Dessy, Clément: Les écrivains et les Nabis. La littérature au défi de la peinture. 108 illustrations. 22 x 28 cm. 978-2-7535-3617-3. 29 €
(Presses universitaires de Rennes, Rennes 2015)
 
Reseña de Laura Fanti, Université libre de Bruxelles
 
Número de palabras : 2624 palabras
Publicado en línea el 2016-12-14
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2542
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          Questa importante pubblicazione è frutto della ricerca dottorale di Clément Dessy, un giovane studioso che, grazie a un lavoro scrupoloso e originale, si è guadagnato il Prix Musée d'Orsay. Il volume richiede un'attenta e lenta lettura, tante sono le questioni affrontate, le collaborazioni, le citazioni e le piste aperte dall'autore, il quale ha in dote una grande capacità di scrittura e un personale stile espressivo. Cosciente delle infinite sfumature delle arti visive e dell'ampiezza delle relazioni tra parola e immagine, Dessy esplicita fin da subito il suo intento: «Mi interesserà identificare quegli elementi del discorso degli scrittori e degli artisti sulle loro opere che rivelano la volontà esplicita di manifestare una somiglianza[1]». Corrispondenze e collaborazioni tra artisti Nabis e letterati nello specifico. Ripercorriamone i capitoli, evidenziandone le componenti essenziali e l'originalità dell'apporto critico di Dessy.

 

 

Présence littéraire des Nabis

 

         Nel primo capitolo abbiamo un'utile ricostruzione degli ambienti frequentati dai sintetisti e dai Nabis. Tra i molti, primeggia La Revue Blanche (fondata nel 1889), che ebbe un ruolo di primo piano come promotrice, attraverso articoli e illustrazioni, senz'altro, ma anche grazie alle esposizioni che ospitò nei suoi locali. Dessy precisa che non tutti gli scrittori che parteciparono alla vita della rivista condividevano un'estetica Nabis (p. 42) e spiega bene come funzionasse la sua politica: «[La rivista] mette in atto un processo di legittimazione che funziona nei due sensi. Offre una visibilità importante a un gruppo emergente di pittori. Dai suoi sforzi la redazione spera di avere indietro un beneficio in termini simbolici, in termini di immagine[2]».

 

 

L'attrait de la nouveauté

 

         L'autore ripercorre quei casi in cui gli artisti devono la propria fortuna alla penna degli scrittori. A volte è in gioco un sentimento di eroismo che porta gli scrittori a superare le frontiere letterarie per misurarsi con le arti visive[3]. Dessy passa in rassegna i critici pro e contro Nabis. Tra i primi, Alphonse Germain, sostenitore di Alexandre Séon, del rinnovamento cattolico e ammiratore sui generis di Maurice Denis. Camille Mauclair si manifesta anti-Nabis ed è della stessa opinione di Retté sull'eccesso di letteratura in seno al gruppo e sul loro principio di deformazione, che disprezza con toni ancor più aspri, a tratti ironici. Julien Leclerq è il primo detrattore delle insinuazioni di Mauclair (ad esempio, lamenta l'assenza di una qualche forma di intellettualità presso gli Impressionisti). Thadée Natanson, collezionista e mecenate dei Nabis, nei suoi articoli difende l'emancipazione della pittura, ma è molto attento all'uso delle parole e delle etichette, dunque non parla di «symbolistes» ma di «groupe de peintres» (p. 74-76).

 

 

Repenser le rapport entre peintres et écrivains

 

         In generale i pittori non sono soddisfatti dell'opinione degli scrittori, i quali replicano contestando le abilità intellettuali dei primi (p. 83). Allo stesso tempo, alcuni pittori sentono il bisogno di mettere mano alla penna per dare spiegazione del proprio lavoro (Paul Gauguin con Noa Noa rappresenta uno dei casi più noti) e altri di collaborare con scrittori minori per sentirsi più liberi[4], come Rops (escludendo Les épaves di Baudelaire). André Gide e Maurice Denis collaborarono strettamente in Le Voyage d'Urien (1893), al punto che lo scrittore chiese disponibilità all'artista e persino dei consigli prima di mettersi al lavoro! Sull'esemplare personale di Denis, Gide impresse: «Ce voyage vraiment fait ensemble»[5], sebbene Denis, legato a una tradizione medievale, si comportasse da decoratore. Tuttavia, nel 1901 Gide cambierà idea, mettendo in guardia contro l'ut pictura poësis ma senza essere contrario alla collaborazione (p. 89).

     

         Dessy si occupa di Nib (15 febbraio 1895), frutto dell'incontro tra Jules Renard e Félix Vallotton, opera del tutto originale, fin dai sottotitoli: «Dessins de Félix Vallotton, commentés par Jules Renard»[6]. In effetti, testo e immagine sono indipendenti ma, allo stesso tempo, intrecciati poiché Renard si sottomette all'immagine.

 

 

Relier la diversité

 

         I letterati che si occuparono dei Nabis avevano stili e provenienze diverse, così come molto diversi erano scrittori e artisti. Tuttavia, questi ultimi si ritrovavano ad avere in comune semplicità, sintesi e primitivismo. Dessy cita, in questo senso, stravaganti collaborazioni, di nuovo quella tra Renard e Vallotton, che vede il primo mostrare disprezzo per l'altro, anche se tornerà ad apprezzarne la semplicità («Vous avez une troublante manière d'être simple»[7]), e quella tra Paul Fort e Émile Bernard, uniti dall'idea di un «simbolismo chiaro» e dall'esigenza di primitivismo (p. 107).

     

         In merito a questa ultima istanza, Dessy precisa che i sintetisti si ispiravano ai Greci, agli Egiziani, agli artisti gotici, e non agli artisti italiani e fiamminghi del Quattrocento, contrariamente ai Preraffaelliti (p. 111). Questa esigenza estetica, che ingloba anche elementi della cultura popolare, è spiegata chiaramente da Dessy: «In effetti, per i pittori sintetisti, così come per un bel numero di scrittori, il disimparare tecniche per giungere a un mitico 'primitivismo' all'interno di una storia dell'arte è pensato parallelamente a un ritorno alle conoscenze iniziali proporzionato alla propria esistenza personale[8]».

 

 

Voir par l'écriture

 

         Si tratta indubbiamente della sezione più originale del libro. Partendo dalla polisemia della parola «immagine» e consapevole della possibilità di un «sens résolument anti-pictural» (p. 129), in particolare per le immagini mentali proprie alle culture ossessionate dal tabù dell'idolatria[9], l'autore parla della necessità sentita dagli scrittori fin-de-siècle di «fare immagine» all'interno della scrittura.
     

         Dessy ritiene il progetto L'Ymagier (1894) di Alfred Jarry e Remy Gourmont estremamente significativo, per aver privilegiato l'immagine al testo e aver donato ad entrambi autonomia (p. 132-134). Gide prosegue il cammino verso l'immagine servendosi del paesaggio come stato d'animo, quando l'emozione diventa troppo astratta[10]. Lo scrittore ci tiene a dimostrarsi distante dal naturalismo ma trova difficile associare un'emozione ai suoi paesaggi, sebbene in Les Nourritures terrestres (1897) restituisca tantissime descrizioni di paesaggi immaginari, avvicinandosi così a pratiche più proprie alle arti visive. In Le Voyage d'Urien «L'a-mimetismo di un tale colore [palme viola, N.d.R.] mostra d'emblée come Gide tenti di creare un mondo che sfidi (o deformi) le convenzioni della rappresentazione[11]».

 

         Romain Coolus, amico di Édouard Vuillard, in Aspects, utilizza uno stile plastico (metafore, neologismi) e una lingua ritmata, baudelairiana (p. 140). I due sono simili nella concezione di un'arte anti-naturalistica, scegliendo soggetti apparentemente poco interessanti. Persino la parola «aspect» porta con sé una lettura visuale: aspectus in latino significa apparenza, vista, prospettiva e sguardo. Nel diario di Vuillard troviamo più volte «aspect» e anche nelle stampe di Bonnard si rintraccia questa poetica del frammento.

 

 

Annoncer la couleur

 

         In questa sezione vengono affrontati i rimandi e le corrispondenze stilistiche tra testo e immagine, in particolare la presenza del colore all'interno della scrittura. La volontà di ricondurre la pittura sulla via «visionaria», oltre la cosiddetta meccanicità impressionista, da parte dei Nabis, è cosa nota, e «anche quando il colore è credibile, la sua saturazione e la sua esagerazione si rivelano sufficienti per suggerire questa visione personale[12]», perché il colore stesso deve presentarsi nel suo aspetto primitivo, senza sfumature che rimandino a un'«imitazione».

 

         Il primato del colore sulla linea storicamente dimostra l'esigenza della pittura di svincolarsi dalla letteratura. Il rifiuto dei Nabis per le associazioni simboliche di colore rientra in questa tradizione: di conseguenza i sintetisti avrebbero un rapporto ambiguo con la letteratura, essi aspirano a una riformulazione della stessa piuttosto che alla sua negazione (p. 152).

     

         In che modo gli scrittori trasmettono la nuova visione pittorica? Quali aspettative hanno nei confronti dei pittori? Rispetto al teatro la tendenza è quella di annullare il descrittivismo, il trompe l'œil, per favorire la suggestione. Nell'opera di Maeterlinck ritroviamo un uso anti-naturalistico e atipico del colore, che risale a Rimbaud e a Baudelaire. Gli scrittori vorrebbero sfidare il luogo comune secondo il quale il colore sarebbe inaccessibile alla letteratura, affermando così la loro modernità (p. 155-156).

     

         Dessy si occupa della modernità del lavoro di Alfred Jarry, uno dei più intrecciati a questioni coloristiche e dei più vicini ai sintetisti: dedicò a Gauguin tre poemi nei quali i colori sono utilizzati in maniera stravagante e diretta, ispirati ai dipinti visti da Durand-Ruel (p. 163). Louis Lormel in Ligne du Nord prese spunto dai dipinti di Bernard: «Metafore multiple tramite la deformazione/esaltazione del colore ('foresta blu', 'campi violetti, campi gialli, campi rossi'), una descrizione semplificante ('in cioccolato') o i riferimenti alla linea ('scalpello', 'fili del telegrafo', 'stirarsi o strapparsi') rinviano allo stile pittorico di Bernard[13]». Paul Fort ebbe, invece, una stretta collaborazione con Bernard, il suo rimando a «trois tapisseries» si ritrova in molte opere e rientra in un immaginario medievale che orientò il poeta verso le ballate. Dessy parla di un «colorisme hypertrophié» in Fort, che, tuttavia, si estese per un tempo limitato, così come per gli altri scrittori (p. 174).

 

 

Filer l'arabesque

 

      Uno dei primi a parlare di arabesque è stato Maurice Denis in Théories, specialmente nei suoi aspetti anti-illusionistici e di emancipazione dalla letteratura: «décoration sans servitude du texte». La pratica dell'arabesque presso i Nabis è evidente soprattutto nei lavori teatrali: nei costumi, per esempio, che vogliono aumentare il carattere sinuoso dei personaggi. Dessy ci restituisce numerosi esempi di scritture «sinuose», che disegnano arabeschi, in particolare nell'ambito de La Revue Blanche (Jules Mery e Eugène Veeck).

     

         In due autori l'arabesco si rivela in modo deciso: Jarry e Coolus. Il primo parla copiosamente di arabesco, rispetto a Gauguin e all'interno del suo lavoro, dove la linea serpentina e le «métaphores reptiliennes» appaiono numerose, e sotto forma di allucinazione in Les jours et les nuits; l'uso di immagini speculari da parte di Jarry rimanda anche alla pratica dell'arabesco trasferita al testo (p. 214 e seguenti).

      

         Noa Noa, nato dalla collaborazione di Charles Morice con Paul Gauguin, ebbe una storia travagliata che iniziò otto anni prima della sua pubblicazione e finì con una versione che non ebbe il consenso di Gauguin. L'intento di costui era quello di rendere nota la propria poetica e, allo stesso tempo, di essere sostenuto da un amico letterato. Morice cercava dal canto suo di riscattarsi nel mondo letterario dopo il fiasco di Chérubin, servendosi di altri settori creativi (p. 222). L' arabesco appare solamente nell'ultima versione del libro, dove, secondo Dessy rientra in un'estetica contemplativa, «dunque, non si tratterà solo di vedere degli arabeschi ma di vedere tramite l'arabesco[14]».

 

Le rythme décoratif

 

         Armonia e ritmo occupano un posto di rilievo nelle opere degli artisti sintetisti, che talvolta se ne servono solo per dimostrare il proprio anti-naturalismo (è ancora il caso di Gauguin). In poesia, invece, il ritmo si materializza nel verso libero. Quello che accade in letteratura e nelle arti visive aprirà la strada all'astrazione pittorica.

     

         Dessy si chiede se la scrittura decorativa costituisca un progetto negli anni Novanta. Il caso di Mallarmé è emblematico: «La sua teoria dell'evocazione che tende a destabilizzare i legami tra gli oggetti e il loro significato mette al centro la questione del ritmo e della musicalità, la cui influenza su scrittori e artisti simbolisti degli anni 1890 è innegabile[15]».

     

         Il paragrafo dedicato al monologo interiore (nuovo genere simbolista) è di particolare interesse: se i Nabis si servono dell'arabesco per «descrivere» la propria interiorità, allora il monologo interiore avrebbe analogie con l'arabesco? Ma siamo lasciati senza risposta (p. 242).

 

Épilogue: Paul Percheron, un Nabi écrivain?

 

         Partendo da una lettera di Denis a Lugné-Poe, Dessy arriva a Paul Percheron, un nabi pressoché sconosciuto ma potenzialmente importante nell'ambito delle rivendicazioni sintetiste (p. 247). Egli mise in scena per la prima volta L'intruse di Maeterlinck, nel 1890, affermando il proprio ruolo di mediatore tra Nabis e teatro e aprendo la strada a Lugné-Poe.

 

         In conclusione, il libro di Dessy è una pubblicazione impeccabile sotto tutti i punti di vista. I due più importanti sono quello di riportare alla luce nomi poco noti, di critici e di riviste, e di presentare l'universo Nabis mettendo in discussione più di un luogo comune. Le note sono esaurienti e la bibliografia è di notevole interesse per lo studioso della fin-de-siècle. A nostro avviso, il contributo principale del libro risiede nella restituzione di un nuovo sguardo sugli ambienti culturali del periodo, che include le strategie degli artisti, delle riviste, le collaborazioni e gli intrecci tra le arti. In quanto alle illustrazioni rileviamo la scarsità di testi letterari, ossia riproduzioni di testi originali illustrati dai Nabis. Per quanto riguarda le note, riscontriamo una leggerezza redazionale: se si cita un libro solamente come op. cit., bisogna andare indietro nel testo (anche di capitoli) per rintracciare i riferimenti precisi, il ché non facilita la lettura.

 


[1]  «Il m'emportera d'identifier des éléments du discours des écrivains et des artistes sur leurs œuvres qui révèlent la volonté explicite de manifester une parenté» (p. 30-31).

[2]  «[la revue] met en place un processus de légitimation qui fonctionne dans les deux sens. Elle offre une visibilité importante à un groupe de peintres émergent. En retour de ses efforts, la rédaction espère tirer un bénéfice en termes symboliques, en terme d'image» (p. 46).

[3]  «Les symbolistes cherchaient alors des peintres auxquels on pourrait attribuer le même héroïsme que celui dont ils se réclamaient» (p. 64).

[4]  Hélène Védrine, De l'encre dans l'acide. L'œuvre gravée de Félicien Rops et la littérature de la décadence, Paris, Honoré Champion 2002, p. 33-34.

[5]  Lettera di André Gide a Maurice Denis [Paris, 11 Mai 1893], citata in André Gide, Maurice Denis Correspondance, 1892-1945, a cura di Pierre Masson e Carina Schäfer, con la collaborazione di Claire Denis, Paris, Gallimard, «Les cahiers de la Nouvelle Revue Française», 2006, p. 85.

[6]  Jules Renard e Félix Vallotton, Nib, supplément à RB, t. VIII, 15 février 1895, n.p.

[7]  Lettera de Jules Renard à Félix Vallotton, Paris, 24 septembre 1894 (n. 427), citata in Jules Renard, Correspondance générale (1880-1910), a cura di Jean-François Flamant, vol. I, Paris, Honoré Champion, 2009, p. 428.)

[8]  «En effet, pour les peintres synthétistes ainsi que pour un grand nombre d'écrivains, le désapprentissage des techniques vers un mythique 'primitivisme' dans le cadre d'une histoire de l'art se pense parallèlement à un retour aux connaissances initiales à l'échelle d'une existence individuelle» (p. 118).

[9]  Si veda W.J.T. Mitchell, Iconologie. Image, texte, idéologie (1986), Les Prairies ordinaires, «Penser/Croiser», 2009, p. 46.

[10] André Gide, prefazione alla nuova edizione di Le Voyage d'Urien [1896], in Romans et écrits, t. 1, p. 223.

[11] «L'amimétisme d'une telle couleur [palmiers mauves, N.d.R.] montre d'emblée comment Gide tente de créer un monde qui défi (ou déforme) les conventions de la représentation» (p. 136).

[12] «même lorsque la couleur est crédible, sa saturation et son exagération s'avèrent suffisantes pour suggérer cette vision personnelle» (p. 150).

[13]«Les métaphores multiples par la déformation/exaltation de couleur ('forêt bleue', 'champs violets, champs jaunes, champs rouges'), une description simplifiante ('en chocolat') ou les références à la ligne ('scalpel', 'fils télégraphiques', 's'étire et se déchire') renvoient au style pictural de Bernard» (p. 166).

[14] «donc il ne s'agirait pas de seulement voir des arabesques, mais de voir par l'arabesque» (p. 223).

[15]«Sa théorie de l'évocation qui tend à déstabiliser les liens entre les objets et leur signification met au centre la question du rythme et de la musicalité dont l'influence est indéniable sur les poètes et les artistes symbolistes des années 1890» (p. 238).

 

 


N.B. : Laura Fanti prépare actuellement une thèse de doctorat intitulée "Le Symbolisme belge et l’Italie: production artistique, discours critique et transferts culturels entre 1880 et 1920", sous la direction de M. Denis Laoureux (Université libre de Bruxelles).