AA.VV.: Sebastiani, Alessandro - Chirico, Elena - Colombini, Matteo - Cygielman, Mario (ed.). Diana Umbronensis a Scoglietto Santuario, Territorio e Cultura Materiale (200 a.C. - 550 d.C.). (Archaeopress Roman Archaeology, 3). x+377 pages; illustrated throughout in black & white, ISBN : 9781784910525, 50.00 £
(Archaeopress, Oxford 2015)
 
Recensione di Paolo Liverani, Università di Firenze
 
Numero di parole: 2934 parole
Pubblicato on line il 2015-11-27
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2504
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          Il volume presenta l’edizione degli scavi che hanno esplorato tra il 2009 e il 2011 un’area sacra di età romana in Toscana, presso la costa tirrenica a sud di Grosseto.

 

         L’introduzione dei curatori dà in modo sintetico il quadro storico evolutivo del santuario, dalle prime tracce del II sec. a.C., alla sua fioritura domizianea, alla crisi e ristrutturazione di III sec., fino all’abbandono e all’uso funerario dell’area nel IV sec.

 

        A. Arnoldus-Huyzenveld e C. Citter delineano l’evoluzione geomorfologica dell’area, caratterizzata dalla trasgressione marina, per cui il tempio di Scoglietto risulta ormai arretrato di circa quattro chilometri dalla linea di costa, mentre in età romana si affacciava direttamente sul mare, dominando dal suo promontorio una piccola baia presso la foce antica dell’Ombrone. Ciò comporta tra l’altro una ricostruzione del percorso della Via Aurelia che doveva aggirare da terra il Lacus Prilius per evitare le dune costiere a causa delle loro discontinuità.

 

         A. Sebastiani, fornisce una sintesi delle emergenze archeologiche finora registrate nell’area circostante all’insediamento. Tra queste sono particolarmente importanti quella identificata con la mansio di Hasta e l’insediamento produttivo di Spolverino, sulla riva della foce antica dell’Ombrone, ancora in corso di scavo.

 

         E. Chirico dedica qualche pagina a “Diana e la religione romana”, per introdurre il culto praticato a Scoglietto, con informazioni di base, forse troppo per un testo specialistico.

 

         Il I periodo del sito, di età repubblicana, è studiato da E. Vanni. La trattazione si concentra sul sacello occidentale e più antico dell’area sacra, ma esamina anche la sua evoluzione successiva fino all’abbandono in età tarda. L’edificio sacro, orientato a N, era dotato di cella con pronao e forse di un muro di temenos. La fondazione sarebbe da far risalire all’inizio del II sec. a.C. con un rifacimento completo in un momento non precisato, ma non molto successivo alla fondazione. Purtroppo gli aspetti cronologici non sono molto chiari. I materiali datanti sarebbero ceramica a vernice nera e anfore greco-italiche, ma nessuno di essi viene pubblicato. Una tabella presenta la schedatura essenziale di undici frammenti ceramici, ma essi provengono da unità stratigrafiche che non sono ricordate nel testo (o nelle tavole); in maniera simmetrica le UUSS ricordate nel testo non sono collocate in pianta o non se ne illustrano i materiali: per esempio dal sacello provengono dieci monete databili tra Augusto e Domiziano (US 335), ma non ve ne è traccia nel catalogo dei reperti numismatici di De Benedetti (cfr. infra); uno strato di frammenti di vasi e coppette di ceramica a vernice nera nell’angolo SE della cella (US 434) è interpretato come possibile resto di deposito votivo, ma nessuno dei frammenti compare nel catalogo della ceramica. Il sacello viene definito “sacello di Diana” per il rinvenimento nelle vicinanze (2003) di una dedica a Diana Umbronensis (cfr. infra) e nel sacello di una statuetta di Diana e di una di Iside di I o II sec. d.C. Viene ipotizzato che inizialmente fosse venerata la versione etrusca della dea, Artumes, tuttavia l’ipotesi sembra fragile considerando il fatto che il sacello viene costruito in un luogo privo di preesistenze e in un periodo di romanizzazione avanzata della fascia costiera, tanto da essere definito dagli stessi curatori del volume “avamposto della romanizzazione” (p. 394).

 

         I periodi II e III, che abbracciano l’età imperiale fino a Commodo, sono illustrati da A. Sebastiani ed E. Chirico. In un momento non meglio precisabile, ma in ogni caso anteriore a Domiziano, avviene una drastica ristrutturazione dell’area forse causata da uno smottamento della collina. Viene impiantato il complesso di età imperiale, costituito da un piazzale di 600 m2 delimitato da un muro di temenos, con orientamento NE-SO, dunque divergente rispetto al primo sacello. Nella parte NE vengono costruiti almeno due ambienti adiacenti (V-VI) di livello modesto, con pavimento in terra battuta e probabilmente elevati “di argilla” (mattoni crudi? pisé?), e da una cisterna di pianta allungata, originariamente coperta a volta. Meno chiara è la situazione al centro dell’area, dove il podio del successivo tempio di età severiana nasconde le eventuali preesistenze. Saggi al di sotto di esso hanno fatto intravedere uno strato di macerie, ma senza fornire elementi planimetrici, né materiale datante. Il sacello più antico sopravvive, probabilmente con uso differente (thesauros?), ma sul retro – lato nord – viene aperta una porta, intervento databile in base a tre monete augustee.

 

         In età domizianea vengono costruiti ancora due ambienti (I-II) a NO dei precedenti V-VI e sulla stessa linea, quasi a toccare l’angolo del sacello più antico. Un ulteriore piccolo ambiente (III) viene addossato al muro NE del II. La tecnica edilizia è un’opera mista di opera incerta e laterizio con bolli della figlina romana dei Gobathi (CIL XV, 251-252). I pavimenti dei vani I-II sono in cocciopesto e del III in mosaico bianco e nero. Due ulteriori ambienti (IV, VII) vengono addossati a SO dei precedenti sotto Commodo.

 

         Il periodo IV, dall’età severiana alla metà del IV sec., è a firma di M. Colombini ed E. Chirico. Gli ambienti di servizio a NE dell’area sacra (I-II, V-VI) vengono abbandonati e crollano tra la fine del II e la prima metà del III, ma in età severiana si ha un importante intervento: al centro dell’area viene eretto un tempio su alto podio di ragguardevoli dimensioni (m 11.8x6,2) con lo stesso orientamento SO-NE, ma con ingresso da NE (contrariamente al vecchio sacello). Doveva essere del tipo in antis: viene ipotizzata la presenza di un’abside nella cella, ma non è chiaro su quali basi e la proposta sembra tipologicamente poco verosimile. Un frammento di statua femminile in marmo potrebbe costituire il resto della statua di culto.

 

         I periodi V – VII, relativi alla piena età tardoantica, sono discussi da A. Sebastiani. Alla metà del IV sec. l’area sacra, ormai abbandonata, viene utilizzata per sepolture: una sola è stata trovata in situ lungo il podio, datata da una moneta forse di Costantino II (337-340), mentre altri resti umani sono stati rinvenuti in giacitura secondaria. La distruzione del tempio (e lo sconvolgimento delle sepolture) vengono attribuiti ai provvedimenti di Teodosio del 380. Probabilmente ci si riferisce piuttosto quelli del 391 (Cod. Theod., XVI,10.10; XVI,10.11), che in ogni caso non prescrivevano “la conversione in chiese cristiane o la distruzione dei templi pagani”, ma solo la loro chiusura. Non viene chiarito, però, se la data proposta per questa distruzione sia sostenuta da dati stratigrafici o solo da ragioni di verosimiglianza storica. Il rinvenimento di un nucleo consistente di lucerne databili tra la metà del IV e l’inizio del V sec. d.C. fa pensare alla sopravvivenza di forme di culto, in continuazione con una pratica rituale già bene attestata per la fase pre-severiana, da legare forse alle connotazioni notturne di Diana. C’è da chiedersi se non sia possibile una ricostruzione parzialmente differente: un progressivo abbandono nel corso della seconda metà del IV sec. con l’utilizzo dell’area anche per sepolture, ma con sopravvivenza della struttura più o meno degradata e di qualche forma di culto fino all’inizio del V sec., seguita dal crollo o dalla distruzione del tempio.

 

         Nel VI secolo, infine, sul podio del tempio si insedia una capanna databile anche grazie al rinvenimento di un denario bizantino. La fine dell’abitazione è determinata da un incendio, che si propone di legare alle vicende della riconquista bizantina. Lo stesso autore conclude il discorso sul Medioevo e l’Età Moderna.

 

         Segue una parte assai consistente – com’è ovvio – dedicata ai materiali rinvenuti. I reperti ceramici sono studiati da S. Ricci, che pubblica “alcune delle Unità Stratigrafiche ... selezionate in base all’importanza stratigrafica e alla loro restituzione ceramica” (p. 70). La definizione delle UUSS analizzate è data in maniera discorsiva, ma senza piante e sezioni stratigrafiche. Sono presi in considerazione per il tempio severiano gli strati di vita del battuto esterno (US 319/332, metà III - inizi IV sec.) e quelli di abbandono e crollo (US 126/3 e 10, US 338, seconda metà IV – prima metà V sec.), quelli di abbandono degli ambienti VI (US 308 – 321 – 322, seconda metà II – prima metà III sec.; US 387, fine II – III sec.) e IV (US 326, III sec.), della cisterna (US 441, fine IV – metà V sec.) e infine il crollo esterno al sacello più antico (US 278, fine II – prima metà III sec.). Mancano le US relative alle fasi repubblicane e al I sec. d.C.

 

         A M. Brando si deve un corposo e dettagliato contributo su “La suppellettile da illuminazione” (rinvenuta nelle US 305 e 278), i cui risultati principali dal punto di vista storico sono stati anticipati nel capitolo dedicato al periodo VI. Non è possibile in questa sede scendere nei particolare della interessante analisi delle produzioni e dei flussi commerciali.

 

         E. Rubegni pubblica i reperti vitrei; a M. De Benedetti si deve il lavoro sui reperti numismatici, fondamentale per molti punti di cronologia, ma purtroppo in qualche misura incompleto – come si è osservato a proposito del periodo I. E. Rubegni pubblica anche i piccoli reperti; seguono le analisi dei i resti umani e dei reperti faunistici a firma di V. Aniceti,

 

         M. Cygielman studia i pavimenti (in opera spicata, in cementizio, in tessellato e in opus sectile), nonché i reperti marmorei, in cui ovviamente spiccano le statuette di Diana e di Iside dal sacello più antico e il frammento di statua femminile, forse parte della statua di culto del tempio severiano. Lo stesso autore dedica qualche scheda ai bolli laterizi, che rivestono particolare significato in quanto testimoniano una provenienza urbana dalla figlina dei Gobathi (cfr. supra), e infine esamina l’epigrafe di Diana Ombronense, rinvenuta casualmente nelle vicinanze del tempio nel 2003, che aveva attirato l’attenzione sull’area, dando origine al progetto di scavo e di studio. La dedica fu posta da Dionysios, servo di un Quintus Haterius, il cui cognome non è purtroppo ricostruibile con sufficiente sicurezza. Cygielman discute con prudenza la possibilità di istituire un legame con gli Haterii di rango senatorio giulio-claudi. Data l’importanza della fase domizianea, però, ci si potrebbe forse anche chiedere se esista in alternativa un possibile legame con gli Haterii flavio-traianei titolari di una impresa edile attiva a Roma in numerose importanti commesse pubbliche sotto i Flavi, nonché proprietari del famoso sepolcro di età traianea, i cui rilievi sono conservati al Museo Gregoriano Profano in Vaticano (F. Sinn – K.S. Freyberger, Vatikanische Museen, Museo Gregoriano Profano. Katalog der Skulpturen. Die Grabdenkmäler 2. Die Ausstattung des Hateriergrabes, Mainz a.R. 1996). Tra i personaggi della famiglia, infatti, sono attestati sia un Q. Haterius Rufio che un Q. Haterius Rufus, cognomi che avrebbero qualche possibilità di adattarsi alle tracce visibili in lacuna.

 

         Apre la sezione di sintesi il saggio sull’ager Rusellanus e la città di Rusellae dalla romanizzazione al II sec. d.C. di E. Chirico e M. Colombini (per l’ager Rusellanus) e di M.G. Celuzza (per la città). Rusellae, come è noto, viene conquistata nel 294 a.C. dai Romani, ma nel corso del II secolo mostra una nuova fioritura in competizione con la vicina e declinante Vetulonia: si deve pensare che in questo periodo il Lago Prile – la vasta laguna costiera, ora scomparsa, che separava le due città – passasse sotto il controllo rosellano. Colpita duramente dalle distruzioni sillane, ha un’importante ripresa in età giulio-claudia, quando forse accoglie una colonia di veterani augustei. Il declino incomincia entro la fine del II sec. d.C. Nell’ager la fondazione del luogo di culto a Scoglietto si inquadra nella fioritura tardorepubblicana (ma – forse per un errore di stampa – l’inizio del culto è attribuito al III sec. a.C. invece che al II). Contraccolpi delle lotte politiche tardorepubblicane si ebbero anche nel territorio rosellano: secondo Cicerone, Clodio si impossessò della proprietà di Marco Paconio, che si è proposto di riconoscere a Badiola al Fango presso il Lago Prile. La ripresa giulio-claudia si riscontra anche nel territorio, tra l’altro con la produzione laterizia dei Vicirii. Andrebbe corretto però qualche dettaglio di prosopografia rosellana in quanto i Vicirii entrano in senato solo con Domiziano, mentre i Bassi non sono una gens: Bassus è il cognome di due personaggi ritratti in età traianea, il cui gentilizio resta ignoto. Una presenza imperiale è forse identificabile grazie al rinvenimento di un busto di Adriano nel complesso delle Paduline, una ricca villa con terme per cui è stata proposta anche l’identificazione con la mansio di Salebrone, citata nella Tabula Peutingeriana. Le principali ville del territorio rosellano sono localizzate alla fig. 3, che però mostra una ricostruzione del Lago Prile differente – almeno per lo sbocco al mare – da quella proposta all’inizio del volume da Arnoldus-Huyzenveld e Citter. La crisi che si coglie a Roselle nella seconda metà del II sec. d.C. trova riscontro a Scoglietto nell’abbandono di almeno una parte delle strutture dell’area sacra.

 

         La prosecuzione del discorso sul periodo successivo fino al tardoantico è oggetto di un successivo capitolo. M.G. Celuzza delinea l’evoluzione della città, che mostra evidenti segni di crisi: nel III secolo la Domus dei Mosaici viene declassata a bottega di recupero dei metalli provenienti da statue onorarie e dalle tombe etrusche saccheggiate, nel IV sec. le terme adrianee sono abbandonate e l’unico intervento edilizio significativo è alla fine del secolo la costruzione delle terme del consularis Tusciae et Umbriae Arzygius, presso la porta orientale. Resiste una capacità aggregativa come polo amministrativo e religioso, dimostrata dalla presenza di un vescovo a partire dal V secolo e, nel VI o agli inizi del VII, dalla costruzione della cattedrale sui resti delle terme adrianee. Da segnalare la nuova e più bassa datazione della chiesa, a seguito di un riesame dei contesti stratigrafici. In ogni caso si configura un popolamento secondo il modello della “città diffusa”. La costruzione della chiesa va probabilmente connessa all’arrivo dei Longobardi, testimoniato dalla necropoli che si estende attorno ad essa. La sede vescovile verrà trasferita a Grosseto nel 1138. A. Sebastiani studia invece l’ager nello stesso periodo: il territorio della città vede un decremento nel numero e nella ricchezza degli insediamenti con poche eccezioni, addensate principalmente lungo il percorso della via Aurelia. In particolare lo scavo dell’area sacra di Scoglietto e dell’insediamento produttivo di Spolverino permettono di fondarsi su dati più solidi di quelli delle ricognizioni e di proporre una visione più sfumata. Il VI secolo segna effettivamente il traguardo di un processo di impoverimento del territorio, quando vengono a mancare anche le importazioni di ceramica dall’Africa e le condizioni ambientali diventano sempre meno adatte all’insediamento, a causa degli straripamenti dell’Ombrone e della trasgressione marina.

 

         Alla fine del volume, a mo’ di appendice, alcuni brevi saggi focalizzano temi specifici legati all’area esaminata. M.G. Celuzza riesamina il testo famoso di Rutilio Namaziano, mentre M. Cygielman offre alcune riflessioni su “Diana e Iside a Scoglietto” e N. Barocca presenta la comparazione con il caso di Talamone, vicino geograficamente eppure assai differente. Le conclusioni dei curatori chiudono il volume.

 

         Desta ammirazione la rapidità con cui si è arrivati a pubblicare le campagne dello scavo, un caso in questo senso davvero esemplare. L’inquadramento storico è ampio e attento alle dinamiche di lungo periodo, la trattazione dei materiali accurata. Non si può nascondere, però, il fatto che forse proprio il desiderio di concludere velocemente la pubblicazione ha lasciato indietro alcuni tasselli. È infatti evidente uno sbilanciamento tra la ricchezza di dati relativi alle fasi imperiali avanzate, dal III sec. in poi, e quelli disponibili sulle fasi repubblicana e altoimperiale: non è chiaro quanta parte dei dubbi rimasti aperti sia dovuta a difficoltà oggettive dello scavo e quanto invece a contributi mancanti. Sono assenti infatti tutti i materiali delle fasi più antiche e la comprensione di dettaglio dell’evoluzione repubblicana ne soffre.

 

         In ogni caso il volume è meritorio per la messe di dati di grande interesse su questo insediamento, che fornisce una chiave importante di interpretazione del popolamento sulla costa grossetana e, più in generale, della costa tirrenica.

 

 

Sommario

 

Alessandro Sebastiani, Elena Chirico, Matteo Colombini, Mario Cygielman, Introduzione, pp. vii-x

Antonia Arnoldus-Huyzenveld, Carlo Citter, Lo Scoglietto nel paleo-paesaggio della piana di Grosseto, pp. 1-11

Alessandro Sebastiani, Le indagini archeologiche di età romana nel territorio di Alberese, pp. 12-22

Elena Chirico, Diana e la religione romana, pp. 23-25

Edoardo Vanni, Periodo I. Età Ellenistica e Repubblicana (II secolo a.C. – I secolo a.C.), pp. 26-39

Alessandro Sebastiani, Elena Chirico, Periodi II – III. Dal Primo Impero al Regno di Commodo (Fine I secolo a.C. – Ultimo quarto del II sec. d.C.), pp. 40-53

Matteo Colombini, Elena Chirico, Periodo IV. Età severiana – Tarda Età Imperiale (Fine del II secolo d.C. – Metà del IV secolo d.C.), pp. 54-59

Alessandro Sebastiani, Periodi V – VII. La piena età tardoantica (Fine del IV secolo d.C. – Metà del VI sec. d.C.), pp. 60-67

Alessandro Sebastiani, Periodo VIII. Il Medioevo e l’Età Moderna (Metà del VIO secolo d.C. – XX secolo d.C.), pp. 68-69

Stefano Ricci, I reperti ceramici, pp. 70-113

Massimo Brando, La suppellettile da illuminazione, pp. 114-143

Massimo Brando, Catalogo lucerne, pp. 144-224

Elisa Rubegni, I reperti vitrei, pp. 225-243

Massimo De Benedetti, I reperti numismatici, pp. 244-278

Eisa Rubegni, Small Finds, pp. 279-297

Veronica Aniceti, I resti umani individuati nella cisterna a Scoglietto, analisi preliminari, pp. 298-305

Veronica Aniceti, I reperti faunistici, pp. 306-319

Mario Cygielman, I piani pavimentali dell’area religiosa di Scoglietto, pp. 320-326

Mario Cygielman, I reperti marmorei, pp. 327-337

Mario Cygielman, I bolli laterizi, pp. 338-339

Mario Cygielman, L’epigrafe di Diana Ombronense alla foce del fiume Ombrone (Alberese-Grosseto), pp. 340-342

Elena Chirico, Matteo Colombini, Mariagrazia Celuzza, L’ager Rusellanus e la città di Rusellae dalla romanizzazione all’età imperiale. III secolo a.C. – II secolo d.C., pp. 343-357

Alessandro Sebastiani, Mariagrazia Celuzza, L’ager Rusellanus e la città di Rusellae nel periodo tardoantico (200-546 d.C.), pp. 358-366

Mariagrazia Celuzza, Ancora su Rutilio Namaziano e l’archeologia delle coste tirreniche, pp. 367-374

Mario Cygielman, Diana e Iside a Scoglietto, pp. 375-379

Nicoletta Barocca, Paesaggi etruschi, romani e tardoantichi lungo la via Aurelia: l’area di Talamone, pp. 380-393

Alessandro Sebastiani, Elena Chirico, Matteo Colombini, Mario Cygielman, Conclusioni, 394-396