Abdelwahed, Youssri Ezzat Hussein : Houses in Graeco-Roman Egypt : Arenas for Ritual Activity, viii+104 p., ISBN : 9781784914370, 25 £
(Archaeopress, Oxford 2016)
 
Compte rendu par Paolo Bonini, Accademia di Belle Arti “Santa Giulia” di Brescia
 
Nombre de mots : 1812 mots
Publié en ligne le 2017-06-29
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          La grande fioritura di studi regionali sulla casa romana, che ha impegnato molti ricercatori fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, ha prevalentemente riguardato l’Italia e l'Occidente dell'impero, mentre le province orientali in generale sono rimaste per lungo tempo meno esplorate. Ciò è dipeso in parte dall'idea preconcetta, lunga a morire, dell'assoluta continuità nella cultura abitativa delle province greche all'indomani dell'avvento di Roma, ma in parte è dipesa anche da una documentazione archeologica molto più lacunosa e rarefatta, che dunque impediva studi che superassero i confini di siti specifici e consentissero di riconoscere la diffusione di modelli e tendenze a scala non soltanto locale.

 

         Per la terra d’Egitto la situazione è stata ben stigmatizzata da Pierre Gros che già nel 2001, nella sua autorevole sintesi sull'architettura romana, sottolinea la pochezza delle informazioni note, prevalentemente legata all’abitato rurale delle classi inferiori.

 

         Un filone di studi parallelo, solo occasionalmente integrato all’archeologia, riguarda invece lo studio dei papiri greci che, in virtù degli spunti offerti sugli spazi domestici e sulla vita quotidiana degli abitanti, ha condotto al fondamentale lavoro di Geneviève Husson sul vocabolario della casa nell’Egitto di età imperiale, edito ormai nel lontano 1983.

 

         A distanza di diversi anni, va ora segnalato un nuovo studio dedicato alla casa nell’Egitto imperiale: si tratta del volume dato alle stampe da Youssri Ezzat Hussein Abdelwahed nel 2016, per i tipi di Archaeopress Publishing di Oxford. Il contributo è doppiamente rilevante perché non si tratta soltanto di un lavoro sull'architettura domestica, analizzata in termini di progettazione, organizzazione degli ambienti e decorazione, bensì di un saggio che getta uno sguardo meno consueto sullo spazio privato, inteso essenzialmente come scenario per il culto domestico e la relativa attività rituale.

 

         Come l'autore dichiara esplicitamente (p. V), l’idea del libro deriva dal terzo capitolo di una tesi di dottorato, pubblicata nel 2015 presso il medesimo editore, relativa  all’identità culturale egizia nell’architettura di epoca romana (Egyptian Cultural Identity in the Architecture of Roman Egypt (30 BC-AD 325). Il saggio che qui si recensisce riprende e sviluppa in maniera approfondita l’assunto di quel terzo capitolo e pone dunque al centro della ricerca il rapporto fra identità culturale e ritualità domestica, che l’autore indaga a partire dalle evidenze archeologiche delle case rurali scavate nelle oasi del Fayum e di Dakhla, senza però trascurare le informazioni desunte dalla letteratura e ancora più dalle fonti papirologiche che si rifanno a contesti abitativi sia urbani sia rurali.

 

         Il primo capitolo (pp. 1-6), di carattere preliminare, tenta di definire in maniera molto schematica, per quanto possibile, le caratteristiche degli spazi abitativi urbani e rurali. Per i primi è, invero, necessario che la discussione proceda fondandosi più sulle notizie dei papiri che sulle evidenze archeologiche; è dunque da esse che si delineano le due principali tipologie diffuse in Egitto: la casa a corte, ossia centrata su un ambiente scoperto che i papiri chiamano aithrion (e che, a parte la comune radice linguistica, nulla ha naturalmente a che vedere con l’atrium della domus italica) e la casa a doppia torre (oikia dipyrgia), una struttura a più piani, riconducibile a famiglie agiate che attraverso un’architettura di cospicuo impatto visivo esprimono il proprio status sociale. Il quadro si fa invece più chiaro per quanto concerne l'abitato rurale, poiché è maggiore il contributo dell'archeologia. Le dimore, in genere piuttosto modeste, sono costruite utilizzando mattoni di fango ed organizzano pochi ambienti attorno a una corte centrale che occupa circa un quarto della superficie complessiva del lotto abitativo ed è direttamente accessibile dall'esterno: la presenza di focolari, forni, macine e strutture atte al deposito di grano o altre derrate ne tradisce la natura essenzialmente funzionale. Gli ambienti più strettamente abitativi sono semplici, talora sono coperti a volta e recano pareti rivestite d’intonaco, ma non paiono rispondere a modelli predefiniti e la varietà delle soluzioni riflette senz’altro la preminenza delle esigenze funzionali su quelle rappresentative. 

 

         In un ideale percorso verso l’interno della dimora, il secondo capitolo focalizza l’attenzione sulla porta di accesso alla casa, una struttura che i papiri greci scoperti in Egitto chiamano pylon (pp. 7-15). Al fine dichiarato di facilitare la visualizzazione di tale struttura, l'autore procede dapprima a discutere forma e funzione degli accessi monumentali agli edifici di epoca faraonica: un’operazione certo arbitraria, poiché tenta di collegare due categorie di fonti piuttosto lontane nel tempo e nella destinazione (la grande architettura templare di età faraonica e l’edilizia abitativa di epoca imperiale), ma si tratta di un’operazione non priva di suggestione e comunque utile allo scopo. Anche in epoca imperiale, infatti, il pylon sembra essere molto più di una semplice porta d'ingresso: si tratta di una struttura dotata di una certa profondità e caratterizzata da un’area scoperta multifunzionale, il cui grado di formalità va ricollegato al livello sociale della famiglia cui l’abitazione appartiene. Su di essa possono affacciarsi anche alcuni vani, talora distribuiti su più livelli, e destinati a svolgere funzioni di magazzino, camera da letto e perfino sala d’apparato: sebbene l’autore sottolinei, giustamente, l’apparente continuità formale che caratterizza la tradizione costruttiva egizia attraverso i secoli, la struttura che gravita sull’accesso della dimora sembra dunque svolgere un ruolo essenziale nell’ostentazione di ricchezza in chiave autorappresentativa del proprietario, un atteggiamento molto romano che valeva forse la pena sottolineare con maggiore evidenza.

 

         Il terzo capitolo entra più dettagliatamente nell’argomento promesso dal titolo del volume ed esamina le attività rituali compiute davanti alla porta d’ingresso alla casa (pp. 16-25). Con grande padronanza dell'argomento, l'autore integra le informazioni ricavate da rinvenimenti archeologici, papiri e testi letterari per discutere i riti che si svolgevano in due particolari festività e comportavano il sacrificio di pesce (il 7-8 settembre) e di maiali (il 10 maggio). Si tratta di riti praticati collettivamente e perciò di particolare rilevanza poiché alimentavano il senso di appartenenza alla comunità locale, sottolineando però al contempo le differenze di status proprio attraverso la dimora, che era impiegata come quinta scenografica davanti alla quale compiere il rito. Il contribuire alla costruzione dell’identità sociale del proprietario è in effetti un altro aspetto tipico della casa romana d’età imperiale, un aspetto al quale gli studiosi, in anni recenti, hanno rivolto particolare attenzione: anche le dimore dell’Egitto, pur nella profonda diversità tipologica rispetto a quelle occidentali, soddisfano dunque esigenze sociali analoghe.

 

         Anche il quinto capitolo (pp. 26-38) offre un contributo originale poiché descrive con dovizia di dettagli e tramite il ricorso ad una pluralità di fonti (epigrafiche, papirologiche, letterarie ed archeologiche) la persistenza plurisecolare della festività dei Lychnocaia, celebrata a Sais (oggi Sa el-Haggar), nel delta del Nilo, e dedicata all’egizia Neith, dea creatrice e guerriera assimilata nel tempo alla greca Atena. Prendendo le mosse dalle parole di Erodoto che, per primo fra i Greci, descrive affascinato la celebrazione di questa ricorrenza, in cui centinaia di lucerne accese, dentro e fuori dalle case, rischiaravano la notte, l’autore approfondisce il senso della luce nella religione e nella credenza magica egizia, discute poi le caratteristiche della dea Neith-Atena e, infine, propone d’interpretare il rito come auspicio di rigenerazione, da ricollegare alla ben nota vicenda del dio Osiride.

 

         Alla casa come spazio eminentemente sociale guarda il quinto capitolo (pp. 39-45), in cui si passano in rassegna le principali ricorrenze celebrate fra le pareti domestiche: la convivialità, i compleanni, il passaggio dall'infanzia all'età adulta e infine il matrimonio. La consueta  rassegna di fonti letterarie e papirologiche testimonia come non esistessero in casa ambienti specificamente destinati a ciascuna di queste ricorrenze, ma fosse variamente coinvolto l’intero spazio domestico, che solo le moderne esigenze di studio tendono a frammentare quando ne percepiscono la staticità dell’architettura e della decorazione senza, invece, prestare la giusta attenzione alla fluida dinamica della molteplicità di funzioni che contemporaneamente vi si svolgono ogni giorno.

 

         Forte delle considerazioni sviluppate, l’autore procede nel sesto capitolo (pp. 46-56) ad un’analisi più squisitamente archeologica, che individua precisi indicatori della devozione privata. La rassegna dapprima coinvolge i sacrari domestici individuati in rapporto ad elementi architettonici quali nicchie e piccoli altari;  segue poi la disamina della decorazione parietale figurata e dei piccoli oggetti d’arredo che potevano gravarsi di valenza sacrale. Nella prospettiva di un continuo confronto con quanto noto in altre regioni dell'impero, senz’altro utile per delineare la specificità dell’Egitto romano, spicca purtroppo l’assenza in bibliografia dei contributi di Maddalena Bassani, che da tempo si occupa di queste problematiche ed è autrice di una documentata monografia sull’area vesuviana (http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=1865): la consultazione dei suoi lavori avrebbe certo offerto ulteriori spunti al discorso.

 

         L'ultimo capitolo, il settimo (pp. 57-84), è anche il più sorprendente, poiché indaga la casa come spazio funerario e adotta, dunque, una prospettiva niente affatto consueta nella tradizione di studio sulla casa romana. La prima parte è dedicata all'analisi dei riti di sepoltura per gli animali domestici ed in particolare i cani: non si tratta però di riti di fondazione, come si potrebbe essere indotti a credere sulla scorta dei confronti in altre aree dell’impero. L’autore spiega, infatti, che seppellire in casa i cani appartiene ad una tradizione plurisecolare della religione egizia, che proprio ad essi lega alcune divinità: molto interessante risulta quindi l’approfondimento sui riti connessi alla deposizione dei cani ed al significato simbolico che da essi procede. La seconda parte descrive invece dettagliatamente il complesso di cerimonie che venivano celebrate in casa intorno alla salma di un parente defunto prima che si procedesse alla sepoltura: di necessità il discorso procede sulla base delle informazioni letterarie e papirologiche, mentre è più difficile focalizzare con precisione, sul piano archeologico, se per queste pratiche esistessero spazi specifici all’interno della casa e come eventualmente fossero allestiti.

 

         Le conclusioni del saggio sono essenziali per non dire scarne (p. 85), ma molto precise nello schematizzare i risultati conseguiti dalla ricerca: era forse impossibile, del resto, trarre unitariamente le fila di un discorso multiforme come quello affrontato.

 

         Di grande utilità è, infine, l’Appendice che presenta il catalogo delle abitazioni considerate (pp. 86-92). Ad ogni casa corrisponde una scheda sintetica i cui campi (posizione topografica, cronologia, architettura, rinvenimenti e bibliografia) offrono al lettore un efficace compendio dell’edito e rappresentano un utile strumento di lavoro per eventuali e ulteriori studi. Il volume, naturalmente, si chiude con l’elenco della ricca bibliografia citata (pp. 93-104).

 

         Come la rassegna dei capitoli ha mostrato, il libro di Youssri Ezzat Hussein Abdelwahed è indubbiamente un saggio breve ma significativo, sia sul piano del metodo sia sul piano dei contenuti, poiché fa dialogare fonti diverse intorno ad un tema comune e si colloca all'incrocio di due prospettive molto differenti (gli studi sulla casa romana e quelli sul patrimonio culturale egizio), riuscendo con piena efficacia a far propri gli elementi caratterizzanti di ciascuno, per aprire uno squarcio suggestivo sulla vita quotidiana dell’Egitto di diciotto secoli fa.