Verdon, Timothy : Fra Angelico. Painter, Friar, Mystic (coll. Arts and the Sacred, ASAC 3). 384 p., 247 colour ills, 280 x 330 mm, HB, ISBN 978-2-503-58033-3, 150,00 €
(Brepols, Turnhout 2021)
 
Compte rendu par Maria Milvia Morciano
 
Nombre de mots : 1722 mots
Publié en ligne le 2022-09-27
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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       Il volume è la traduzione in lingua inglese della prima edizione in italiano: Timothy Verdon, Beato Angelico, ed. “Il Sole 24Ore Cultura”, Milano 2015.

 

       Di grande formato e corredato da numerose illustrazioni, offre un excursus completo dell’opera di Frate Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto Beato Angelico, trattandone la produzione artistica attraverso il tempo e i luoghi che lo videro protagonista, così come le persone che vennero a contatto con lui, approfondendo i tratti più profondi della sua persona che non fu mai divisa dalla fede.

 

       Il grande artista fiorentino e frate domenicano, nato a Vicchio del Mugello nel 1395 e morto a Roma nel 1445, è universalmente noto per le sue opere a soggetto religioso concentrate soprattutto nel convento di San Marco a Firenze. L’Angelico è stato un artista capace di unire bellezza estetica e spirituale. Non vi si coglie ricerca tormentata ma, al contrario, certezza della fede, che si traduce in mistica purezza, in anelito al trascendente.

 

       Timothy Verdon, storico dell’arte, direttore del Museo dell’Opera del duomo di Firenze e sacerdote cattolico, si chiede se abbia ancora senso parlare del Beato Angelico, dal momento che l’artista è stato forse il più studiato e pubblicato. La risposta è affermativa. Rispetto alla sua arte, che pure ha goduto di fortuna ininterrotta, l’Angelico è stato sempre molto apprezzato e considerato già al suo tempo famosus ultra omnes alios pictores ytalicos (famoso oltre tutti gli altri pittori italiani).  Permaneva comunque una sorta di pregiudizio sulla sua arte: sarebbe stata esclusivamente sacra e pertanto avulsa dalle grandi espressioni artistiche che si sviluppavano nel tempo, separata «dalle cose del mondo», quasi che la scelta di soggetti «monotoni» come quelli religiosi impedisca una lettura a carattere culturale del suo «sviluppo formale e dell’evoluzione stilistica» (G. Bonsanti, in Beato Angelico, l’alba del Rinascimento, catalogo della mostra, Musei Capitolini, Roma 2009).

 

       Invece, sottolinea monsignor Verdon, anche la «stessa religiosità dell’Angelico è cultura: non solo pietismo e devozione ma teologia, mistagogia, esegesi biblica».

 

       Il risultato è questo libro, frutto di indagine condotta con il rigore del metodo storico artistico che, unito alla profonda conoscenza teologica dell’autore, getta una luce nuova sull’Angelico che non «fu soltanto un pittore che si fece frate, ma un uomo che realizzò sé stesso come pittore attraverso l’accettazione della sua chiamata religiosa», scrive monsignor Verdon nell’introduzione. Ed è questa la chiave di lettura dell’intero volume che permette di comprendere il beato pittore e andare oltre le valutazioni meramente estetiche, affrancandolo dalla classificazione di artefice di pitture a soggetto esclusivamente cristiano. Fra Angelico dipingeva il suo mondo e il suo mondo era l’ambiente conventuale in cui viveva; i suoi committenti appartenevano a quello stesso mondo e la produzione artistica rispondeva alla richiesta di quei determinati soggetti. Ma il suo apporto all’arte del tempo è stato fondamentale e meritevole di essere accostato ai più grandi pittori, e non solo della sua epoca.

 

       I due aspetti fondanti dell’Angelico, arte e fede, dialogano tra loro senza prevaricarsi, diventano sintesi in un armonico e completo segno distintivo.

 

       Il primo capitolo è incentrato sulle caratteristiche soggettive dell’artista, mentre il secondo affronta il suo rapporto con l’ambiente e le persone. Un “io” e un “tu” che sembrano riecheggiare i versi dell’epitaffio inciso sulla lastra tombale nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma: Non mihi sit laudi quod eram velut alter Apelles / Sed quod lucra tuis omnia Christe dabam... («Non mi siano rivolte lodi perché ero considerato un secondo Apelle, ma perché, o Cristo, ho dato tutti i miei guadagni ai tuoi...».

 

       Nel primo capitolo, «Con Cristo stare sempre», citazione di ciò che di lui ha scritto il Vasari nelle Vite, l’io del Beato è immerso nella sfera personale religiosa e mistica, tradotta attraverso il suo rapporto con la Scrittura e la liturgia che conosceva in modo diretto e profondissimo e che di conseguenza sapeva replicare per immagini in modo sapiente. Fra Giovanni da Fiesole era un teologo, un uomo colto, non soltanto un artista pio, un illustratore pedissequo della Parola.

 

       Viene analizzato l’uso delle tecniche che gli permettevano di trasferire sulla superficie pittorica la realtà della luce e della prospettiva. Quest’ultima, in particolare, alle volte consapevolmente limitata per aderire a una intenzionale volontà di rifarsi alle icone orientali e imprimere così maggiore spiritualità alle sue opere. E ancora l’intento scenografico delle composizioni, ispirate agli allestimenti delle sacre rappresentazioni.

 

       L’Angelico maturava quindi la sua arte traendo linfa prima di tutto dalla sua profonda vocazione religiosa e dalla conoscenza degli scritti teologici, primo fra tutti san Tommaso, ma anche attraverso un dialogo fecondo e la conoscenza degli intellettuali e degli artisti del suo tempo. Era, quindi, affatto avulso dal mondo circostante. Nell’artista non manca l’assimilazione dei temi fondamentali dell’umanesimo come la sfera delle emozioni, che possiamo osservare in opere come la Deposizione di Cristo nel Museo di San Marco a Firenze. Le figure sono dipinte con caratteristiche individuali e riconoscibili, e attraverso la mimica facciale e i loro gesti ci sembra di poterne leggere sentimenti e pensieri. Così, anche la rappresentazione del sangue, che è molto evidente ed esplicita, non è sensazionalismo o volontà di provocare pietismo. Deriva di certo dall’ambiente dei predicatori domenicani, ma possiede valenze più profonde simboliche e intellettuali: allude al sangue eucaristico e al martirio. Così la resa delle stoffe preziose, che le illustrazioni del volume permettono di cogliere in tutto lo splendore, non sono un semplice esercizio di virtuosismo pittorico, ma la ricezione di una Firenze che nell’arte della tessitura giocava un ruolo economico importante.

 

       Alla luce di queste considerazioni, appare chiaro come nell’artista si incarni quel decisivo momento di passaggio tra medioevo e umanesimo.

 

       Il Beato Angelico, quindi, come detto, non fu un frate sempre rinchiuso tra le mura del convento e separato dal resto del mondo ma, benché schivo, parte di una realtà sociale in fermento, specie quella fiorentina, soprattutto per ciò che riguarda gli imminenti cambiamenti della Chiesa. Un artista che viaggiò e prestò la sua opera anche al di fuori del suo ambiente, chiamato a Roma e in altre città come tra i più apprezzati artisti. Questo rapporto con il contesto circostante e con la realtà del suo tempo si apprezzano attraverso la conoscenza dei suoi contatti con gli artisti contemporanei e i conseguenti influssi da loro ricevuti, come dal Ghiberti. Non va dimenticato che la rappresentazione dell’architettura nelle sue opere sia viva e studiata, a dimostrazione di come l’Angelico avesse compreso la rivoluzione compiuta dal Brunelleschi. Allo stesso tempo nella sua arte sono percepibili già i presagi degli imminenti echi classici.

 

       Il volume prosegue entrando direttamente nell’analisi delle singole opere e delle circostanze che ne determinarono la creazione: committenze, ispirazione, tecnica.

 

       L’arte della miniatura, attività degli esordi, fu trasferita nel grande formato degli affreschi superando tentazioni didascaliche e anzi imprimendone la freschezza calligrafica.

 

       Le illustrazioni spettacolari del volume, capaci di mettere a fuoco anche i particolari, accompagnano il testo che affronta una per una tutta le opere, attraversando il periodo fiesolano e poi quello fiorentino, la chiamata presso la corte papale di Niccolò V, fino all’epilogo della sua vita. L’autore si sofferma a offrire un quadro che riesce a ricostruire l’attività romana e quelle opere che, nonostante siano andate in gran parte perdute, dimostrano, attraverso ciò che è rimasto, grande potenza, vedi gli affreschi della cappella Niccolina del Palazzo Apostolico Vaticano (1446-1448) che dipinse con aiuti, soprattutto Benozzo Gozzoli.

 

       Monsignor Verdon sottolinea la libertà con cui Fra Giovanni poteva realizzare le sue opere, ricorrendo alla prospettiva o tornando al fondo oro: quella capacità di sperimentare o scegliere di restare nel solco della tradizione che possiamo apprezzare in modo particolare quando il pittore dipinge, sempre variandola, la stessa iconografia dell’Annunciazione, oppure nelle Incoronazioni della Vergine così diverse tra loro. L’autore del volume attribuisce tale libertà al suo status di religioso, che gli permetteva di non dipendere dai circoli ristretti degli artisti a lui contemporanei, e al fatto di poter contare sulla sicura committenza degli ordini religiosi e delle confraternite di cui era parte.

 

       Infine, monsignor Verdon si chiede quale sia stata l’eredità di fra Angelico, trovandola nella grande pittura del Cinquecento: la volta della Sistina del Buonarroti o le Stanze vaticane dipinte da Raffaello. Vi sono uguale qualità artistica e uguale tensione nel rappresentare più di ciò che appare alla vista, il «naturale», quel «’l vedi e non vedi, come fanno la carne e le cose vive» di cui parlava il Vasari. Non un artista che resta ancorato al passato, «non minore rispetto a Giotto o Cimabue», come scrisse Domenico di Giovanni da Corella, ma che apre al futuro e, attraverso la lente spirituale dell’anelito al divino, capace di vedere in misura maggiore e pertanto di mostrarci il soprannaturale. Proprio come Michelangelo, che lo ammirava incondizionatamente, di fronte a un’Annunziata nel Convento di San Marco, «Bisogna, disse, che quest’Huomo Santo, la vedesse così fatta in Paradiso, già che l’effigiò si bella».

 

 

Indice del volume

 

Capitolo I

Con Cristo stare sempre

Angelico e la Scrittura

Angelico e la liturgia

Angelico e il teatro

Angelico e la luce

Angelico e la prospettiva

Angelico e l’umanesimo

Angelico e le emozioni

Angelico e il sangue

Firenze e la Chiesa all’epoca dell’Angelico

 

Capitolo II

Velut alter Apelles

Amico di Nanni di Banco

L’influsso del Ghiberti

Masaccio e Masolino

Brunelleschi

Angelico e la modernità

Finto marmo, reale mistero

La moda dei tessuti di lusso

Vocazione artistica, vocazione religiosa

Uno stile collettivo in pittura come in miniatura

 

Capitolo III

I primi vent’anni

Gli inizi

Le prime pale d’altare

A cavallo del quarto decennio

La Deposizione di Cristo e la maturità

dell’arte angelichiana

Il tabernacolo dei Linaiuoli e altre opere

Il trittico di Cortona e la pala di Annalena

L’Incoronazione della Vergine

Il Compianto sul Cristo morto e altre opere

 

Capitolo IV

Angelico teologo

L’Annunciazione nell’arte angelichiana

Parvulus enim natus est

I Giudizi universali dell’Angelico

Cristo traguardo ultimo

 

Capitolo V

Il progetto per San Marco

La pala di San Marco

La decorazione pittorica dei conventi

I primi affreschi a San Marco

Il senso del programma

Gli affreschi del primo chiostro

Il “Giovanato” e l’ala settentrionale

L’Annunciazione e la Madonna delle ombre

 

Capitolo VI

Alla corte dei papi

La politica culturale pontificia

La cappella Niccolina e il programma angelichiano

La parete ovest

La parete nord

La parete est

Lo studiolo di Niccolò V e le opere fuori Roma

 

Capitolo VII

Ultime opere

La pala di Bosco ai Frati

L’Armadio degli Argenti: destinatari e programma

Il luogo

Il committente e lo stile

Forma e iconografia

L’enigma degli ultimi anni

 

Apparati

Abbreviazioni bibliche

Bibliografia

Indice dei nomi