannetti, attivo ad Avignone per la corte papale, arrivando a ipotizzare, forse in modo un po’ azzardato, che a Vercelli esistessero opere da cavalletto di questo maestro, notizia non altrimenti verificabile ai dati attuali delle conoscenze. Apprezzabile resta comunque la proposta di rivedere e rileggere la storia dell’arte del Piemonte considerando la regione non una semplice provincia viscontea, ma un territorio al centro di scambi e influenze.

 

          I testi di Vinni Lucherini e Michele Tomasi sono accomunati dalla scelta di analizzare una serie di fonti scritte al fine di ricavare dati utili a ricostruire le committenze artistiche e le scelte figurative di una corte. Tomasi si concentra sull’oreficeria, arte chiave per comprendere il sistema delle alleanze e delle fedeltà, perché i manufatti orafi costituiscono una parte essenziale, quantitativamente e qualitativamente, degli scambi rituali di doni. Per ricostruire il patrimonio orafo dei Visconti, oggi in gran parte perduto, sono molto utili gli inventari, realizzati in occasione di matrimoni. Al di là di un’analisi puramente quantitativa, più utile è ricavare dati sulle tecniche, come l’autore cerca di fare a proposito dello smalto su ronde-bosse d’oro, particolarmente prezioso e di difficile esecuzione. Dal confronto incrociato tra inventari milanesi, e dalla ricerca lessicografica compiuta dall’autore in questi testi, emerge che si può escludere, al contrario di alcune ipotesi recenti, che oggetti di questo tipo si potessero trovare nelle collezioni viscontee di primo Quattrocento: se prodotti di questo tipo esistevano nelle collezioni della corte lombarda, come altri inventari sembrano suggerire, si trattava con ogni probabilità di pezzi di importazione parigina e non di realizzazioni milanesi.

 

          Con il testo di Vinni Lucherini, dedicato all’arte della corte dei re napoletani d’Ungheria nel primo Trecento, lo sguardo si allarga verso una delle più interessanti corti europee: il Regnum Hungariae è un caso molto pregnante per lo studio delle dinamiche di autorappresentazione cortese perché presenta già una storia monarchica consolidata all’inizio del Trecento ed è un luogo di confluenza di culture, dove l’arte del Nord si incontra con le istanze di re, come Carlo I, nati ed educati a Napoli. Si tratta tuttavia di un quadro ancora molto rarefatto, in cui alcune superstiti evidenze materiali, soprattutto di dipinti italiani in collezioni ungheresi, devono essere incrociati con testimonianze documentarie, per iniziare a delineare un contesto significativo.

 

          All’analisi di una fonte scritta è dedicato anche l’intervento di Barbara Pagliari, che ricostruisce la personalità e l’attività di Pietro da Siena, “canterino” ufficiale della repubblica e autore de   I funerali di Gian Galeazzo Visconti, un testo metrico, in rapporto con l’opera fiorentina del Pucci, composto non già, come si pensava, durante un soggiorno milanese dell’autore, ma a distanza, nella propria città natale, come convincentemente argomenta l’autrice leggendo, in un’analisi puntuale del testo, numerosi riferimenti culturali al contesto della politica senese del tempo.

 

          Il contributo di Mateusz Grzęda, dedicato alle origini del ritratto, ci riporta in Lombardia: molti sono i dati e gli elementi accumulati, da Gentile da Fabriano a Giovannino de’ Grassi, in modo forse un po’ troppo rapido e corsivo, per delineare il ruolo che gli artisti della corte Visconti ebbero nel diffondere il nuovo genere pittorico.

 

          Raccoglie molti elementi, quasi a guisa di conclusione, anche l’ultimo saggio, di Andrea De Marchi, sulla percezione “panottica” delle camere pictae e degli ambienti cortesi tardo gotici, in cui le pareti agiscono come micro organismi architettonici: nella chiusa del ricco volume, che ha incrociato dati soprattutto sulle principali corti del Nord Italia, da Mantova a Verona, Padova e Milano, il testo di De Marchi apre la prospettiva verso due casi di Italia centrale: le decorazioni di Palazzo Trinci a Foligno e del Cassero di Spoleto, lette in parallelo con alcuni famosi esempi settentrionali, dal castello del Buonconsiglio a Trento, a quelli di Avio e della Manta, fino al palazzo ducale di Mantova, per chiudere, come in un cerchio, con la città da cui erano partiti i primi contributi del volume.

 

 

Indice:

 

Serena Romano e Denise Zaru, Introduzione (p. 7-9)

Stefano L’Occaso, La pittura a Mantova tra Bonacolsi e Gonzaga (1300-1330 ca.) (p. 11-35)

Laura Cavazzini, Un’incursione di Bonino da Campione alla corte dei Carraresi (p. 37-61)

Cristina Guarnieri, La cappella gentilizia e le altre decorazioni trecentesche nel Palazzo Ducale di Mantova al tempo dei Gonzaga (p. 63-96)

Zuleika Murat, Il Paradiso dei Carraresi. Propaganda politica e magnificenza dinastica nelle pitture di Guariento a Sant’Agostino (p. 97-122)

Tiziana Franco, Dentro e fuori la corte: note sulla pittura a Padova e sulla committenza della famiglia Dotti nel Trecento (p. 123-146)

Fausta Piccoli, Dentro e fuori la corte: note sulle pitture trecentesche nel palazzo di Cangrande della Scala a Verona (p. 147-170)

Ettore Napione, Tornare a Julius von Schlosser: i palazzi scaligeri, la «sala grande dipinta» e il primo umanesimo (p. 171-194)

Marco Petoletti, La memoria dell’antico nella Milano trecentesca (p. 195-210)

Laura Alidori Battaglia, La miniatura lombarda del Trecento: novità, riletture e il riscoperto Messale degli Umiliati (p. 211-250)

Serena Romano, Palazzi e castelli dipinti. Nuovi dati sulla pittura lombarda attorno alla metà del Trecento (p. 251-274)

Denise Zaru, Lignage noble et dévotion familiale. Les systèmes décoratifs des oratoires lombards dans l’entourage des Visconti (p. 275-293)

Santina Novelli, Il Maestro di Montiglio dal Monferrato a Quart (p. 295-319)

Nathalie Roman, Savoie, France, Milan: les choix artistiques de Blanche de Savoie (p. 321-347)

Michele Tomasi, Oreficeria, scarti culturali, circolazione artistica, tra Lombardia e Francia, attorno al 1400. Rileggendo alcuni inventari viscontei (p. 349-370)

Vinni Lucherini, L’arte alla corte dei re “napoletani” d’Ungheria nel primo Trecento: un equilibrio tra aspirazioni italiane e condizionamenti locali (p. 371-396)

Barbara Pagliari, I Funerali di Gian Galeazzo Visconti di Pietro cantarino da Siena: novità documentarie e prospettive di ricerca (p. 397-411)

Mateusz Grzęda, Fantasia and Ritrarre: Portraiture in Lombardy c. 1400 (p. 413-435)

Andrea De Marchi, La percezione panottica delle camerae pictae profane di età gotica in Italia superiore (p. 437-464)

Indice dei nomi e dei luoghi (p. 465-480)

Referenze fotografiche (p. 481-483)

Gli autori (p. 485-486)