Paolucci, Giulio : Canopi Etruschi. Tombe con ossuari antropomorfi dalla necropoli di Tolle (Chianciano Terme). «Monumenti Etruschi», 13. pp. 1.000 - 2 volumi, con 2.400 figure b/n e un pieghevole, formato cm 25 x 30, ISBN: 978-88-7689-284-4, ISSN: 0545-008X, 351,00 €
(Giorgio Bretschneider Editore, Roma 2015)
 
Recensione di Maria Cristina Biella, Sapienza Università di Roma
 
Numero di parole: 2173 parole
Pubblicato on line il 2018-03-28
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2623
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          Il volume, pubblicato nella prestigiosa serie Monumenti Etruschi dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici (http://studietruschi.org), è dedicato allo studio delle tombe con ossuari antropomorfi dalla necropoli di Tolle nel territorio chiusino.

 

         A giudicare dal titolo potrebbe sembrare a prima vista un’opera molto settoriale, essendo in qualche modo legata al solo studio del materiale proveniente da una specifica necropoli. In realtà, si tratta di una ricerca che affronta una tematica più ampia, come giustamente sottolineato sin dal principio dall’Autore, in un ampio capitolo dedicato alla storia degli studi della classe di materiale in questione (pp. 1-20).

 

         Come noto gli ossuari antropomorfi – i cosiddetti canopi – sono un tratto distintivo in ambito etrusco del territorio chiusino[1]. L’ampio interesse che questa assai particolare produzione artigianale ha suscitato nel corso dei secoli nel pubblico degli studiosi, degli eruditi e dei collezionisti è andata purtroppo di pari passo con la decontestualizzazione della maggior parte di questi manufatti. Ed è appunto per questa ragione che una pubblicazione come quella oggetto di questa nota di lettura va ben al di là dell’edizione degli esemplari, pur numerosi, provenienti da una data necropoli.

 

         L’opera ha infatti la giusta ambizione di proporsi come un caposaldo, un vero e proprio nuovo avvio per gli studi concernenti l’intera classe di materiale. E tanto più può essere considerata “fondante”, tenendo conto del fatto che la necropoli di Tolle, ubicata nel territorio chiusino in un punto di grande significato per via del controllo di percorsi viari che conducevano verso la costa, il sud e l’area interna (p. 373), può a buon diritto definirsi una delle grandi scoperte che hanno interessato il campo etruscologico negli ultimi decenni. Gli scavi, cominciati dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso hanno infatti avuto il pregio di essere stati sistematici: 16 campagne si sono succedute nel corso degli anni, portando alla luce oltre 1000 tombe, databili tra il VII e il II sec. a.C. e con qualche minore testimonianza di età romana (p. 24 e planimetria nel pieghevole fuori testo). Grazie a queste ricerche sono stati scoperti gli oltre cento esemplari discussi nell’opera di cui qui si dà conto, la cui rilevanza non può sfuggire, essendo tutti materiali in contesto e quindi in grado di fornirci, al di là dell’analisi tipologica, dati concernenti anche le modalità di deposizione, gli aspetti rituali e non da ultimo tutti gli agganci necessari per fornire una datazione attendibile. È forse interessante dare la notizia di come l’intera necropoli nelle sue fasi Orientalizzante e Arcaica sia ora in corso di studio da parte di Mattia Bischeri nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Archeologia (curriculum Etruscologia – XXXIII ciclo) presso la “Sapienza” Università di Roma.

 

         È con questo spirito che G. Paolucci prende in considerazione in prima battuta i tipi di sepoltura entro cui i canopi sono venuti alla luce (pp. 25-32). Ne emerge un quadro variegato, essendo stato questo tipo di manufatti rinvenuto in tombe a ziro, a camera, a camera con tramezzo, a camera con pilastro, a camera con caditoia e in tombe a cassa. Si tratta di tipi tombali che hanno articolazioni cronologiche in parte parzialmente diverse: le più antiche sono le tombe a ziro che fanno la loro comparsa agli inizi del VII sec. a.C. e il loro uso volge al termine nel primo quarto del VI sec. a.C. (p. 26). Sostanzialmente simili per quanto concerne il momento iniziale sono invece le tombe a camera, articolate in camera semplice (p. 29), con tramezzo (p. 29), con pilastro (p. 30) e in un unico caso di camera con caditoia (p. 30). Lo studioso data tutte queste testimonianze grossomodo dagli inizi del terzo quarto del VII sec. a.C. Unica critica che mi sento di muovere all’analisi proposta è la presunta diretta derivazione dell’uso dei loculi nelle tombe a camera della necropoli di Tolle dall’area falisca e in particolare dal centro di Narce. La mancanza di un adeguato approfondimento di questa affermazione non permette di comprendere quale sia la motivazione che induce lo studioso a creare un legame diretto tra le due aree – e in particolare con il centro di Narce - e al di là dell’effettiva presenza di loculi sepolcrali nella regione falisca in un momento analogo a quello in cui questa caratteristica compare anche nelle tombe di Tolle, bisogna tuttavia ricordare come questo tipo di manifestazione interessi anche altre aree della penisola italiana al medesimo livello cronologico. Cito – ma a semplice titolo d’esempio e senza alcuna pretesa di completezza – i casi di Veio, Capena, di Falerii, dei centri della Sabina tiberina, per limitarsi alle testimonianze che in qualche modo gravitano sull’asse tiberino[2].

 

         L’opera procede poi con il catalogo vero e proprio dei complessi tombali, che occupa la gran parte del volume (pp. 33-344). Ogni contesto è analizzato prendendo le mosse da una breve descrizione della struttura. Fa poi seguito l’analisi dettagliata dei materiali rinvenuti. Per quanto riguarda le modalità di classificazione dei reperti, il compito dell’Autore è stato senz’ombra di dubbio facilitato da quella grande opera di sistemazione e di studio dei materiali di età orientalizzante di area chiusina portata avanti a cavallo tra gli anni ’90 e l’inizio dei 2000 da A. Minetti[3], a cui infatti G. Paolucci fa costantemente riferimento. Nell’assai ricco panorama presentato che, come logico, mostra un profilo pienamente inserito nella tradizione artigianale locale per quanto riguarda le produzioni ceramiche, mi soffermo qui brevemente sulla presenza di fittili che costituiscono una spia di grande interesse nell’ambito della cultura materiale di età orientalizzante anche della necropoli di Tolle. Si tratta di un piccolo gruzzolo di vasi d’impasto - olle con coperchio - che presentano sulla spalla una decorazione a protomi di animali con le fauci aperte, in cui si deve riconoscere un’estrema stilizzazione di protomi di grifo[4]. G. Paolucci sostiene correttamente come i prototipi di questi vasi in impasto debbano essere riconosciuti nell’ambito delle produzioni metalliche (pp. 231 s.). Quello che interessa è qui sottolineare come queste forme vascolari, realizzate in impasto, siano da considerare come spie delle varie riletture a cui il patrimonio figurativo di matrice lato sensu orientale ha subito nell’ambito della Penisola Italiana, partendo dall’ambito costiero, ove i contatti erano – per ovvie ragioni anche geografiche – più diretti, giungendo ai territori più interni della Penisola Italiana in cui il fenomeno cosiddetto Orientalizzante deve essere riletto forse con altre categorie che includono anche la comprensione non solo dei modelli “originali”, ma anche delle riletture a cui essi sono stati soggetti nei vari comparti territoriali della Penisola[5].

 

         Su queste solide basi di conoscenza approfondita dei contesti di rinvenimento lo studioso stila la tipologia dei canopi (pp. 345-372). Vengono presi in considerazione separatamente i sedili (fittili e di pietra), gli ossuari, i vasi comuni utilizzati come ossuari, le braccia mobili, le teste, gli occhi e le maschere. Tutti questi elementi vengono articolati per tipi. Di particolare interesse appaiono le notazioni tecniche riguardanti le modalità con cui sono stati realizzati questi manufatti. È ad esempio interessante la notazione dell’utilizzo delle stesse matrici in connessione alla produzione di teste femminili e di teste maschili (p. 363). Vi è poi il caso, intrigante, della testa della tb. 922 che venne modellata “attorno ad un’anima costruita da piccoli rami intrecciati e da fogliame annodato”, accostandosi in questo a una tecnica che pare trovare addentellati con la metallurgia (pp. 363 s.). D’altro canto la presenza di lamine auree a decorazione di alcuni degli esemplari trattati nel volume (p. 364), così come l’applicazione di occhi in osso o in altro materiale deperibile variamente fissati o incastonati nella terracotta (p. 367) va nella direzione di un artigianato “complesso”, i cui prodotti svelano in controluce l’alta specializzazione degli atelier e degli artigiani dediti alla produzione di questo tipo di manufatti.

 

         Una breve ma significativa parte dell’opera è poi dedicata alla ricostruzione dell’ideologia funeraria e dell’organizzazione sociale che si riescono a ricostruire in base all’analisi condotta sui materiali e sui contesti (pp. 373-380). Tratto distintivo di questo tipo di manufatti è l’antropomorfizzazione del cinerario che viene ribadita dall’uso di “vestire” il fittile e di decorarlo con pendenti in pietra e ambra, a imitazione di collane, e da orecchini (p. 377). I canopi chiusini pertanto rientrano in quel filone di antropomorfizzazione dei cinerari, caratteristica che in Etruria è ben nota già da epoche più antiche, come attestato, ad esempio, dai vasi biconici dell’età del ferro[6], ma che trova una sua persistenza anche in altri areali geografici dell’antica Etruria anche in età orientalizzante. Si pensi, a semplice titolo d’esempio, all’area vulcente e al fenomeno degli sphyrelata tornati d’attualità in anni assai recenti, anche grazie al rinvenimento di straordinarie nuove testimonianze[7].

 

         G. Paolucci non tralascia neppure il tentativo di condurre un’analisi dei manufatti e dei contesti sepolcrali in cui sono stati rinvenuti che porti a comprendere il ruolo sociale di coloro che decidevano di (auto)rappresentarsi al momento della morte con questo tipo di manufatto. Lo studioso giunge a sostenere che i canopi possano essere considerati il fenomeno più evidente della classe emergente di Tolle, interpretandoli come indicatori di prestigio sociale (p. 378).

 

         Poiché però, come ho già ricordato, l’opera ha lo scopo di essere anche un corpus dei canopi ad oggi conosciuti, tre utili appendici vanno ad integrare e correggere l’opera di R. D. Gempeler[8] (pp. 381-390).

Chiudono il volume, al di là della bibliografia di riferimento (pp. 391-408), gli utili indici delle località (pp. 409-412) e dei musei e delle collezioni (pp. 413-414).

 

         Infine, considerando anche il prezzo di copertina, fa piacere sottolineare come l’opera, articolata in due poderosi volumi, uno di testo e uno di immagini, sia dotata di un apparato grafico di grande qualità, sia per quanto riguarda i disegni al tratto (figg. 1-312) sia per quanto concerne le riproduzioni fotografiche (tavv. I-CCLXXXIX), rientrando questa cura del dettaglio d’altro canto in generale nelle corde dell’Editore per i cui tipi il volume è apparso.

 

 

 

 

 


[1] H. Damgaard Andersen, The Etruscan Ancestral Cult, Its Origin and Development and the Importance of Anthropomophization, in ARID XXI, 1993, pp. 7-66.

[2] Per Veio e il territorio veientano si vedano i casi editi in S. Neri, The Orientalizing necropolis of Macchia della Comunità – Veii, Some observations on its development, in P.A.J. Attema, M.A. Harder, R.R. Nauta, O.M. van Nijf (a cura di), Research into pre-Roman burial grounds in Italy, Leuven 2014, pp. 121 ss.; A. Carbonara, G. Messineo, A. Pellegrino, La necropoli etrusca di Volusia, Roma 199. Per Capena – centro che indubbiamente necessita di una rinnovata attenzine - si vedano, ad esempio i casi analizzati in M.C. Biella, Impasti orientalizzanti con decorazione ad incavo nell’Italia centrale tirrenica, Roma 2007, pp. 163 ss. e 219 ss..Per Falerii si rimanda, tra i molti esempi possibili, a quelli editi in A. Cozza, A. Pasqui, Carta Archeologica d’Italia (1881-1897), Materiali per l’Agro Falisco, Forma Italiae II, 2, Firenze 1981, pp. 109 ss. in relazione alle tombe di età orientalizzante della necropoli di Celle. Infine per l’area sabina si possono vedere i casi citati in M. Cristofani Martelli, in Civiltà arcaica dei Sabini nella valle del Tevere, III, 1977, pp. 12-17

[3] A. Minetti, L’Orientalizzante a Chiusi e nel suo territorio, Roma 2004.

[4] Tb. 597, n. 9, pp. 231 s.; tb. 641, n. 3, p. 245; tb. 680, n. 3, p. 260; tb. 709, nn. 3-5, p. 280; tb. 731, nn. 3-5, p. 305

[5] M.C. Biella, Il lungo viaggio dei Mischwesen, La trasformazione del bestiario orientalizzante nell'Italia centrale tirrenica, in M.C. Biella, E. Giovanelli, L.G. Perego (a cura di), Il bestiario fantastico di età orientallizzante nella Penisola Italiana, Aristonothos, Scritti per il Mediterraneo Antico, 11-12, 117-143 ed Ead., Quale Orientalizzante in Agro Falisco?, e S. Santocchini Gerg, L’orientalizzante nel bolognese: influssi e connessioni culturali, in S. Bourdin, O. Dally, A. Naso, C. Smith (a cura di), The Orientalizing cultures in the Mediterranean and in Italy, 8th-6th cent. BC. Origins, cultural contacts and local developments, c.s

[6] Si veda ad esempio quanto sostenuto recentemente in C. Casi, P. Petitti, 3. Il corpo ritrovato. Rituale funerario e antropomorfizzazione tra Bronzo finale e prima età del ferro a Vulci, in M.L. Arancio (a cura di), Principi immortali, Fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci, Roma 2014, pp. 23-25 riferito al caso vulcente ma con bibl. prec. riferita anche ad altri ambiti territoriali.

[7] Si veda a tal proposito A. Russo Tagliente, Dall’umano al divino: eidola e simulacra tra Mediterraneo orientale ed Etruria, in M.L. Arancio (a cura di), Principi immortali: fasti dell’aristocrazia etrusca a Vulci, Roma 2014, pp. 27-31.

[8]R.D. Gempeler, Die Etruskische Canopen. Herstellung, Typologie, Entwicklungsgeschichte, Einsiedeln 1974.