Parisini, Laura : Notus in arte sua. Lavoro e identità sociale nella documentazione epigrafica dei professionisti del lusso di Roma, (DISCI - Storia Antica, 07), 116 p., 170 × 240 mm, Brossura, ISBN : 9788869237577, 20,00 €
(Bononia University Press, Bologna 2021)
 
Compte rendu par Paolo Bonini
 
Nombre de mots : 1497 mots
Publié en ligne le 2022-12-29
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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       Nel mondo classico l’invenzione del lusso come strumento per esibire uno status affonda le sue radici negli ambienti delle aristocrazie ellenistiche, ma trova un fertile terreno di proliferazione nella Roma della tarda età repubblicana. Sia su base archeologica sia su base letteraria, il fenomeno è stato ampiamente indagato dalla prospettiva della committenza, che si circonda di oggetti preziosi nella vita quotidiana e ne fa sfoggio anche in pubblico ai fini dell’autorappresentazione. Attraverso il lusso i grandi imperatores della tarda repubblica affermano agli occhi dei concittadini la loro incontrastata superiorità, avvicinandosi per lo sfarzoso stile di vita proprio a quei monarchi orientali che essi avevano sconfitto in nome di Roma. La natura competitiva della società romana, oltre alla relativa mobilità che in essa è possibile, innesca poi un vero e proprio meccanismo di emulazione presso i ceti subalterni, i quali ambiscono a quel benessere e vagheggiano almeno una parziale partecipazione a quel privilegio.

 

       La crescente richiesta di arte suntuaria, dunque, promuove e sostiene anche in Italia una fiorente produzione: ai lavoratori di questo settore è dedicato il breve saggio di Laura Parisini, che offre un contributo interessante al dibattito. In primo luogo poiché, in un certo senso, ne ribalta la prospettiva consueta e indaga il fenomeno “dal basso”; esamina cioè i documenti epigrafici lasciati dalle maestranze che erano impegnate nell’industria del lusso, restituendo così consistenza storica a tutti quegli uomini e quelle donne, altrimenti sconosciuti, che mettevano la propria competenza professionale e la propria abilità artigianale a disposizione delle élites. In questa prospettiva l’autrice si colloca nel solco, da qualche tempo ormai ben tracciato, dell’epigrafia dei mestieri, ma interroga la documentazione disponibile per la città di Roma adottando una chiave di lettura peculiare, che assume per sé gli strumenti e le finalità della psicologia sociale. È proprio questo il dato di originalità che, giustamente, Laura Parisini rivendica al suo lavoro fin dalla premessa (pp. 9-10): utilizzare il testo scritto come segno rivelatore della mentalità dei ceti subalterni e dei condizionamenti cui essi andavano incontro nel rapportarsi quotidianamente agli aristocratici e, fatalmente, ai pregiudizi di cui questi ultimi erano portatori.

 

       Il primo capitolo (pp. 11-33) funge da ampia introduzione generale all’argomento di studio, come indica chiaramente il titolo “L’epigrafia dei mestieri nel mondo romano”. L’autrice prende le mosse da alcune considerazioni sulla comunicazione epigrafica come fenomeno di costume, suggestivamente esemplificato attraverso il comportamento del celebre Trimalchione petroniano, che immagina il suo monumento funebre e durante la ben nota cena fornisce richieste dettagliate all’amico Abinna, marmista incaricato dei lavori. Il ricchissimo liberto è un personaggio di fantasia, ma per suo tramite Petronio ci offre uno specchio credibile, pur amplificato e deformato in chiave parodica, dei tanti nuovi arricchiti che popolano l’Urbe nella prima età imperiale: nel capitolo successivo ne incontreremo qualcuno di realmente esistito. Del resto, la consuetudine aristocratica all’epigrafia, quale strumento per tramandare la memoria di sé, si diffonde progressivamente anche presso ceti benestanti ma socialmente inferiori. Nel patrimonio epigrafico, in generale, la menzione dei mestieri è relativamente rara: una reticenza che è probabile sia influenzata dal pregiudizio, tanto radicato nella mentalità romana, che svilisce il lavoro manuale condannandolo come attività indecorosa per un uomo libero. Sembra dunque degno di attenzione il fatto che la categoria professionale più spesso documentata sia proprio quella che riunisce i lavoratori impegnati in produzioni esclusive per raffinatezza e preziosità dei materiali. Attraverso un uso ben calibrato delle fonti letterarie e di quelle epigrafiche, l’autrice compone un quadro generale articolato e coerente, entro il quale si accinge poi a collocare i risultati della sua ricerca.

 

       Il secondo capitolo (pp. 35-79) entra, infatti, nel merito della questione analizzando i testi epigrafici selezionati e costituisce la parte più corposa del saggio, che avrebbe forse meritato una scansione in paragrafi per rendere al lettore più perspicua la struttura del discorso. Il titolo dopotutto, “Orgoglio, pregiudizi ed etica del lavoro nella documentazione epigrafica dei professionisti del lusso a Roma”, rende ragione del numero e della varietà dei temi toccati proprio a partire dall’esame dettagliato delle singole iscrizioni. Non potendo, naturalmente per ragioni di spazio, seguire passo passo l’intero ragionamento sviluppato dall’autrice, varrà la pena focalizzarne alcuni punti essenziali.

 

       La discussione prende avvio dal constatare che la massima parte dei testi epigrafici che documentano i lavoratori del lusso a Roma appartiene alla sfera funeraria o a quella votiva, mentre sono piuttosto rare le dediche di tipo onorario. Il dato di per sé non stupisce, considerata la bassa condizione sociale dei lavoratori, perciò appare ancor più degna di attenzione la sorte dei primi due personaggi direttamente presentati al lettore: il margaritarius M’. Poblicius Hilarus (CIL VI, 30973) e il negotiator sericarius A. Plutius Epaphroditus (CIL XIV, 2793). I due uomini, infatti, condividono una condizione di particolare successo che li rende facoltosi e non meno ambiziosi, come testimonia la loro intensa attività evergetica, attraverso la quale ostentano orgoglio professionale e cercano di garantire alla propria discendenza un ruolo sociale di qualche rilievo. Proprio il tentativo di promuovere l’immagine e la stime dei lavoratori ricchi, ma esclusi da una carriera politica regolare, sembra essere la finalità primaria dei vari collegia, associazioni regolari che riuniscono orefici, gioiellieri, ebanisti, profumieri e altre professionalità del lusso, come si vanno strutturando nell’Urbe fin dalla seconda metà del II secolo a.C. Ampio spazio è poi dedicato alla condizione femminile, un tema intorno al quale in anni recenti molti studi sono fioriti; anche in questo caso, però, la peculiarità della discussione non consiste tanto nel tracciare il quadro delle condizioni lavorative al femminile, un quadro che comunque emerge in modo nitido, quanto piuttosto nel riconoscere fino a che punto pesi, nell’immagine che le ricche imprenditrici offrono di sé, il modello aristocratico tradizionale della materfamilias. Il pregiudizio, tuttavia, colpisce naturalmente anche gli uomini: il margaritarius C. Atilius Euhodos, liberto di un Serranius, tradisce nell’iscrizione CIL VI, 9545 una volontà ambivalente: da un lato, esibire l’orgoglio per i successi conseguiti attraverso il duro lavoro; dall’altro, mostrarsi allineato ai canoni dell’ideologia aristocratica nel rivendicare per sé le virtù morali riconosciute come proprie del buon cittadino. Altrettanto interessante è il quadro che si compone in rapporto al lavoro minorile: esaltare il talento di un piccolo lavoratore sembra assumere un valore consolatorio per i genitori, quando lo colpisca una morte prematura. Pur a distanza di secoli, vicende personali del genere, così toccanti, non lasciano indifferente il lettore moderno e non sarà, forse, un caso che l’autrice abbia tratto il titolo del volume proprio dall’epitaffio metrico CIL VI, 6182, un tempo collocato sulla tomba di un ricamatore morto all’età di soli tredici anni. Il fatto poi che si ricorra, in certi casi, ad iscrizioni metriche e si scrivano testi allusivi a passi celebri della letteratura lascia intendere quanto incidesse, ancora una volta, l’ideale aristocratico legato all’uomo di cultura, al quale guardano come modello anche quanti si sono arricchiti attraverso artigianato e commercio. Vale la pena, infine, menzionare senz’altro quanto spesso i lavoratori del lusso tengano a precisare dove si trovasse la loro sede: sacra via, vicus tuscus, vicus iugarius sono solo alcuni dei rimandi alle zone, centralissime e alla moda, dove i professionisti più qualificati tengono a collocare la propria sede; anche attraverso una precisa “topografia del lusso”, che caratterizza l’Urbe antica forse non troppo diversamente da quella contemporanea, i lavoratori più facoltosi esibiscono un prestigio negato loro in altri ambiti, quasi fosse un vero e proprio riscatto sociale.

 

       Segue, come terzo capitolo, il catalogo delle epigrafi esaminate (pp. 81-93), redatto in forma di tabella per agevolarne la consultazione e preceduto da una breve nota che ne chiarisce i principi sottesi e i simboli impiegati. In ordine alfabetico, sfilano dunque davanti agli occhi del lettore le identità professionali documentate da uno o più individui in iscrizioni che, come detto, appartengono in gran parte all’ambito funerario. Questo elenco, è l’autrice stessa a sottolinearlo, non ha alcuna pretesa di esaustività: piuttosto rappresenta una selezione di testi giudicati particolarmente significativi come espressione della mentalità sociale di cui i lavoratori del lusso si fanno interpreti.

 

       Le scarne conclusioni (pp. 95-96) riprendono in forma schematica i risultati conseguiti dalla ricerca in termini di condizioni materiali e mentalità diffusi a Roma fra le maestranze del lusso in epoca tardorepubblicana ed alto imperiale: una disponibilità economica sufficiente per avere accesso all’epigrafia lapidaria come strumento per dare perpetua rappresentazione di sé; la connotazione positiva attribuita al lavoro, che induce i professionisti a dichiarare con orgoglio l’attività svolta; la persistenza, al contempo, dei pregiudizi di matrice aristocratica rispetto alle attività manuali e a scopo di lucro.

 

       Chiude il volume la Bibliografia (pp. 97-114), alla quale sarebbe forse stato utile aggiungere anche l’elenco dei passi letterari citati. 

 

       Il lavoro di Laura Parisini documenta, dunque, il valore identitario che il lavoro assume agli occhi dei professionisti del lusso attivi nell’Urbe e conferma, ancora una volta, quanto il patrimonio epigrafico rappresenti una fonte imprescindibile per indagare la realtà sociale e la mentalità dei ceti subalterni dell’antica Roma.