De Girolami Cheney, Liana : Edward Burne-Jones’ Mythical Paintings. The Pygmalion of the Pre-Raphaelite Painters. 310 pp., num. ill, ISBN 978-1-4331-1876-0, 71.50 €
(Peter Lang, New York 2014)
 
Compte rendu par Laura Fanti, Université libre de Bruxelles
 
Nombre de mots : 2742 mots
Publié en ligne le 2015-02-19
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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         Liana de Girolami Cheney non è nuova agli studi sulle fonti e sul simbolismo dei Preraffaelliti, (cfr. Pre-Raphaelitism and Medievalism in the Arts, 1992). Il suo nuovo lavoro su Burne-Jones (1833-1898) rappresenta il più aggiornato studio sui dipinti mitologici dell’artista inglese e vuole essere di stimolo per ulteriori ricerche sul suo complesso simbolismo (p. XXXI).

 

         La metodologia è la stessa in tutti i capitoli: rintracciare le fonti iconografiche, quindi ricostruire la storia dei miti rappresentati (o evocati) e dare dell’opera una lettura storico-artistica, anche restituendo quei temi alla vita privata dell’artista. L’idealismo di Burne-Jones si ripercuoteva sulla vita privata e su quella professionale, la sua è stata una ricerca della manifestazione della bellezza ideale (p. XXV) attraverso la musica, l’arte e l’amore dove l’influsso della cultura classica ha avuto un ruolo fondamentale, non solo in quanto modello visivo ma anche come modello civile (exemplum virtutis).

 

         La prima parte del volume è interamente dedicata ai rapporti con l’arte italiana rinascimentale. Il modello principale è il lavoro di Botticelli, noto all’artista tramite i musei e la sua collezione personale, ma anche attraverso gli studi critici contemporanei. Botticelli era molto noto nel Regno Unito, non solo per via degli studi di Pater e Crowe, ma anche grazie alla nascita della National Gallery (1855) che continuerà ad acquistarne i dipinti e alla mostra Art Treasures of Great Britain a Manchester (1857). I numerosi viaggi in Italia (1859. 1862, 1871, 1873) confermano l’interesse per la cultura classica.

 

         Love Among the Ruins (1870, 1894, National Trust Collections, Londra) dell’inglese e l’Hypnerotomachia Poliyphili (di cui Burne-Jones possedeva una copia personale) sono messi a confronto. La vicinanza a Polifilo secondo Cheney è di tipo emotivo oltre che filologica: l’amore non corrisposto di Polifilo per Polia si tramuta in quello mai soddisfatto a pieno dell'artista per Maria Zambaco (p. 15). Altre fonti per il dipinto sono Endymion di Keats (1818), il poema persiano Rubaiyat di Omar Khayyan (XII sec.) e la ballata popolare Ballad for Barbara Allen (1855). Il tema del sarcofago nasce non solo dallo studio di Polifilo ma anche e, forse soprattutto, dalla visione diretta dei monumenti antichi a Roma, Pisa e Firenze.

 

         La seconda parte è dedicata ai Cicli mitologici. Il riferimento a Bronzino (Pigmalione e Galatea, 1529-30, Uffizi, Firenze) è fortissimo nei lavori ispirati al mito omonimo. D’altra parte, dopo Botticelli e Michelangelo, il Manierismo è l’altro modello forte dell’artista, sia per la linea serpentina, sia per l’ambiguità dello spazio, sia per l’immagine mentale della bellezza più che naturale (p. 23). Il tema è tradotto da Burne-Jones in atmosfere medievali con le coordinate dell’amor cortese, lo scopo è di nuovo quello di celebrare l’amore e la bellezza ideale ma anche il trionfo dell’artista sul materialismo contemporaneo. Per l’artista è anche una riflessione meta-artistica: si riflette sul senso del giudizio, d’altra parte, topos manieristico (p. 26). Cheney arriva ad affermare che Burne-Jones ha assimilato gli ideali manieristici nella sua teoria artistica creando così una nuova risposta al movimento preraffaellita (p. 27). Il mito di Pigmalione gli è utile per parlare del proprio furor poeticus, della propria ansia artistica, della necessità della creazione e dell’amore per il prodotto finale (p. 28).

 

         Cheney ritiene che il metodo di lavoro dell’artista sia simile a quello dei manieristi: immaginare un disegno su un foglio di carta nero prima di eseguirlo, eseguendo vari tentativi prima di arrivare a una forma “perfetta”, pulita e soprattutto controllata. L’amore controverso e sofferto di Burne-Jones verso Maria Zambaco si affaccia anche in questi lavori, che celebrano la bellezza e la forza dell’amore (p. 32) e stratificati livelli di interpretazione si aggiungono a quelli già dati su Galatea e Pigmalione, anche perché Maria era scultrice e dunque a sua volta coinvolta nel furor poeticus, inoltre “La trasformazione della statua non è solo il trionfo dell’arte sulla natura ma anche il trionfo della pietà sul fallimento morale” [1].

 

         Burne-Jones illustra The Earthly Paradise di William Morris (1864-1868), occasione per confrontarsi con la favola di Amore e Psiche, di cui esegue quarantasette disegni. Questi non saranno mai pubblicati ma per l’artista costituiranno un atlante da cui trarre ispirazione. Anche in questo caso l’intreccio con le proprie vicende sentimentali è inevitabile per la studiosa. La scena prediletta è il momento in cui Cupido trova Psiche svenuta, che richiama altri modelli classici come la statua dell’Ermafrodito, Arianna dormiente, Cleopatra, ma anche il sarcofago di Marte e Rea Silvia a Palazzo Mattei a Roma (p. 37). Cheney ritraccia anche le fonti letterarie per l’iconografia del tema (di nuovo il Polifilo, Amorum emblemata di Otto Vaenius e La romance de la Rose di de Lorris e de Meun). L’autrice ricostruisce filologicamente tutti i passaggi che portano l’artista inglese ad introdurre determinati simboli o emblemi, spesso legati alla rosa (fiore dalle complesse simbologie, legate anche alla morte), all’acqua, al giardino, attributi di Cupido. Naturalmente il rifarsi all’immagine di Cupido che ritrova Psiche dormiente si ricollega di nuovo alle dottrine neoplatoniche e alla nozione di immortalità dell’anima (p. 38). È molto interessante lo scambio che l’autrice restituisce tra la produzione artistica del pittore, i modelli letterari e filosofici e le pulsioni emotive indotte dal turbolento rapporto dell’artista con Maria Zambaco, rapporto connotato da aspetti spirituali e intellettuali oltre che sensuali che vanno a consolidare la ricerca estetica dell’artista.

 

         Una parte considerevole del testo è dedicata all’analisi del ciclo Romaunt of the Rose che occupò l’artista per venti anni (1877-97). Di nuovo torna il Romance de la rose ma anche il Romaunt of the Rose di Chaucer. L’interesse per le saghe medievali nasce secondo la Cheney da un forte senso di moralismo insito nella ricerca interiore ed estetica di Burne-Jones: ecco la concentrazione su storie d’amore dove le difficoltà, le prove, sono fondamentali per arrivare alla conoscenza del proprio sé (p. 43).

 

         La studiosa confronta l’edizione fiamminga del Romance de la Rose al British Museum con alcuni dipinti (p. 51) e trova dei rimandi puntuali, come la posizione delle mani in Love Leading the Pilgrim (ripresa da The Lover kneels before the God of Love). Anche qui i riferimenti al Polifilo sono frequenti, soprattutto per l’iconografia floreale, delle fontane e del giardino in generale. In merito all’influsso degli emblemi l’autrice rintraccia dei parallelismi tra i tormenti amorosi del putto in Voenius e il viaggio faticoso del pellegrino in Burne-Jones.

 

         Un’accurata analisi di Andromeda and Perseus (1875-1878) occupa la seconda parte del volume. Qui non solo si ricostruisce il legame di Burne-Jones con la mitologia classica e la filosofia neoplatonica ma si vuole restituire la sua versione della femme fatale in cui mescola classicismo e Rinascimento.

 

         L’artista si concentra sulla liberazione di Andromeda da parte di Perseo e sull’uccisione del dragone. Per questo capitolo la studiosa ha prodotto degli approfondimenti particolari che risalgono alle prime riproduzioni del soggetto mitologico: arriva persino a identificare la prima rappresentazione iconografica in alcuni vasi a figure nere e in una metopa del tempio di Selinunte del VI sec. a. C. (p. 63). Una prima ripresa del mito nel Rinascimento fu operata da Piero di Cosimo nel 1510 col dipinto ora agli Uffizi, dalle multiformi implicazioni con la storia politica a lui contemporanea che interessarono molti manieristi, Perin del Vaga e Vasari in primis, di nuovo correlato alla vita politica (pp. 64-65). Gli artisti nordici italiani si concentrarono maggiormente sulla liberazione di Andromeda: Giulio Romano, Veronese e Tiziano. Quest’ultimo in particolare, interessandosi alle due figure principali dà spessore al tema della sfida e della liberazione, mentre le implicazioni politiche sono state eliminate (p. 68).

 

         Andromeda (1875-88) di Burne-Jones è da ricollegarsi al ciclo della donna di cui parla Schuré in Grandes Légendes de France del 1892 (pp. 70-71), dove la donna è vista come una femme fatale in grado di esercitare incantesimi sull’uomo. L’artista inglese si serve del tema sia per parlare delle proprie pene d’amore, sia per alludere a questioni di genere. Andromeda è emblema di purezza  ma anche tentatrice (p. 71): questa ambiguità poteva essere di grande attrattiva per gli artisti dell’epoca vittoriana.

 

         In Andromeda, Phyllis and Demophoon e Tree of Forgiveness, Maria Zambaco, la donna amata, anche dopo il rifiuto, è ritratta come femme fatale, in accordo con il sentimento di frustrazione dell’artista (p. 73). In questi tre casi Maria è una creatura ibrida, ora albero/donna, ora pesce/donna, ora scudo/testa di donna, mentre la metamorfosi dell’artista è metafisica, poiché soccombe al potere seduttivo della donna.

 

         Il tema di Perseo e Andromeda è sviscerato in tre dipinti, The Rock of Doom, The Doom Fulfilled e The Baleful Head. Il primo rappresenta il momento dell’arrivo di Perseo da Andromeda, The Doom Fulfilled Andromeda liberata e Perseo che sconfigge il mostro. In The Baleful Head lo specchio d’acqua e i volti riflessi inducono riflessioni sull’identità da parte dei protagonisti e indirettamente da parte di Burne-Jones una riflessione sulla ricerca artistica (p. 64). Qui Burne-Jones si è ispirato a due poemi, uno di Rossetti (Aspecta Medusa) e l’altro di Morris (The Doom of King Acrisius). La testa di Medusa ha i tratti della moglie Georgiana mentre Andromeda è rappresentata con le sembianze di Maria. Cheney chiarisce, tuttavia, che in altro dipinto, Beguiling of Merlin, è Zambaco-Viviana ad essere rappresentata come incarnazione del male tramite la testa serpentinata.

 

         Il nono capitolo si concentra sul polittico ispirato alla città di Troia, più in particolare al poema di Rossetti Troy Town. Il lavoro impegnerà Burne-Jones dal 1870 al 1898 ma resterà incompiuto. Non è chiaro se l’artista abbia voluto creare un’opera d’arte totale o riproporre una monumentale pala d’altare. Sicuramente si è ispirato all’arte italiana, in particolare a Carlo Crivelli, come annotò nei suoi appunti. L’opera è stratificata, l’artista vi dedicò molti studi, ma alla base vi è un’esaltazione della mitologica storia d’amore anche se ci sono raffigurazioni che vanno oltre l’evento in sé che sono una riflessione sulla trasformazione dell’amore, sul matrimonio e sulla slealtà (p. 86).

 

         Burne-Jones è completamente attratto dal conflitto morale tra bene e male che si innesca con le reazioni di Minerva e Giunone dopo il giudizio di Paride (p. 88), oltre che ai temi dell’invidia e della vendetta. Per lui è particolarmente affascinante la doppia natura di Venere, scissa in Venus Concordia e Venus Discordia. Cheney trova dei rimandi a Luca Signorelli, ad Antonio Pollaiolo e a Masaccio, ma anche alla Battaglia di Cascina di Michelangelo (p. 90).

 

         Un altro modello magistrale sono i Trionfi di Petrarca, che ispirano la raffigurazione de The Wheel of Fortune, uno dei pannelli migliori, dove si intrecciano Botticelli e Michelangelo.

 

         Nuova la lettura della presenza della doppia mela (rossa e dorata). Le mele rosse sono presenti al banchetto di nozze e l’altra è un maligno regalo di Eris, la dea della discordia (pp. 94-95). Nella predella l’artista le introduce entrambe, la rossa, naturale, e la dorata, simbolo di concetti metafisici, come la bellezza e il giudizio. A volte la mela diventa gialla, colore che nella tradizione cristiana è associato alla gelosia e all’adulterio (p. 99). Per l’artista la mela rappresenta sia il simbolo religioso del matrimonio ma anche il pagano simbolo della “consumazione” o sacrificale allusione all’amore (p. 98).

 

 

Parte terza

 

         Nel decimo capitolo Cheney affronta gli scambi tra arte, musica e magia. Lament (1865-66) e Le Chant d’Amour (1868-77, due versioni e studi) rivelano il complesso e irrisolto amore con Maria, e la sua “magia” (p. 103). La doppia natura di questo amore si inserisce nel contesto preraffaellita e fin de siècle nel quale la donna è vista sia come emblema di purezza sia come tentatrice (p. 105).

 

         In Lament l’artista attiva due tipi di riflessione, una metafisica e un’altra artistica, l’una rivelata dai gesti e l’altra dai particolari e dagli effetti di luce (p. 108). Le due versioni di Le Chant d’amour (piccolo acquarello e dipinto a olio) sono una allegoria della musica. La versione cartacea è più misteriosa e malinconica e la figura sulla destra (personificazione dell’amore) non ha semplicemente gli occhi chiusi ma è bendata. Cheney vi vede un parallelo tra il potere dell’amore e quello della musica (p. 115): la rappresentazione del trionfo dell’amore corre insieme alla manifestazione estetica della bellezza in arte. Nell’olio è rappresentato il passaggio dall’amore passionale all’amore devozionale, Cupido è più meditativo e invece di soffiare la musica tiene un libro tra le mani. La studiosa ipotizza uno scambio dei ruoli: qui la Musa è diventata Cupido e il cavaliere potrebbe osservare una trasformazione del mito di Apollo e Dafne, come se Burne-Jones si osservasse trasformato in alloro, nella sua impossibilità di amare Maria.

 

         L’undicesimo capitolo è uno dei più densi e interessanti, anche se è slegato dal ciclo mitologico: vi si esamina la portata del significato simbolico e culturale degli attributi della Vergine Maria come appaiono nelle rappresentazioni dell’Annunciazione e il loro impatto sulla formazione dell’immagine della donna ideale in epoca vittoriana. Vi è analizzato il caso delle donne non sposate, ritratte come angeli o come demoni in base al loro ruolo nella società vittoriana. La prima manifestazione del concetto sopra elencato è The Girlhood of Mary Virgin (1849) di Rossetti. La Vergine Maria intenta a ricamare (e non a leggere) incarna un topos vittoriano: la donna intenta nelle attività domestiche per distrarsi da pulsioni di altro tipo, “se una fanciulla non poteva essere moglie, poteva almeno diventare  una ben educata servitrice di una donna sposata [2]”. Ma in questo giro di exempla morali, la Vergine Maria diventa l’ideale di donna domestica, sottomessa. In Ecce ancilla domini (1849-50) Rossetti presenta una nuova iconografia dell’Annunciazione, dove viene ricordata la paura che le donne vergini avevano alla vigilia della prima notte di nozze (p. 124). Vi è combinata l’ambientazione nordica e la reazione della Vergine tipica della rappresentazione italiana.

 

         Annunciation (1879) di Burne-Jones è una rappresentazione eccezionale del tema: l’angelo è sospeso in aria e non genuflesso, l’ambientazione è in un atrio, un cedro sostituisce il giglio, la luce sostituisce la colomba, il vaso e un pozzo o una fontana al posto di una panca o di un inginocchiatoio, la Vergine è una specie di Venus pudica (p. 126). Molto interessante l’associazione che Cheney fa tra questa iconografia e l’Annunciazione alla fontana del periodo medio-bizantino. Peccato che l’interpretazione dell’albero come cedro del Libano sia errata: l’albero raffigurato è un cedro e non un cedro del Libano, simbolo biblico del Cristo come Messia (Ez. 17:22).

 

         Il volume si chiude con l’esame del simbolismo ambiguo dell’acqua in The Sirens (1870-1889), opera lasciata incompiuta da Burne-Jones. L’artista vi crea delle immagini di bellezza senza pensare alle conseguenze dell’incantesimo. Il tema è molto antico ed arriva fino al Medioevo dove si carica di attributi “negativi”, dove l’incantamento è fortemente moralizzato (p. 137). Altro dipinto marino è Depth of the Sea di cui abbiamo diverse versioni: qui l’artista non vede la sirena come idolo di perversità ma come simbolo dell’incapacità di superare la propria passione per Maria Zambaco. In The Sirens è predominante la barca e non la donna: a significare il ruolo del viaggio, non solo esteriore ma anche interiore, inteso come trasformazione dell’anima.

 

         Il volume non solo ci riferisce dei modelli di Burne-Jones e delle sue spinte emotive, ci restituisce anche un mondo sul quale non sempre gli studiosi si soffermano, come ad esempio il mercato dell’arte italiana in Inghilterra, o le relazioni con gli italiani (p. 9).

 

         Peccato per la presenza di alcuni refusi: Lepanto invece di Levanto (p. 5), Ghirlandajo al posto di Ghirlandaio (p.13), Dusquenosy al posto di Duquesnoy (p.14) Emil Zola al posto di Emile Zola (p. 80), Pierio al posto di Piero (p. 97), cartelllino al posto di cartellino (p.113), che tra l’altro si chiama cartiglio.

 

         La natura di raccolta di saggi fa sì che ci siano delle ripetizioni (anche di citazioni) che si potevano risolvere in fase controllo bozze. Nonostante ciascun capitolo abbia una sua autonomia, sarebbe stato importante limare le ripetizioni, sia di concetti, sia di avvenimenti storici, sia di connessioni (ripetute connessioni con il Neoplatonismo e con le Metamorfosi di Ovidio con il l’Hypnerotomachia Poliphili).

 

         Il volume per il resto è impeccabile, ricco di illustrazioni, con una bibliografia accurata e un apparato di note altrettanto particolareggiato, sebbene la collocazione in fondo al volume non sia agevole. Le illustrazioni includono non solo opere dell’artista inglese poco note, ma anche raccordi con opere per niente scontanti, come un sarcofago romano conservato a Palazzo Mattei a Roma, o un emblema di Andrea Alciato.

 


[1]  “The transformation of the statue is not only the triumph of art over nature but also the triumph of piety over moral failure”, p. 33

[2]   “If a girl could not be a wife, she could at least become the well-educated servant of a wife”, p. 121.