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Compte rendu par Andrea Di Rosa Nombre de mots : 4962 mots Publié en ligne le 2023-05-22 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=4148 Lien pour commander ce livre La pubblicazione degli Atti del III Convegno Internazionale sul laterizio costituisce il terzo volume della collana Costruire nel mondo antico, che raccoglie documenti sugli aspetti tecnici edilizi e architettonici in area mediterranea, per comprendere la storia delle comunità antiche attraverso dinamiche economiche, tecnologiche e culturali. Il volume si pone in continuità con gli Atti dei due precedenti convegni sull’uso del laterizio nei cantieri imperiali, dedicati rispettivamente: il primo, a “Roma e il Mediterraneo” (Roma, novembre 2014) pubblicato nel 2015 e il secondo, “Alle origini del laterizio romano. Nascita e diffusione del mattone cotto nel Mediterraneo tra IV e I sec. a.C.” (Padova, aprile 2016), pubblicato nel 2019. Il terzo Convegno Internazionale è stato invece incentrato sul riuso del laterizio romano, focalizzando l’attenzione sull’organizzazione dei cantieri di spoliazione, sulla ridistribuzione e riutilizzazione del materiale, su tradizione e innovazione presenti nelle nuove produzioni e tecniche edilizie.
Gli Atti del convegno sono dedicati alla memoria dell’architetto Ulrike Wulf-Rheidt, già promotrice del I Convegno sul laterizio, scomparsa nel 2018 a seguito di un tragico incidente sull’Acropoli di Atene. La sua è stata una figura importante all’interno del Dipartimento di Architettura dell’Istituto Archeologico Germanico, che ha lasciato una grande e varia produzione scientifica, prevalentemente basata sulla logistica dei processi edilizi antichi (O. Dally, pp. 11-12). Il volume è incentrato su nuovi dati e prospettive di ricerca che ruotano intorno ai temi principali del riuso, affrontando i temi legati alla demolizione, al riciclo e alla reinvenzione delle tecniche edilizie. Le sezioni iniziali e centrali del volume sono introdotte dal contributo dei curatori dell’opera, E. Bukowiecki, A. Pizzo, R. Volpe (pp. 13-19) e trattano dello stato degli studi, di nuovi dati e spunti di ricerca sulla demolizione, sul riciclo e sulla reinvenzione dell’uso del laterizio romano. Ognuno dei suddetti temi viene argomentato in tre sezioni: nella prima sezione si tratta dell’organizzazione dei cantieri di spoliazione e di esempi di redistribuzione del materiale; nella seconda sezione si tratta dei modi di riciclo nei nuovi cantieri di distribuzione; nella terza sezione si tratta di tradizione e innovazione nella produzione e nelle tecniche edilizie. Infine, nella quarta sezione dedicata alla sperimentazione, sono trattati alcuni esempi di riproduzione sperimentale di tecniche costruttive in disuso e sull’evoluzione delle volte dall’antichità a oggi.
Analizzando in dettaglio ogni parte del volume, la prima sezione “Demolire” è composta da cinque contributi e indaga prevalentemente l’area di Roma e della sua campagna. Il primo contributo, di A. De Cristofaro et Al. (pp. 23-38) chiarisce molti aspetti della demolizione delle strutture e del riuso di materiali edilizi di un cantiere di spoliazione di XII-XIII secolo relativo a un balneum di una villa di età severiana, in località Massimina. Il lavoro spiega modalità e tempi di reimpiego dei materiali, con particolare riguardo al riuso dei laterizi in età tardo antica e basso medievale, individuando la committenza del cantiere nella diaconia di Sant’Angelo in Pescheria. Il secondo contributo, di L. Schifi (pp. 39-47) si occupa di un intervento di spoliazione, avvenuto nel V secolo, di strutture murarie in opera laterizia di età imperiale (II-III sec. d.C.), afferenti alla Domus Tetricorum, situata alle pendici settentrionali del Celio. Il terzo contributo, di E. Gallocchio (pp. 49-53) indaga spoliazioni e reimpieghi del complesso della casa di Augusto e il reimpiego di laterizi nel cantiere del Tempio di Apollo sul Palatino. Dal susseguirsi dei cantieri si delinea un attento lavoro di selezione e divisione dei materiali recuperati, poi rimessi in opera in strutture specifiche come tamponature e pilastri, comuni in diversi settori del Palatino. Segue il contributo di U. Fusco (pp. 55-63) che he indaga un cantiere di spoliazione e reimpiego di materiale edilizio e decorazioni marmoree di età imperiale nell’area SO del pianoro di Veio loc. Campetti, che nel V-VI secolo fu trasformato in un cantiere per il riciclo di materiali e decorazioni marmoree di età imperiale. L’ultimo contributo della prima sezione, di N. Marconi (pp. 65-75), investiga l’impiego di tevolozze[1] nell’edilizia barocca romana. Il repertorio di casi studio del XVI-XVII secolo è ampio e comprende le fabbriche della basilica di Santa Maria Maggiore, di Sant’Agnese in Agone, di Sant’Eligio degli Orefici, della Santissima Trinità dei Pellegrini, della chiesa dei Ss. Luca e Martina al Foro Romano.
La seconda sezione “Riciclare”, è composta da venticinque contributi e costituisce la parte più corposa del volume, strutturata in una sequenza di articoli organizzata in aree geografiche. Una prima parte, che comprende i primi dieci contributi, riguarda il Nord Italia. A questa segue una seconda parte composta da sei contributi dedicati alla città di Roma. La terza parte è formata da quattro contributi dedicati al Sud Italia. I restanti cinque articoli, ultima parte della seconda sezione, sono dedicati a casi di studio da Spagna, Mesia e Giordania. In questa sezione del volume si affronta lo studio, oltre che del mattone, anche delle tegole, i primi manufatti in terracotta ad essere prodotti e impiegati negli edifici del Mediterraneo antico.
Tra gli articoli che riguardano l’Italia settentrionale, il contributo di C. Previato (pp. 79-93) studia il riuso delle tegole in murature di età romana fino all’età imperiale avanzata, esaminando i modi e i contesti d’uso di tali oggetti, argomentando il fenomeno e le ragioni economiche all’origine di questa consuetudine. Il contributo di G. Amabili e G. Sartorio (pp. 95-101) analizza aspetti della produzione e dell’utilizzo del laterizio negli edifici di Augusta Praetoria (Aosta), attraverso l’identificazione dei tipi di laterizi e delle gentes coinvolte nella produzione. In un arco cronologico che va dal IV all’XI secolo, vi sono solo sporadiche attestazioni di reimpiego, mentre la produzione continua tra il VI e l’VIII secolo. Il contributo di E. Romanò e F. Susini (pp. 103-107) esamina la Basilica di San Piero a Grado (Pisa), che mostra una continuità edilizia ininterrotta dall’età romana al tardo medioevo. Il primo nucleo edilizio di prima età imperiale romana, composto in gran parte di laterizio reimpiegato, apparteneva a una struttura portuale; nel IV secolo su questo impianto fu realizzato un sacello, distrutto nel VII secolo per edificare una chiesa con i materiali disponibili sul posto; alla fine del X fu elevata la basilica utilizzando materiale romano di reimpiego e nuovi materiali. Il contributo di M-A. Causarano (pp. 109-114) consiste in una ricerca sulle dinamiche e i modi del reimpiego di materiale antico a Padova, affiancata da indagini sulle tecniche costruttive e analisi statistiche su dimensioni e modalità di posa in opera degli elementi costruttivi. L’ampio riutilizzo di laterizi romani fino al XII secolo è caratteristico sia negli edifici religiosi che nell’edilizia civile. Il contributo di S. Zanetto (p. 115-119) analizza il fenomeno del reimpiego del laterizio romano nell’alto Adriatico, tra IV e XI secolo, accentrando l’attenzione su una serie di cantieri di committenza vescovile, patriarcale, ducale e dogale. Viene posta l’attenzione sull’assenza di nuove produzioni di laterizi dal IV secolo, con l’esclusivo riutilizzo dei laterizi antichi. Il contributo di D. Labate (pp. 121-127) affronta la produzione e il riuso di laterizi a Modena dal tardo antico al medioevo in diversi contesti. La produzione di laterizi è continuativa dal III sec. a.C. all’alto medioevo, mentre la produzione di mattoni medievali è documentata nell’edilizia religiosa a partire dal primo XII secolo, nell’edilizia pubblica dal secondo XII secolo e in seguito nell’edilizia civile dal XIII secolo. Il contributo di F. Cantini, R. Belcari e S. Raneri (p. 129-143) esamina i laterizi di una grande villa tardoantica, forse proprietà della famiglia dei Vetti (sito dell’Oratorio, Firenze), giungendo a una sintesi sui materiali, le tecniche costruttive e l’organizzazione dei cantieri nel Valdarno tardo antico. Dallo studio si delinea un cambiamento nell’economia del laterizio tra IV secolo, quando le fornaci erano attive, e V-VI secolo, quando nella ristrutturazione della Villa furono usati laterizi di reimpiego. Il contributo di R. Pansini (pp. 145-151), vaglia le murature della torre di Via dei Montanini a Siena, costruita con materiali di riutilizzo di una precedente struttura di età romana. In questo caso, le murature un arco di età romana sono state in parte inglobate e in parte riutilizzate per la costruzione della torre. Il grafico di dispersione delle dimensioni dei laterizi di età romana rivela due tipi dimensionali dei quali uno doveva costituire una variante locale. Il contributo di E. Passa (pp. 153-157) indaga un possibile caso di riuso di laterizi provenienti dalla catacomba di Santa Mustiola a Chiusi (Siena). Nell’ambito dello scavo si sono finora potuti recuperare 105 laterizi, per lo più tegole, coppi e mattoni, che mostrano chiare tracce di riutilizzo, posti a chiusura delle sepolture. Il contributo di S. Aglietti (pp. 159-165), di carattere generale, analizza problematiche relative al riuso sistematico di tegole, coppi e mattoni in età tardoantica in Italia centrale, con particolare attenzione al territorio di Roma. La distribuzione dei laterizi nelle sepolture in fossa di età romana e l’analisi dei laterizi usati in cantieri minori, forniscono informazioni su rifornimento, circolazione e approvvigionamento del materiale.
Il primo articolo della parte che riguarda la città di Roma è il contributo di M. Bianchini e M. Vitti (pp. 167-176), che interessa il complesso dei Mercati di Traiano, edificato e riedificato quasi esclusivamente in laterizio tra l’età romana e quella tardo medievale, offrendo l’opportunità di studiare il materiale per un ampio periodo. In età traianea si ha un ampio riutilizzo di mattoni di età domizianea; fra tarda antichità e alto medioevo, il reimpiego è attestato in piccoli edifici in opera laterizia e vittata, impostati sulle carreggiate di via Biberatica e della strada che separa i Mercati dal Foro di Traiano. Nel corso del XIII secolo i Mercati furono trasformati in una fortificazione con mura e torri in opera a blocchetti, realizzate con mattoni di reimpiego. Il secondo contributo, di L. Spera (pp. 177-186), propone l’analisi di edifici scoperti a sud della basilica di S. Paolo fuori le mura. Questi edifici si datano dalla fine del V al XIV secolo e presentano nelle murature utilizzi vari di mattoni e tegole di reimpiego o di nuova produzione. La fase attribuita a papa Adriano I mostra cantieri di lavorazione più complessi e ben organizzati, che dovettero prevedere anche lo smontaggio sistematico dei monumenti antichi. Il contributo di C. Persiani (pp. 187-210), presenta una ricerca specifica e dettagliata sul riuso di materiali nella manutenzione delle mura aureliane, che mostrano tracce di ricostruzioni e restauri discontinui e differenziati, promossi dai pontefici di XV-XVI secolo, di cui si affrontano caratteristiche tecniche e morfologiche, insieme allo studio di documenti epigrafici e archivistici. Il contributo di N. Giannini (pp. 211-223) presenta alcuni risultati di studio sull’edilizia medievale a Roma, presentando alcuni casi di particolare interesse cronologico sui modi di costruire in laterizio e sul reimpiego nei cantieri edilizi di età medievale, ampliando le nostre conoscenze in tema di riutilizzo, riciclo e innovazione rispetto alla tradizione. Il contributo di E. J. Shepherd (pp. 225-242) studia analiticamente le tegole impiegate sul tetto del Tempio di Portuno al Foro Boario, mettendo a fuoco la lunga vita di questi materiali, anche alla luce della prassi operativa degli artigiani costruttori. Si sottolinea come, almeno nell’Ottocento, la scelta di tegole bollate di età imperiale e tardoantica sia stata fatta con mentalità antiquaria, volta a ricostruire contesto antico quanto più originale possibile. Segue infine il contributo di Y. B. Forsberg e C. Klynne (pp. 243-260), in cui si studia il riutilizzo di laterizi romani nell’Ottocento. Il caso studio è quello della costruzione del tetto dell’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, inaugurato nel 1940, unitamente a quello dell’Istituto Austriaco, inaugurato nel 1937; in entrambi i casi furono riutilizzate tegole provenienti dalla demolizione della Spina di Borgo nel 1937. L’articolo è incentrato sulla datazione e analisi dei bolli presenti su tegole e embrici dell’Istituto Svedese sui quali sono stati individuati bolli appartenenti a fornaci censite nel Registro dei Bolli Figulini del 1823. La terza parte della seconda sezione argomenta casi studio dell’Italia meridionale e inizia con il contributo di S. Rapuano (pp. 261-266), in cui sono illustrati esempi di reimpiego di laterizi romani in edifici antichi, fra la tarda antichità e il medioevo, a Benevento. Dallo studio di murature romane, di edifici e tratti della cinta difensiva tardoantica e medievale e della chiesa di S. Sofia, emerge un quadro complesso e diversificato della produzione laterizia. Nel contributo di M. Covolan (pp. 267-274), vengono considerati tre edifici della prima età imperiale della necropoli di Cuma (I sec. a.C. - III d.C.) che reimpiegano tegole fratte in paramenti, semi-colonne e semi-pilastrini angolari, mentre tutte le altre strutture sono state realizzate in tufo giallo napoletano. Il contributo di R. Giuliani, A. Cardone e N. M. Mangialardi (pp. 275-286), indaga l’uso del laterizio in cantieri della Puglia centro-settentrionale in età tardoantica e medievale. In età romana, la produzione di fittili per edilizia fu riservato a contesti specifici e la produzione si interruppe nel III-IV secolo, salvo per Canosa, dove nel V-VI secolo fiorisce la manifattura gestita dalla Chiesa. In contesti rurali, fra IV e V sec., la produzione di nuovi materiali integra l’uso di materiali di reimpiego, ma nell’alto medioevo la produzione si arresta fino alla ripresa di XI-XII secolo; dal XIII secolo, l’impiego di mattoni di nuova produzione è visibile nella fortezza di Lucera. Il contributo di F. Muscolino (pp. 287-293), tratta del riuso di laterizi a Taormina in età romana. Nel teatro si hanno mattoni di prima scelta con bolli greci, forse di riutilizzo. Invece, nella Naumachia, si hanno mattoni con bolli greci con etnico dorico e evidenti differenze metrologiche che testimoniano una provenienza diversa e quindi un riutilizzo. Un altro caso studio è poi offerto dalle cd. Tombe saracene, che riutilizzano anch’esse mattoni più antichi.
L’ultima parte della sezione riporta articoli su casi studio da Spagna, Serbia e Giordania. Il primo contributo, di A. Pizzo e Á. Corrales Álvarez (pp. 295-300), investiga vari casi di riuso nell’edilizia privata di Augusta Emerita (Mérida). Il fenomeno si riscontra in diverse tipologie abitative, dalle grandi case suburbane ai contesti prossimi a edifici pubblici, da cui emergono aspetti legati a un nuovo uso del laterizio nel quadro dell’edilizia privata, che si riscontra in elementi strutturali di differente difficoltà costruttiva. Il contributo di M. Bustamante-Álvarez e E. H. Sánchez López (pp. 301-307), analizza il fenomeno del riutilizzo del laterizio in ambito figlinario, trattando di un’officina ceramica del suburbio di Cartuja (Granada, Es). Si riflette sul fenomeno del reimpiego nell’ambiente artigianale, analizzando discariche, strutture murarie e forni, pratica che testimonia una politica legata alla gestione dei rifiuti generati in questo contesto. Il contributo di O. Rodríguez Gutiérrez (pp. 309-316), indaga due singolari soluzioni utilizzate nella costruzione di muri di età romana in diverse città e siti archeologici della regione del Bajo Guadalquivir (prov. Betica, Es). Nel primo caso si tratta dell’impiego di frammenti di anfore e nel secondo caso, della costruzione di strutture in elevato con tegole. Il contributo di L. Jevtović (pp. 317-324), si concentra sulle sepolture della città romana e dell’accampamento militare di Viminacium, in Serbia, nei pressi del Danubio, dove sono state ritrovate più di 13.500 tombe, molte delle quali realizzate con mattoni e tegole riciclati. L’ultimo contributo, di P. Hamari (pp. 325-333) evidenzia, attraverso lo studio di materiali da costruzione provenienti dalla Casa IV sulla collina di Ez Zantur, nel centro di Petra (Giordania), che una grande quantità di mattoni e tegole di I-II secolo d.C., provengono da contesti di riuso dei periodi nabateo e romano; in particolare, le tegole sembrano non provenire dalla casa stessa ma da altri luoghi all’interno della città.
La terza sezione “Reinventare” è composta da cinque contributi e le regioni interessate sono il Nord e il Sud Italia, più un caso dall’Asia minore: Il primo contributo della sezione, di P. Greppi (pp. 337-348), tratta delle trasformazioni delle tecniche costruttive e dei materiali in laterizio impiegati nell’edilizia di culto delle basiliche di Milano tra età paleocristiana e Romanica (IV-XII sec.), che ha portato all’elaborazione di un quadro dell’evoluzione delle tipologie murarie in mattoni di reimpiego (opera laterizia e spicata). Il secondo contributo, di E. Cirelli e J. R. Snyder, (pp. 349-359), investiga l’uso dei laterizi nell’edilizia di Ravenna della media e tarda età imperiale. Si ha un diffuso riutilizzo del mattone di II-III secolo, durante il V-VI secolo, nonostante la produzione presenti una certa continuità durante lo stesso arco cronologico. Attraverso il rilevamento quantitativo inverso e con calcoli dell’energia utilizzata in architettura, il contributo fornisce una prospettiva delle dinamiche economiche alla base delle scelte nei materiali da costruzione utilizzati. Il terzo contributo, di M. Zampilli e G. Cangi (pp. 361-370), studia l’applicazione di tecniche costruttive tradizionali o desuete per la costruzione di due volte in laterizio nel Palazzo Buonaccorsi di Macerata, evidenziando la carenza di maestranze in grado di affrontarne la progettazione e l’esecuzione, le problematiche derivanti dalla normativa sismica, la diffidenza degli enti di tutela e di controllo nell’adozione di tali tecniche. Il quarto contributo, di F. A. Cuteri e G. Hyeraci (pp. 371-380) rileva una sensibile trasformazione delle tecniche edilizie tardoantiche in Calabria, con l’impiego di laterizi di fabbricazione più antica, anche se non mancano produzioni di nuovi laterizi per impieghi specifici. Durante l’alto-medioevo è certa l’assenza di mattoni di nuova produzione, mentre in età normanno-sveva l’uso del laterizio di nuova produzione è massiccio e coesiste con il reimpiego di materiali di edifici antichi. Il quinto contributo, di J. Martin (pp. 381-384), discute su quanto i metodi di costruzione del periodo imperiale, momento in cui si diffuse l’utilizzo del mattone cotto, siano stati ereditati dalla tradizione costruttiva tardoantica e bizantina nell’Asia Minore occidentale, divenendo parte integrante dell’architettura pubblica.
Il contributo introduttivo della quarta e ultima sezione “Sperimentare”, di E. Pallottino (pp. 387-390), introduce la sezione finale del volume e ripercorre le esperienze di sperimentazione costruttiva avvenuta nell’ex Mattatoio di Testaccio. Si pone l’attenzione su come diverse competenze lavorative debbano integrarsi al fine di indagare la storia dell’architettura con metodo archeologico, studiando origine e sviluppi di ogni elemento costruttivo fino determinarne processi di migrazione in diverse regioni e le sue nuove applicazioni. Il contributo di G. Ortolani (pp. 391-398) parte dall’esperienza del cantiere sperimentale per la costruzione di una volta in foglio, realizzata da due mastri di Valencia (Es), per arrivare a ricostruire la storia della produzione in terracotta nel territorio della valle del Tevere, che ha rappresentato il principale percorso delle merci verso Roma e, attraverso Ostia e Portus, anche oltremare. La produzione dell’Opus doliare Tiberinum, viene quindi indagata attraverso la toponomastica locale, attraverso la localizzazione delle fornaci in relazione alla distanza da Roma, fino alle aziende artigianali locali che continuano attualmente la tradizione. Il contributo di S. Sturm, G. Bellingeri e A. De Angelis (pp. 399-409), offre una sintesi della storia millenaria della tecnica costruttiva delle volte in foglio, di derivazione islamica e della sua diffusione in area mediterranea: in Europa meridionale durante il medioevo tramite gli Aragonesi e in Europa e Stati Uniti tramite influenza spagnola. Tale tecnica ebbe successo anche nei cantieri di Roma capitale, fra fine Ottocento e secondo dopoguerra. L’ultimo contributo è di P. Vitti (pp. 411-427) ed è dedicato a una particolare testimonianza di architettura in cotto, promossa in Marocco dalla dinastia musulmana berbera almoravide del XII secolo: la Qubbat al-Barudiyyin è l’unica testimonianza almoravide sopravvissuta a Marrakech e rappresenta il primo esempio del mondo islamico occidentale di muratura in mattoni con legante a base di calce o di gesso. La realizzazione della cupola nervata in laterizio, con mattoni in foglio e a coltello, rappresenta, allo stato attuale, il primo esempio di una tecnica costruttiva che in Spagna è documentata soltanto a partire dalla fine del XII secolo.
Il laterizio, quale materiale di lunga durata, può essere utilizzato più volte e il processo di riutilizzo si articola in almeno tre fasi, che corrispondono alle sezioni del volume. Per quanto riguarda la sezione “Demolire”, appare ormai chiaro che l’ampio uso di materiali da reimpiego nelle murature sia stata una prassi, dalla demolizione e recupero al seguente stoccaggio temporaneo dei materiali, che avveniva in cantieri grandi e piccoli, sia pubblici che privati. Le prime attestazioni possono essere individuate nel riuso di laterizi nel complesso augusteo del Tempio di Apollo sul Palatino, fino a divenire una consuetudine in età imperiale. A Roma sembra trattarsi di un sistema organizzato già dal II sec. d.C., mentre nel suburbio è attestato dalla tarda età repubblicana all’età dei Severi. Tale sistema divenne, in età medievale, una vera e propria impresa di raccolta, rilavorazione e commercio dei materiali antichi. La sezione “Riciclare”, descrive il nucleo centrale del lavoro, trattandosi della fase intermedia tra il processo di demolizione e il nuovo uso del materiale. I contributi propongono, infatti, esempi propri della variazione dell’uso originale del laterizio e la trasformazione strutturale ed estetica dell’impiego di tale materiale, con soluzioni creative che rielaborano elementi privi della loro funzione originale. Vi sono, tuttavia, modalità diverse di riuso che cambiano in base al periodo storico di realizzazione e alla tipologia delle strutture demolite, oltre che alle nuove soluzioni costruttive che dipendono dall’economia locale, dalla committenza, dall’acquisizione e perdita di conoscenze tecniche, dalla disponibilità di edifici da demolire e riciclare. Una parte dei contributi della sessione è dedicata al riutilizzo delle tegole che, essendo i primi manufatti in terracotta prodotti ed impiegati negli edifici del Mediterraneo antico, sono state di conseguenza anche i primi materiali laterizi ad essere stati riusati. Possiamo pensare che la forma piatta e rettangolare, facilmente recuperabile e impilabile nelle aree di stoccaggio, abbia in parte motivato il suo largo riutilizzo. Circa la sezione “Reinventare”, essa raccoglie approfondimenti su come il laterizio romano abbia dato impulso alla trasformazione delle tecniche costruttive fra tarda-antichità e medioevo, con particolare attenzione alle dinamiche dei cantieri paleocristiani e romanici delle basiliche di Milano, alla crescita edilizia a Ravenna nel V-VI secolo e all’uso del laterizio nella Calabria bizantina e normanno-sveva. Per quanto riguarda invece l’ultima sezione “Sperimentare”, l’eredità del laterizio romano e del suo ruolo nella storia dell’architettura è palpabile nell’evoluzione della costruzione delle volte, come la volta in foglio ampiamente discussa nel workshop, e negli esempi esposti sull’evoluzione delle volte in laterizio tra la tarda antichità e il medioevo.
I tre incontri sul laterizio, sebbene di contenuto prevalentemente archeologico, hanno coinvolto fin da subito altre figure tecniche, assumendo in tal modo un efficace profilo multidisciplinare. Tra queste figure professionali, in particolare, quelle degli architetti che, da più fronti disciplinari, si dedicano specificatamente all’esegesi del patrimonio culturale, ma anche storici dell’architettura, disegnatori, restauratori, ingegneri, etc. Questo tipo di collaborazione trasversale è ormai testata da diversi decenni: i due ambiti disciplinari si sono incontrati soprattutto sul fronte metodologico, lungo i percorsi di conoscenza che incrociano la lettura di fonti materiali/dati archeologici con quella di ogni altra fonte indiretta che possa servire ad illuminare la genesi e il processo di trasformazione di oggetti e contesti del nostro passato. Il dialogo tra queste diverse competenze può servire per manutenzioni, restauri, ricostruzioni, anche in funzione della prevenzione e della risposta alle calamità naturali, tramite database per la protezione civile culturale.
Pochi e di trascurabile valore sono i punti problematici di questo volume, un lavoro altamente tecnico che per la prima volta studia il riuso del laterizio in modo critico, dettagliato e sperimentale, fornendo aggiornamenti su studi in corso a Roma, in tutta Italia e in area mediterranea. Sarebbe stato preferibile, nell’economia della trattazione, una spartizione degli studi su tegole e coppi da quelli sui mattoni; tuttavia l’organizzazione dei contributi su base regionale risulta inedito e accattivante. A questo si potrebbe aggiungere che la suddivisione degli articoli nella sezione “Riciclare”, risulta complessa nella sua articolazione, essendo composta da venticinque contributi che riguardano il Nord Italia, Roma e il Sud Italia, la cui omogeneità di tipo geografico si ravvede solamente a una seconda lettura. Tra le questioni lasciate aperte dai contributi presentati è necessario segnalare la dicotomia esistente tra contesti densamente popolati, con ampia richiesta di materiali edilizi, e zone limitrofe e rurali. Questa differenza territoriale crea, in linea generale, una divisione netta tra un processo di reimpiego sistematico e uno sporadico. Per ogni articolo è sempre presente un abstract con parole chiave in inglese e in italiano, onde individuare immediatamente gli elementi significativi tramite una terminologia controllata. Alcuni piccoli accorgimenti riguardano l’editing, ma sono del tutto marginali, come la presenza di un doppio abstract in inglese nell’articolo di J. Martin (pp. 381-384), mentre è apprezzabile l’inserimento di una errata corrige relativa al titolo del contributo di A. Pizzo e Á. Corrales Álvarez, (pp. 295-300).
Nel complesso, il volume risulta piacevole alla lettura, ricco di argomentazioni interessanti e innovative, si pone quale pietra miliare nell’ambito degli studi sul laterizio. Impreziosito da una notevole quantità di foto di scavo e grafici, con disegni di dettaglio, immagini di cantiere e modelli virtuali, il libro riesce nello scopo di comprendere i processi più importanti che hanno costituito i presupposti per nuove forme espressive dell’architettura romana imperiale in area Mediterranea, con particolare attenzione a Roma stessa e alla penisola.
[1] Con il termine tevolozze, fino alla metà del XIX secolo, si identificavano mattoni di recupero provenienti dalla demolizione di edifici antichi o in disuso, per le loro proprietà idrauliche e di resistenza dovute alla prolungata stagionatura.
Indice degli interventi
Sommario: Ortwin Dally, In memoria di Ulrike Wulf-Rheidt, pp. 11-12. Evelyne Bukowiecki, Antonio Pizzo, Rita Volpe, Demolire, riciclare e reinventare il laterizio romano. Nuovi dati e spunti di ricerca, pp. 13-19.
Demolire Alessio De Cristofaro, Giovanna di Giacomo, Andrea Ricchioni, Claudia Tozzi, Un cantiere di spoliazione al km 12,000 della via Aurelia a Roma: tempi e modalità di reimpiego dei laterizi tra l’età tardoantica e il basso medioevo, pp. 23-28. Leonardo Schifi, Roma (I° Municipio). Gli ambienti romani della Confartigianato. Un cantiere di spoliazione alle pendici settentrionali del Celio, pp. 39-47. Enrico Gallocchio, La spoliazione della casa di Augusto sul Palatino e il reimpiego dei laterizi nel cantiere del santuario di Apollo, pp. 49-53. Ugo Fusco, Testimonianze archeologiche per la presenza di un cantiere di spoliazione e ridistribuzione del materiale edilizio sul pianoro di Veio (RM): il sito di Campetti, area sud-ovest, pp. 55-63. Nicoletta Marconi, «Muro fatto di tevolozze»: laterizi di reimpiego nei cantieri di Roma barocca, pp. 65-75.
Riciclare Caterina Previato, Il riuso delle tegole nelle strutture murarie: dimensione, caratteristiche e ragioni di un fenomeno diffuso in età romana. Il caso dell’Italia settentrionale, pp. 79-93. Giordana Amabili, Gabriele Sartorio, Da Augusta Praetoria ad Aosta: aspetti della produzione e utilizzo del laterizio in una città alpina, pp. 95-101. Eleonora Romanò, Fabiana Susini, Forme di memoria ‘materiale e immateriale’ nella basilica di San Piero a Grado (PI): il reimpiego del laterizio romano dal gradus all’ecclesia, pp. 103-107. Marie-Ange Causarano, Il reimpiego dei laterizi romani nell’edilizia medievale di Padova, pp. 109-114. Serena Zanetto, La seconda vita del laterizio romano in area alto adriatica: circolazione e tecniche tra IV e XI secolo, pp. 115-119. Donato Labate, Produzione e riuso dei laterizi a Modena dal tardo antico al basso medioevo, pp. 121-127. Federico Cantini, Riccardo Belcari, Simona Raneri, I laterizi della Villa dei Vetti. Materiali, tecniche costruttive e organizzazione del cantiere nel Valdarno tardo antico, pp. 129-143. Rossella Pansini, Uso e riuso di laterizi romani in una torre medievale: il caso di via dei Montanini 16 a Siena, pp. 145-151. Eleonora Passa, I laterizi provenienti dalla catacomba di Santa Mustiola a Chiusi (SI): un possibile caso di riuso, pp. 153-157. Silvia Aglietti, Spunti di ricerca sull’approvvigionamento e la distribuzione dei laterizi nelle sepolture in fossa di età romana, pp. 159-165. Marco Bianchini, Massimo Vitti, Il complesso dei Mercati di Traiano come esempio diacronico del reimpiego del laterizio dall’età traianea al XIV secolo, pp. 167-176. Lucrezia Spera, Riuso e produzione di laterizi a Roma nell’altomedioevo. Osservazioni dalle analisi murarie nella nuova area archeologica a San Paolo fuori le mura, pp. 177-186. Carlo Persiani, De minimis: il riuso nella manutenzione delle mura aureliane nel XV e XVI secolo, pp. 187-210. Nicoletta Giannini, L’edilizia di Roma medievale. Nuove acquisizioni sui modi di costruire in laterizio a Roma tra VIII e XIII secolo, pp. 211-223. Elizabeth Jane Shepherd, Lunga durata o reimpiego filologico? Storia delle tegole del Tempio di Portuno, pp. 225-242. Yvonne Backe Forsberg, Cecilia Klynne, Il riutilizzo di laterizi romani dell’Ottocento. Il tetto dell’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, pp. 243-260. Silvana Rapuano, Esempi di reimpiego di laterizi di età romana a Benevento fra la tarda antichità e il medioevo, pp. 261-266. Marina Covolan, Tegulae fratte: tre casi di reimpiego nella prima età imperiale dalla necropoli di Cuma, pp. 267-274. Roberta Giuliani, Angelo Cardone, Nunzia Maria Mangialardi, Il laterizio nei cantieri della Puglia centro-settentrionale tardoantica e medievale tra reimpieghi e nuove produzioni, pp. 275-286. Francesco Muscolino, Il riuso di laterizi a Taormina in età romana, pp. 287-293. Antonio Pizzo, Álvaro Corrales Álvarez, La reutilización del ladrillo en la arquitectura doméstica de Augusta Emerita (Mérida, España), pp. 295-300. Macarena Bustamante-Álvarez, Elena H. Sánchez López, Il riciclaggio di materiale laterizio in ambito figlinario: La officina ceramica del suburbium di Cartuja (Granada, Spagna), pp. 301-307. Oliva Rodríguez Gutiérrez, Cuando nada es lo que parece. Prácticas singulares con material latericio en la construcción romana en el Valle del Guadalquivir (prov. Baetica, hispania), pp. 309-316. Ljubomir Jevtović, Case study - Use and reuse of ceramic building material for constructing the graves of ancient Viminacium, pp. 317-324. Pirjo Hamari, Recycling brick and tile in Roman Petra (Jordan), pp. 325-333.
Reinventare Paola Greppi, Reinterpretazione e uso del laterizio romano nei cantieri delle basiliche milanesi tra Età paleocristiana e Romanico, pp. 337-348. Enrico Cirelli, J. Riley Snyder, Brick production and reuse in late antique and early medieval Ravenna (5th-10th c.), pp. 349-359. Michele Zampilli, Giovanni Cangi, Riutilizzo delle tecniche tradizionali per la costruzione di due volte reali in laterizio nel Palazzo Buonaccorsi a Macerata, pp. 361-370. Francesco Antonio Cuteri, Giuseppe Hyeraci, Reimpieghi e nuove produzioni di laterizi nella Calabria tardo-antica e medievale, pp. 371-380. Julia Martin, Brick architecture in imperial and early byzantine western Asia minor, pp. 381-384.
Sperimentare Elisabetta Pallottino, Sperimentare Un laboratorio nel Convegno: intorno al cantiere sperimentale di costruzione di una volta in foglio, pp. 387-390. Giorgio Ortolani, Fornaci laterizie nell’alta Tuscia: produzione attuale e tradizione, pp. 391-398. Saverio Sturm, Gabriele Bellingeri, Arianna De Angelis, Il magistero delle volte in foglio nella tradizione romana: dai recuperi in età post-industriale al cantiere sperimentale, pp. 399-409. Paolo Vitti, Brick construction in Almoravid Marrakech: the Qubbat al-Barudiyyin, pp. 411-427.
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Éditeurs : Lorenz E. Baumer, Université de Genève ; Jan Blanc, Université de Genève ; Christian Heck, Université Lille III ; François Queyrel, École pratique des Hautes Études, Paris |