Zucca, Raimondo (a cura di): Il tempio del Sardus Pater ad Antas (Fluminimaggiore, Sud Sardegna) (coll. Accademia Nazionale Dei Lincei - Monumenti Antichi, 79). VIII + 335 p., 402 ill. B/N, 24 x 34 cm, ISBN 978-88-7689-318-6, 110 €
(Giorgio Bretschneider, Roma 2019)
 
Compte rendu par Stefano Tortorella, Sapienza Università di Roma
 
Nombre de mots : 2314 mots
Publié en ligne le 2021-12-24
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Pubblicato nell'autorevole serie dei Monumenti Antichi dell'Accademia Nazionale dei Lincei,  il libro costituisce una riedizione di un grande santuario della Sardegna meridionale, quello di Antas e delle sue testimonianze archeologiche; situato presso il centro moderno di Fluminimaggiore, il santuario è, come opportunamente richiama M. Torelli (p. VII), "sede di un elevatissimo grado di interferenza culturale e religiosa": era dedicato al Sardus Pater, interpretatio romana del dio indigeno Babai e del dio nazionale fenicio Sid.

 

         Raimondo Zucca (La Storia delle esplorazioni e degli scavi) ripercorre la storia delle ricerche sulle fonti e sulle indagini archeologiche. Il Sardopátoros ierón citato da Tolomeo (Ptol. 3, 3, 2) è stato variamente localizzato finché nel 1966 si recuperò una tabella bronzea recante una dedica Sardo Patri che assicurava l'identificazione del tempio di Antas con il monumento tolemaico. Particolare attenzione viene prestata alla scoperta del tempio da parte di Alberto La Marmora, cui si deve una prima descrizione, corredata dai rilievi dell'architetto Gaetano Cima, nel Voyage en Sardaigne del 1840, cui segue l'Itinéraire de l'île de Sardaigne del 1861, in cui figura una rettifica dell'attribuzione dell'iscrizione del tempio a Marco Aurelio, ora ritenuto spettante a Caracalla.

 

         Il contributo di Paolo Bernardini (La necropoli nuragica) dà conto della necropoli di tombe a pozzetto rinvenuta a sud-est del tempio di Antas e indagata in più occasioni tre il 1967-68 e il 2004-05. La tipologia dei pozzetti, le modalità di deposizione degli inumati e l'associazione con oggetti di corredo mostra somiglianze tra questa necropoli e quella di Monte Prama nella penisola del Sinis (Cabras, Oristano). In entrambi i casi la cronologia del corredo rinvia al IX e agli inizi dell'VIII secolo a.C. Particolarmente significativo ad Antas il rinvenimento di bronzetti figurati, anche se il riferimento alle attività di guerra e/o di caccia non è interpretato da P. Bernardini come processi di eroizzazione in atto e nel bronzo di guerriero-cacciatore nudo con lancia (fig. 14 d-e) riconosce piuttosto un dio-eroe cacciatore.

 

         Raimondo Zucca (Il Tempio di Sid Addir B'By) si occupa del tempio punico di Antas, cui si sovrappone parzialmente il successivo tempio romano su podio e  propone una rilettura della stratigrafia riconosciuta nel corso dello scavo che Ferruccio Barreca ha condotto negli anni '60 del XX secolo. Alla fase punica era stato attribuito un altare quadrato di m 4,75 per lato, ma è probabile che, come nota Zucca (p. 42), vada riconosciuto come un altare della prima Età del Ferro, come gli analoghi apprestamenti del c.d. tempio ipetrale del santuario di Santa Vittoria di Serri. In quanto al tempio punico poco si può dire, salvo rilevare l'esistenza di una struttura rettangolare in blocchi di arenaria  nell'area della scalinata del tempio romano, cui doveva appartenere il decoro punico-ellenistico. La fase punica è meglio attestata dalle offerte votive (terrecotte, bronzetti, oggetti d'osso, d'oro, d'argento e bronzo) sistematicamente distrutte, secondo Zucca, nel corso della rivolta dei mercenari già al soldo di Cartagine degli anni 240-237 a.C. Anche il tempio punico-ellenistico sarebbe stato oggetto della devastazione nelle medesime circostanze.

 

         Giovanni Garbini (Le iscrizioni fenicie) pubblica, con alcune nuove interpretazioni, le trenta iscrizioni fenicie rinvenute nell'area del santuario distribuite tra il V e il I secolo a.C. La maggior parte (26 epigrafi) si data nel IV e nel III secolo; due iscrizioni (la n. 17 e la n. 20) si riferiscono al II secolo, un graffito vascolare (n. 19) al I secolo a.C. L'unica iscrizione (la n. 4) risalente al V secolo a.C., su lamina bronzea, è ritenuta da Garbini (p. 71) un testo ufficiale relativo alla costruzione del tempio di Antas. Sulla base di alcune iscrizioni, e in particolare della n. 25 dedicata a Melqart (pp. 80-81), Garbini ritiene che il santuario sia rinnovato intorno al 300 a.C. e dedicato al dio "Melquart sulla Roccia", senza escludere la persistenza del culto di Sid, il dio eponimo di Sidone. La sistematica distruzione dei donari punici, più che ai mercenari ribelli del III secolo a.C. (vedi sopra), viene attribuita nel I secolo a.C. (al tempo di Augusto o poco prima) ai sardi indigeni ormai romanizzati.

 

         Tra i più significativi, il contributo di Giuseppina Manca di Mores (Le terrecotte architettoniche e la fase repubblicana) ha il merito di offrire una revisione globale dei dati di scavo e una ricostruzione del sistema architettonico fittile del tempio di Antas. La gran parte delle terrecotte va riferita ad un'unica fase costruttiva riconducibile alla metà del II secolo a.C. La decorazione fittile a matrice comprende due tipi di una sima laterale con gocciolatoio a protome leonina (figg. 3-8), che trovano confronto nelle produzioni laziali di II secolo a.C., tre tipi di elementi di coronamento (figg. 12-17) - muniti alla base di una placca quadrangolare che sembra funzionale all'inserimento su altro elemento di rivestimento - con figure femminili e maschili alate nascenti da un cespo di acanto, che sembrano pseudo-antefisse e rimandano a testimonianze di Lazio e Abruzzo e infine un tipo di lastra di coronamento con la raffigurazione di una coppia di grifi retrogradi trattenuti per le code da un'arpia centrale (figg. 21-23), confrontabile ancora una volta con redazioni centro-italiche; una ricostruzione virtuale della sintassi decorativa è proposta alla fig. 59. Particolarmente complessa la ricostruzione di un altorilievo cui appartengono tre o forse più lastre che includono quattro figure: un personaggio maschile stante caratterizzato da un copricapo a forma di tiara piuma riconosciuto come Sid antenato fondatore divino della Sardegna fenicia (figg. 24-27); un frammento con leonté che rinvia all'iconografia di Eracle (fig. 29); una dea alata seduta in trono identificata con Astarte (fig. 30-33); una figura maschile seduta (figg. 34-37). A questi si aggiungono due frammenti di incerta collocazione. All'altorilievo appartengono anche due teorie di hydrophorai incedenti in senso opposto e convergenti. In attesa di un fondamentale intervento di pulizia e di restauro delle terrecotte, la Manca di Mores avanza diverse ipotesi di lavoro circa la funzionalità delle figure dell'altorilievo (pp. 124-125), la cui parte centrale è ricostruita come un consesso divino in grado di comprendere la tradizione punica e orientale con la coppia di eroi Sid e Herakles/Melqart compresa entro Astarte a sinistra e Eshmun divinità guaritrice a destra (fig. 61). Un restauro del tempio di Antas al tempo di Ottaviano è testimoniata da gocciolatoi (figg. 9-11) ed elementi di coronamento (figg. 18-20) prodotti dall'attività di officine locali; è in questo periodo che appare per la prima volta il Sardus Pater nella monetazione di Azio Balbo nonno materno di Ottaviano.

 

         A Mario Torelli  (Un frammento delle statue di culto) si deve la riedizione di una testa femminile marmorea, attribuita a correnti neoclassiche attive in ambiente rodio-alessandrino e datata tra il secondo e il terzo quarto del II secolo a.C. La testa appartenente ad una statua pari a due terzi del vero non si riferisce, come proposto in passato, ad un ex-voto, ma ad un agalma, una statua acrolitica di culto del santuario di Antas. A buon diritto Torelli  ritiene che l'ordine con cui le statue di culto si disponevano sul basamento in fondo alla cella del tempio corrispondesse a quello con cui le divinità ricorrevano sull'altorilievo, come ricostruito da Manca di Mores (vedi sopra) e che la testa appartenesse alla fenicia Ishtar-Astarte.

 

         I contributi di Giorgio Rocco (Il Tempio romano) e di Monica Livadiotti (Le vasche nella cella: una nuova ipotesi interpretativa) si indirizzano ad una revisione delle fasi costruttive del tempio romano e del suo sviluppo architettonico, nonostante la grave carenza rappresentata dall'assenza di un rilievo del monumento e un restauro inadeguato realizzato nel 1976. Si tratta di un tempio prostilo tetrastilo ionico posto su un basso podio accessibile tramite una gradinata frontale organizzata in una serie di terrazze digradanti che accoglievano anche l'altare. Il pronao munito di due intercolumni laterali introduceva ad una cella scandita da pilastri addossati alle pareti laterali. L'elevato del pronao presentava colonne dal fusto cilindrico e privo di scanalature, posto su basi attiche con plinto. La revisione critica ha permesso di respingere l'opinione che riconosceva alcune peculiarità architettoniche come frutto della persistenza di soluzioni architettoniche tipiche della tradizione costruttiva punica. La prima fase dell'edificio templare è ricondotta al II secolo a.C. e le si riconoscono pertinenti, oltre alla decorazione fittile, l'assetto interno della cella con i pilastri addossati ai muri laterali e l'alto podio sul fondo destinato ad accogliere le statue di culto (vedi l'assonometria alla fig. 16). Nell'età di Caracalla il monumento subì un intervento di ammodernamento con la ricostruzione del pronao e del portale, il rifacimento della pavimentazione della cella (a mosaico in bianco e nero) - peraltro inalterata nell'impianto generale - e forse l'apertura delle porte laterali di accesso alla cella stessa. In un'epoca imprecisata, quando ormai il tempio era ormai dismesso e almeno in parte smantellato, sul fondo di quella che era stata la cella del tempio sono sistemati due bacini per il funzionamento di due torcularia con due arae di spremitura. M. Livadiotti ha potuto riconoscere che  le vaschette rivestite di cocciopesto, poste in corrispondenza degli accessi ai vani posti sul fondo della cella, non fossero  bacini lustrali come aveva pensato lo scavatore F. Barreca, ma fossero pertinenti alla struttura del frantoio che aveva riutilizzato un elemento murario della cella come contrappeso.

 

         Attilio Mastino (L'iscrizione latina del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas e la problematica  istituzionale) riprende l'analisi dei dieci frammenti in calcare (figg. 10-12, 22-25) del fregio romano del tempio con la dedica all'imperatore Caracalla, eseguita tra il 212 e il 217 d.C. in occasione dei restauri del tempio di Antas. Mastino osserva che il culto imperiale era associato al culto salutifero della divinità indigena, il Sardus Pater Babi (o Babai). Il restauro  del tempio vetustate conlapsum  fu curato da Q(uintus) Co[ce]ius Proculus, che, se giusta l'integrazione, svolgerebbe la funzione di p(raefectus) p(rovinciae) S(ardiniae). Ampio spazio trovano nel contributo di Mastino le vicende storiche, archeologiche e mitiche dei culti di Antas.

 

         L'articolo di Simonetta Angiolillo (Gli ex voto in bronzo) presenta gli ex voto in bronzo, in gran parte rinvenuti decontestualizzati negli anni 1966-1968. I più interessanti sono quelli figurati (figg. 1-7): una anasyrmene (nell'atto di disvelamento del sesso) di età ellenistica con evidenti implicazioni sessuali e con allusione alla fecondità; alcune divinità come Ercole, Bacco (due bronzetti), Bacco, ancora Bacco o Satiro, Giove Dolicheno e Mercurio; una applique raffigurante una maschera e ancora braccia, mani, gambe, piedi, animali e varia. La gran parte dei votivi è attribuita all'età romana e sembra essere stata distrutta intenzionalmente.

 

         Mattia Sanna Montanelli (Praedi metalla del Sardus Pater. Res Caesaris e culto imperiale nel territori del Sulcis Iglesiente) indaga l'origine e lo sviluppo delle proprietà romane imperiali del Sulcis Iglesiente, modalità e tempi dell'incameramento dei territoria metallorum nell'ambito delle disponibilità imperiali. Si occupa dell'organizzazione delle miniere sarde e della loro gestione da parte di procuratores e del rapporto tra culto imperiale e culto del Sardus Pater nella Res Caesaris dei Severi.

 

         Un secondo contributo di Mario Torelli (La statua del Sardus Pater a Delfi) rivolge la propria attenzione al donario raffigurante il Sardus Pater menzionato da Pausania (X, 17) che doveva trovarsi nella parte sud-orientale della terrazza di Apollo a Delfi, non lontano dall'angolo sud-est dell'edificio templare. Respingendo l'ipotesi, già avanzata in passato, di una datazione dell'agalma delfico alla fine del V secolo a.C., Mario Torelli ne suggerisce piuttosto l'erezione posteriormente alla conquista romana della Sardegna e ne riconosce la committenza nelle élites delle città già puniche della Sardegna ed ora attive nell'ambito della provincia romana, in cerca di una tradizione desunta dall'erudizione greca ai fini di una legittimazione  che consentisse l'accettazione del proprio popolo e della propria cultura da parte del mondo ellenizzato dell'epoca tardo-repubblicana. Torelli ipotizza per il donario delfico una cronologia nel corso del II secolo a.C. in consonanza con la costruzione del tempio di Antas negli anni centrali del II secolo a.C.

 

         L'ultimo contributo di Raimondo Zucca (Conclusioni. Per una storia del santuario e del suo territorio), oltre a riassumere i temi tratti negli altri articoli, delinea la storia delle miniere e delle attività metallurgiche nel distretto di Antas dal Bronzo finale all'età romana. Discute della localizzazione del centro di Metalla, che propone di ubicare nella località di Grugua (Buggerru), centro dell'attività estrattiva dell'Iglesiente, esaminandone le testimonianze archeologiche, compresi gli epitaffi della necropoli del sito. Prende in considerazione la documentazione di altri siti minerari concludendo con un'analisi dei centri metalliferi e dell'organizzazione dell'intera area mineraria.

 

         In conclusione, si tratta di un'opera importante che costituisce una fondamentale riedizione delle testimonianze archeologiche del santuario di Antas nel cuore del distretto minerario dell'Iglesiente e include dodici contributi - tutti corredati da un'adeguata bibliografia  - dei maggiori specialisti di archeologia, storia, epigrafia e architettura del mondo fenicio-punico e romano. Facendo giustizia di erronee e superate ipotesi, il volume rappresenta anche un punto di partenza per nuove ricerche ad Antas e neI Sulcis. ll volume si fa apprezzare per l'ottima documentazione cartografica e topografica e l' eccellente qualità le foto in bianco e nero. Molto utile l'indice per materie.

 

Indice del volume

 

Introduzione (Mario Torelli) p.   VII                                                                                                            

La storia delle esplorazioni e degli scavi (Raimondo Zucca)  p. 1

La necropoli nuragica (Paolo Bernardini) p. 7

Il tempio di Sid Addir B'By (Raimondo Zucca) p. 35

Le iscrizioni fenicie (Giovanni Garbini)   p. 67

Le terrecotte architettoniche e la fase repubblicana (Giuseppina Manca di Mores) p. 89

Un frammento delle statue di culto (Mario Torelli) p. 151

Il tempio romano (Giorgio Rocco)   p. 163

Le vasche nella cella: una nuova ipotesi interpretativa (Monica Livadiotti) p. 185

L'iscrizione del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas e la problematica istituzionale

(Attilio Mastino)  p. 199

Gli ex voto in bronzo (Simonetta Angiolillo)  p. 241

Praedia e metalla del Sardus Pater. Res Caesaris e culto imperiale nel territori del Sulcis Iglesiente

(Mattia Sanna Montanelli) p. 267

La statua del Sardus Pater a Delfi (Mario Torelli)  p. 281

 

Conclusioni. Per una storia del santuario e del suo territorio (Raimondo Zucca) p. 289

 

Indice per materie (a cura di Daniele Federico Maras) p. 325