Galera, Pedro A. - Frommel, Sabine (dir.): El patio circular en la arquitectura del Renacimiento : de la Casa de Mantegna al Palacio de Carlos V. 381 p., ISBN 978-84-7993-333-3, 26 €
(Universidad Internacional de Andalucía 2018)
 
Compte rendu par Daniela del Pesco, Università Roma Tre
 
Nombre de mots : 2170 mots
Publié en ligne le 2019-11-20
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Questo libro nasce da un convegno che si è svolto nel 2014 presso l’ Alhambra di Granada dedicato al palazzo di Carlo V e alla fortuna critica di un suo elemento chiave: il patio circolare. L’iniziativa si è svolta con il sostegno del Consiglio Alhambra e dell'Università Internazionale dell'Andalusia. È stato organizzato nell’ambito del  progetto di ricerca europeo RENEU.

 

          Un edificio tanto ricco di storia e di riferimenti architettonici ha  provocato ricerche importanti già in passato a partire da quelli di Manuel Gomez Moreno (1941), Earl Rosenthal (1985), Manfredo Tafuri (87-93), Fernando Mariàs (2000-2010), di Delfìn  Rodriguez Ruiz (2001)

 

          Il volume ne fa tesoro, ma apre anche prospettive nuove nello studio di un’opera che Manfredo Tafuri nel 1993 definì appropriatamente “rompicapo storiografico, capace di tendere insidiosi trabocchetti allo  studioso fornito di metodi tradizionali”.

 

          Proprio sul fronte del metodo, l’incrocio di punti di vista molteplici rappresenta  la cifra innovativa di questo lavoro, ulteriore espressione delle aperture che caratterizzano gli studi e le iniziative internazionali di Sabine Frommel che, con Pedro Galera, ha organizzato il simposio e curato questo volume degli atti.

 

          Il libro propone innanzitutto una più ampia rete di connessioni per le forme del palazzo di Granada e, in particolare, per le matrici compositive del suo cortile circolare. Mi riferisco agli studi su parallelismi e differenze nell’elaborazione di altre residenze di monarchi europei dell’epoca, in particolare di Francesco I, - il Louvre di Lescot e il castello di Fontainebleau, e di Enrico VIII d’ Inghilterra (Nonsuch palace). Parallelismi e differenze analizzati con efficacia da Sabine Frommel

 

          In questa stessa ottica J. Guillaume suggerisce possibili influenze sulla decisione di creare il palazzo di Granada, del progetto di Chambord, manifestazione del potere reale particolarmente suggestiva per Carlo V dopo la vittoria sui Francesi a Pavia nel 1525. Nuove connessioni europee emergono anche dai saggi di José Luis Gómez Villa e di Igor Vera Vallejo che studia i riflessi  della circolarità del patio di Granada 
sull’architettura gesuita del primo barocco in Spagna; di Ivan Muchka, che ricostruisce la fortuna dei cortili centrali in Boemia e di Manuel Parada López de Corselas che si occupa della migrazione tra Italia e Spagna dell’elemento della serliana che si staglia sul fronte meridionale del palazzo.

 

          Le indagini basate sui documenti, sui disegni, su un attento esame della cultura architettonica che presiede alla selezione degli ordini utilizzati, si accompagnano a quelle sui committenti dei lavori e sugli ispettori alla costruzione come Luìs Hurtado de Mendoza, viceré di Navarra, dal 1543 Governatore dell’Alhambra. A lui è dedicato, in particolare, l’approfondimento di Fernando Mariàs che viene a completare i suoi importanti studi sull’architettura del Rinascimento spagnolo. Sono indagati anche i possibili apporti di Francisco de los Cobos (1477-1547, Christof Frommel, Mariàs), segretario dell’imperatore, e di Hernando Colòn, sul quale riflette Carlos Plaza. Colòn, collaboratore di Carlo V, nei viaggi in Italia nel 1512 e 1516, acquisisce libri per la grande biblioteca ereditata dal padre (Siviglia) e competenze che gli permettono di studiare e trasmettere la lezione degli antichi alla nuova architettura spagnola moderna.

 

          Nel libro è, inoltre, accertato e discusso il ruolo di intellettuali umanisti presenti nella cerchia imperiale, come Andrea Navagero, ambasciatore veneziano a Madrid  e, soprattutto, Baldassare Castiglione, nunzio apostolico, morto tuttavia a Toledo nel 1529 quando il progetto è in corso di definizione. Entrambi ritratti da Raffaello (Galleria Doria Pamphili e Louvre).

 

          Un problema aperto resta quello del rapporto tra architettura e valori simbolici legati al progetto imperiale di Carlo V, che il rigore geometrico dell’impianto quadrato, della circolarità del cortile loggiato, della cappella ottagona angolare ci appaiono espressione adeguata a esprimere un ideale di impero universale ed eterno, una simbologia che, forse, come pensava Tafuri, non era altrettanto evidente al pubblico  dell’epoca.

 

          Al centro delle  nuove riflessioni contenute nel libro ci sono i processi di migrazione del linguaggio e delle tecniche architettoniche, il problema di come i modelli dell’antichità rielaborati nell’ Italia rinascimentale siano stati assimilati dai maestri spagnoli e combinati con i gusti locali a produrre una vera e propria rivoluzione nel contesto iberico, in un panorama, come quello dell’impero di Carlo, V che, oltre alle rotte mediterranee, vede attive anche le rotte tra nord e sud di Europa  e oltre Atlantico. Rotte decisive e da indagare anche per le forme.

 

          Sugli intrecci nell’ambito più specificamente architettonico si concentra il saggio di Francesco Paolo Fiore che muove dallo studio della Casa del Mantegna a Mantova, realizzata nel 1476-96, ispirata all’interpretazione che Leon Battista Alberti dà agli scritti di Vitruvio e di Plinio il giovane. Fiore esamina l’ampia elaborazione del tipo residenziale di palazzo con cortile circolare nei disegni di Francesco di Giorgio, di Antonio da Sangallo "il Giovane" e di Serlio. Anche Francesco Di Teodoro riconfronta il palazzo di Granada con i disegni  di Francesco di Giorgio e con quelli della villa Madama a Roma di Antonio da Sangallo il giovane, facendo riferimento agli scritti sull’argomento nell’ambiente di Raffaello, e di Baldasarre Castiglione.

 

          Hubertus Günther approfondisce lo studio delle interpretazioni rinascimentali  di costruzioni dell’antichità con cortile circolare, quali ad esempio la villa pliniana del Laurentinum o il teatro marittimo della villa Adriana a Tivoli, confronti avanzati in passato da Manuel Gomez Moreno e Earl Rosenthal. Günther sottolinea il décalage temporale tra i disegni rinascimentali  e le prime realizzazioni di edifici quadrangolari con cortili circolari in Italia (Odeo Cornaro a Padova, villa Mellini a Roma).

 

          Dal volume emergono bene le fasi della tormentata realizzazione del palazzo, delineate da Christof Frommel e, per altri aspetti, da Johaquin Lorda Iñarra. Nel 1526, data dell’ ingresso a Granada, Carlo V e la moglie Isabella esprimono la volontà di insediarsi nel cuore dell’Alhambra mussulmana, in posizione dominante e panoramica sulla città. La morte di Isabella, nel 1539, segna una battuta di arresto nel cantiere diretto da Pedro Machuca. Il figlio ed erede di Carlo V, Filippo II, nel 1545, decide di riprendere i lavori. Nel 1546, il palazzo raggiunge il piano nobile. Dal 1553 alla guida della costruzione abbiamo il figlio di Pedro, Luis Machuca, (m.1550), con la sovrintendenza del figlio di Luis de Mendoza, Iñigo Lopez.

 

          Ma chi è l’autore del progetto del palazzo di Granda? Un punto di partenza condiviso dagli studi sono le tre planimetrie conservate a Madrid, rispettivamente, presso l’Archivio storico e la biblioteca Reale; quella, più tarda, ricopiata da Raffaello da Montelupo, ora a Lille, che reca l’inscrizione “in Spagna”, alle quali va aggiunto il prospetto meridionale parziale del Metropolitan Museum di New York. Ipotesi e  attribuzioni si sono susseguite con  una varietà senza confronti.

 

          E’abbastanza chiaro che, nella definizione di un impianto tanto italianizzante, siano da escludere suggerimenti da parte dell’imperatore, tenendo conto delle date dei suoi viaggi in Italia che appaiono successive alle fasi salienti dell’ideazione. Nel 1529  Carlo V viene a Bologna per la cerimonia dell’incoronazione, nel 1529-30 visita alcune città dell’Italia settentrionale. Torna in Italia nel mese di luglio 1533, ma solo nel mese di novembre 1535, dopo la vittoria di Tunisi, visita Napoli.

 

          Christof Frommel, riflettendo sulle matrici italiane del linguaggio architettonico utilizzato, insiste sulla paternità di Pedro Machuca, addestrato nell'ambiente romano di Raffaello degli anni ’15. Tuttavia, le soluzioni architettoniche presenti nei disegni della biblioteca di Madrid, databili a suo avviso 1532-33, denunciano aggiornamenti che fanno pensare a un nuovo viaggio in Italia dell’architetto nel periodo 1527 -1530, come ipotizzato già anche da Mariàs. Machuca è documentato a Granada dal 1533 in poi. Essendo i lavori iniziati intorno al 1528, si è delineata la possibilità di contributi di altri artisti  alle prime fasi del progetto, in particolare di quelli di Diego de Siloé, che risiede a Napoli  nel 1514-15, attivo successivamente nel cantiere della cattedrale di Granda, destinata a  ospitare le sepolture reali, un cantiere che gli studi hanno messo spesso in parallelo a quello del palazzo reale. De Siloé potrebbe aver importato a Granada elementi dell’architettura napoletana che sembrano recepiti nel progetto del palazzo di Carlo V, come la composizione dei prospetti di palazzo Gravina o dell’arco trionfale di Castelnuovo. La planimetria della reggia dell’Archivio reale di Madrid viene dunque riferita da Frommel a una prima fase e a de Siloé.

 

          Delfin Rodriguez, in un saggio del 2001, Las trazas del palacio de Carlos V en la Alhambra de Granada, pensa invece che i disegni di Madrid non siano preliminari all’inizio del cantiere, ma siano stati realizzati da Machuca e da suo figlio Luìs, per registrare lo stato della situazione al momento delle importanti modifiche al progetto documentate tra il 1537 e il 1539. La piccola pianta sarebbe una messa in pulito del progetto, e databile agli addirittura agli anni ‘50.

 

          Nel volume l’attribuzione a Machuca non è condivisa da Joaquín Lorda e Ma Ángeles che ritengono  i disegni per il palazzo di Carlo V provenienti dall'Italia, con un attribuzione a Baldassare Peruzzi, mentre Machuca, ne sarebbe l’ esecutore. La separazione tra progetto e realizzazione era l'ipotesi sollevata da M. Tafuri, seguito da Delfìn Rodriguez, che, indagando sui disegni e con ricognizioni dirette sul costruito hanno suggerito la paternità di Giulio Romano. Questa attribuzione è ripresa nel libro da H. Burns che la aggiorna evidenziando le influenze di umanisti quali Andrea Navagero e Baldassare Castiglione presenti sia nelle corti padane che nell’ambiente del sovrintendente de Mendoza (1489-1566).

 

          Contribuisce nel volume a rafforzare questo assunto il lavoro di Francesco J. Roldán Medina che studia l’applicazione della metrologia alle proporzioni del pavimento del palazzo di Carlo V, confrontate con quelle di edifici di vari periodi,  dell'antica Roma in particolare. Riscontrando l’applicazione del sistema antropometrico "classico" nel palazzo di Carlo V, la matrice culturale italiana viene rafforzata .

 

          Il problema della paternità del progetto resta, quindi, il più dibattuto e, in qualche misura, sospeso. Forse si tratta di ridimensionare l’approccio critico che mira ad  identificare come autore un creatore isolato e unico. Nulla impedisce di accettare che il palazzo sia il frutto di un processo progettuale a più voci e di competenze variegate, visto anche che, all’epoca, la figura professionale dell’architetto progettista convive spesso con quella dello scultore, come nel caso di Diego de Siloé, o del pittore, come è per Pedro Machuca. L’itinerario internazionale delle forme delineato dagli studi sul palazzo granadino, così come il ruolo di una tradizione di cultura architettonica che, dall’antichità, si estende alle elaborazioni del rinascimento italiano e si modula secondo un’articolazione che diviene originalmente spagnola, è plausibilmente il risultato del lavoro corale di artefici responsabili dell’ innegabile contaminazione di motivi dell'architettura romana con quella mantovana di Giulio Romano. L’incrocio di approcci diversi ha, quindi, avvicinato una soddisfacente ricostruzione storica e materiale dell’ opera.

 

          Permangono tuttavia altri problemi aperti. Ad esempio: perché resta attivo il cantiere di una residenza mai abitata dai suoi committenti? Una ragione potrebbe essere la volontà di rendere immanente sulla città conquistata proprio l’autorità di un sovrano assente, un atteggiamento frequente, ad esempio nel regno di Napoli, basti pensare alla creazione delle “inutili” fortezze de L’Aquila o di Sant’Elmo nella capitale partenopea .

 

          Per l’arresto del cantiere avrebbe potuto essere determinante il trasferimento della corte a Madrid nel 1561; tuttavia, il piano superiore è realizzato da Juan de Herrera negli anni settanta del XVI secolo e altri lavori sono intrapresi dai Filippo V nel XVIII secolo.

 

          In epoca napoleonica si discusse la distruzione di questo emblema dell’Ancien régime; distruzione contestata già da Giuseppe Bonaparte e da letterati,  viaggiatori e architetti, come Owen Jones, colpiti dal fascino delle costruzioni e dell’antico sito in rovina. Una rovina accresciuta da una serie di terremoti e da incendi. Lavori di restauro furono intrapresi nel 1828 dall'architetto José Contreras. Definito monumento nazionale nel 1905, intorno al 1930 finalmente fu avviato un radicale ricupero ad opera di  Leopoldo Torres Balbás, installata finalmente una copertura completa e inserito un piccolo museo. Dopo aver ospitato nel 1929 l’Exposición Iberoamericana, un violento incendio distrusse nuovamente l’edificio. Il tetto della galleria superiore del patio fu ripristinato solo nel 1957.

 

          Tanto accanimento costruttivo nei confronti di un esempio macroscopico di “architettura interrotta” trova le sue ragioni probabilmente nell’impatto fisico ed evocativo della storia e della cultura architettonica spagnola che la mole del palazzo ha avuto nel tempo.

 

          Un impatto così forte da essere assunto ancora come riferimento nel 2006 dall’architetto Alberto Campo Baeza nel suo progetto per il museo della memoria andalusa di Granada. All’interno di un podio quadrangolare egli inserisce una corte ellittica che riprende le misure del patio circolare del palazzo di Carlo V: i 42 metri dell’asse maggiore corrispondono al diametro esterno del portico del palazzo; i trenta metri dell’asse minore, al diametro interno. 

 

          Ricordiamo che questo diametro (circa 33,35 m), è di solo sedici centimetri inferiore a quello di Villa Madama. Campo Baeza scrive: ”l’aver preso le misure del palazzo di Carlo V nell’Alhambra non costituisce solo un rimando alla storia dell’architettura classica in Andalusia, ma equivale anche a riconoscere che quelle proporzioni -30x42x15 metri-sono adeguate alle misure del corpo umano. Lo spazio così dimensionato rientra nell’angolo visivo dell’occhio che vi resta catturato; un’altra lezione imparata dalla storia” (La città come poesia, in Principia architectonica, 2013).  Ringraziamo Campo Baeza per questa ulteriore lettura del palazzo di Carlo V.