Ardissino, Erminia - Boillet, Elise (a cura di): Gli Italiani e la Bibbia nella prima età moderna. Leggere, interpretare, riscrivere, Études Renaissantes (ER 28), 299 p., 12 b/w ill. + 3 colour ill., 156 x 234 mm, ISBN: 978-2-503-58406-5, 50 €
(Brepols, Turnhout 2019)
 
Compte rendu par Tiziano Ottobrini
 
Nombre de mots : 2060 mots
Publié en ligne le 2022-05-30
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          L’Italia si segnala per precocità nell’àmbito della stampa della Bibbia in volgare, attestandosi come seconda solo alla Germania sotto questo rispetto, se è vero che già nel 1471 se ne dànno due edizioni veneziane – l’una (nel mese di agosto) tradotta dal Camaldolese Nicolò Malerbi, l’altra (in ottobre) tradotta da anonimo. Queste linee di orizzonte, tracciate dalle Curatrici del volume nella loro introduzione (pp. [7]-18), valgono a efficacemente offrire la campitura storica e concettuale della svolta in corso nel Cinquecento italiano, allorché il grande codice della Bibbia si trova a essere al centro di opposte tensioni, tra apertura parrhesiaca e diffusione e, a fronte, reazioni di chiusura e limitazione, in difesa di un anacronistico statu quo. Di qui si origina tutta una serie di questioni radicate nel clima di una singolarissima primavera dello spirito, combattuta tra nuove forme di predicazione e innovazioni liturgiche, tra approfondimento personale delle letture bibliche e lo sviluppo della devozione popolare, tra una nuova selezione delle pericopi da leggersi durante la sinassi e l’opportunità di istoriare il testo biblico.

 

         Il volume si articola in 3 sezioni: I. La Bibbia tra produzione editoriale e censura; II. Contesti e prassi di lettura biblica; III. Riscritture letterarie: poesia, narrativa, teatro.

 

         Con l’ausilio di utili tavole esemplificative il contributo di Ugo Rozzo (pp. [21]-42) affronta il tema dell’illustrazione dell’Apocalisse nell’Europa del Cinquecento, facendo emergere aspetti anche riposti nell’àmbito della circolazione del testo biblico in una stagione segnata e, a tratti, crivellata dalle condanne censorie. Posta sullo sfondo l’importanza delle illustrazioni del Dürer (Apocalipsis cum figuris, pubblicata a Norimberga nel 1498 da Anton Koberger, con piena corrispondenza tra le quindici xilografie e il testo), si rileva il caso costituito dalle ventuno interpretazioni grafiche curate da Cranach il Vecchio nel 1522, comparse a piede di pagina nella Offinbarung (sic) Samcti Johannis des theologen; si prospetta così la correlazione tra una specifica tipologia iconografica nelle raffigurazioni dell’Apocalissi e il contesto dogmatico luterano, il che andrà presto rinvigorendosi con le xilografie tratte dai disegni di Hans Holbein il Giovane (1523). Su queste basi l’A. affronta la questione ideologica e propagandistica di certe letture filo-protestanti in riferimento alla Biblia di Brucioli (1532), in cui le raffigurazioni dell’Apocalissi esprimono contenuti fortemente antipapali e antiromani proprio in ripresa dei modelli tedeschi ora citati. Rilevanti i riferimenti ai disegni del Lotto come punto di partenza, controverso, dell’interpretazione teologica filo-luterana delle scene sul frontespizio dell’evocata edizione veneziana del 1532 – posizione, questa, che sembrerebbe non poter discendere direttamente (come sottolineava Franco Giacone) dalla citazione ebraica che completa l’insieme figurativo ivi effigiato, dichiarante solo il primato della Scrittura: m’t YHWH hyth z’t hy’ npl’t bynynw (fig. 7: «dal Signore ha preso a esistere questa [scil. la Legge]: essa è un prodigio ai nostri occhi», con efficace deuterosi biblica in forma chiastica, resa in via compendiaria con «Essa viene dal Signore, è una meraviglia ai nostri occhi», p. 37).

 

         Edoardo Barbieri dedica le sue pagine (Un long seller biblico nell’Italia moderna: le Epistole e vangeli di Remigio Nannini da Firenze, pp. [44]-72) a illustrare il percorso di affermazione del volgarizzamento curato dal domenicano fiorentino Remigio Nannini poco oltre la metà del XVI secolo nel quadro delle interdizioni comminate dall’Index librorum prohibitorum; benché alle versioni dei lezionarî fossero state applicate in forma particolarmente restrittiva tali disposizioni, la traduzione-commento del Nannini costituì de facto un’eccezione, tanto da essere non solo permessa ma addirittura consigliata; di qui la sua versione venne ad affermarsi anche come modello per lavori consimili. Questo percorso non fu però senza ostacoli e, nel suo studio, Barbieri ne ripercorre le principali tappe, presentando l’eccellenza del p. Remigio in quanto versato sia sul versante filosofico (lavorò sull’Etica nicomachea di Aristotele) sia all’edizione degli opera omnia di Tomaso d’Aquino).

 

         Nel contributo di Élise Boillet intitolato Tra censura e tolleranza. Le due edizioni del volgarizzamento dei salmi penitenziali di Domenico Buelli, inquisitore di Novara (1572 e 1602), alle pp. [73]-93, viene affrontato il tema delle traduzioni poetiche del Salterio, laddove il medium linguistico poteva esporsi a rendere più opaco il contenuto dogmatico sotteso al testo vòlto in lingua moderna. Con fine scavo di archivio, l’A. mostra come la proposta di Buelli rispecchi in ambedue le formulazioni (1572 e 1602) l’approccio di uno zelante inquisitore, consapevole che il tentativo di arginare le più gravi derive ereticali potesse germinare non dal divieto assoluto alla traduzione in volgare bensì da un modello positivo cui attenersi. Da queste coordinate procede il caso specifico della versificazione biblica di Buelli, posta all’intersezione tra il contesto locale, predilezioni personali e istanze generali. 

 

         Circolazione e usi delle Epistole ed evangeli nell’Italia post-tridentina (pp. [97]-123) di Danilo Zardin illumina le aperture che l’indice tridentino del 1564 concedeva in materia dei permessi di lettura della Bibbia in volgare, licenze sancite in ispecie dalla quarta regola, che lasciava nelle mani delle autorità periferiche come vescovi e inquisitori locali la potestà di delibera; nel quadro di una progressiva politica di interpretazioni restrittive a livello locale, non senza casi controversi presso il centro direttivo del Sant’Ufficio e della Congregazione dell’Indice, Zardin focalizza l’attenzione sulla capacità di diffusione dei lezionarî liturgici, allargando lo sguardo a considerare anche i debordamenti verso i contesti di cultura laica, che per parte loro non rinunciarono ad accedere a questo filone di letteratura edificante ed educativo. Un caso rimarchevole è costituito, sotto questo rispetto, dal pittore lombardo Daniele Crespi, per cui si ha attestazione del possesso di un lezionario liturgico, come recita la lista dei «libri diversi» inclusa nell’inventario post mortem del 1630.

 

         In apertura della seconda sezione del volume, Abigail Brundin (Lettura domestica della Bibbia nell’Italia rinascimentale, pp. [125]-142) accosta il ruolo della Bibbia nella devozione privata dei laici italiani. L’indagine delle fonti archivistiche mostra che più si scende nella scala sociale, meno frequenti sono le tracce di possesso della Bibbia, sostituita di solito dai Libri d’Ore, soprattutto dall’Ufficiolo della Madonna. Notizie preziose circa la diffusione delle Bibbie per l’uso domestico sono ricavabili dai pegni dei Monti di Pietà e dagli atti dei processi del tribunale dell’inquisizione, oltre naturalmente agli inventarî delle singole case. A fronte, viene elucidata la cosiddetta letteratura normativa di matrice biblica, tra cui si segnala il Decor puellarum e il Dialogo della instituzion delle donne di Lodovico Dolce (1545), dove si assevera l’importanza di conoscere le preghiere e la lettura della Bibbia per ogni donna che ambisca a una educazione completa e onorevole.

 

         L’articolato saggio curato da Chiara Pilocane, “Girala e rigirala perché c’è tutto; e contemplala e incanutisci e invecchia su di essa” (Pirqè Avot V, 28). La Bibbia in ambiente ebraico fra XVI e XVII secolo: alcuni casi (pp. [144]-170) si incardina su tre nuclei principali: leggere la Bibbia; interpretare la Bibbia; riscrivere la Bibbia. Assunta la notoria centralità che la Torà – e il Tanakh in generale – ha sempre esercitato nel pensiero e nella vita ebraici, viene messo opportunamente in risalto il conseguente conservatorismo ispirato dalla sacertà del testo biblico, il che non poteva che riverberarsi in forme di resistenza a rielaborazioni di sorta. Con le parole di Roberto Bonfil (citato alla p. 147, n. 10) si potrà osservare che «mentre i cristiani marciavano verso la modernità distaccando il pensiero secolare dal campo religioso vero e proprio, gli ebrei seguivano ancora la via opposta: quella del legame sempre più stretto fra la secolarizzazione e le espressioni religiose», individuando solo col Seicento una prima, pur faticosa cesura; in questo quadro si comprenderà il peso dell’insegnamento della Torà già a decorrere dai cinque anni per i bambini, come prescrivono i Pirqè Avot; allo studio biblico seguiva l’interpretazione, soprattutto filtrata dalla qabbalà nei secoli XVI e XVII nell’ambiente ebraico italiano, spesso connotandosi anche di striature esoteriche presso élites intellettuali (donde veniva anche la promozione di edizioni a stampa di molti libri di argomento mistico). Si staglia entro queste linee il caso dell’innario del piyyuṭ di Ḥananyah Rieti (1561-1623), in cui si esalta il valore spirituale della veglia di preghiera antelucana con ricorso a centoni di fraseologia biblica. In ultimo, quanto alle riscritture della Bibbia, si potrà ricordare lo sviluppo dai libri biblici con l’originale ebraico insieme con la resa italiana (il primo noto in Italia è il Qohelet di David De Pomi, a Venezia nel 1571) fino a composizioni strutturate secondo il modello della catena: così le citazioni scritturistiche nell’introduzione ai componimenti in onore di Carlo Emanuele I (per cui cfr. p. 164), laddove i luoghi veterotestamentarî sono impiegati in modo tipologico come prefigurazione e immagine del duca e dei figli.

 

         Trascorrendo alla terza e ultima parte, Pietro Petteruti Pellegrino adduce la fondamentale questione della grazia in riferimento alle differenti scelte religiose (tra Riforma e Controriforma), dal punto di vista dell’opzione poetica; così in Come pioggia feconda. Immagini della grazia divina nella lirica del Cinquecento, pp. [173]-216, vengono esaminati i testi lirici di quattro autori trascelti come rappresentativi (Vittoria Colonna, Bernardo Tasso, Bartolomeo Arnigio e Benedetto Dell’Uva), sulla scorta dei temi della pioggia, della rugiada e dell’umore, legati quali sono sia alla fecondità e all’aridità sia in accezione tropologica al peccato e alla redenzione. Movendo da Agostino che già parlava della rugiada come simbolo della grazia di Dio che scende sui peccatori (in Psalm. 132, 10) e, prima ancora, dalle attestazioni bibliche costituite almeno dal Deuteronomio (XXXII, 1-2) e del salmo LXXI, si dipartono ricche rime spirituali che bene esemplano l’incidenza della parola biblica nella poesia rinascimentale italiana, nelle sue varie declinazioni.

         

         Merito precipuo di Erminia Ardissino (Raccontare la Bibbia nell’Italia della prima età moderna. Cantari, poemi, romanzi, pp. [217]-235) è aver studiato come le forme di riscrittura biblica nella poesia narrativa seguano in modo aderente le linee di tendenza invalse nell’àmbito profano; a ciò si perviene attraverso l’indagine tripartita a) della produzione narrativa di invenzione tipica dei cantari (fondata su materia biblica e appartenente al genere più popolare); b) dei poemi biblici in ottava rima (basati in ispecie su figure anticotestamentarie come Giuditta o neotestamentarie come Maria, il Battista e Gesù); c) dei romanzi biblici, genere inaugurato a Bologna poco prima della metà del Cinquecento dalle Turbolenze d’Israelle di Luigi Manzini e, poi, continuato a Venezia dagli Accademici Incogniti, spesso in chiave desacralizzante, ove non dissacratoria.

 

         L’ultimo saggio, a cura di Elisabetta Selmi (Riscritture bibliche nel dramma sacro fra Seicento e Settecento, pp. [237]-284), scandaglia la fenomenologia del dramma sacro secentesco nella riappropriazione di storie, figure e vicende bibliche. Con finezza il contributo esplora la delicata transizione e il labile equilibrio tra la forma dell’allegoria e il ricupero razionalistico della teologia figurale, con vivificante linfa dall’apologetica, dalla liturgia e dalla pratica dell’ascesi spirituale. Largo spazio viene infine accordato allo sviluppo di un’erudizione biblica, al dibattito orientalistico sulla poesia ebraica nonché ai modelli di cristianizzazione di cose bibliche sulla filigrana del retaggio classico. Completa il volume l’indice dei nomi proprî (pp. [285]-297).

  

         Tracciando un bilancio, il volume riesce nel non facile intento di mettere in evidenza il contributo strutturale – e non meramente congiunturale – che la Bibbia ha avuto sul versante privato  nell’Italia dal Cinquecento in poi; in questo modo emergono con nettezza molti dei dispositivi storico-concettuali che hanno presieduto alla promozione della Bibbia a strumento della formazione delle coscienze e delle pratiche devozionali nei differenti territorî della Controriforma: non mero embellissement letterario ma fomite del mysterium salutis nelle pratiche del quotidiano.  

 

 

Indice

 

prima sezione

 

U. Rozzo, Illustrare l’Apocalisse nell’Europa del Cinquecento (1498-1547), pp. [21]-42;

 

E. Barbieri, Un long seller biblico nell’Italia moderna: le Epistole e vangeli di Remigio Nannini da Firenze, pp. [44]-72;

 

É. Boillet, Tra censura e tolleranza. Le due edizioni del volgarizzamento dei salmi penitenziali di Domenico Buelli, inquisitore di Novara (1572 e 1602), pp. [73]-93;

 

seconda sezione

 

D. Zardin, Circolazione e usi delle Epistole ed evangeli nell’Italia post-tridentina, pp. [97]-123;

 

A. Brundin, Lettura domestica della Bibbia nell’Italia rinascimentale, pp. [125]-142;

 

C. Pilocane, “Girala e rigirala perché c’è tutto; e contemplala e incanutisci e invecchia su di essa” (Pirqè Avot V, 28). La Bibbia in ambiente ebraico fra XVI e XVII secolo: alcuni casi, pp. [144]-170;

 

terza sezione

 

P. Petteruti Pellegrino, Come pioggia feconda. Immagini della grazia divina nella lirica del Cinquecento, pp. [173]-216;

 

E. Ardissino, Raccontare la Bibbia nell’Italia della prima età moderna. Cantari, poemi, romanzi, pp. [217]-235;

 

E. Selmi, Riscritture bibliche nel dramma sacro fra Seicento e Settecento, pp. [237]-284.