Tréziny, Henri: Mégara Hyblaea 7. La ville classique, hellénistique et romaine, (Collection de l’École française de Rome, 1/7), 518 p., ISBN: 978-2-7283-1282-5, 110 €
(École française de Rome, Roma 2018)
 
Compte rendu par Rosina Leone, Università degli studi di Torino
 
Nombre de mots : 2588 mots
Publié en ligne le 2020-03-05
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il volume costituisce il settimo tomo della serie Mégara Hyblaea (di seguito abbreviata M. H.) nella quale gli archeologi francesi dell’École Française di Roma hanno dato conto delle ricerche e degli studi condotti sul sito della polis siceliota a partire dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso.

 

         Si tratta di un’opera a 26 firme coordinate da Henry Tréziny, cui si deve anche buona parte del testo, con la collaborazione di Frédéric Mège. Oggetto del lavoro è l’archeologia di Megara Hyblaea dopo il 483, quando Gelone di Siracusa si impossessa della città e ne deporta gli abitanti, e fino alle fasi tarde. Il volume si basa su alcune indagini recenti, concentrate principalmente nel cosiddetto “quartiere dell’agorà arcaica”, ma soprattutto sulla rilettura di vecchi scavi e sullo spoglio degli archivi dell’Ecole Française di Roma, della Soprintendenza di Siracusa e del Museo Paolo Orsi (MARPO); costituisce un pendant di Mégara Hyblaea 5  (M. Gras - H. Tréziny - H. Broise, Mégara Hyblaea 5. La ville archaïque. L’espace urbaine  d’une cité grecque de Sicile orientale, Rome 2004) e un bilancio necessario a orientare le nuove ricerche.

 

         Dopo il breve capitolo (cap.1) introduttivo sulle fonti e la storia delle ricerche a Megara dopo il 483, un capitolo (cap. 2) è dedicato al periodo classico, tra Gelone e Timoleonte; quattro capitoli alla città ellenistica nelle sue varie componenti (cap. 3 le necropoli, cap. 4 le fortificazioni, cap. 5 l’urbanistica e l’abitato, cap. 6 l’agorà ellenistica), uno (cap. 7) alla fase romana, uno (cap. 8) alle conclusioni, l’ultimo (cap. 9) agli allegati. In appendice al volume il corposo e accuratissimo atlante della città ellenistica, che riprende quello pubblicato su Mégara Hyblaea 1 (G. Vallet – Fr. Villard – P. Auberson, Mégara Hyblaea 1. Le quartier de l’Agora archaïque, Rome 1976) ma in scala 1:200 (lì era 1:100) ed è basato su una pianta topografica redatta dall’Ecole française di Roma con i rilievi della Soprintendenza di Siracusa, le tavole di M.H. 1 e numerosi controlli sul terreno.  Alle tavole dell’Atlante si fa spesso riferimento nel corso della trattazione.

 

         Nel primo capitolo Tréziny delinea un quadro storico sintetico delle fonti letterarie su Megara post 483 riprendendo l’ampio dossier di Georges Vallet, François Villard e Paul Auberson già pubblicato in  Mégara Hyblaea 3 (G. Vallet – Fr. Villard – P. Auberson, Mégara Hyblaea 3. Guide des fouilles, Rome 1983). La città ellenistica era ancora riconoscibile alla fine del XVIII secolo mentre dalla seconda metà del XIX e nel secolo successivo le attività agricole nell’area ne avevano compromesso la visibilità. I primi lavori dei Francesi (1949-1958) avevano già evidenziato importanti livelli di occupazione ellenistica che ricoprivano completamente quelli di età arcaica. Il primo saggio di Villard (1949) sulla cinta arcaica O, già oggetto di scavi Orsi-Cavallari, aveva portato alla conclusione che si trattasse di strutture ellenistiche. Si arrivò ad ipotizzare che la città ellenistica avesse ricoperto interamente i 60 ettari della città arcaica. Le ricerche da allora in poi si concentrarono però sulla città arcaica: la messa a punto più recente sulla città ellenistica è la Guida degli scavi del 1983 (M.H.3) ricca di informazioni utili al visitatore ma che non è una pubblicazione scientifica e il cui apporto più significativo riguarda principalmente i monumenti rimasti fino ad allora inediti (Porta N della cinta ellenistica, bagni ellenistici, case): si spiega così la necessità di questa pubblicazione.

 

         Nel secondo capitolo, a diversi nomi, si tratta del periodo compreso tra il regno di Gelone e l’intervento di Timoleonte. Si esaminano qui materiali ceramici, terrecotte votive e qualche tomba anteriore all’epoca ellenistica. Per la ceramica a figure si registra l’importanza delle importazioni di ceramica attica figurata a partire dal secondo quarto del V secolo con una progressiva flessione a partire dalla metà del secolo stesso; nel IV le produzioni siceliote (le prime attestazioni sono dell’ultimo quarto del V) sono le sole presenti, analogamente a quanto si riscontra in altri siti sicelioti (Gela, Agrigento, Lipari). La ceramica siceliota a figure rosse tra ultimo quarto del V e primo quarto del III secolo segnala una richiesta crescente di vasi figurati per banchetto e toilette, decorati soprattutto con scene legate al mondo di Dioniso e di Afrodite. Le forme sono piuttosto ripetitive mentre interessanti sono le informazioni sulla rete di diffusione dei pittori fin dalle prime generazioni e fino alla fine della produzione che i vasi sicelioti di Megara ci offrono. Seguono la presentazione delle classi di anfore presenti con i relativi repertori di sagome. Parte del capitolo è dedicato alla coroplastica di età arcaica e di stile severo, illustrata da Antoine Hermary; va qui sottolineata una particolare presenza della figura di Artemide; viene infine proposta qualche considerazione sulla reinstallazione sulle vestigia arcaiche. La trattazione permette a Tréziny di trarre qualche conclusione: i rinvenimenti presentati concorrono a indicare una continuità di occupazione dell’abitato megarese per tutta l’età classica senza alcuna interruzione, ad eccezione forse degli anni compresi tra 483 e 460 circa. Con tutte le cautele del caso si propone una rioccupazione sporadica dell’abitato a partire dal 460, con una probabile concentrazione nel settore dell’agorà. Il santuario di NO è ancora frequentato e le tombe sono tutte nelle necropoli arcaiche.

 

         Con il capitolo successivo inizia la parte centrale della trattazione, dedicata alla fase ellenistica della città. Il terzo capitolo è dedicato alle necropoli e si propone di fornire tutti i dati sulla necropoli prossima alla porta ellenistica SO, sulle tombe rinvenute all’interno della cinta arcaica e sulle tombe ellenistiche rinvenute nelle necropoli arcaiche. Ove noti si dà conto anche dei corredi. Si propone infine un bilancio, seppure provvisorio: le tombe ellenistiche sono sia isolate che raggruppate in aree necropolari, il principale gruppo è presso la porta ellenistica SO (fine V secolo, in uso ancora nel III): in età romana sarà ricoperto da un abitato piuttosto importante. Qui il nucleo più occidentale di tombe, datato al principio del III sec. sarebbe da porsi in relazione con la costruzione della nuova cinta muraria. Inoltre l’orientamento delle tombe suggerisce l’esistenza di un altro asse di circolazione suburbano che permetteva a chi arrivasse dall’Arenella di evitare di entrare in città.

 

         Il quarto capitolo è dedicato alle fortificazioni. Dopo la cronologia degli scavi, da quelli Orsi del 1922 a  quelli condotti dagli archeologi francesi a partire dal 1949, viene proposta una descrizione dettagliata dell’andamento, delle caratteristiche tecniche, delle porte e delle torri delle varie sezioni del circuito murario. Tréziny propone per la fortificazione ellenistica (denominata R2) una datazione verso la fine o al terzo quarto del III, contrariamente alla vecchia ipotesi della “fortezza ellenistica” realizzata d’urgenza per motivi di difesa nel 214 e anche a quella di Lars Karlsson che la riportava ad epoca timoleontea. I tratti di mura di età classica sarebbero parti della medesima fortificazione (denominata R1) le cui fasi dovrebbero coprire il periodo compreso tra il 400 e il 212 a.C.

 

         Il quinto capitolo è dedicato a urbanistica e abitato della città ellenistica; Tréziny si occupa del primo tema. In generale si può dire che le strade della città ellenistica ricalcano quelle della città arcaica; alcune significative modificazioni interessano invece l’abitato di età repubblicana, dove mancano però puntuali riscontri stratigrafici. Anche relativamente alla rete fognaria, si osserva una continuità dall’età arcaica nell’assenza di un sistema di smaltimento delle acque come prodotto di un progetto urbanistico coerente. Nello stesso capitolo Frédéric Mège analizza i vari elementi che concorrono alla descrizione dell’edilizia domestica ellenistica, più ricercata di quelle delle età precedenti, cercando innanzitutto di determinare le planimetrie delle case. Vengono identificati, sulla base degli scavi condotti negli isolati VI, XV e IX, 5 tipi di piante: a corte centrale, a peristilio, a due corti, a pastás e a corte d’angolo. La più diffusa è la pianta a corte centrale; alla pianta a peristilio, riservata alle élites, è riportabile una sola la casa (XV B), mentre in due casi è attestata la pianta a due corti. Stupisce che sia poco rappresentata a Megara Hyblaea la pianta a pastás, che è invece molto frequente nella città arcaica; questa variazione potrebbe essere causata da un cambiamento delle abitudini dei Megaresi. I dati sull’abitato ellenistico di Megara mettono in evidenza strette analogie con quanto si conosce nello stesso periodo in Sicilia e nel mondo greco; si tratta di abitazioni non lussuose anche in una zona non lontano dall’agorà, cosa che si potrebbe giustificare col fatto che Megara è ormai poco più di un sobborgo di Siracusa.

 

         Il sesto capitolo è dedicato allo spazio monumentale dell’agorà ellenistica, con l’analisi dei principali monumenti pubblici (portico, bagni e palestra), già messi in luce in scavi passati e qui oggetto di una edizione aggiornata. Di particolare interesse il tempio collocato nell’area a N dell’agorà, scoperto nel 1959 e pubblicato in Mégara Hyblaea 4 (G. Vallet – Fr. Villard, Mégara Hyblaea 4. Le temple du IVe siècle, Rome 1966). Il tempio era completamente smontato e i blocchi in parte reimpiegati; per Vallet e Villard il tempio ellenistico era certamente successivo al 340, datato intorno al 330-320. Già studiosi successivi avevano proposto datazioni più basse; Trèziny osserva come la datazione alla seconda metà del IV non sia nè giustificabile né verificabile sulla base dei rinvenimenti archeologici. Vallet e Villard avevano attribuito il tempio a Afrodite sulla base di un’iscrizione lacunosa su un fondo di skyphos a figure rosse della fine del IV sec. (cui si è aggiunta una dedica ad Afrodite su un piccolo altare in calcare di inizio III sec.) e della scoperta di un gruppo di frammenti scultorei in calcare riportati dagli scavatori a un gruppo di Afrodite ed Eros (e qui pubblicati da Hermary). L’abbassamento della datazione alla metà del III secolo e il riferimento all’area di un frammento di aquila che doveva ornare il frontone, noto già dall’800, nonchè di alcuni frammenti vascolari iscritti, parrebbero rendere plausibile l’attribuzione al tempio a Zeus Eleutherios: viene sottolineato come Zeus fosse molto venerato sotto Ierone II.

 

         Il settimo capitolo è dedicato alla città in età romana. Contrariamente a quanto affermato in M.H. 3 non è facile cogliere l’apporto dell’archeologia alla distruzione del 213 mentre assai numerose sono le prove dell’occupazione della città in epoca repubblicana e imperiale.  Viene descritta l’occupazione romana del quartiere dell’agorà con la costruzione dell’edificio a tre celle (XVI A) al di sopra del portico ellenistico (unica costruzione sicuramente posteriore al portico stesso) e quella del “triclinium” VI B, interpretabile come un edificio per riunioni e non databile prima del II sec. e che testimonia in questo periodo a Megara una strutturazione sociale sviluppata che necessitava di edifici a uso collettivo. La città romana occupa anche zone delle mura come il settore delle torri IV e V e l’avancorte della porta ellenistica.

 

         Lorenzo Guzzardi presenta poi i risultati delle indagini condotte dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa per la risistemazione dell’antiquarium e valorizzazione dell’area archeologica nel settore del Faro Cantera che hanno permesso di mettere in luce stratigrafie che vanno dall’età arcaica a quella bizantina e successive. Viene infine dato conto di alcune villae disposte nel territorio.

 

         L’ottavo capitolo offre le sintetiche conclusioni di Tréziny. Il primo tema è quello della continuità o discontinuità della vita della polis siceliota. Rispetto a quanto sappiamo dalle fonti, a eccezione di un breve iato tra 483 e 460 le attestazioni archeologiche (soprattutto ceramica e coroplastica) mostrano un’occupazione costante per l’età classica. Si tratta di un nucleo ridotto di abitanti, forse i Megaresi esiliati a Siracusa che ritornano sulle loro terre, a segnare un’occupazione stanziale che non si può qualificare come città ma che costituisce un fattore di continuità nell’utilizzazione dello spazio e anche nelle pratiche culturali e cultuali, pur con le dovute cautele di dettaglio.

 

         All’inizio del IV secolo la nuova Megara, prima diffusa sull’antica città arcaica, si cristallizza sul plateau N, in quello che viene chiamato “quartiere dell’agorà arcaica”; l’abitato prenderà importanza solo nella seconda metà del IV sec. e soprattutto sotto Ierone II a partire dal 260, quando in virtù dell’evergetismo del tiranno la città si dota di costruzioni di qualità: una nuova fortificazione, un tempio di Zeus olimpio, dei bagni moderni. Un trauma importante fu causato dalla presa della città da parte di Marcello nel 213. La documentazione archeologica di inizio II secolo è evanescente: pare però di poter cogliere nella presenza di alcuni edifici pubblici la fisionomia di una piccola città di epoca repubblicana piuttosto che di un semplice insediamento di pastori. Un nuovo episodio violento sembra situarsi alla fine della repubblica, forse all’epoca di Sesto Pompeo. In epoca imperiale la fisionomia sembra cambiare ma Tréziny sottolinea che sarebbe necessario uno scavo in estensione per meglio chiarire questo quadro.

 

         Il secondo tema è il rapporto tra città e territorio. Dopo la rioccupazione parziale dell’abitato urbano, concentrato come detto nel quartiere dell’agorà arcaica, l’area occupata dalla città arcaica diventa la chora della città ellenistica, come ci dimostra l’esistenza di una serie di fattorie mentre non risultano visibili archeologicamente le tracce dell’attività agricola. In età romana il territorio sembra occupato da villae indipendenti dal centro urbano.

 

         In conclusione Tréziny auspica scavi estensivi per meglio chiarire le fasi tardo-ellenistiche, romane e tarde della città di Megara come pure indagini di carattere ambientale per meglio comprendere quale fosse la gestione del territorio in questi periodi. Tréziny segnala infine come sia ancora da esplorare del tutto la parte est della città ellenistica tra l’agorà e il mare.

 

         Alla trattazione vera e propria fa seguito un ponderoso capitolo dedicato ai materiali; vengono qui presentate le ceramiche ellenistiche da contesto con individuazione delle varie classi e delle forme più attestate, esemplificate da belle sagome e da una utile tavola sinottica, essenzialmente sulla scorta dello studio di Jean-Paul Morel del 1981 (Jean-Paul Morel, Céramique campanienne: les formes, Rome 1981); seguono poi i paragrafi di sintesi dove vengono selezionati alcuni contesti, tra quelli precedentemente esaminati, per cercare una definizione della facies tipo-cronologica delle ceramiche a vernice nera e suddipinte presenti a Megara Hyblaea tra la prima metà del IV e l’ultimo terzo del III secolo. Da un punto di vista formale la città si inserisce nel contesto culturale della Sicilia orientale; si tratta sostanzialmente di forme già attestate; sono numerosi gli indizi che permettono di ipotizzare qui una produzione locale. Parte del capitolo è dedicato alle ceramiche comuni. Vengono identificati due gruppi: la batteria classica della ceramica comune (per preparazione, cottura, consumazione o stoccaggio degli alimenti) e un secondo gruppo di ceramica comune a bande. Segue nei paragrafi successivi la presentazione delle forme. Si tratta di una produzione piuttosto omogenea; si segnala anche in questo caso la presenza di indizi della fabbricazione in situ. Negli ultimi due paragrafi si dà conto infine dei risultati delle prospezioni geofisiche sull’area orientale della città ellenistica e della datazione elettromagnetica dei forni dei vasai del quartiere artigianale e del forno del bagno ellenistico.

 

         Il ponderoso e accurato volume aggiunge così un prezioso tassello alla storia più recente di una delle antiche apoikiai siceliote e offre informazioni importanti per accrescere le conoscenze dell’archeologia di età ellenistica e romana in Sicilia, inserendosi in un quadro storiografico che si è andato meglio definendo negli ultimi decenni. Vanno sottolineati infine il rigore metodologico, ormai tradizionale negli studi degli archeologi francesi impegnati a Megara Hyblaea, e l’impeccabile veste editoriale con belle tavole grafiche e fotografiche che danno puntuale conto di quanto argomentato nel testo.