Pawlak, Anna - Zieke, Lars - Augart, Isabella (ed.): Ars – Visus – Affectus. Visuelle Kulturen des Affektiven in der Frühen Neuzeit, 292 p., ISBN : 978-3-11-047441-1, 69,95 €
(De Gruyter, Berlin 2016)
 
Compte rendu par Claudio Franzoni
 
Nombre de mots : 2486 mots
Publié en ligne le 2019-09-30
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Nonostante la fortuna di Warburg sia via via aumentata nella seconda metà del Novecento, bisogna ammettere che le ricerche attorno ad uno dei suoi principali campi di studio, quello della resa visiva delle emozioni, non sono state così frequenti come ci si poteva attendere. Negli ultimi anni, invece, il panorama sembra mutato e si vanno intensificando approfondimenti in questa area tematica;  proprio mentre veniva preparato il volume che analizziamo qui, usciva – ad esempio – la voluminosa Histoire des émotions a cura di Alain Corbin, Jean-Jacques Courtine e Georges Vigarello.

 

         La Mater Dolorosa di Pedro Roldán a Berlino – un cui dettaglio fortemente ingrandito figura in copertina – è l’opera che i tre curatori scelgono per introdurre il Ars, Visus, Affectus; in questa prefazione (pp. 7-17) vengono riassunti gli studi degli ultimi tre decenni sul tema delle emozioni, della loro visualizzazione corporea e della loro presenza nella storia delle immagini. Il presente volume – preceduto da tre workshops svoltisi tra 2012 e 2015 (Berlino e Tübingen) – presenta una serie di situazioni e di casi che riguardano appunto la resa visiva delle emozioni nell’Europa tra XV e XVIII secolo.

 

         Barbara Baert (Aby Warburgs Nymphen und Schmetterlinge als Affekte, 18-37) riannoda episodi della malattia mentale di Warburg al suo interesse per le farfalle, mostrando che non si trattava solo e tanto di un interesse zoologico: la farfalla entra in relazione col tema delle “formule di pathos” e, in parallelo, con quello della “ninfa”. L’autrice ritiene che per Warburg – del tutto consapevole delle simbologie della farfalla nei secoli (utilmente ripercorse da Baert)  – il singolare processo trasformativo di questi insetti valesse come metafora dello studio storico delle opere d’arte; è questa conturbante metamorfosi, nelle sue tappe e nei suoi passaggi, che suggerisce il concetto stesso di distanza, di intervallo, di spazio di riflessione (Zwischenraum), così importante per Warburg.

 

         Stefan Grohé (Rembrandts Denkräume, 38-54) legge l’evolversi del linguaggio di Rembrandt dalle prime alle ultime opere attraverso il filtro del pensiero di Aby Warburg; lo studioso dedicò al pittore olandese un saggio nel 1926 (Italienische Antike im Zeitalter Rembrandts) e inserì alcune sue opere nel Bilderatlas Mnemosyne. Un altro studioso legato a Warburg, Fritz Saxl, si interessò al tema del rapporto tra Rembrandt e l’antico, rapporto che si svolse su tre piani: il mito, la storia antica, il teatro classico. Se nelle prime opere del pittore troviamo quelle forme di gestualità esasperata che Warburg leggeva con la chiave delle “formule di pathos”, nelle opere successive Rembrandt costruisce i dipinti riducendo l’impatto di mimica e gestualità, cercando proprio – secondo Grohé – quelle pause e quei silenzi che Warburg interpreterà come “spazi di riflessione”.

 

         Iris Wenderholm (Tristia cum gemitu Cristi spectacula. Zu einem Monumentalrelief des Francesco Laurana, 55-71) prende in esame il grande bassorilievo che Francesco Laurana eseguì per la chiesa dei Celestini ad Avignone su commissione di Renato d’Angiò; il grande altorilievo, che conserva tracce di policromia, contiene due scene, l’Andata al Calvario e lo Svenimento di Maria; notevole è la contrapposizione tra la tipologia dei volti, maschili e femminili, dei personaggi che accompagnano i due protagonisti. L’autrice si sofferma giustamente sulla lunga iscrizione, e fa notare come il testo serva anche a indirizzare l’osservatore verso l’atteggiamento emotivo appropriato nei confronti del dramma che si svolge davanti a lui.

 

         Dörte Wetzler (Heilige in »Nahdistanz«. Die Figuren der lateinischen Kirchenväter Anton Sturms, 72-84) analizza le quattro statue lignee dei Padri della Chiesa che Anton Sturm eseguì per il santuario della Wieskirche (Baviera meridionale) nel 1754. La studiosa prende in esame la postura delle sculture, la loro gestualità, ma soprattutto si interroga sulla relazione tra esse e lo spazio dell’edificio, in particolare per quanto riguarda le variazioni della luce durante il giorno (le foto dell’interno sono state scattate appunto in ore diverse); la resa degli affetti, secondo l’autrice, va infatti letta anche in questa dimensione spaziale e luminosa.

 

         Quali sono i movimenti interiori di uno spettatore davanti alla Pietà di Giovanni Bellini alle Gallerie dell’Accademia di Venezia (Pietà Donà dalle Rose)? Lars Zieke (Stillstellung, Verinnerlichung, Kontemplation, 85-103) indaga questo possibile incrociarsi di diversi itinerari emotivi attraverso il confronto con altre opere (il Compianto di Bellini, ulteriori temi iconografici frequentati dallo stesso pittore, e i Vesperbilder di area veneta) e si interroga sulle differenze che comporta l’adozione di media diversi a parità di soggetto; l’autore si chiede inoltre quale impatto sull’atmosfera emotiva del dipinto possa avere il linguaggio di Bellini, in particolare la sua scelta di fondere le figure nel paesaggio. Una sequenza di domande del tutto lecite, dal momento che, secondo lo stesso Pietro Bembo, davanti alle opere di Giovanni Bellini lo spettatore poteva “vagare a sua voglia nelle pitture che, quanto è in lui, possano sodisfare a chi le mira” (p. 100).

 

         Isabella Augart (Affekt als Raum, 104-124) esamina con minuziosa attenzione un dipinto di Francesco Vanni in Santa Maria degli Angeli a Castiglion Fiorentino; l’opera era stata eseguita nel 1596 per inquadrare un’immagine ritenuta miracolosa. Si tratta dunque – in un certo senso – di una grande cornice; ma la cornice può essere molto più che un semplice contorno (qui la studiosa segue le riflessioni sul tema proposte a suo tempo da Louis Marin). Augart dimostra quindi in modo efficace che ogni dettaglio del dipinto serve a mettere lo spettatore in grado di cogliere il senso profondo di tale “cornice” e a illustrare la giusta forma della venerazione, passando – come aveva suggerito il cardinale Gabriele Paleotti (nota 51) – dai “segni esteriori” al “culto interiore”.

 

         In modo esemplare, Joseph Imorde (Rhetoriken der Empfindsamkeit, 125-142) legge il tema iconografico delle lacrime di Pietro, concentrandosi in particolare sul Pietro penitente di Domenico Fetti. Da una parte questo tema viene inquandrato nella storia della Chiesa cattolica tra XVI e XVII secolo; dall’altra viene richiamato lo sfondo della letteratura teologica, della pubblicistica devozionale (ma anche della poesia e della musica) in particolare agli inizi del Seicento. Grazie a una serrata sequenza di testi (con ampie citazioni) che fanno riferimento alla conversione, alla penitenza, alla compunzione, Imorde disegna un’impressionante catalogo della presenza del pianto e delle lacrime nella vita religiosa del tempo.

 

         Andreas Plackinger (Affekt, Devotion, Prestige, 143-159) legge la Decollazione di san Giovanni di Daniele da Volterra (Torino, Galleria Sabauda) in relazione al contesto religioso e culturale della confraternita romana di San Giovanni Decollato; il saggio ha, tra l’altro, il merito di pubblicare una foto del 1923 in cui un membro della stessa confraternita (incappucciato) regge nella sinistra una “tavoletta” dipinta con Crocifissione: una di quelle immagini che i “confortatori” usavano per accompagnare e preparare spiritualmente i condannati a morte.

 

         Pawlak (Imago et Figura Mortis. Visuelle Reflexionsfiguren in Pieter Bruegels d. Ä Triumph des Todes, 160-181) offre una lettura accuratissima del Trionfo della Morte di Bruegel al Prado; viene così presa in esame una serie di soggetti affini – la danza macabra, temi apocalittici, l’incontro dei tre vivi e dei tre morti, e naturalmente il Trionfo della Morte – che servono a render ragione dell’originalità del drammatico dipinto di Bruegel. Tra i vari motivi che si insinuano in questa grandiosa scena – che diviene così occasione di una stupefacente meditatio mortis – anche quello della melanconia (seguendo l’idea di un’incisione che correda il De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, uno degli scheletri è appunto ritratto nella postura del melanconico).  

 

         Maurice Saß (Mit Herz und ohne Vernunft, 182-202) concentra la propria attenzione su una serie di dipinti di Frans Snyders e della sua cerchia raffiguranti, con diverse variazioni, il tema del cane che – perloppiù in un interno – si avventa avidamente sulla preda;  l’autore costruisce così un originale percorso che ruota attorno agli sguardi dei cani (in particolare dei cani da caccia) mentre divorano carni, ma finisce per incontrare altre tematiche, come la simbologia degli animali o le metafore della caccia; opportunamente vengono così richiamati diversi passi di autori antichi, e tra essi Esopo, una cui favola (Canis et umbra) viene dipinta attorno al 1638 da Paul de Vos (Prado).

 

         Concentrandosi su un disegno di Leonardo raffigurante un volto di anziano (o di anziana) ad Amburgo, Fabiana Cazzola-Senkpiel (Formen pathognomischen Experimentierens in Leonardo da Vincis Zeichnungen, 203-214) mostra la concomitanza e la combinazione della dimensione scientifica e di quella artistica nella ricerca dell’artista rinascimentale. Il tema è quello delle teste “grottesche” su cui è ancora un punto di riferimento un vecchio saggio di E. H. Gombrich (1954). La prassi disegnativa assume qui un ruolo fondamentale nel processo che lega continuamente visione e conoscenza, verso una deliberata revisione dei parametri estetici in vigore.

 

         Può un teschio essere espressivo? A questa domanda paradossale risponde in modo brillante Marius A. T. Wittke (Keine Miene zum bösen Spiel?, 215-232) utilizzando alcune incisioni di artisti tedeschi e italiani tra XVI e XVII secolo: una volta tradotti in immagine, succede dunque che persino i teschi siano ricondotti a una dimensione espressiva; tra i vari esempi, spicca l’incisione di Matthäus Greuter, in cui una scritta aggiunta dall’antico proprietario illustra come questo Memento mori venisse letto all’interno della preghiera e della meditazione individuale.

 

         Stefan Albl (Affectus Exprimit. Die Rolle der Affekte im Schaffen von Pietro Testa, 233-250) affronta Pietro testa come teorico; il pittore aveva infatti progettato un trattato in tre libri, il cui profilo è in parte ricostruibile grazie al taccuino dell’artista. Tra gli appunti sono significativi quelli da cui si ricava che Testa voleva indagare proprio l’espressione degli “affetti” (“Si farà bellissimi trattati degli affetti e delle sconvenevolezze dei goffi intorno a quelli”); Albl individua alcuni dei punti di riferimento di Testa tanto nella letteratura classica, quanto in saggi moderni, e mostra come questa indagine sugli “affetti” dovesse svolgere un ruolo essenziale nel raggiungimento della “pittura ideale”. Se infatti il pittore deve “esser filosofo”, il suo compito principale sarà allora “filosofare degli affetti”; questa l’unica strada se si voleva essere “saggi” e non “ga(r)ruli e litigiosi”. In modo convincente, poi, Stefan Albl mette a confronto queste posizioni teoriche con due incisioni di Testa, mostrando l’attenzione con cui l’artista controlla e bilancia il dosaggio delle emozioni nell’una e nell’altra. A proposito di quella con il suicidio di Catone Uticense, sono particolarmente interessanti le critiche che un classicista convinto come Giovanni Battista Casanova rivolgeva al pittore, chiamando in causa il Laocoonte (pp. 241-242). Rilevanti anche le riflessioni che prendono spunto dal disegno di Montpellier con quattro figure (di età diverse) piangenti e la scritta “accennato per l’espressione del dolore del pianto”.

 

         Caecilie Weissert (Charles Le Bruns Expression des passions und die Têtes d’expression im Kontext physiologischer Betrachtungen, 251-272) si sofferma sugli studi di Charles Le Brun sulla resa pittorica delle espressioni del volto. L’autrice analizza l’incidenza sull’opera dell’artista degli studi precedenti: per il versante anatomico il De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio (1543) e, inoltre, i saggi di Marin Cureau de La Chambre, di J.-F. Senault, di Pierre Charron, ma anche, e soprattutto, di Cartesio. Oggetto dell’indagine, infatti, era il meccanismo dei movimenti dei muscoli e dei nervi che rivela all’esterno la dinamica interiore delle passioni. Entro questo itinerario, Weissert prende in esame un dipinto di Le Brun – Les reines de Perse (c. 1661) – e, in parallelo, la descrizione che ne fece André Félibien pochi anni dopo. Nell’ultimo paragrafo l’autrice studia la lunga fortuna delle ricerche di Le Brun per tutto il Settecento (anche a proposito di Caylus), fino agli inizi del XIX secolo con David d’Angers.

 

         Si tratta, nel complesso, di saggi interessanti, alcuni dei quali particolarmente incisivi, sorretti da una documentazione convincente e da una bibliografia aggiornata. Nello stesso tempo, però, si impone un’osservazione generale: con maggiore o minore intensità, i saggi rimangono nell’alveo di una storia dell’arte tradizionale, quando ci si poteva aspettare una più complessa analisi del versante delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni. I primi due saggi, ad esempio, sono sostanzialmente saggi su Warburg; in molti altri, il tema centrale sembra lasciar posto, piuttosto, ad approfondimenti su quell’opera o su quell’artista. La sfera emotiva è sempre presente, ma in forma tutto sommato piuttosto nebulosa.

 

         La ragione è tutt’altro che ovvia: il mondo delle emozioni è difficile da analizzare, se non passando anche attraverso il canale del linguaggio; come sosteneva Jean-Louis Flandrin, “i nostri sentimenti sono percepibili solo se racchiusi nelle parole”. Ma a loro volta le parole ci mettono in difficoltà: Pietro Testa, ad esempio, inseriva nel suo elenco di “affetti”, anche la “emulatione” e la “misericordia” (p. 234), che per noi appartengono più alla dimensione dei comportamenti che dei sentimenti. Il problema è dunque capire, per ogni epoca, quale corrispondenza ci sia tra le parole adottate e le emozioni espresse; le parole che Leon Battista Alberti o Leonardo scrivono sull’argomento sono quanto mai pertinenti, ma ben difficilmente possono funzionare se usate in altro contesto, mettiamo il Seicento. Per tutti questi motivi, allora, rimane ancora esemplare il modello offerto da Michael Baxandall a proposito della pittura italiana del Quattrocento.

 

         E poi c’è il tema del gesto; in diversi saggi del volume si richiama sì l’importanza della gestualità, ma non sempre ci si sofferma su un’analisi dettagliata delle morfologie, quasi che il racconto visivo delle emozioni possa prescindere da una adeguata conoscenza della storia del corpo. In altre parole, la strumentazione consueta dello storico dell’arte non basta affatto ad affrontare un tema complesso come quello della resa visiva delle emozioni; in questo senso è opportuno un dialogo con le altre discipline che intercettano lo spazio delle emozioni, non ultime antropologia e sociologia.

 

         Il volume offre pur sempre un’apprezzabile ricchezza di materiali, ricchezza che fa rimpiangere l’assenza di un indice dei nomi e delle cose notevoli, tale da permettere un’agevole consultazione.

 

 

Inhalt

 

Barbara Baert, Aby Warburgs Nymphen und Schmetterlinge als Affekte  18

 

Stefan Grohé, Rembrandts Denkräume  38

 

Iris Wenderholm, Tristia Cum Gemitu Cristi Spectacula Zu einem Monumentalrelief des Francesco Laurana   55

 

Dörte Wetzler, Heilige in Nahdistanz Die Figuren der lateinischen Kirchenväter Anton Sturms in der Wieskirche ...72

 

Lars Zieke, Stillstellung Verinnerlichung Kontemplation Visuelle Strategien der Affektreduzierung in Giovanni Bellinis Pietà Donà dalle Rose ... 85

 

Isabella Augart, Affekt als Raum Mediale Figurationen der Verehrung bei Francesco Vanni 104

 

Joseph Imorde, Rhetoriken der Empfindsamkeit 125

 

Andreas Plackinger, Affekt Devotion Prestige Daniele da Volterras San Giovanni Decollato  143

 

Anna Pawlak, Imago et Figura Mortis Visuelle Reflexionsfiguren in Pieter Bruegels d Ä Triumph des Todes ... 160

 

Maurice Saß, Mit Herz und ohne Vernunft Frans Snyders Hundeblicke  182

 

Fabiana Cazzola-Senkpiel, Formen pathognomischen Experimentierens in Leonardo da Vincis Zeichnungen Medialität Materialität und Ästhetik eines Wissens um das Affektive...203

 

Marius A. T. Wittke, Keine Miene zum bösen Spiel? Zum Paradoxon von Affektvisualisierungen in den frühneuzeitlichen Darstellungen von Totenschädeln ...215

 

Stefan Albl, Affectus Exprimit Die Rolle der Affekte im Schaffen von Pietro Testa  233

 

Caecilie Weissert, Charles Le Bruns Expression des passions und die Têtes dexpression im Kontext physiologischer Betrachtungen ... 251

 

Abbildungsnachweis   273

 

Farbtafeln  275