Bourgois, Alice – Pomadère, Maia (dir.) : La forme de la maison dans l’Antiquité. Actes des journées d’étude d’Amiens. 19-20 novembre 2015 (Archéologie Histoire Romaine 43). 232 p. coul, ISBN : 978-2-35518-101-6, 50 €
(Mergoil, Dremil-Lafage / Presses universitaires de Rennes, Rennes 2020)
 
Compte rendu par Paolo Bonini, Accademia di Belle Arti “Santa Giulia” di Brescia
 
Nombre de mots : 2776 mots
Publié en ligne le 2020-10-24
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=3917
Lien pour commander ce livre
 
 

 

          L’interesse per la cultura abitativa antica costituisce un’acquisizione relativamente recente nell’ambito dell’archeologia classica; tuttavia, lungi dall’essere un fuoco di paglia, tale interesse rimane vivo e vario, poiché si arricchisce di spunti sempre nuovi e prospettive di ricerca inedite.

 

         Lo testimonia, una volta di più, la pubblicazione di questo volume che esce per i tipi delle Éditions Mergoil, a cura di Alice Bourgois e Maia Pomadère. In una veste editoriale semplice ma elegante, oltre che ricchissima d’immagini (planimetrie e fotografie, in gran parte a colori), vi si raccolgono gli atti della Giornata di Studi tenutasi ad Amiens il 19-20 novembre 2015. Come avverte proprio la curatrice Maia Pomadère nell’introduzione (p. 10), tale incontro sulla casa nell’antichità era complementare a quello in seguito organizzato su medioevo e rinascimento, dal titolo “Formes de la maison II: le Moyen-Âge et la Renaissance” (26-27 maggio 2016), ed insieme costituivano la naturale prosecuzione del precedente convegno “La forme de la ville, de l’antiquité à la Renaissance” celebrato nel 2011 e poi edito nel 2015.

 

         L’équipe di ricerca TrAme (Textes, représentations, archéologie, autorité et mémoires del’Antiquité à la Renaissance) dell’Università della Piccardia “Jules Verne” è dunque impegnata da alcuni anni in un lavoro analitico sull’urbanesimo antico, medievale e rinascimentale da cui scaturisce, quasi per naturale derivazione, uno sguardo a scala diversa, che focalizza i modi dell’abitare.

 

         Lungi dal voler assumere un approccio esaustivo, probabilmente ancora prematuro per un ambito così ampio, il convegno presenta casi studio e territori “campione” del Mediterraneo greco e romano con l’obiettivo dichiarato di riunire allo stesso tavolo di lavoro studiosi impegnati in aree geografiche differenti, così da favorire il confronto metodologico e di risultati, richiamando in particolare l’attenzione sulle tecniche edilizie, l’assetto planimetrico e l’apparato decorativo delle case (p. 11). Il successo di questa impostazione traspare dalla ricchezza dei contributi, ordinati in quattro differenti sezioni, che intendono restituire l’immagine dell’abitare nel mondo antico secondo quello che potremmo definire uno “sguardo plurale”: la prima sezione considera infatti la casa essenzialmente come elemento costruito, da analizzare secondo un approccio tecnico; la seconda considera invece la casa come spazio vissuto e perciò ne interroga la realtà materiale in chiave sociologica; anche la terza condivide questa medesima prospettiva, ma anziché far leva sull’archeologia prova invece a restituire voce agli antichi attraverso le parole che essi utilizzavano per riferirsi alla sfera domestica; la quarta infine fa tesoro degli approcci precedenti per sperimentarli sulla documentazione offerta dalla Gallia settentrionale.

 

         È impossibile, naturalmente, rendere conto dettagliatamente in questa sede di ogni singolo contributo; ciascuno, tuttavia, possiede un proprio peculiare valore per l’argomento inedito o per le novità della riflessione, perciò sembra opportuno proporre almeno una rapida rassegna.

 

         La prima sezione sembrerebbe, a prima vista, quella più tradizionale, poiché concerne le modalità di costruzione e decorazione della casa ed assume, di conseguenza, una prospettiva “positivista”: l’interesse precipuo sta nella novità dei dati sottoposti al lettore, desunti anche attraverso metodologie sperimentali. Nel primo saggio Sylvie Rougier-Blanc (pp. 19-37) discute l’impiego del legno nell’architettura domestica greca fra l’età geometrica e quella arcaica, unendo proficuamente un’acuta esegesi delle fonti letterarie a un’analisi accurata dei resti archeologici noti. Planimetrie dettagliate, ricostruzioni assonometriche e tabelle metrologiche accompagnano il discorso che approda a un’acquisizione apprezzabile: rivela infatti quanto sia fuorviante l’idea, piuttosto diffusa in realtà, che a partire dall’epoca arcaica l’edilizia privata greca rifiuti in maniera decisa il legno in favore del mattone e della pietra. A lungo trascurato dagli studiosi, il legno mantiene invece nel tempo un ruolo di primo piano. Anche il successivo lavoro di Pascal Vipard (pp. 39-53) manifesta uno sguardo squisitamente tecnico, poiché esamina i materiali impiegati nella costruzione della cosiddetta “domus del Grande Peristilio” a Vieux (dipartimento del Calvados), accuratamente scavata e datata all’età severiana. La determinazione geologica dei materiali posti in opera (terra cruda, laterizio, pietra, malta e metallo) ed il relativo esame quantitativo, che altrove è stato tentato solo molto raramente, permette di gettare maggiore luce sull’organizzazione e sull’economia del cantiere, anche in rapporto alla gestione delle risorse ambientali. Supportato da numerose tabelle che calcolano pesi e volumi manifestando il processo della ricerca, è questo un contributo di particolare valore per la novità delle prospettive che schiude. Domenico Esposito (pp. 55-72) rilegge la ricchissima documentazione vesuviana a partire dall’ipotesi che i decoratori romani fossero organizzati in squadre di lavoro fisse, che realizzavano non solo gli affreschi ma anche gli stucchi ed i mosaici. Da alcuni esempi significativi di Pompei ed Ercolano emerge uno spaccato efficace in merito all’interazione in cantiere fra costruttori e decoratori, alle attività delle botteghe di pittura impegnate nei restauri post terremoto e, infine, in merito al rapporto sulla qualità degli affreschi e degli altri elementi d’arredo all’interno della medesima abitazione. Il contributo di Claudine Allag (pp. 73-83) delinea invece una sintesi delle tendenze diffuse nella decorazione affrescata delle case romane nella Gallia Belgica: esaminando dapprima le tecniche esecutive per poi soffermarsi sugli schemi più comuni, i colori ed i pigmenti impiegati, l’autrice si interroga sull’effettiva possibilità di riconoscere un vero e proprio stile regionale, pur nell’adesione a consuetudini importate dall’Urbe. La sua risposta, senz’altro ragionevole allo stato attuale della ricerca, non può che essere sfumata, in attesa che la documentazione archeologica si faccia più consistente.

 

         La seconda sezione raccoglie contributi che si richiamano alla medesima impostazione di taglio sociologico, la cui matrice anglosassone è giustamente nell’introduzione (p. 11). Non si può certo negare che l’interpretazione più matura e rigorosa di questo approccio sia stata affinata da studiosi anglo-americani, tanto che la si definisce correntemente come “household archaeology”; ai lettori di formazione italiana, tuttavia, è ben chiaro quanto questo specifico filone di indagine debba anche a Filippo Coarelli, i cui lavori pionieristici di fine anni ’80 meritavano forse di essere almeno menzionati. L’onore di aprire questa sezione spetta a Lisa Nevett, nota specialista della casa greca. Il suo contributo (pp. 87-94) torna ad un sito che le è caro, la città di Olinto, per proporre una critica delle fonti correntemente utilizzate al fine di studiarne le abitazioni. La studiosa ribadisce come una lettura che si basi in prevalenza, se non in via esclusiva, sull’architettura produca un’immagine falsata perché incompleta: solo i reperti di scavo possono evidenziare la flessibilità e la mutevolezza delle funzioni cui lo spazio domestico assolve. In questa direzione si è dunque espressamente rivolto l’Olynthos Project, che cerca una base più ampia di evidenze: tecniche raffinate, quali il microscavo stratigrafico e le setacciature per flottazione, consentono un recupero sempre più accurato di manufatti ed ecofatti utili alla ricostruzione delle attività domestiche. Un rapido cambio di scenario conduce il lettore dalla penisola Calcidica all’Iberia settentrionale: Maria Carme Belarte (pp. 95-110) mostra in maniera magistrale e con dovizia di dettagli come la gerarchizzazione degli abitati iberici fra VI e II secolo a.C. rifletta una crescente differenziazione in classi sociali del corpo civico, fino alla formazione di vere e proprie élites. Queste ultime, infatti, tendono a costruire vaste residenze che, pur senza aderire a un modello canonico, condividono una planimetria complessa e sono presentano tecniche edilizie importate, come il mattone crudo. Sono dunque dimore marcatamente diverse dalle case, più modeste e diffuse, appannaggio dei ceti subalterni, le quali adottano schemi planimetrici e modalità costruttive ancora legate alla tradizione del bronzo finale. Hélène Wurmser (pp. 111-121) riconduce nuovamente la discussione al mondo greco, ma di età imperiale. A partire dal testo vitruviano e dalla vexata quaestio legata alla differenza fra casa greca e casa romana (“opaca” rispetto all’esterno la prima, “trasparente” invece la seconda), l’autrice delinea il progressivo aprirsi della casa greca che si adegua evidentemente a nuovi stili di vita, diffusi nel Mediterraneo romano. È questa una dinamica di feconda interazione fra le due culture che, a onor del vero, è già stata in precedenza evidenziata da altri autori (purtroppo non sempre adeguatamente citati), proprio attraverso l’esame dell’impostazione progettuale delle dimore (in particolare nel rapporto fra ingressi e corti scoperte), oppure attraverso l’emulazione di spazi architettonici dal valore “romanizzante”. Di taglio pluridisciplinare è il contributo a più mani che chiude la sezione e rappresenta una strada ineludibile per il futuro dell’archeologia classica, poiché integra competenze di varia natura, anche squisitamente scientifica, al fine di ricostruire e comprendere l’antico in maniera il più possibile globale. Alice Bourgois, Gérard Fercoq-du-Leslay, Marie-Laurence Haack e Sébastien Lepetz (pp. 123-138) si occupano di archeologia dell’alimentazione e attraverso lo studio degli scarti ossei animali recuperati nel sito di Ribemont-sur-Ancre (dipartimento della Somme) ricostruiscono un aspetto della dieta antica, legato in particolare al consumo di carne, nella Gallia romana nordoccidentale. La ricerca ha tutte le caratteristiche per diventare un vero e proprio progetto pilota e assume un taglio prevalentemente archeozoologico, ma offre contributi significativi anche sul piano propriamente archeologico, poiché gli autori sono in grado di riconoscere la destinazione funzionale di alcuni edifici e settori urbani proprio in base alla tipologia dei resti ossei rinvenuti: è così che si sono distinte abitazioni, macellerie e impianti artigianali; è così che si è, inoltre, confermata la presenza di un quartiere residenziale ubicato al di sotto di un successivo impianto termale.

 

         La terza sezione tenta di leggere le funzioni dello spazio domestico attraverso le fonti scritte. Tradizionale in archeologia classica, questo approccio è talvolta criticato poiché meno oggettivo rispetto all’analisi del dato materiale, ma è pur sempre irrinunciabile se si vuole penetrare, almeno in parte, la mentalità degli antichi e perciò restituire allo spazio domestico non solo la pluralità di funzioni che vi si svolgevano, ma anche le sfumature del vissuto che sono intrinseche ad ogni esperienza umana. Per usare i concetti dell’antropologia, si tratta di non rinunciare a quella prospettiva “emica” che consente all’osservatore, estraneo al sistema che descrive proprio come noi moderni siamo estranei al mondo antico, di coglierne davvero dall’interno i meccanismi di funzionamento, anziché proiettarvi le proprie aspettative e giudicarlo secondo le proprie categorie. Sylvie Perceau (pp. 141-149) seleziona, da Omero e da Euripide, brani che stimolano la proiezione mentale delle dimore, siano esse narrate o solo alluse. I versi dei poeti codificano una norma sociale che, semplificando, lega la figura maschile allo spazio esterno (perciò “politico”) e quella femminile allo spazio interno (perciò “familiare”); ma gli stessi poeti concedono largo spazio a figure femminili, come Elena e Antigone, che invece contestano questa ripartizione. Proprio la trasgressione alla norma incarnata dalle due eroine evidenzia come, in fondo, non fosse estranea alla mentalità greca la consapevolezza di quanto arbitrarie fossero certe consuetudini sociali: il criterio del genere dunque, sottolinea giustamente l’autrice, non è affatto una specificità esclusiva della critica contemporanea. Alla casa romana rappresentata nella commedia si rivolge invece Monique Crampon (pp. 151-158). Dopo aver registrato domus e aedes come termini più ricorrenti e averne discusso le differenze d’uso, l’autrice tenta una “visita guidata” della casa romana come appare nella Mostellaria plautina: l’operazione è stimolante quanto ardua, perché la commedia deriva da fonti greche, è ambientata ad Atene, ma è pur sempre rivolta ad un pubblico romano, perciò la rappresentazione della casa che ne deriva è un ibrido curioso, che forse dà espressione alle aspettative e all’immaginario del pubblico più che alla realtà materiale. Virginie Mathé e Liliane Lopez-Rabatel (pp. 159-167) analizzano invece la nomenclatura relativa alla casa proposta da Polluce di Naucrati nel suo Onomasticon. La documentazione è ampia, perché numerosi sono i termini impiegati per indicare sia la casa nella sua interezza sia le sue diverse parti: la dettagliata disamina rivela come anche Polluce non voglia affatto riferirsi alla realtà quotidiana che vive, alla fine del II secolo d.C., bensì compia un’operazione squisitamente letteraria, suggestionato soprattutto da Omero e Senofonte.

 

         L’ultima sezione presenta alcuni casi di studio desunti dalla Gallia settentrionale, il territorio dell’università promotrice del convegno. In quest’area una ricca tradizione di studio si è occupata dei cosiddetti “grandi santuari”, che a lungo sono apparsi come luoghi di culto isolati: ad essi si rivolge Cécile Hartz (pp. 171-186) per mettere in discussione quest’idea, poiché i dati raccolti attraverso prospezioni archeologiche individuano intorno ai santuari ampie aree d’abitato. In base soprattutto all’esempio di Vieil-Évreux (dipartimento dell’Eure), l’autrice descrive la varietà di forme e di funzioni di questi agglomerati, che hanno un aspetto tipicamente urbano e non si possono più considerare, dunque, ricoveri temporanei per i fedeli. Apporta nuovi dati anche il contributo di Eric Binet (pp. 187-196), il quale tratteggia una prima sintesi del paesaggio urbano di Amiens (dipartimento della Somme), attraverso i dati raccolti negli ultimi quarant’anni d’archeologia preventiva. Fra i molti elementi, urbanistici ed architettonici, utili ad una più precisa conoscenza della romana Samarobriva, va senz’altro segnalato come le case di prestigio manifestino un gusto fortemente romanizzante nell’aspetto e nella planimetria, ma continuino ad essere edificate secondo tecniche e con materiali tipicamente locali: è questo un nuovo, stimolante, esempio d’interazione culturale. Nello stesso orizzonte si pone il contributo di Vincent Merkenbreack (pp. 197-209): lo scavo di una domus in uso fra la seconda metà del I secolo a.C. e gli inizi del III secolo d.C. rappresenta l’occasione per fare il punto sull’abitato di Bavay (dipartimento del Nord), l’antica Bagacum Nerviorum. In chiusura di sezione, Raphaël Clotuche (pp. 211-220) introduce nella discussione la problematica degli insediamenti minori. L’antica Fanum Martis, oggi Famars (dipartimento del Nord), è forse rappresentativa di molti piccoli centri che, non solo in territorio gallico, fiorirono nel III secolo d.C. e non raggiunsero mai uno stato propriamente urbano. L’autore evidenzia come in questo abitato una grande varietà funzionale degli edifici si accompagni sempre ad una varietà morfologica altrettanto evidente: la mancata adesione a modelli canonici e un assetto urbanistico fortemente condizionato dalla topografia del sito lasciano intendere uno stile di vita modesto, di minore impatto ambientale, tanto più interessante perché generalmente poco noto.

 

         Ad Olivier de Cazanove sono affidate le conclusioni (pp. 221-227), un compito reso stimolante ma al contempo difficile dalla disparità degli interventi. Traendo perciò spunto dal titolo del convegno (la “forma” della casa), lo studioso offre una riflessione centrata sull’utilità e il senso del costruire tipologie nell’ambito dell’edilizia privata. Il rischio per noi moderni, infatti, consiste essenzialmente nel mantenere una visione bidimensionale delle strutture, ridotte spesso alla loro planimetria, riconducendo quindi a modelli preconcetti ciò che, nella realtà dei fatti, era senz’altro soggetto a una grande variabilità. Senza negare comunque che fare tipologia sia utile anche in questo campo, la raccomandazione è non perdere mai di vista la complessità.

 

         Varrà dunque la pena, in conclusione, assumere proprio il tratto della complessità come elemento qualificante di questo volume, che lo rede senz’altro fondamentale e ricco di suggestioni per quanto vogliano gettare uno sguardo ampio ed aggiornato agli studi in corso sulle forme dell’abitare antico.

 

 

Tables des matières

 

Auteurs, p. 7

Introduction, Maia Pomadère, p. 9

 

 

Construire et décorer la maison

 

Les usages du bois dans l’Architecture domestique grecque de l’époque archaïque. Premiers Jalons, Sylvie Rougier-Blanc, p. 19

Les matérieux de construction de la maison au grand péristyle (Vieux, Calvados) : essai d’archéologie quantitative et apport à l’économie des chantiers de construction à l’époque romaine, Pascal Vipard, p. 39

Construction et décorations des bâtiments publics et privés dans la région du Vésuve, Domenico Esposito, p. 55

Un aspect de l’espace domestique : le décor mural eu Gaule Belgique, Claudine Allag, en collaboration avec Sabine Groetembril, p. 73

 

 

L’espace domestique et ses usages – Les indices matériels

 

Disentangling  our data surces for domestic activity: a case study from classical Olynthos, Greece, Lisa Nevett, p. 87

Organisation de l’espace domestique et société en Ibérie du Nord (Vie-IIe s. av. J.-C.), Maria Carme Belarte, p. 95

De l’opacité à la transparence? Caractéristiques et évolution des systèmes de circulation de la maison grecque à l’époque impériale, Hélène Wurmser, p. 111

Caractériser l’alimentation carnée dans les villes du Nord-Ouest de la Gaule romaine à partir des déchets osseux : l’exemple de Ribemont sur Ancre, Alice Bourgois, Gérard Fercoq-du-Leslay, Marie-Laurence Haack, Sébastien Lepetz, p. 123

 

 

L’espace domestique et ses usages – Les sources littéraires

 

L’oikos entre norme et transgressions : quelques exemples de dramatisation de l’espace domestique dans la poésie grecque, Sylvie Perceau, p. 141

La maison au prisme de la comédie romaine, Monique Crampon, p. 151

Les mots grecques de l’habitat dans l’Onomasticon de Pollux de Naucratis, Virginie Mathé et Liliane Lopez-Rabatel, p. 159

 

 

Études de cas : la forme de la maison dans le Nord de la Gaule à l’époque romaine

 

L’habitat au Vieil-Évreux et dans les « grands sanctuaires » du Nord de la Gaule, Cécile Hartz, p. 171

Aperçu de l’habitat privé à Samarobriva au haut-empire, Eric Binet, p. 187

La fouille de la parcelle AH 81 : contributions à la connaissance de la maison romaine à Bagacum (Bavay), Vincent Merkenbreack, p. 197

Premier regard sur les maisons du quartier de la Rhonelle à Fanum Martis, Raphaël Clotuche, p. 211

Conclusions, Olivier de Cazanove, p. 221

Index, p. 231