Coen, Alessandra : Etruscum Aurum. Le bulle auree in Etruria tra età tardo classica ed ellenistica, (Biblioteca di «Studi Etruschi», 65), Brossura, 212 pp., con 23 illustrazioni nel testo, 11 Tavv. a colori e 20 Tavv. b/n fuori testo, 17 x 24 cm, ISBN: 9788876893346, 138€
(Giorgio Bretschneider, Roma 2021)
 
Compte rendu par Laura Ambrosini, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Italia
 
Nombre de mots : 2669 mots
Publié en ligne le 2022-10-27
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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       Il volume di Alessandra Coen è l’aggiornamento della tesi di specializzazione in Archeologia sulle bulle auree etrusche di età classica ed ellenistica da lei discussa nel 1995 presso l’Università Federico II di Napoli, della quale fu relatore Mauro Cristofani. Lo studio prese le mosse da lavori precedenti, in particolare dalla raccolta operata da H.R. Goette nel 1986, con lo scopo di fornire non solo un ampliamento del catalogo della classe, ma anche un inquadramento tecnico e stilistico, un esame iconografico delle decorazioni ed una disamina delle fonti letterarie, utili a gettare luce sugli aspetti sociali e cultuali legati all’uso di questo monile. L’autrice, prima di questa monografia, si era già occupata dell’argomento con una serie di articoli dedicati a bulle rinvenute sia in Etruria che nel Piceno.

 

       La monografia parte dall’analisi delle fonti letterarie relative alla bulla aurea etrusca (Appendice pp. 8-12, nn. 1-26). Tra esse occorre menzionare Giovenale V, 163-165 che parla di Etruscum aurum e Festo (p. 322) che considera la bulla attributo dei re etruschi. L’introduzione dell’uso della bulla per i giovinetti di famiglie insigni prima del raggiungimento della maggiore età è ricondotto a Tarquinio Prisco sia da Plutarco (Quaest. Rom. CI) che da Macrobio (I.6, 8-14). In realtà, la bulla enea compare in Etruria già all’inizio dell’età del ferro ma, tranne rare eccezioni, gli esemplari in metallo pregiato scompaiono per un lungo periodo, dunque proprio nel periodo di Tarquinio Prisco, per ricomparire alla fine del VI-inizi del V sec. a.C. Tali fonti vanno dunque considerate un tentativo di ricondurne (giustamente) la paternità al mondo etrusco.

 

       L’autrice passa poi in rassegna le Fonti relative all’uso della bulla come talismano con valenza apotropaica (Varrone, LL, VII, 97), simbolo astrale (Plutarco, Quaest. Rom. CI), attributo del re etrusco (Plutarco, Quaest. Rom. LIII e Rom. 25.6-7). Segue un capitolo dedicato alla Tipologia articolata in tre Gruppi con sottogruppi in base al tipo di appiccagnolo: Gruppo I (discoidali bivalvi: I.A1-I.3 cilindrico, IB a tappo, ICa-2 trapezoidale, ID rettangolare), Gruppo II (ghiandiformi: II.A cilindrico, IIB cilindrico a tappo), Gruppo III (configurate) e bulle non classificabili. Dei Gruppi l’autrice fornisce una descrizione corredata da figure (nelle tavole) e qualche riproduzione grafica (nel testo). Una serie di tabelle riassuntive intende illustrare la distribuzione topografica delle bulle auree: a parte alcune attestazioni nel Veneto e in area padana e medio-adriatica, il grosso delle bulle sono state rinvenute in Etruria (Casole d’Elsa, Perugia, Vetulonia, Orvieto, Viterbese e Tarquinia), ma con una particolare concentrazione a Vulci, Chiusi e Populonia. Altri siti di rinvenimento sono Todi, Praeneste e Roma, l’Heraion alla Foce del Sele (l’unico contesto votivo) e forse Napoli ed Aléria. L’esame della tecnica orafa porta ad ipotizzare una produzione nelle medesime botteghe che realizzavano corone funerarie e gli anelli del Gruppo Fortum. Il primo centro produttivo in ordine cronologico sembra essere stato già alla fine del V sec. a.C. Populonia – le cui bulle sono state rinvenute ad Adria, Aléria e forse anche nel Volterrano –, Chiusi dalla metà del V sec. a.C. ed infine Vulci che per tutto il IV sec. a.C. ha irradiato i suoi prodotti non solo in Etruria meridionale ma anche nell’area umbra, picena e padana. Spicca l’assenza di bulle nelle città dell’Etruria meridionale e settentrionale fortemente romanizzate come Cerveteri e Volterra, dove forse l’ostentazione dei gioielli era più ridotta nella sfera privata. In generale, all’inizio del III sec. a.C. cessa la produzione di bulle auree, proprio in coincidenza con la più estesa romanizzazione del territorio. L’esame dei motivi decorativi evidenzia la presenza di motivi geometrici, fitomorfi, zoomorfi (teste di leone e pavone), teste isolate (Gorgoneion, maschera di Acheloo, profili femminili e maschili, teste femminili (anche del tipo Arethusa), figure isolate (cavaliere appiedato e cavallo, Efesto che forgia le armi di Achille, figura femminile (Lasa?), Gorgone in corsa, Zeus su quadriga), scene a due figure (agguato di Achille a Troilo, Dedalo e Icaro, Eracle e il leone nemeo, Eracle e Iolao, Eracle e Minerva, Europa sul toro, Menade su pantera, Nereide su cavallo marino, Perseo e la Gorgone, ratto di Persefone, Satiro e “adolescente”, Zeus e Minerva su quadriga), scene a tre figure (Afrodite, Adone e Eos; Eracle, Atlante e Minerva (?); Eracle, Iolao (?) e Minerva; Hippothoon allevato da una cavalla; Menelao che cerca di assalire Elena alla presenza di Afrodite; votazione contro Oreste matricida alla presenza di Minerva; nascita di Pegaso e Chrysaor dalla Gorgone), scene a quattro o più figure (Dioniso, Semele, Apollo e Satiro; Dioniso e Sileno con pantera e due piccoli Sileni; Dioniso assiso con Sileno, Menade e Eracle o Pan; Nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus; Peleo e Teti). Si tratta di motivi decorativi di carattere apotropaico, con allusione alla sfera dionisiaca (a conferma dello stretto legame del monile con i rituali di passaggio) e di carattere mitologico, questi ultimi con stretti contatti iconografici con le scene presenti sugli specchi, fatto dovuto forse alla ricerca di modelli adattabili a superfici circolari, soprattutto nel caso di composizioni a più figure. I temi mitologici alludono alla sfera militare e alla lotta tra la vita e la morte; alla sfera funeraria possono essere ricondotte le scene di ratto e di inseguimento e di viaggio. I pochi contesti noti sembrano indicare la pertinenza delle bulle a sepolture femminili, anche se non è sempre noto se esse fossero indossate singolarmente o in composizione a collana. Non facile risulta stabilire se la bulla, che presenta ampia varietà dimensionale da 1,3 a 6,9 cm, fosse stata utilizzata come pendente di collana o di armilla. Gli esemplari più antichi mostrano diam. inferiore (1-2 cm) e chiusura a tappo per racchiudere “il contenuto”, le bulle vulcenti si attestano intorno ai 5-6 cm, mentre sopra i 6 cm si attestano alcuni esemplari populoniesi, vulcenti e da Monte Petrano (Cagli). 

 

       Il terzo capitolo è dedicato all’analisi dei Contesti. Essi sono, purtroppo, pochissimi e riferibili per lo più ad aree anetrusche come il Piceno, dal momento che le bulle rinvenute in Etruria, oggetto di collezionismo e di commercio antiquario, sono state separate sin dallo scavo o poco dopo dagli oggetti deposti con esse nei corredi funerari. Per quanto riguarda l’Etruria l’autrice segnala alcune tombe della necropoli di San Cerbone a Populonia, femminili, datate alla fine del IV-inizi del III sec. a.C. Tra di esse sembra particolarmente interessante la tomba a fossa 1/1922 nella quale la bulla fu rinvenuta sul petto. Seguono i contesti di tombe di Montepitti, Casole d’Elsa e di Tarquinia, della tomba 1 di Poggio del Cavalluccio pertinente ad un defunta della gens Camna (forse di nome Ramtha, vista la presenza all’interno di un anello aureo dell’iscrizione di possesso Ramthas), della tomba femminile di Ripagretta scavata dai fratelli Marzi. Chiude il quadro dell’Etruria il contesto della tomba femminile del Museo Gregoriano Etrusco della prima metà del IV sec. a.C. Per il Latium vetus si segnala il rinvenimento di una bulla aurea sul petto della giovinetta sepolta nella tomba della necropoli Lo Campo a Praeneste (1° seppellimento, 1° fossa), nella tomba I della necropoli della Peschiera a Todi, anch’essa femminile, con due bulle di produzione vulcente inserite in una collana. Più corposo appare il numero dei contesti di rinvenimento di bulle auree in area medio-adriatica: Atri, S. Paolina di Filottrano (tombe 1 e 2, IX, XI, XX, XXI), San Filippo di Osimo (tombe 4, 9) e Montefortino d’Arcevia (tomba XX). I contesti medio-adriatici pongono in evidenza le scelte di autorappresentazione delle classi dominanti: alcuni monili, seppur di provenienza allotria, sembrano integrati nel costume locale con il loro originario significato, oppure esso viene modificato in parte o in toto, privilegiando gli aspetti esornativi per sottolineare lo status della destinataria.  L’unica bulla rinvenuta in Campania, nell’Heraion alla foce del Sele, proviene da un contesto votivo legato al mundus muliebris. Infine dalla Corsica (tombe 87 e 92 di Aléria) provengono bulle auree etrusche riferite all’autrice a produzione populoniese. Nelle conclusioni desunte dall’esame dei contesti emerge la nascita della produzione alla fine del VI sec. a.C., con una diffusione ancora limitata nel corso del V sec. a.C., un incremento notevole dagli inizi del IV e per tutto il secolo fino agli inizi del III sec. a.C., quando la produzione sembra cessare a causa delle mutate ideologie sottese al suo uso o al nuovo rigore funerario connesso alla romanizzazione del territorio. Dall’analisi dei pochi contesti sicuri di rinvenimento emerge che la bulla era riservata a persone di sesso femminile laddove dalle fonti iconografiche invece si evidenzia l’uso di bulle per collane ed armille da parte di entrambi i sessi. Nel periodo di massima diffusione, il IV sec. a.C., la bulla sembra non aver ancora assunto la connotazione esclusivamente infantile che acquisterà con la piena romanizzazione. Il IV capitolo sulle Attestazioni iconografiche mette in evidenza l’importanza di queste ultime nello studio delle bulle dal momento che spesso, soprattutto nella coroplastica, le riproduzioni sono così fedeli da poter essere considerate veri e propri calchi da oreficerie reali. Inoltre tali fonti attestano il passaggio da collane a più bulle, documentate dalla fine del VI-inizi del V sec. a.C, a collane con un unico pendente dalla metà del V e, più diffusamente, dall’inizio del IV sec. a.C., e l’associazione tra bulle a corone funerarie, ipoteticamente collegata ad adepti ai culti misterici, in particolare legati al Dionisismo. Segue l’analisi delle fonti iconografiche della collana con una sola bulla e armille con più bulle costituite da bronzetti, coroplastica, specchi, terrecotte votive, ceramica etrusca a figure rosse, pittura funeraria e urne. Il monile nelle attestazioni iconografiche sembra riferibile sia a donne che a uomini (soprattutto eroi e divinità). L’autrice, in merito ad alcune fonti letterarie piuttosto contraddittorie, ritiene che nulla vieti di pensare che le bulle possano, magari insieme ad altri monili, avere svolto un ruolo nel rituale di passaggio all’età adulta delle fanciulle. Secondo l’autrice l’armilla con più bulle avrebbe una valenza talismanica piuttosto che atletica o militare, come sostenuto da vari studiosi, poiché le fonti iconografiche documentano l’offerta di tale monile ad eroi del mito. Non sorprende la presenza di armille con più bulle in raffigurazioni di Turan, figura emblematica della simbologia nuziale, spesso collegata ai rituali di passaggio all’età adulta. Nelle collane a targhetta, dotate di bulle, delle quali non si ha finora alcuna attestazione archeologica ma solo iconografica, l’autrice vede un collegamento con i culti demetriaci e, in particolare, di quelle divinità di tipo misterico che un importante ruolo sembrano aver assolto nei rituali di passaggio all’età adulta e al matrimonio. Anche se le bulle non sembrano documentate archeologicamente dopo gli inizi del III sec. a.C. esse risultano presenti in collane a più bulle per tutto il secolo raffigurate, pur se sporadicamente, nei sarcofagi femminili e in urne maschili con un pregnante valore eroizzante. Breve spazio è dedicato anche, in appendice, alle raffigurazioni di bulle ovali e trapezoidali sulle statue votive da Lavinium e Ardea che trovano confronti con bulle auree prive di provenienza conservate nel Museo Gregoriano Etrusco e presso la Bibliothèque Nationale.

 

       Il Catalogo raccoglie un totale di 131 bulle (alcune multiple in collana) suddivise per Gruppi (I, bulle discoidali bivalvi; II, bulle ghiandiformi; III, configurate), e, a loro volta, divisi per tipo (in base alla forma dell’appiccagnolo) e decorazione. Per completezza di informazione sono stati inseriti dall’autrice nel Gruppo I anche tre esemplari unanimemente considerati falsi. Chiudono il volume delle brevi Conclusioni nelle quali l’autrice fissa alcuni punti fondamentali nell’evoluzione dell’uso della bulla aurea in Etruria: tra l’inizio dell’età del ferro e l’Orientalizzante antico, decorata con motivi legati alla simbologia lunare o astrale, sembra destinata principalmente ad infanti di entrambi i sessi; dopo la cesura dell’età arcaica torna in voga tra fine VI-inizi del V sec. a.C. in composizioni multiple destinate ad adulti e, per quanto riguarda le testimonianze iconografiche, a partire dal III sec. a.C. sembra perdurare nella sfera femminile. Nei contesti funerari la bulla sembra essere prerogativa di individui di sesso femminile (non è possibile stabilire per carenza di dati se infanti o adulti) fino alla prima metà del III sec. a.C. per poi scomparire, forse a causa della progressiva romanizzazione del territorio. In concomitanza con essa sembra cessare anche la raffigurazione di armille con più bulle, indossate quasi sempre al braccio sinistro, con valore di talismano da parte di eroi greci e divinità reinterpretati in chiave locale proprio attraverso l’uso di questo monile. Le bulle sembrano mostrare una connessione con la sfera femminile nelle frequenti scene di toilette o di carattere nuziale spesso in relazione con Turan ed Elina, figure legate ai passaggi di stato all’età adulta e con Dioniso, che sembra aver avuto un ruolo nel rituale matrimoniale. L’autrice non esclude che, oltre alla valenza apotropaica e talismanica, i monili a più bulle abbiano connotato uno status particolare legato a forme di religiosità che prevedono concezioni salvifiche con connessa eroizzazione; dunque la bulla sarebbe stata un ornamento caro agli adepti del culto bacchico o di culti misterici. Dal momento che l’uso della bulla singola da parte di giovani o di figure legate ai culti bacchici compare nelle fonti iconografiche etrusche anche prima della romanizzazione, l’autrice ritiene di poter confutare la tesi di M.-L. Haack secondo la quale dal mondo etrusco l’uso di questo monile, ancora puramente ornamentale, sarebbe passato al mondo romano che a sua volta lo avrebbe trasferito all’Etruria ormai romanizzata con il nuovo significato simbolico di attributo del puer. Le città del Latium vetus, tranne Roma per la quale al momento mancano testimonianze archeologiche dell’uso precoce della bulla, sembrano assimilare la moda etrusca e seguire uno sviluppo parallelo del significato ideologico-religioso del monile. Dopo la romanizzazione, la limitazione nell’ostentazione funeraria porterà alla scomparsa delle bulle auree dai corredi funerari e all’uso della bulla singola in relazione alla sfera infantile.

 

       La monografia occupa un posto importante nella produzione scientifica poiché costituisce uno studio completo che tratta gli aspetti principali di questa classe di oreficerie. Utile sarebbe stata, a nostro avviso, anche la trattazione dell’aspetto tecnologico della produzione. Il contenuto delle bulle con appiccagnolo a tappo (definito «una certa quantità di sostanza») al quale si accenna (pp. 32 e 50), non risulta trattato. Com’è noto, finora è stato proposto che alcune bulle contenessero essenze profumate. Sebbene la suddivisione delle fonti iconografiche della bulla per tipologia (singola o multipla) abbia una coerenza interna, un raggruppamento per periodi cronologici avrebbe consentito forse di valutare la differenza di uso nello stesso torno di tempo e di approfondirne il significato. Della accennata cesura rilevabile nell’uso della bulla nell’arcaismo (pp. 3, 7, 143) non appaiono chiaramente definiti i motivi o, quanto meno, non vengono evidenziate le ragioni che ne ostacolano la loro individuazione. Escluderei la limitazione nell’ostentazione funeraria dal momento che in età arcaica in Etruria esiste una vasta produzione di oreficerie che sono state rinvenute nei contesti funerari. La netta diminuzione di gioielli nei corredi che si riscontra solo nella prima metà, ma non nella seconda, del VI sec. a.C. è stata giustamente ricondotta all’affermazione di un forte potere politico centralizzato, che tende ad impiegare dinamicamente le ricchezze. Per quanto riguarda la struttura del volume, sarebbe stata forse preferibile la disposizione del paragrafo sulle fonti iconografiche sulle bulle multiple prima di quello sulla bulla singola, dal momento che la prima produzione sembra precedere cronologicamente la seconda. Trattandosi di una monografia su una classe di monili, sarebbe stata auspicabile la pubblicazione della documentazione fotografica o grafica di tutti gli esemplari catalogati, anche quella delle bulle non più rintracciabili, inedite o giudicate false (I.20, I.27, I.31, I.35, I.46, I.49, I.51.1-3; I.53bis.1-5, I.65-66, I.73, II.11, II.13, II.15, II.21-22, III.1, NC.6, NC.17, NC. 24, NC. 27 e Appendice 1-3). In generale l’opera, realizzata da studiosa esperta di oreficeria etrusca della quale ha analizzato molti aspetti e alla quale ha dedicato vari lavori scientifici, apporta un contributo sostanziale al progresso degli studi nel campo etruscologico.

 

 

Sommario

 

Introduzione

 

I.          La bulla nelle fonti storiche e letterarie

Appendice: Le fonti storiche e letterarie

 

II.         Tipologia

Gruppo I

Gruppo II

Gruppo III

Distribuzione topografica

Motivi decorativi

Dimensioni

 

III.        I contesti

Etruria

Lazio

Umbria

Area medio-adriatica

Campania

Corsica

Conclusioni

1.         Cronologia

2.         Composizione dei corredi

 

IV.        Le attestazioni iconografiche

La bulla come pendente isolato

Le composizioni a più bulle

Appendice: bulle ovali e trapezoidali

Catalogo

 

Conclusioni

Riferimenti bibliografici

Indice dei musei

Indice delle provenienze

Referenze delle illustrazioni

Tavole