Brancazi, Beatrice : Figure dal sottosuolo. Cencelle V. Figure dal sottosuolo. I motivi decorativi della Maiolica Arcaica da Cencelle (PAST - Percorsi Strumenti e Temi di Archeologia, 9), 351 p., 21x29,7 cm, ISBN : 978-88-5491-168-0, 35,00 €
(Edizioni Quasar, Roma 2021)
 
Compte rendu par Luca Pesante
 
Nombre de mots : 3627 mots
Publié en ligne le 2023-02-14
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=4525
Lien pour commander ce livre
 
 

       Il volume qui preso in esame rappresenta una novità negli studi sulla ceramica medievale italiana e al contempo un significativo ed emblematico risultato dei progressi che la scuola di archeologia medievale della Sapienza Università di Roma ha acquisito nell’ultimo decennio.

       

       Si tratta di una sintesi del lavoro svolto dall’Autrice nell’ambito di un dottorato di ricerca dal titolo: I motivi decorativi delle ceramiche rivestite basso medievali di area alto laziale a partire dalla Maiolica Arcaica di Cencelle (VT) conseguito presso l’Ateneo romano. Un tema mai affrontato nell’ambito delle produzioni ceramiche medievali che può essere considerato come un punto di svolta nella tradizione degli studi sull’argomento. Se per la maiolica d’Età moderna, dal secolo scorso ormai, si è raggiunta una profondità d’analisi in grado di porre sul medesimo piano di ricerca e allo stesso livello di indagine ogni forma d’arte contemporanea, per la Maiolica arcaica ancora mancava una lettura critica del valore estetico, delle tecniche artistiche, alla base del suo successo, che rendesse possibile analisi comparative con altre forme d'arte e una sua reale contestualizzazione storica.

 

       Nella incerta e mutevole tassonomia che finora ha confinato la maiolica medievale in un terreno infido e malsicuro, un primo necessario punto fermo – per nulla scontato – che l’Autrice segna fin dalla copertina del volume ci aiuta a mettere le cose in chiaro: la locuzione “maiolica arcaica” sembra finalmente segnare il passaggio dall’accezione ballardiniana di nome comune di cosa a nome proprio, ovvero il nome di una classe ceramica da indicare pertanto con la maiuscola “Maiolica arcaica” o “Maiolica Arcaica”. Nell’ultimo convegno Ceramiche di Roma e del Lazio in Età medievale e moderna (22-23 novembre 2022) consacrato a tale classe di manufatti, scorrendo i titoli degli interventi troviamo quattro varianti della stessa locuzione: Maiolica Arcaica, maiolica arcaica, Maiolica arcaica e – tra virgolette alte, forse ad indicarne un uso inconsueto – “maiolica arcaica”.

 

       Cencelle è una città medievale situata a sud della provincia della Viterbo, non distante dall’antico porto di Civitavecchia, abbandonata secondo le fonti storiche nella seconda metà del XIV secolo, dal 1994 indagata sotto la direzione di Letizia Ermini Pani, fondatrice della scuola romana di Archeologia Medievale. Per mettere in chiaro fin da ora il significato della Maiolica arcaica di Cencelle prendiamo a prestito le parole di Francesca Romana Stasolla che premettono il volume in esame, parole che configurano puntualmente lo straordinario valore storico dei manufatti oggetto della ricerca:

 

       «A Cencelle la maiolica arcaica [stavolta in minuscolo, n.d.r.] è un vero e proprio fossile guida della città comunale, ed esprime nei suoi motivi decorativi la rete delle relazioni della città, la ricchezza dei contatti culturali, lo status dei propri abitanti. La scelta di concentrarsi sui motivi decorativi consente di affacciarsi anche all’immaginario collettivo dei suoi cittadini, all'intreccio delle connessioni culturali […]. Questo volume rappresenta lo sguardo di un’intera città, e dei suoi abitanti, e permette di comprendere quali erano i suoi riferimenti culturali».

 

       Parole dirompenti, che chiudono un ciclo nato con la nascita stessa dell'archeologia medievale. Siamo dunque di fronte ad una capacità di indagine storica davvero straordinaria, auspicata a lungo: è grazie all’archeologia medievale che ci è finalmente possibile penetrare nei meandri delle relazioni umane, fin nell’«immaginario collettivo» di un gruppo sociale vissuto poco meno di un millennio fa e, in questo caso, proprio attraverso il vasellame da tavola e i suoi decori. Un livello di definizione tale che sporadicamente è raggiunto nei casi di studio sulla Età moderna, persino quando si hanno a disposizione cronache, atti notarili, registri amministrativi, diari, atti giudiziari, etc.

 

       Appare evidente come l’opera in esame, che dunque «rappresenta lo sguardo di un’intera città» medievale, segni una mutazione della natura epistemologica della disciplina archeologica, nelle letture formative degli archeologi, nella loro curiosità intellettuale, nel loro linguaggio, nella loro coscienza storica, nell’uso delle fonti, nella loro capacità di fare storia e di scrivere correttamente in lingua italiana: da inutili archeografismi che esaurivano diligentemente i temi di ricerca assegnati mediante serie di grafici costruiti su qualche decina di frammenti o mediante ripetizioni ossessive dei termini “produzione” “consumo” “circolazione”, senza riuscire nemmeno a scalfire la superficie delle società oggetto di studio, finalmente la maiolica medievale è indagata come documento materiale in grado di svelare la «ricchezza dei contatti culturali di una città» e non più come se si avesse a che fare – nei casi migliori – con vasellame dell'età del bronzo.

 

       Ora è la percezione estetica del colore nel mondo medievale (e le sue implicazioni psicologiche e culturali) che domina la traiettoria della ricerca. Come altrimenti trovare una ragione al successo dei bacini ceramici maghrebini che con i loro colori e riflessi conquistano e ingemmano (il verbo è di Umberto Scerrato) gli edifici più sacri del paesaggio urbano medievale? O come cogliere il motivo che spinse Duccio di Boninsegna in una formella della sua Maestà a dipingere, tra i protagonisti delle Nozze di Cana, ben tre meravigliosi boccali in Maiolica arcaica?

 

       Ai motivi decorativi della maiolica si riferisce l’esergo che introduce il volume: «Nulla è più necessario del superfluo», attribuito a Oscar Wilde. In realtà l’aforisma parrebbe avvicinarsi non tanto al poeta irlandese «We live in an age when unnecessary things are our only necessities» ma piuttosto al verso di Voltaire: «Le superflu, chose très nécessaire» (Le Mondain, 1736).

 

       Poco più avanti il tema è articolato nella sua complessità – termine molto usato dall’Autrice – stabilendo una chiara e netta distinzione tra «quegli oggetti che hanno senso di esistere in virtù delle decorazioni stesse» studiati «in base al gusto che li ha prodotti» e gli «utensili che posseggono di per sé una loro utilità specifica e il cui abbellimento costituisce essenzialmente un di più. Si tratta in sintesi di utensili che privati delle decorazioni avrebbero lo stesso senso di esistere». Dato per assodato «l’impulso umano di abbellire», segue un’ulteriore e singolare distinzione tra i manufatti «decorati in ambito casalingo» e quelli che rispondono ad una logica di mercato, questi ultimi – oggetto dell'indagine dell’Autrice – «frutto di un’organizzazione complessa che risponde a leggi più estese». Non manca una puntuale riflessione sulla «classe sociale alla quale gli oggetti studiati erano diretti» e i «tentativi emulativi da parte di quelle più basse».

 

       Di grande interesse queste prime considerazioni poiché chiaramente rimandano il lettore alla tradizione della psicologia percettiva di Rudolf Arnheim (1904-2007) che proprio all’interno di un capitolo da lui significativamente intitolato «Non c’è arte senza funzione» propone «l’esempio di una brocca o di una scodella di ceramica» che «combinano le funzioni del ricevere, del contenere ma simboleggiano visivamente anche i diversi stati d’animo del mangiare e del bere. […] l’oggetto non solo assolve alla sua funzione pratica, ma nel suo aspetto visivo esprime anche il modo di vita che lo ha inventato. Il lavoro pratico in architettura o nella ceramica rimane un vago gioco di configurazioni se non lo si comprende nel contesto dello stile di vita al quale è destinato» (Pensieri sull’educazione artistica).

 

       Ecco che, grazie alla complessa indagine sui motivi decorativi della Maiolica arcaica da Cencelle e sulla psicologia percettiva che ne regola la fortuna, diviene subito evidente come lo «stato d’animo» diventi una categoria archeologica attraverso la quale ricostruire la cultura materiale di una società del passato. L’archeologia medievale, vale forse la pena ribadirlo, si arricchisce dunque di categorie interpretative che sondano nel profondo la natura antropologica dell’uomo che siamo, e di dottrine e modelli in grado di interpretare le politiche economiche del passato.

 

       Con grande fermezza (e una certa fierezza, ci sembra di cogliere tra le righe) l’Autrice, già nelle prime pagine, rimarca la distanza della propria disciplina dall’«antiquariato» (p. 12). «Da questo tipo di approccio ci si è voluti distaccare» – afferma – anche perché soltanto lo studio dei materiali archeologici permette di indagare «il grado di complessità della società che produsse l’oggetto».

 

       Per cercare di approfondire questo nobile intento, ma di non immediata comprensione – dobbiamo confessarlo – siamo andati a scorrere il lemmario del Tommaseo-Bellini, dove però non figura il lemma «antiquariato». Abbiamo invece trovato «antiquario» e la sua declinazione al femminile: nel primo caso la definizione è «che è dotto di antichità, o ne fa professione» nel secondo: «scienza delle antichità».

 

       Inoltre «grazie a tali fenomeni [convegni e nuovi studi archeologici, ovviamente] la ceramica basso medievale è stata svincolata dal collezionismo e il suo studio è divenuto lo studio di uno dei molteplici aspetti della cultura materiale […]», e ancora «è apparso sempre più chiaramente quanto fosse utile un’osservazione dettagliata di quelle immagini svincolata da uno sguardo puramente artistico e antiquario» (p. 15). Si ribadisce dunque, se ce ne fosse bisogno, il primato della capacità indagatrice dell'archeologia medievale, la sola in grado di svelare la complessità sociale, economica e culturale di un determinato gruppo sociale (con buona pace degli antiquari, medici, farmacisti, botanici, notai, architetti, vigili urbani, che nel secolo scorso hanno tentato di scrivere di maiolica medievale e moderna).

 

       Troviamo comunque di grande interesse la ripresa che compie l’Autrice di un antico dibattito che oppose e spesso giustappose storici e antiquari, superando per certi versi la definizione che A. Momigliano (Ancient History and the Antiquarian, 1950) diede circa gli elementi che caratterizzavano l’antiquaria rispetto alla restante letteratura sull’antichità: «gli storici scrivono in ordine cronologico, gli antiquari in ordine sistematico; gli storici presentano i fatti che servono a illustrare o a spiegare una certa situazione, gli antiquari raccolgono tutte le voci connesse a un certo soggetto, aiutino o no a risolvere un problema». In passato gli antiquari si mossero in una dimensione antropologica elevata ad altissimi livelli di esegesi da Winckelmann, egli stesso acerrimo critico della cultura antiquaria contemporanea. Interessante, dunque, e tutta da approfondire questa netta volontà dell’Autrice di escludere lo «sguardo puramente artistico e antiquario» (così come denso di significati ci sembra l'accostamento dei due aggettivi “artistico” e “antiquario”) a favore dello sguardo dell’archeologia medievale.

 

       All’introduzione segue il primo capitolo dedicato a Il contesto: l’alto Lazio e Cencelle dove si articola un dettagliato «inquadramento geopolitico» in base alla «fitta compresenza di poteri» dei quali «il primo di essi è senza ombra di dubbio il papato che, radicato a ridosso dell’Urbe, risulta ramificato a macchia di leopardo sul territorio alto laziale», dove il sito Cencelle è situato, oggi nel territorio del comune di Tarquinia (VT).

 

       Alle pp. 33-35 si avanza un’interessante ipotesi sui due termini figulo e vascellario che invece di due sinonimi per indicare la medesima professione – come credevamo – potrebbero far riferimento a due ruoli distinti; inoltre, il secondo termine più diffusamente usato nei documenti orvietani potrebbe rappresentare un indicatore della diffusione della Maiolica Arcaica orvietana sul territorio. Così come particolarmente suggestiva è l’ipotesi secondo la quale «osservando tali produzioni grazie ai rinvenimenti archeologici è inoltre possibile constatare come la ricercatezza delle forme e delle decorazioni potesse essere il frutto di un importante investimento da parte dei vasai al fine di invogliare i clienti a comprare […]» trasformando «la ceramica da bene d’uso a bene di consumo» (p. 37).

 

       Si noti come opportunamente l’Autrice impieghi anche in questo caso un linguaggio proprio dell’archeologia medievale più recente, ben distinto dalla narrativa antiquaria di poco momento. Tuttavia il rigore del lessico non le evita un piccolo fraintendimento interpretativo: a p. 40 si afferma che «verso la fine del Quattrocento – il termine maiolica – andò ad includere tutte le ceramiche rivestite con copertura stannifera». In realtà soltanto intorno alla metà del secolo successivo l’area semantica del termine si amplia fino a raggiungere l’accezione dell’italiano moderno, che ne fa uso in riferimento a qualsiasi manufatto di terracotta “invetriata” mediante smalto stannifero, lustrato o meno.

 

       Nel secondo capitolo, La Maiolica Arcaica di Cencelle, sono presi in considerazione nel dettaglio i contesti dei settori scavati, il repertorio morfologico delle maioliche rinvenute e i motivi decorativi della stessa maiolica. Mentre il terzo capitolo è dedicato ai decori della Maiolica arcaica alto laziale e orvietana.

 

       A p. 133, l’Autrice lamenta il fatto che a fronte di una schedatura dei materiali di Cencelle corredata di tavole morfologiche e disegni archeologici, per i materiali di confronto alto laziali editi «varia e disomogenea risulta essere la terminologia utilizzata […] persino in relazione alla nomenclatura di base stessa». Pertanto appare totalmente condivisibile (p. 64) l’intento di riferirsi, per quanto riguarda il catalogo morfologico, alla nomenclatura proposta nel 2010 nel primo volume dei materiali della Crypta Balbi, lavoro che ancora oggi rappresenta un solido punto di riferimento nella edizione di ceramiche medievali. Tuttavia evidenziamo che una stessa forma è nel catalogo della Crypta (p. 103, nn. 1-2; p. 104) definita come “brocca” e nei materiali di Cencelle come “boccale” (p. 65, figg. 33-34).

 

       Nel II e III capitolo è elaborata un’articolata classificazione dei motivi decorativi delle ceramiche di Cencelle, di alcune raccolte pubbliche e private del viterbese e di Orvieto. Essa rappresenta un modello al quale si dovrà fare riferimento in futuro per ogni studio sui motivi decorativi della maiolica medievale umbro-laziale. A titolo di esempio della loro varietà se ne citano alcuni impiegati dall’Autrice nelle schede:

 

- Uccello con collo lungo

- Fiore con petali variamente lobati

- Motivi riempi-vuoto sparsi

- Sequenza a raggera

- Volatili di piccola taglia di profilo

- Lepri balzanti

- Cani con il volto rivolto all'indietro

- Pesci a campitura piena con pinne piccole

- Motivi legati all'uomo

- Profili femminili con cuffietta

- Motivi immaginari

 

       Il paradigma indiziario, ovvero la chiave interpretativa del rapporto tra i motivi primari e secondari della maiolica, è indicato nell’introduzione: «se i motivi principali e centrali appaiono maggiormente influenzati da volontà specifiche e “personali”, quelli secondari e marginali sono invece ovvi indicatori del contesto culturale nel quale il vasaio è inserito» (p. 19). Dunque un interessante ribaltamento del modello analitico morelliano (e freudiano), al quale l’Autrice adombra senza citarlo, dove si proponeva che proprio nel dettaglio eccentrico delle opere d’arte (forma dell’orecchio, delle unghie, etc.) confluisse la libera e individuale personalità dell’autore.

 

       La metà circa dei materiali studiati proviene da raccolte costituite con un gusto esclusivamente “antiquario” negli anni ‘60-‘80 del secolo scorso mediante scavi irregolari (o se vogliamo illegali e clandestini) di butti all’interno delle città di Viterbo, Tuscania e altri piccoli centri della provincia viterbese, talvolta restaurati dai collezionisti stessi. Il volume di Guido Mazza ampiamente citato dall’Autrice (La ceramica medioevale di Viterbo e dell’Alto Lazio, Viterbo 1983) raccoglie tali ceramiche conservate in diverse raccolte private, tra le quali si segnalano le collezioni viterbesi Miralli, Mattioni, Mazza. Si ricorda inoltre che al loro interno non mancano pezzi falsi, realizzati da vasai di Tarquinia, Viterbo e Valentano per lo più negli anni ‘70-‘90 del Novecento, sia di Maiolica arcaica che di Zaffera a rilievo.

 

       Nella trattazione non sono mai citate le due più belle (aggettivo da intendersi nella sua accezione “archeologica”) Maioliche arcaiche mai rinvenute nell’alto Lazio, ovvero il grande catino con scena d’amore profano dal deposito di S. Agostino in Acquapendente (i materiali del quale sono però presi in esame nel III capitolo) e la grande olla con arpia e sirena bicaudata proveniente da Viterbo e oggi nel Museo del Vino di Torgiano (PG). Si tratta di ceramiche di importanza decisiva per la comprensione dei motivi decorativi della maiolica alto laziale: il catino di Acquapendente mostra una complessa scena animata densa di implicazioni culturali, perfino corredata da una lunga iscrizione: straordinario unicum nel panorama della maiolica medievale italiana che da solo meriterebbe un approfondimento monografico.

 

       Stessa sorte, se si esclude un breve passaggio nell’introduzione a p. 20, è riservata ad un bacino rinvenuto proprio negli scavi di Cencelle e nel 1998 oggetto di un articolo di Letizia Ermini Pani all’interno del volume Le ceramiche di Roma e del Lazio in Età medievale e Moderna III, decorato con una testa maschile coronata e appunto «per il suo particolare programma decorativo» scelto dalla Ermini Pani per una trattazione separata. Non è da escludere che tale assenza rimandi ad una scelta particolare dell’Autrice dettata da puntuali e significative ragioni che per ora, ad una prima lettura del volume, ci sfuggono.

 

       È invece inserita nel repertorio dei Motivi decorativi di Cencelle nella panoramica alto laziale la raccolta orvietana costituita dal noto agrimensore Giulio Del Pelo Pardi (1872-1952), celebrato da Ezra Pound in tre dei suoi Cantos e in alcuni articoli sul Meridiano di Roma, oggetto di una mostra nel Museo del Palazzo di Venezia nel 2001. Si tratta di ceramiche scavate e acquistate ad Orvieto quasi un secolo fa che segnano con evidenza la distinzione morfologica e decorativa con la Maiolica arcaica viterbese. Un approfondimento di tale distinzione avrebbe certamente contribuito a definire i due differenti orizzonti culturali che sottendono il parallelo e dissimile sviluppo della Maiolica arcaica orvietana e viterbese, e forse avrebbe chiarito maggiormente come le produzioni individuali aquesiane e di Cencelle si inseriscano in questo contesto.

 

       Crediamo sia bene ripetere come ancora oggi nel Lazio non esista alcun deposito archeologico, scavato come le migliori scuole di archeologia insegnano, in grado di fornire una scansione cronologica dell’origine e sviluppo della prima maiolica con un’approssimazione – nei casi migliori – inferiore al mezzo secolo. Al contrario, molto spesso l’incerta datazione della maiolica rinvenuta è impiegata per la datazione dei contesti, con riferimenti comparativi a materiali dalla datazione ancora più incerta. La Maiolica arcaica orvietana e viterbese, molta della quale scavata prima ancora della nascita dell’archeologia medievale italiana con un approccio spesso “antiquario”, è ancora ben lungi dall’essere inserita in un quadro cronologico definito e coerente. La situazione non cambia di molto quando i materiali provengono da “contesti” scavati con metodi archeologici.

 

       I più affidabili riferimenti cronologici relativi alla maiolica medievale sono ancora le ceramiche mai entrate in un deposito archeologico, ovvero i bacini applicati sulle murature di edifici urbani per lo più religiosi.

 

       Nelle conclusioni (capitolo IV), al momento di riannodare i molti fili della ricerca, si avanzano ipotesi estremamente originali e interessanti che ampliano ulteriormente il significato storico della maiolica al quale eravamo abituati fin d’ora. Per le tazze con i simboli della passione e con Agnus Dei, praticamente onnipresenti in qualsiasi ritrovamento di Maiolica arcaica umbro-laziale, si avanza la suggestione che possano essere «manufatti con un marcato significato rituale adoperati nell’ambito di culti pubblici e privati», così come di grande interesse è l’ipotesi che la ricorrente decorazione delle ciotole con croci sia da riferire all’ordine dei Templari e che «questi contenitori venissero prodotti nell'ambito dell’ordine stesso, o su commissione del medesimo, e avessero perciò, come per gli stemmi araldici, un ruolo identificativo» (p. 330). Si noti, ancora una volta, le dense e complesse implicazioni storiche che l’Autrice introduce nella sua trattazione, implicazioni che necessariamente guideranno il punto di vista (lo «sguardo») dei futuri studi e che modificano radicalmente le categorie interpretative alle quali eravamo abituati.

 

       Anche sul «ruolo identificativo» dell’araldica sulla ceramica medievale dovremmo rivedere le nostre posizioni avanzate quando ipotizzammo in passato un uso non così raro dei motivi araldici come semplici motivi decorativi, privi di “ruoli identificativi”, pratica alla quale ci era sembrato voler porre rimedio un emendamento dello Statuto dei Vascellari di Orvieto del 1378 che proibiva ai vasai di decorare le loro opere con armi gentilizie se non in caso di precise committenze.

 

       Nella rigorosa struttura del volume sono inseriti tabelle, grafici e disegni di veloce e agevole comprensione. Non è così per le fotografie delle ceramiche dei capitoli II e III, la cui scarsa qualità non permette nella maggior parte dei casi la lettura delle superfici e dei decori. Inoltre rileviamo come un uso singolare della punteggiatura talvolta ostacoli la comprensione del testo, come ad esempio accade a p. 316 secondo capoverso, p. 319 primo capoverso, p. 322 ultimo capoverso, p. 325 secondo capoverso, p. 326.

 

       Viviamo in una stimolante epoca in cui l’archeologia medievale si ritrova senza più maestri, ammesso che la figura del “maestro” abbia oggi ancora senso. Gli ultimi, i padri fondatori stessi della disciplina, ci hanno lasciato molti quesiti aperti, dibattiti intrapresi e non conclusi, fragili strutture su cui appoggiarci, vaghe indicazioni sui percorsi futuri, e senza loro eredi diretti.

 

       In attesa di nuovi fondatori sarebbe molto utile e opportuno insegnare ai giovani archeologi uno sguardo critico sulla realtà che li circonda, a sviluppare una curiosità intelligente, a leggere i classici, a scrivere con un buon controllo delle parole impiegate, ad esprimere idee complesse. Fare storia è cosa seria, senza tutto ciò ogni tentativo di interpretazione storica resta uno sterile «gioco di configurazioni».

 

 

 

Indice

 

Premessa 7

Introduzione 11

Panorama storiografico sull'iconografia della maiolica bassomedievale italiana 15

            Metodi e criteri di ricerca 20

Capitolo I – Il contesto: l'alto Lazio e Cencelle 23

            Inquadramento geopolitico 24

            Assetti socioeconomici e trasformazioni comunali p. 27

            L'arte dei vascellari p. 32

            La produzione di Maiolica Arcaica in area alto laziale p. 37

            Le principali tratte commerciali p. 43

            L'area tolfetana e lo sfruttamento delle miniere di allume p. 46

Capitolo II – La Maiolica Arcaica di Cencelle

            La ceramica studiata. Presentazione generale e prima analisi dei dati p. 49

            Quantità e contesti p. 54

            Catalogo morfologico p. 63

            Tabelle sinottiche dei settori e degli individui rinvenuti p. 89

            I motivi decorativi della Maiolica Arcaica di Cencelle p. 95

            Motivi geometrici p. 97

            Motivi fitomorfi p. 114

            Motivi zoomorfi p. 126

            Motivi antropomorfi, araldici, a lettere gotiche p. 132

Capitolo III – I motivi decorativi di Cencelle nella panoramica alto laziale

            Presentazione dei dati e considerazioni generali p. 133

            Motivi geometrici p. 142

            Motivi fitomorfi p. 193

            Motivi zoomorfi p. 248

            Motivi religiosi p. 270

            Motivi legati all'uomo p. 282

            Motivi araldici p. 288

            Motivi a lettere gotiche p. 301

            Motivi immaginari p. 310

Capitolo IV – Considerazioni conclusive p. 315

Abbreviazioni bibliografiche p. 335

Abstract p. 349