Strootman, Rolf (hrsg.) - Versluys, Miguel John (hrsg.): Persianism in Antiquity, (Oriens et Occidens, 25), 557 p., 79 b/w ill., ISBN : 978-3-515-11382-3, 84 €
(Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2017)
 
Compte rendu par Simone Podestà, Université de Bourgogne Franche-Comté
 
Nombre de mots : 2524 mots
Publié en ligne le 2019-01-23
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il volume contiene una raccolta di saggi in gran parte presentati al colloquio organizzato a Istanbul dall’Istituto olandese cittadino (NIT) il 24 e 25 aprile 2014 e intitolato Persianism in Antiquity. Strutturata in tre grandi sezioni (la prima intitolata “Persianization, Persomania, Perserie”, la seconda “The Hellenistic World” e la terza “Roman and Sasanian Perspectives”), la raccolta si focalizza sulla memoria culturale e politica dell’Impero achemenide durante l’Antichità, cercando al contempo di indagare quali fenomeni e elementi politici e sociali entravano in gioco nella rappresentazione del “Persianism”.

 

         Le tre sezioni sono precedute da una corposa introduzione curata da R. Strootman e M. J. Versluys (“From culture to concept: the reception and appropriation of Persia in Antiquity”, p. 9-32), in cui il “Persianism” (l’appropriazione dell’idea e del concetto di Persia in specifici contesti per ragioni specifiche), che viene ottimamente descritto attraverso il ricorso a numerosi esempi e a una corposa bibliografia, è distinto dalla “Persianization” (l’influenza che l’Impero achemenide ebbe sugli altri popoli e sulle altre culture durante tutta la sua esistenza e non successivamente) e in cui vengono chiariti i differenti usi di “Persia” e “Iran” e le loro possibili interpretazioni.

 

        La prima sezione -Persianization, Persomania, Perserie- serve come base teorica per la spiegazione del tema del volume: gli autori, attraverso case studies specifici, esplorano i differenti significati di questi tre sostantivi utilizzando diversi punti di vista. A. De Jong (“Being Iranian in Antiquity (at Home and Abroad)”, p. 35-47) analizza la presenza o l’assenza di un elemento etnico definibile “iranico”  (che possa comprendere Parti, Sasanidi e la tradizione achemenide) in aperta opposizione con i Seleucidi e se debba eventualmente basarsi su lingua, permanenza di nomi propri e di divinità ed eventualmente legami religiosi. M. C. Miller (“Quoting “Persia” in Athens”, p. 49-67) analizza le modalità in cui il “Persianism” prende piede nell’Atene d’epoca classica, analizzando in particolare il peculiare stile dell’Odeion di Pericle e la presenza di pannelli con fregi tipicamente persiani sul trono di Dioniso Eleuterio nel teatro di Dioniso.  L. Llewellyn-Jones (“Open Sesame!” Orientalist Fantasy and the Persian Court in Greek Art 430-330 BCE”, p. 69-86) focalizza la propria attenzione sulla rappresentazione dell’elemento persiano nell’arte greca del tardo arcaismo e d’età classica: la rappresentazione artistica dei Persiani rifletterebbe la concezione che ad Atene si aveva del Persiano e di un mondo distante, quasi fiabesco, sicuramente diverso da quello quotidiano. O. Coloru (“Once were Persians: the perception of pre-islamic monuments in Iran from 16th to the 19th century”, p. 87-106) indaga la percezione che gli Iraniani avevano dei siti achemenidi e sasanidi fra il XVI e il  XIX secolo d.C.   

 

        Nella regione la memoria achemenide sopravvisse solamente tramite il filtro sasanide: fa eccezione la figura di Dario III, grazie ai legami con Alessandro Magno e con Sasan, il mitico fondatore della dinastia sasanide. Altrove, i siti e le storie legate agli Achemenidi furono dimenticati o inseriti in un passato indefinito, popolato di figure leggendarie, come Alessandro e Dario, di demoni o di personaggi biblici, come Salomone.  J. A. Lerner (“Ancient Persianisms in Nineteenth-century Iran: the Revival of Persepolitan Imagery under the Qajars”, p. 107-119) si propone di analizzare l’uso e la ripresa di motivi di chiara origine achemenide in Iran nella seconda parte del Diciottesimo secolo. Secondo la studiosa la ripresa di immagini e temi di natura achemenide deriverebbe dalla volontà della dinastia Qajar di appropriarsi di una tradizione più antica di quella sasanide. Questa ripresa permetteva potenzialmente di porsi su un piano di parità con Russi, Inglesi e Francesi, che in questo periodo cercavano già di attrarre la Persia Qajar nelle rispettive zone d’influenza.  D. Engels (“Is there a “Persian High Culture?” Critical Reflections on the Place of Ancien Iran in Oswald Spengler’s Philosophy of History”, p. 121-144), dopo aver analizzato la persistenza di immagini stereotipate degli Achemenidi all’interno della filosofia della storia, porta invece come esempio di parziale opposizione a tale tendenza Oswald Spengler.  Spengler considerò la storia del Vicino Oriente come lo sviluppò di una civiltà avanzata che contribuì ad alcuni fenomeni storici che interessarono l’Occidente, benché non avesse correttamente  individuato la natura particolare della storia dell’Iran, che deve certamente esse accostata ma non sovrapposta alla storia persiana.

 

        La seconda sezione –The Hellenistic World –tratta invece, del “Persianism” in Oriente durante il periodo ellenistico, cioè durante i tre secoli seguiti la caduta dell’Impero achemenide. D. Agut-Labordère (“Persianism through Persianization: the case of Ptolemaic Egypt”, p. 147-162) analizza l’impiego e la distorsione di un fatto realmente accaduto e ancora presente nella memoria dello stato lagide – il saccheggio di templi egizi da parte degli Assiri nel VII secolo a.C. –, che viene convertito in un saccheggio persiano per poter essere utilizzato dai Tolemei come motivo propagandistico nella guerra contro i Seleucidi, simbolici eredi dei Persiani. S. Plischke (“Persianism Under the Early Seleukid Kings? The Royal Title ‘Great King’, p. 163-176) analizza la persistenza del titolo regale achemenide sotto i primi re seleucidi. Le ricorrenze sono scarse: bisogna, infatti, attendere Antioco III affinché il titolo di “Re dei re” cominci ad essere impiegato ed esso viene utilizzato sempre in greco e messo in relazione con la figura di Seleuco I. R. Strootman (“Imperial Persianism: Seleukids, Arsakids and Fratarakā”, p. 177-200), esamina  l’emergere di un’identità dinastica che fonde assieme elementi iranici e seleucidi nelle dinastie che nacquero nei territori orientali dell’impero di Alessandro e che precedette quello delle dinastie occidentali (Ariartidi di Cappadocia, Mitridatidi del Ponto, Orontidi della Commagene). M. Canepa (“Rival Images of Iranian Kingship and Persian Identity in post-Achaemenid Western Asia”, p. 201-222) si concentra sulla ricezione dell’eredità achemenide, seleucide e arsacide nei regni che nacquero in Asia fra la sconfitta di Antioco III a Magnesia e l’occupazione della zona da parte di Romani e Parti. In particolare si sottolinea come la memoria culturale degli Achemenidi (sfera religiosa, usi e costumi di corte) fu centrale per costruire l’identità regale delle dinastia del Ponto, dell’Armenia e degli Arsacidi. Secondo Canepa questi “Persianismis” furono tuttavia limitati e ebbero fortuna soprattutto negli ambienti di corte e aristocratici. C. Lerouge-Cohen (“ “Persianism in the Kingdom of Pontic Kappadokia. The Genealogical Claims of the Mithridatis”, p. 223-233) analizza la genealogia della dinastia mitridatica della Cappadocia pontica. A capo di un regno sorto dalle ceneri dell’impero di Alessandro il Grande, la dinastia trovò una sua legittimazione costruendo dei legami fittizi con l’eredità achemenide: fondatore della famiglia sarebbe stato, infatti, uno dei sette persiani che uccisero l’usurpatore del trono achemenide e che permisero a Dario di salire al trono persiano. Solo con Mitridate VI Eupatore questa ricostruzione genealogica cambiò e furono istituiti legami con Alessandro e Seleuco I. Mitridate abbandonò anche il riferimento ai Sette, scegliendo invece, di enfatizzare la propria discendenza da Ciro e Dario. B. Jacobs (“Tradition oder Fiktion? Die “Persichen” Elemente in den Ausstattungsprogrammen Antiochos’ I. von Kommagene”, p. 235-248) analizza gli elementi che derivano dalla tradizione achemenide (e dalla tradizione greca) relativi ai programmi di edificazione di Antioco I di Commagene: in tal modo il re poteva mettersi idealmente in relazione e in continuità con le due civiltà che aveva governato la regione per più di cinquecento anni. B. Eckhardt (“Memories of Persian Rule: Constructing History and Ideology in Hasmonean Judea”, p. 249-265) studia l’utilizzo della memoria achemenide da parte della dinastia degli Asmonei in Giudea, che riprese elementi achemenidi per legittimare l’appropriazione del potere. Questa ripresa fu ovviamente limitata dalla particolare situazione della regione: gli Asmonei non rivendicarono origini persiane, né poterono ovviamente introdurre culti e tradizioni religiosi persiani in Giudea; essi si limitarono a riscrivere la storia del popolo ebraico, individuando nell’epoca persiana una mitica età dell’oro contrapposta alla catastrofe seleucide.

 

        La terza e ultima sezione – Roman and Sasanian Perspectives – tratta del “Persianism” in epoca romana, quando la regione fu inglobata dall’impero di Roma e da quello sasanide. V. Sergueenkova e F. Rojas (“Persia on their Minds: Achaemenid Memory Horizons in Roman Anatolia”, p. 269-288) esaminano la presenza di riferimenti ai Persiani nella città romane d’Asia Minore.  In molte località i rapporti con i Persiani erano sottolineati, ripresi e caricati di nuovi significati: questo avveniva tramite la riscrittura e la manipolazione di documenti; la ripresa di pratiche persiane e l’associazione di luoghi, templi o elementi paesaggistici a divinità, re e città persiani. Tali fenomeni dimostrano che “Roma” e “Persia” non erano concetti antitetici: le città rivaleggiavano le une con le altre e avere un’eredità persiana poteva garantire una certa fama e notorietà.  R. Gordon (“Persae in spelaeis solem colunt: Mithra(s) between Persia and Rome”, p. 289-325) si concentra sullo studio del culto di Mitra come possibile veicolo di “Persianism” nella società romana. Nonostante i molti tentativi, infatti, non è stato ancora trovato alcun legame diretto fra il culto di Mitra e il Mitra persiano: secondo Gordon dunque il mitraismo dev’essere inteso più come un’appropriazione che una recezione. Tuttavia, l’analisi di Gordon resta parziale dal momento che il culto mitraico fu sempre caratterizzato da una tendenza alla differenziazione, per cui, ad esempio, nessun mitreo presenta elementi totalmente sovrapponibili a quelli di un altro mitreo. E. Almagor (“The Empire brought Back: Persianism in Imperali Greek Literature”, p. 327-343) analizza la fortuna che la Persia ebbe in autori greci d’età imperiale: secondo Almagor la memoria nostalgica di una Grecia libera e indipendente e l’accostamento delle Guerre persiane alle guerre fra Roma e la Partia, permise alla tradizione persiana di godere di una fortuna grandissima presso oratori, storici e letterati dell’Impero. Il confronto e la ripresa di testi antichi (come le monografie composte in V e IV secolo sulla Persia, i Persika) permettevano anche di istituire un paragone implicito fra l’Impero di Roma e quello persiano, presupponendo per entrambi una medesima fine.

 

        M. Sommer (“The Eternal Persian: Persianism in Ammianus Marcellinus”, p. 345-354) ipotizza che la visione dei popoli orientali a Roma fosse inserita in un sistema etnografico stereotipato, per cui i popoli che contesero la supremazia romana incarnavano sempre l’eterno nemico persiano ed erano contraddistinti da una serie di caratteristiche precostituite. Non a caso, in Ammiano Marcellino, i Sasanidi di Ardashir erano identificati come gli eredi degli Achemenidi: le loro qualità vengono ridimensionate e controbilanciate da difetti, in aperto contrasto con quanto faceva, ad esempio, Erodoto parlando dei Persiani, nemici dei Greci. R. Fowler (“Cyrus to Arsakes, Ezra to Izates: Parthia and Persianism in Josephus”, p. 355-380) studia la presenza dei Parti e del fenomeno del “Persianism” nell’opera di Giuseppe Flavio. Date le sue origini giudee e la sua vicinanza ai Romani, in Giuseppe le rivendicazioni degli Arsacidi come successori degli Achemenidi hanno poco spazio. In compenso, le modalità e i rapporti che erano intercorsi fra Ebrei e Achemenidi, sono utili a Giuseppe come paragone per la rappresentazione degli scambi, delle minacce e dei rapporti fra gli Ebrei dei suoi tempi e le potenze dominatrici dell’area.

 

        J. Wiesehöfer (“Ēran Ud Anērām: Sasanian Patterns of Worldview”, p. 381-391) dubita che il “Persianism” inteso come costruzione di una memoria culturale attraverso la riappropriazione del passato achemenide, possa essere applicato ai Sasanidi: secondo l’autore, essi avevano certamente coscienza di un impero che li aveva preceduti nel tempo e che aveva avuto una notevole espansione verso l’Occidente; questa memoria era servita per creare il concetto di Ērān e Anērān in aperta contrapposizione all’idea di imperium sine fine romana.  T. Daryaee (“The Idea of the Sacred Land of  Ērānšahr”, p. 393-399) riprende il concetto di Ērān, analizzando la tradizione non solo storica, ma anche religiosa che ne era alla base. In particolare, si individuano elementi iranici, persiani o achemenidi, uniti e amalgamati per formare una serie di pratiche religiose. M. Rahim Shayegan (“Persianism: or Achaemenid Reminiscences in the Iranian and Iranicate World(s) of Antiquity”, p. 401-455) costruisce un vero e proprio saggio critico sulle reminiscenze achemenidi nel mondo iranico: dopo aver studiato la sopravvivenza di titolo quali “re”, “re dei re”, “karanos/comandante militare con pieni poteri”, passa ad analizzare le manifestazioni del “Persianism”  nelle iscrizioni e nelle testimonianze letterarie. Da questa analisi emergono almeno tre considerazioni: la ripresa di determinate iconografie su monumenti iranici e sasanidi può essere a buon diritto essere vista come “Persianism”; un impatto non trascurabile su tale ripresa poté essere provocato da forze politiche e culturali “altre” (come i regni del Ponto o della Commagene; gli scribi; l’influsso di letterature straniere, come quella romana); delle tracce quasi intangibili delle pratiche culturali achemenidi sono permeate e si sono stabilizzate nella società iranica e sasanide: difficili da rilevare rappresentato la più intrigante e persistente traccia di “Persianism” in Oriente.

 

        Il volume si chiude con la liste delle abbreviazioni e una bibliografia unica per tutti i contributi. In definitiva, il volume rappresenta una base imprescindibile per lo studio del “Persianism”: ben prodotto e editato, con pochi e sporadici errori tipografici. Apprezzabile l’apparato delle note e l’esistenza di una bibliografia comune, che permette di sottolineare l’unica tematica che caratterizza il volume. Al di là di singole questioni particolari (per ovvie ragioni, il “Persianism” si concentra su determinati  territori e su determinati periodi storici), il limite più grande del volume è la mancanza di un qualsivoglia tipo di indice, che avrebbe facilitato enormemente lo studio e la ricerca di sostantivi o temi specifici.

 

 

Indice

 

Ringraziamenti, p. 7

Rolf Strootman, Miguel John Versluys, From Culture to Concept: The Reception and Appropriation of Persia in Antiquity, p. 9

 

Parte I: Persianization, Persomania, Perserie

Albert de Jong, Being Iranian in Antiquity (at Home and Abroad), p. 35

Margaret C. Miller, Quoting ‘Persia’in Athens, p. 49

Lloyd Llewellyn-Jones, ‘Open Sesame!’Orientalist Fantasy and the Persian Court in Greek Art 430-330 BC, p. 69

Omar Coloru, Once were Persians: The Perception of Pre-Islamic Monuments in Iran from the 16th to the 19th Century, p. 87

Judith A. Lerner, Ancient Persianisms in Nineteenth-Century Iran: The Revival of Persepolitan Imagery under the Qajars, p. 107

David Engels,  Is there a “Persian High Culture”? Critical Reflections on the Place of Ancient Iran in Oswald Spengler’s Philosophy of History, p. 121

 

Parte II: The Hellenistic World

Damien Agut-Labordere, Persianism through Persianization: The Case of Ptolemaic Egypt, p. 147

Sonja Plischke, Persianism under the early Seleukid Kings? The Royal Title ‘Great King’, p. 163

Rolf Strootman, Imperial Persianism: Seleukids, Arsakids and Fratarakä, p. 177

Matthew Canepa, Rival Images of Iranian Kingship and Persian Identity in Post-Achaemenid Western Asia, p. 201

Charlotte Lerouge-Cohen, Persianism in the Kingdom of Pontic Kappadokia. The Genealogical Claims of the Mithridatids, p. 223

Bruno Jacobs, Tradition oder Fiktion? Die „persischen“ Elemente in den Ausstattungs­ programmen Antiochos’I. vonKommagene, p. 235

Benedikt Eckhardt, Memories of Persian Rule: Constructing History and Ideology in Hasmonean Judea, p. 249

 

Parte III: Roman and Sasanian Perspectives

Valeria Sergueenkova, Felipe Rojas, Persia on their Minds: Achaemenid Memory Horizons in Roman Anatolia, p. 269

Richard Gordon, Persae in spelaeis solem colunt: Mithra(s) between Persia and Rome, p.  289

Eran Almagor, The Empire brought back: Persianism in Imperial Greek Literature, p. 327

Michael Sommer, The Eternal Persian: Persianism in Ammianus Marcellinus, p. 345

Richard Fowler,  Cyrus to Arsakes, Ezra to Izates: Parthia and Persianism in Josephus, p. 355

Josef Wiesehöfer,: Ēran Ud Anērām: Sasanian Patterns of  Worldview, p. 381

Touraj Daryaee, The Idea of the Sacred Landof Ērānšahr, p. 393

M. Rahim Shayegan, Persianism: Or Achaemenid Reminiscences in the Iranian and Iranicate World(s)of Antiquity, p. 401

Abbreviazioni, p. 457

Bibliografia, p. 459