Riba, Bertrand : Le village de Kafr ʿAqāb. Étude monographique d’un site du ğebel Waṣṭāni (Massif calcaire de la Syrie du Nord). Topographie et architecture (coll. Bibliothèque de l’Antiquité tardive - BAT 38). 487 p., 502 b/w ill. + 6 colour ill., 2 b/w tables, 21,6 x 28 cm, ISBN : 978-2-503-58344-0, € 90,00 excl. tax
(Brepols, Turnhout 2020)
 
Compte rendu par Paolo Cimadomo, Haifa University
 
Nombre de mots : 1794 mots
Publié en ligne le 2022-06-28
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il libro di Bertrand Riba è frutto di una rivisitazione della sua tesi di dottorato, difesa presso l’Università Paris Sorbonne (Paris IV). Come evidenziato già dal titolo, l’Autore effettua una lunga e attenta analisi topografica ed architettonica del sito di Kafr ʿAqāb, sul Jebel Waṣṭāni, in Siria Settentrionale. Il villaggio ha un lungo e interessante sviluppo, che inizia nel II secolo e termina definitivamente nel XII secolo.

 

          Nell’introduzione, Riba elenca le motivazioni che lo hanno spinto a occuparsi dell’area del Jebel Waṣṭāni, e in particolare del villaggio di Kafr ʿAqāb: 1. La posizione strategica sull’asse tra Antiochia e Apamea; 2. La presenza di edifici di varie funzioni in differenti villaggi, sintomo di una sorta di specializzazione di ogni sito; 3. Un’occupazione lunga e continua; 4. L’abbandono totale fino ai giorni nostri.

 

          L’Autore, seguendo i lavori principali effettuati sull’area, ovvero quelli di Tchalenko (Villages antiques de la Syrie du Nord, Paris 1958) e Tate (Les campagnes de la Syrie du Nord du IIe au VIIe siècle: un exemple d’expansion démographique et économique à la fin de l’antiquité, Paris 1992), ritiene, a mio parere correttamente, che sia giunto il momento di concentrarsi sulla storia dei singoli villaggi in modo da fornire nuovi spunti di studio e lavoro. Nel primo capitolo, dove si delinea un quadro generale dell’area insistendo sulle ricerche precedenti, sui dati geografici e sul patrimonio archeologico dell’area, Riba sottolinea quanto il Jebel Waṣṭāni si sia trovato ad essere lontano dalla ricerca, nonostante la presenza di 75 siti romano-bizantini, ciascuno con edifici pubblici e/o religiosi. I villaggi sono caratterizzati dalla presenza di una popolazione in maggioranza povera, come dimostrano le piccole unità abitative presenti sul territorio, dedita all’agricoltura. La massiccia presenza di torchi destinati alla produzione di vino e olio è chiaro indice delle colture maggiormente presenti nell’area. Dal periodo proto-bizantino si assiste ad una maggiore prosperità, come dimostrano le nuove costruzioni e la diffusione di decorazione scultorea.

 

          Nel secondo capitolo inizia invece lo studio approfondito del sito di Kafr ʿAqāb, partendo da una visione generale del sito, della sua scoperta. L’identificazione di Kafr ʿAqāb con il sito di Niaccaba, citato dall’Itinerario antonino, è ancora incerta, seppur non da escludere secondo l’Autore. Il sito è in una posizione favorevole con alto potenziale agricolo, cosa che ne ha permesso un’eccezionale longevità di occupazione, elemento che però non ha favorito lo studio della storia dell’insediamento. La distribuzione degli edifici ha permesso tuttavia di dividere i quartieri e comprenderne il funzionamento. Non è chiaro se questa divisione sia stata frutto dello studio di Riba oppure del lavoro degli archeologi che lo hanno preceduto, ma all’Autore resta comunque il merito di averne analizzato tutti gli aspetti e aver sistematizzato i dati archeologici. L’Autore divide il villaggio in cinque quartieri, in base a caratteristiche simili delle abitazioni e delle funzioni degli edifici. Tale divisione permette in effetti uno studio analitico di ogni zona senza perdere il quadro d’insieme. Come già visto per il Jebel Waṣṭāni, le case sono generalmente piuttosto semplici, con un cortile delimitato da un muro. Dal IV secolo le abitazioni si caratterizzano anche per la presenza di un portico. Tra gli edifici pubblici, invece, sono presenti due chiese, ma è difficile distinguere la presenza di altri edifici con funzione pubblica. Le tombe si trovano in periferia, com’è uso in tutto il Massiccio Calcareo; tuttavia, un confine netto tra la città dei vivi e quella dei morti non si può delineare. Interessante, infine, è l’analisi della posizione del villaggio, costruito su un promontorio roccioso: in genere, sul Massiccio calcareo i villaggi erano costruiti in valli aperte e la scelta effettuata dagli abitanti di Kafr ʿAqāb è piuttosto particolare.

 

          Il terzo capitolo entra nel dettaglio dell’architettura domestica, elemento fondamentale per capire le fasi di sviluppo dell’insediamento. Riba individua tre fasi di ampliamento: la prima tra I e IV secolo; la seconda nel V secolo; la terza a partire dal VI secolo. Lo studio delle abitazioni rivela importanti indizi sull’economia e la società, con segni di prosperità soprattutto a partire dal IV secolo. Dall’analisi emerge che il borgo in principio era costituito da tre nuclei sviluppatisi gradualmente e in maniera autonoma. Ad una prima fase di grande omogeneità, segue una progressiva crescita a partire dal 350 circa, quando le case aumentano e si arricchiscono di decorazioni scultoree. L’Autore attribuisce questa prosperità alla posizione del villaggio al centro dei traffici sulla strada tra Apamea e Antiochia.

 

          Il quarto capitolo è imperniato sulle caratteristiche dell’abitato rurale tra V e VI secolo. La maggior parte delle case del periodo non subisce variazioni nel corso dei secoli successivi, solo alcune vengono allargate successivamente. Lo stato di conservazione e il notevole degrado di molte strutture non consentono di accertare l’esatto numero di abitazioni, così come non è semplice intuire la distribuzione funzionale degli spazi. Il problema è in parte legato alla necessità di effettuare scavi più puntuali. Tuttavia, dall’analisi effettuata, l’Autore ha potuto appurare che se nel IV secolo ci sono trenta abitazioni circa, nel corso del V secolo il numero di case aumenta di 23 unità e alcune delle case di età precedente vengono ingrandite. Un elemento interessante è l’assenza di elementi che lascino pensare a forme di economia domestica: nessun torchio è stato trovato nelle case e allo stesso modo mancano vani per animali. Il sistema di illuminazione lascia credere che anche al piano terra ci fosse presenza umana, a differenza di ciò che avviene in numerosi villaggi della zona.

 

          I capitoli successivi si occupano di aspetti più specifici della vita del villaggio, ovvero la religione, l’economia, la sfera funeraria e infine quella militare. Il quinto capitolo infatti tratta della vita religiosa, partendo dai resti di una tomba-tempio, probabilmente utilizzata da alcuni notabili locali. Non ci sono elementi che lascino pensare alla presenza di un luogo di culto, ma l’Autore ritiene probabile che alcuni membri della comunità abbiano partecipato all’erezione del santuario di El-Hosn, sulla sommità del massiccio calcareo. Il cristianesimo, penetrato nella regione a partire dagli ultimi anni del principato di Costantino, si impone solo a partire dalla fine del IV secolo, quando a Kafr ʿAqāb compare un edificio ecclesiastico e i simboli cristiani cominciano ad essere più frequenti. Due saranno gli edifici ecclesiastici costruiti nel sito, oltre alla presenza di alcuni eremiti nelle grotte circostanti, ma potrebbero esserci altre chiese non ancora identificate.

 

          Il sesto capitolo tratta l’aspetto economico e sociale, testimoniando la capacità degli abitanti del sito di sfruttare tutte le risorse disponibili: l’acqua è raccolta tramite cisterne e serbatoi di varia capacità, ma erano sfruttati anche canali sotterranei. Le piccole cisterne, in particolare, sembrano essere ovunque: quasi ogni casa doveva possederne almeno una. La produzione del vino è testimoniata dalla presenza di sei frantoi, alcuni di sicuro uso comune, mentre per la produzione dell’olio sono stati rinvenuti tre frantoi, dei quali uno privato, uno pubblico e uno della comunità monastica. Questo numero di frantoi è piuttosto esiguo per ritenere che ci fosse un’economia di esportazione di vino e olio. Al contrario, Riba nota giustamente che il sito offriva ampie zone per la coltivazione dei cereali, che probabilmente erano il fulcro dell’economia del luogo, come testimoniato da impianti di macinazione del grano, presenti in due, e una trentina di vasche di pietra utilizzate per lo stoccaggio dei cereali stessi presenti in altrettante abitazioni. L’allevamento sembra invece aver avuto poca importanza, dato che è scarsa la presenza di abbeveratoi per pecore e bovini. Dall’analisi che ne emerge, l’Autore ritiene probabile che il sito abbia conosciuto lo sviluppo di una parte del territorio in mano ad una famiglia ricca, posta nell’area sud, mentre a nord si sarebbe sviluppato un villaggio indipendente. Tuttavia, ci sono dei nodi che non sono stati ancora sciolti, come la mancanza di una villa (sebbene sia presente una tomba monumentale) e il fatto che il villaggio sia denominato «Kafr», cosa che indicherebbe una proprietà comunale anziché individuale. Siccome non si conosce il nome del villaggio antico, nulla si può dire sull’argomento. Restano quindi i dubbi relativi alla vera organizzazione del villaggio.

 

          Nel settimo capitolo, Bertrand Riba tratta dell’architettura funeraria, che presenta anche in questo caso poca varietà all’interno del villaggio: gli ipogei costituiscono oltre la metà delle tombe presenti. La cristianizzazione non ha avuto impatto sui modelli funerari, che restano gli stessi degli anni precedenti, ma spariscono elementi collegati ai riti per i defunti, come altari e corredi funerari. Con la presenza del monastero, vi è un elemento di novità, costituito dalla tomba collettiva dei monaci. Tuttavia, i simboli cristiani, pur presenti, non sono numerosi e gli apparati decorativi restano piuttosto scarni per tutto il periodo di vita dell’abitato.

 

          L’ultimo capitolo è dedicato fase finale di vita dell’abitato, legata alla costruzione di un edificio fortificato messo in luce dagli scavi dei Francescani alla fine del ‘900. L’edificio, con un impianto rettangolare, è circondato da un recinto con più torri (se ne conservano parzialmente quattro). Il recinto non pare però essere adatto a resistere ad un eventuale assalto, così come il muro perimetrale dell’edificio. Per questo motivo, l’Autore ritiene ragionevolmente che l’edificio fungesse da posto di guardia, frequentato da numerosi visitatori, come testimoniato dai graffiti trovati sui muri, forse attirati dalla presenza di un luogo di culto. La distribuzione interna degli spazi non è chiara, dato che in età più recente i contadini hanno sfruttato il terreno devastandone i resti. La costruzione pare comunque avere tre fasi: la prima del VI secolo, legata alle invasioni arabe; la seconda è della fine del X secolo, collegata alla riconquista bizantina; l’ultima fase risale al periodo crociato, tra 1098 e 1148. Con l’occupazione del XII secolo si insedia una comunità musulmana, il forte perde la sua precedente funzione e viene occupato da agricoltori e allevatori. In generale, della fase di vita tra VI e X secolo si sa molto poco: l’edificio militare testimonia un’attività bellica, ma il tenore di vita pare adesso mediocre, così come sarà nel periodo islamico, quando l’economia sarà essenzialmente di sussistenza.

 

          Nelle conclusioni, l’Autore ricostruisce la storia del sito sulla base dell’enorme mole di dati da lui raccolta. Bertrand Riba compie un’importante ricerca, che sarà sicuramente utile per gli studi successivi dell’area. L’aver analizzato così in dettaglio la storia del villaggio di Kafr ʿAqāb ha permesso di fare luce su numerosi aspetti che tendono a essere dimenticati nelle analisi generali dell’area. Il libro è ben corredato da numerose immagini e rilievi che ne facilitano la comprensione. Nonostante la mancanza di dati che potrebbero essere forniti da sistematiche ricerche archeologiche, il lavoro di Riba diventerà fondamentale per chi in futuro vorrà analizzare lo sviluppo del Jebel Waṣṭāni e di tutta l’area del Massiccio Calcareo.