Eisenberg, M. - Ovadiah, A. (eds.): Cornucopia. Studies in honor of Arthur Segal (coll. Archaeologica, 180) XVIII-326 p., 53 photos couleur, 100 ill., 21,5 x 30 cm, ISBN 978-88-7689-315-5, 140 €
(Giorgio Bretschneider, Roma 2019)
 
Compte rendu par Paolo Cimadomo, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
 
Nombre de mots : 2498 mots
Publié en ligne le 2021-06-18
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il libro è una miscellanea di studi in onore di Arthur Segal, che ha speso la maggior parte della sua carriera accademica all’Università di Haifa. Gli editori del libro, Michael Eisenberg e Asher Ovadiah, chiariscono subito il motivo del titolo, Cornucopia, termine utilizzato per regalare al Prof. Segal una cornucopia di frutti e fiori variegati, come gli articoli presenti nel testo. In totale, parliamo di 18 articoli piuttosto eterogenei, introdotti da una breve premessa e dal curriculum vitae del Prof. Segal, i quali offrono una panoramica molto vasta sugli studi del mondo antico, non sempre connessi direttamente con gli interessi di Segal.

 

         Il primo articolo, di Michael Sommer, racconta della malattia che colpì l’imperatore Caracalla durante la sua campagna contro gli Alemanni. Dione Cassio ricorda che Caracalla cercò aiuto prima nei suoi antenati Settimio Severo e Commodo e infine a tre divinità legate a poteri taumaturgici, quali Asclepio, Serapide e Granno. L’autore cerca di capire come mai Caracalla si sia rivolto anche ad Apollo Granno, una divinità germanica della quale si sa poco. Nel passato, varie sono state le ipotesi circa il fatto che questa divinità paia assumere maggiore risalto durante il III secolo, ad esempio che essa fosse uno dei simboli della resistenza locale al potere romano. Tuttavia, l’ipotesi più ragionevole, secondo l’autore, è quella di Greg Woolf, il quale ritiene che i locali furono attratti e attinsero dal repertorio iconografico romano, ma non conoscendo rituali e costumi romani, finirono per creare un contenitore che fosse allo stesso tempo locale e romano. 

 

         Nel secondo articolo Achim Lichtenberger affronta il tema della centralità delle città nel regno di Erode. L’autore si concentra anzitutto su Gerusalemme, capitale politica e religiosa per gli Ebrei, differente nella struttura rispetto ad altre città greco-romane. Tuttavia, si conoscono anche fondazioni ex novo fatte da Erode, come Faselis Antipatris, le quali però non ebbero uno sviluppo successivo. La fondazione più importante fu sicuramente Cesarea Marittima, e in secondo luogo Samaria Sebaste. Dal quadro delineato, emerge che le città nel regno sono state relativamente poche, che quelle nuove spesso non conoscono una crescita tale da sopravvivere molto dopo la loro fondazione e che in realtà il vero fulcro dello sviluppo urbano siano stati i santuari, come dimostrato anzitutto dalla stessa città di Gerusalemme, ma anche dalla volontà di Erode di restaurare importanti santuari come quelli di Hebron e Mamre.

 

         Frank Sear analizza il tema dei Discrimina ordinum, termine che indica la separazione delle classi nei teatri romani. L’autore inizia delineando la storia di questa separazione. Egli nota che il pulvinar, il posto d’onore, è presente in molti teatri romani, nel Mediterraneo sia orientale sia occidentale, seguendo una pratica in realtà diffusa in età precedente, come dimostra la sua presenza nei teatri ellenistici. Gli esempi chiarificatori sono indubbiamente i teatri di Pompei, Orange e Benevento.

 

         Jacques Seigne tenta di ricostruire la storia di Gerasa dall’età ellenistica a quella omayyade facendo una rassegna degli scavi effettuati nella città. Come già sottolineato da vari autori, non si conosce molto del periodo più antico. Ciò che invece appare chiaro è il cambiamento che avviene nel II secolo, con Traiano e soprattutto con Adriano, probabilmente a causa di qualche evento accaduto poco dopo il soggiorno imperiale in città. Il IV secolo, a causa della presenza di numerose tracce di incendi e distruzioni, rappresenta un nuovo importante momento della città, che si doterebbe di mura. Dalla metà del V secolo la città subisce ulteriori cambiamenti, i santuari cambiano le loro funzioni, divenendo centri artigianali e compaiono le prime chiese, che si diffonderanno soprattutto nel secolo successivo. La prima moschea compare solo nel 725/750, periodo nel quale la città pare considerevolmente ridotta nelle dimensioni.

 

         L’intento dell’articolo di Asher Ovadiah è analizzare le immagini simboliche e allegoriche che adornano le prime chiese nell’area palestinese e gli elementi architettonici delle stesse. In effetti, l’articolo si divide nettamente in due parti. Nella prima parte, l’autore parla delle allegorie utilizzate dai padri della chiesa. Tertulliano, ad esempio, definisce la chiesa come una nave, espressione ripresa poi da Ambrogio. Una chiesa trovata nel deserto del Negev nord-orientale e datata al IV secolo pare riprodurre proprio la forma della poppa di una nave. Ambrogio soprattutto fa uso di numerose metafore, probabilmente per incoraggiare i credenti. La seconda parte dell’articolo è dedicata invece alla scelta degli architetti cristiani di inserire elementi estranei alla cultura architettonica romana, come il transetto, la cui fruizione è ancora poco conosciuta, se non per il fatto che dava una forma di croce alla chiesa. La croce, infatti, diventa ben presto un simbolo apotropaico, come dimostrano Cipriano, Lattanzio ed altri autori cristiani.

 

         Michael Eisenberg analizza la porta monumentale trovata recentemente (2014) nell’area orientale della città di Hippos. I recenti scavi hanno dato alla luce nella stessa area anche un teatro, le terme e una piscina di modeste dimensioni. La porta consiste di un accesso portato da quattro gradini di basalto, circondati da due torri, una (quella ad ovest) scavata quasi totalmente, l’altra (quella orientale) molto meno. Molto spazio è dato all’eccezionale ritrovamento di una maschera in bronzo raffigurante il dio Pan. Tornando al propileo, l’autore ne ricostruisce le fasi storiche: iniziato nella prima metà del II secolo, viene distrutto nel IV secolo. Si presume che l’intera area fosse dedicata a Dioniso, ma lo stesso autore afferma che si tratta solo di speculazioni dato che mancano elementi religiosi, sebbene sia un’ipotesi verosimile, vista la diffusione del culto di Pan e Dioniso nelle vicinanze.

 

         Werner Eck e Dirk Kossmann studiano quattro frammenti di iscrizioni in latino e un’iscrizione greca onoraria trovata a Scitopoli. La prima iscrizione riguarda un non meglio identificato imperatore, poi ne abbiamo una collegata ad un acquedotto, un’altra relativa ad un diploma militare del 136-137 e la quarta è relativa all’organizzazione della provincia. L’iscrizione in greco, invece, è la parte finale di un’epigrafe posta sotto la statua di un legatus Augusti pro pretore.

 

         Amos Kloner e Boaz Zissu analizzano la città di Maresha, in particolare sull’area residenziale della città bassa, scavata durante gli scavi dei primi anni ’90 e datata al III-II secolo a.C. Interessante notare soprattutto i complessi sotterranei nei quali si sviluppavano le attività produttive, basate essenzialmente sull’agricoltura.

 

         Ronny Reich e Yuval Baruch sono gli autori di un articolo relativo alla costruzione del tempio di Gerusalemme voluta da Erode, concentrandosi su tre aspetti: un possibile programma costruttivo; le ragioni della sua estensione verso occidente; la natura della porta di Nicanor. Gli studiosi effettuano un attento studio delle evidenze, individuano nelle motivazioni religiose l’estensione verso nord e si soffermano infine sulla porta di Nicanor, fatta da differenti officine, probabilmente egiziane.

 

         Walid Atrash e Gabriel Mazor riprendono il discorso, già da loro affrontato in altre sedi, delle strutture per la ricezione di spettacoli trovate a Scitopoli. Un primo teatro, a sud, è databile al I secolo, smantellato alla fine del II secolo per permettere di erigere un teatro più grande, simbolo evidente della crescita della città. Il teatro è restaurato almeno due volte, a causa del terremoto del 363 e poi per modifiche alla cavea e alla scena nel VI secolo. Il teatro a nord, invece, viene edificato nel II secolo all’interno del tessuto urbano. È difficile ricostruirne la cavea, smantellata in età bizantina. Vi è anche un’odeum, costruito accanto al Caesareum. A sud del centro cittadino sorge l’ippodromo, costruito nel II secolo e conservato piuttosto male. Dopo il terremoto del 363, viene stranamente riconvertito in anfiteatro.

 

         Rivka Gersht e Peter Gendelman si occupano invece dei costumi funerari a Cesarea Marittima in età romana e bizantina, dato che i tipi di sepoltura sono diversi tra loro, sebbene simili a quelli presenti in altre città dell’area. Gli autori notano che dal III secolo l’ornamentazione sui sarcofagi sparisce, favorendo la diffusione di modelli privi di decorazioni. Tra IV e VII secolo, la forma più comune è legata a placche di metallo con epitaffi in greco dalle quali è possibile distinguere la religione professata da ciascun defunto. 

 

         Menahem Mor ritorna su un tema dibattuto che lo ha visto già autore di altri interventi: la visita di Adriano in Giudea e il ritrovamento di un’iscrizione a Tel Shalem di difficile ricostruzione. Il confronto con un’iscrizione frammentaria conservata al Museo della Flagellazione a Gerusalemme ha suscitato più dubbi che risposte. Tuttavia, il rinvenimento nel 2014 di una seconda parte di quest’ultima iscrizione presso la porta di Damasco lascia pochi dubbi sul dedicante, ovvero la Legio X. Su questa base, Mor ritiene che l’iscrizione a Tel Shalem sia stata commissionata da una legione, in questo caso la Legio VI, sul modello di quella di Gerusalemme, probabilmente nello stesso periodo, cioè al momento della visita di Adriano in quei territori, e che quindi non avesse nulla a che fare con la rivolta di Bar Kokhba scoppiata poco dopo.

 

         Con lo studio di Rebecca Toueg si passa a conoscere meglio la figura di Robin George Collingwood, il quale è stato filosofo ma anche archeologo, vissuto durante la prima metà del ‘900. L’autrice si sofferma in particolare sulla controversia nata sulle sue attività da archeologo, soprattutto sullo scavo del sito neolitico definito dallo stesso Collingwood “tavola rotonda di re Artù”, sito nel quale lavorò solo un anno, il 1937, perché una serie di infarti gli impedì di continuare. Prese il suo posto il tedesco Gerhard Bersu. che ne criticò il lavoro e le interpretazioni. Da quel momento ne è nata una controversia continuata in anni più recenti. L’autrice non si sofferma nel prendere una posizione nella diatriba, ma rimarca l’importanza che in ogni caso ha avuto la figura di Collingwood nel passato e nel presente.

 

         Il lavoro di Yinon Shivtiel e Mechael Osband invece indaga i sistemi di nascondigli trovati in Galilea. Si tratta di cave, divise in tre gruppi: “cave da rifugio”, formatesi naturalmente per processi carsici; “ripari da roccia”, che spesso contengono piccole installazioni usate temporaneamente; “sistemi di rifugio”, che consistono in cavità sotterranee trovate in Galilea e in Giudea spesso nelle vicinanze degli insediamenti giudaici. Tali sistemi sono ulteriormente divisi tra quelli “grezzi” (Crude Hiding Complexes), spesso non finiti e non pianificati, e quelli invece lavorati in maniera meticolosa (Meticulous Hiding Complexes), lavorati finemente e ben connessi. Poiché non ci sono tracce di un uso militare, gli autori propendono per credere che si trattasse in ogni caso di rifugi temporanei costruiti dagli abitanti dei villaggi vicini.

 

         Arleta Kowalewska ritorna alla città di Hippos, studiando in particolare le terme meridionali scoperte nel 2005. Gli scavi finora hanno portato alla luce soprattutto l’area calda e ci si aspetta di ritrovare anche una palestra e almeno uno spogliatoio. Le fasi costruttive sono almeno due, una di II e una di III secolo, con una fine d’uso databile tra III e IV secolo, quando il complesso viene convertito ad area artigianale.

 

         Chaim Ben David resta nell’area di Hippos, analizzando i confini del suo territorio. L’autore, infatti, parte da una lista di nove insediamenti appartenenti alla città e con l’ausilio di tutte le fonti disponibili cerca di delinearne i confini, in parte studiando l’andamento di un acquedotto, in parte delimitando i confini dei distretti vicini. L’autore si concentra poi sul ritrovamento di alcuni conci che Zvi Maoz aveva creduto appartenenti alle fortezze ellenistiche al confine del territorio della città, ma pare più probabile che si tratti di fortezze di età romana. La ceramica, invece, non aiuta molto, dato che non ci sono differenze sostanziali nelle aree limitrofe.

 

         Con Sarah Gilboa-Karni si cambia totalmente area geografica, dato che l’autrice tratta della diffusione del culto di Bacco nell’area di Napoli analizzando la scultura da giardino di età romana. L’autrice arriva alla conclusione che Libero/Bacco aveva avuto tanto spazio nei giardini campani non in quanto divinità del vino, quanto perché divinità legata alla fertilità, ai culti misterici e ai riti agrari di purificazione. I giardini, dunque, rappresenterebbero la visione terrena dei campi elisi, i giardini dell’eternità.

 

         L’ultimo articolo è scritto da Estēe Dvorjetski, la quale analizza lo sviluppo delle attività sportive e di intrattenimento nell’area palestinese. Tra le prime forme di attività sono ricordate la danza e vari tipi di ginnastica acrobatica e ritmica, ma sono registrati anche giochi da tavolo, come i dadi e gli astragali. Ci sono riferimenti biblici anche a numerose attività fisiche. Un ruolo fondamentale era indiscutibilmente coperto dalla musica. 

 

         Data l’eterogeneità dei contributi, è difficile giudicare il libro nel suo insieme. Tuttavia, proprio questa estrema diversità ne costituisce un valore aggiunto anziché un limite, offrendo al lettore numerosi spunti per ulteriori indagini. L’ampia diversità non permette purtroppo di cogliere un filo conduttore, anche perché alcuni articoli sembrano avere un flebile se non alcun collegamento con il professor Segal. Penso, ad esempio, ai pur interessanti interventi sulla figura di Collingwood, oppure sulla diffusione del culto di Bacco nell’area di Napoli.

 

         Un appunto riguarda l’impaginazione, non sempre omogenea: infatti, i riferimenti bibliografici, quasi sempre alla fine degli articoli, compaiono in alcuni casi all’interno delle note, più precisamente nei testi di Frank Sear, di Werner Eck e Dirk Kossmann, di Rebecca Toueg e anche nell’ultimo articolo, scritto da Estēe Dvorjetski. Allo stesso modo, il titolo contenente parole in latino in un caso (Sear) è giustamente posto in corsivo, in un altro (Dvorjetski) no.

 

         Tali imprecisioni, ad ogni modo, non inficiano il risultato finale del lavoro, che riesce appieno ad omaggiare una figura importante soprattutto per gli studiosi di architettura antica nell’area del Levante.

 

 

INDICE DEGLI INTERVENTI

 

M. Sommer - «Sick not only in body...». Apollo Grannus and the emperor enchanted. 1

A. Lichtenberger – Jerusalem and beyond; Cities, Sanctuaries and centrality in the kingdom of Herod. 15

F. Sear – Discrimina ordinum in theatres. The archaeological evidence. 31

J. Seigne – Gerasa: un aperçu du développement urbain, de l’époque hellénistique à l’époque omeyyade. 47

A. Ovadiah – The images of the early christian church in the mirror of patristic literary sources. 81

M. Eisenberg – The propylaeum of the extra muros sanctuary at Hippos. 95

W. Eck, D. Kossmann – Zu inschriften der römischen führungsmacht aus Israel. 123

A. Kloner, B. Zissu – Hellenistic residences at Maresha (Marissa).

R. Reich, Y. Baruch – The Herodian Temple Mount in Jerusalem: a few remarks on its construction and appearance. 157

W. Atrash, G. Mazor – Entertainment facilities at Nysa-Scythopolis. 171

R. Gersht, P. Gendelman – Tombs and burial customs in Roman and Byzantine Caesarea. 189

M. Mor – From Shalem (Jerusalem) to Tel Shalem: Hadrian’s visit in provincia Judaea. 211

R. Toueg – R. G. Collingwood: King Arthur’s Round Table. 227

Y. Shivtiel, M. Osband – A methodological perspective on the chronology and typology of the hiding complexes in the Galilee. 237

A. Kowalewska – The southern bathhouse of Antiochia Hippos of the Decapolis. 261

C. Ben David – The Boundaries of Hippos-Sussita during the Roman and Byzantine periods. 279

S. Gilboa-Karni – Liberty, citizenship, fertility, elysium. Liber Pater/Bacchus in the gardens of the bay of Naples. 293

E. Dvorjetski – ‘Mens sana in corpore sano’. Physical culture, sport, and leisure in the land of Israel from Biblical times to the late Roman Empire 307