D’Amelio, Maria Grazia : Giovan Lorenzo Bernini e l’oro per il baldacchino di San Pietro (1624-1633). 196 p., ISBN : 8888690255, 38 €
(Argos, Roma 2021)
 
Compte rendu par Daniela del Pesco
 
Nombre de mots : 1921 mots
Publié en ligne le 2022-12-29
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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       Il volume dal titolo Giovan Lorenzo Bernini e l'oro per il baldacchino di San Pietro (1624-1633) include la ristampa anastatica del manoscritto preparato per sottoporre la costosa opera di finitura del baldacchino berniniano all’approvazione di Urbano VIII. Redatto nel 1633, nella fase finale della costruzione, il fascicolo presenta un accurato computo metrico delle varie parti della struttura, illustrate anche da 49 disegni tracciati a inchiostro bruno e acquarellati, con tracce dorate sovrapposte. Appartiene a una collezione privata, ma se ne conserva una versione ulteriore, meno ricca, presso l’Archivio della Reverenda Fabbrica di San Pietro, dove sono anche altre tre copie parziali. Si tratta di un fascicolo di 36 fogli di 26.8 x 19.7 cm.  

 

       La preziosità del manoscritto è riproposta nell’edizione, curata da Daniele Pergolizzi, che ne enfatizza le qualità, riproducendo la legatura di pergamena, facendo uso di brillanti caratteri in oro nei titoli, utilizzando fotografie straordinarie e, infine, inserendo il tutto in un cofanetto, quasi uno scrigno, che racchiude la copia del documento antico e lo studio di presentazione di Maria Grazia D’Amelio.

 

       Nel contesto delle numerose e variegate indagini storiche dedicate al baldacchino di San Pietro, lo studio di D’Amelio è originale, non solo per le informazioni inedite che presenta, ma, soprattutto, per il modo di affrontare l’argomento.

 

       D’Amelio ricostruisce come un ragazzo di 26 anni, «innocentissimo di architettura», quale era Bernini nel 1624, rispose alle domande poste dalla ideazione di un’opera complessa e come fece fronte alle esigenze imprevedibili di un’esecuzione che, per diverse ragioni, richiese numerose modifiche.

 

       Lo studio è strutturato proprio su queste domande, messe a fuoco sulla base di una lunga, tenace e minuziosa osservazione dell’opera, indagata sui piani del contesto, dell’insieme, degli infiniti dettagli. Alle domande, incalzanti e numerose, vengono date altrettante puntuali risposte, fondate su una rigorosa ricognizione degli archivi.

 

       Da questo lavoro, il processo di ideazione e di realizzazione dell’opera berniniana emerge con una evidenza e completezza inusuali. La lettura del testo scorre veloce perché la scrittura, assai calibrata, ha una appropriatezza che si traduce in apparente semplicità.

 

       Tutto ciò fa si che il saggio di D’Amelio si configuri come un rapporto dettagliato e appassionante che restituisce le caratteristiche del baldacchino, indagato, innanzitutto, nei materiali utilizzati, che peraltro trasformano percettivamente un manufatto polimaterico in un’opera che appare tutta di bronzo. 

 

       Lo studio di D’Amelio smentisce, infatti, l’idea tramandata da alcune fonti, che il baldacchino sia totalmente in bronzo. Indica, pezzo per pezzo, i numerosi materiali utilizzati: il travertino, l’alabastro cotognino, il marmo di Carrara, conglomerati cementizi, ferro, piombo, legni di numerose specie, rame, e infine l’oro, al quale è dedicato specificamente il «libretto», punto di partenza dello studio. Questa polimatericità non è casuale, ma, come viene puntualmente documentato, nasce in gran parte dalle difficoltà di esecuzione presentatesi in corso d’opera e dalla necessità di accelerare i tempi di completamento. Nel 1633, infatti, si imponeva una fine dei lavori, iniziati nel 1624.

 

       Queste esigenze trasfigurarono il progetto originario, che, effettivamente, era stato concepito per essere eseguito in bronzo.

 

       La polimatericità richiese l’impiego di una serie di competenze diverse, messe in campo da un gruppo di artefici, i cui apporti sono puntualmente ricostruiti nel saggio. Il baldacchino è un’opera corale, riportata da Bernini ad una unità che diviene la cifra abituale del suo lavoro con i collaboratori, dei quali si avvarrà costantemente.

 

       Nuova luce viene data da D’Amelio anche ad altri aspetti, a cominciare dalle modalità dell’incarico: si smentisce, infatti, l’ipotesi dell’attribuzione del progetto a Bernini in seguito ad un concorso. In effetti, un concorso fu bandito nel 1624, ma non ebbe seguito e già da quell’anno iniziarono i pagamenti a Bernini per l’esecuzione dell’opera che Urbano VIII, interessato in prima persona, affidò direttamente al giovane artista.

 

       L’ideazione del baldacchino tiene conto di una lunga tradizione. Gli studi hanno chiarito come si verifichi una contaminazione spregiudicata di impianti, utilizzati in altre occasioni, quali quelli degli altari coperti da baldacchini, che rievocano le origini del culto della Chiesa di Roma, imitando l’altare commissionato da Costantino sulla tomba di Cristo a Gerusalemme. Si tenne conto anche di apparati processionali effimeri, retti da colonne o da statue di angeli, come quelli inseriti nel presbiterio di San Pietro durante i pontificati di Clemente VIII e di Paolo V.

 

       Analogamente, le colonne tortili, ideate da Bernini, sono un omaggio al leggendario tempio di Salomone, alle colonne coclidi onorarie romane antiche, e, soprattutto, alle leggendarie colonne della basilica costantiniana di San Pietro, che verranno riutilizzate da Bernini stesso nella sistemazione dei piloni della crociera bramantesca.

 

       Le coppie di colonne del baldacchino petriano rievocano anche quelle, mitiche, di Ercole, eroe emblema di coraggio e virtù, un’allusione documentata in riferimento a Urbano VIII nell’elogio dedicatogli da Guglielmo Vernerey nel 1629. Vernerey utilizza anche il motto «non plus ultra», già usato per l’imperatore Carlo V in riferimento alle «colonne d’Ercole/stretto di Gibilterra». Questo riferimento e questo motto nel 1665 informeranno il progetto di Bernini per la facciata orientale del Louvre e per la sistemazione complessiva dell’area verso il palazzo delle Tuileries. Una versatilità che non è inconsueta per i riferimenti simbolici; un altro esempio è il motto «hic domus» che concerne Enea, che viene usato sia per Urbano VIII Barberini che per Innocenzo X Pamphilj.

 

       Non è il caso qui di soffermarsi sulle matrici antiquarie dei simboli araldici del baldacchino petriano: ricordo solamente come l’uso delle foglie di alloro nella decorazione rievochi la presenza, sotto l’altar maggiore, di un santuario di Apollo, al quale l’alloro è attribuito.

 

       Questi e altri elementi tradizionali sono integrati da Bernini in un manufatto che li sintetizza in un oggetto assolutamente innovativo per l’azzardo statico delle sue strutture e per le proporzioni gigantesche, che propongono un clamoroso salto di scala rispetto a ogni riferimento. 

 

       Una parte significativa della ricerca di D’Amelio è dedicata proprio all’adeguamento della statica del baldacchino che portò a modificarne elementi costruttivi e programma iconografico. Si spiega così la sostituzione della statua del Cristo, prevista alla sommità, con un più leggero globo sormontato dalla croce latina. Un’altra acquisizione di D’Amelio è aver constatato che non di sfera si tratta, ma di una forma ovoidale, una deformazione dettata dalle esigenze della percezione prospettica.

 

       I metodi di fusione degli elementi metallici del baldacchino sono puntualmente mappati, così come l’esecuzione delle parti realizzate con lamine di rame modellate su matrici di ontano scolpite a bassorilievo. Si chiarisce anche come l’impianto del baldacchino non sia quadrato ma rettangolare.

 

       Altre riflessioni emergono dalla ricostruzione dei sistemi di impalcature impiegate nel cantiere e dallo studio degli scavi per l’inserimento dei piloni di base delle colonne che misero in luce i rilievi della tomba antica di Flavio Agricola, un’immagine di gioia terrena imbarazzante per la Curia, perché poco adeguata alla severa sacralità della sepoltura di Pietro. Volta per volta, pezzo per pezzo, situazione per situazione, sono percorse nel libro le esperienze del giovane Bernini nell’elaborazione del progetto, mettendo a fuoco l’atteggiamento di uno scultore che finisce per configurare sia un’opera architettonica, sia lo spazio circostante, sovvertendo la distinzione tradizionale dei generi artistici che caratterizza i codici dell’arte dell’epoca. Sovversione e contaminazione dei generi divengono la cifra caratteristica nella lunga attività dell’artista.

 

       Le pagine di D’Amelio ribadiscono come il baldacchino berniniano risponda al fine pratico di evidenziare e celebrare la tomba dell’apostolo Pietro, ma anche a quello, squisitamente architettonico, di riproporre la centralità dello spazio nella basilica da poco resa longitudinale, sottolineando la pregnanza della cupola michelangiolesca e il valore plastico e simbolico dell’insieme piloni/cupola. L’inserimento del baldacchino segna l’inizio del ridisegno complessivo dell’area presbiteriale, completato da Bernini vent’anni dopo con la sistemazione monumentale della cattedra di Pietro nell’abside.

 

       Questo insieme di forme si offre allo sguardo, dispiegando una serie di immagini molteplice e coerente, che esplica un programma simbolico che si estende dai sotterranei cimiteriali fino all’epifania divina della luminosa cupola e della vetrata absidale con l’emblema della colomba dello Spirito Santo.

 

       Il «libretto» pubblicato da D’Amelio aiuta a chiarire le opzioni compositive previlegiate da Bernini nel suo progetto. L’uso dell’oro contribuì indubbiamente al fine primario di «calibrare cromaticamente il baldacchino in relazione alle differenti e variabili condizioni luministiche della crociera» (Moretti, D’Amelio). 

 

       Questo obiettivo è evidenziato anche da Claudia Conforti nella presentazione del libro, quando sottolinea come per «la sensibilità barocca la presenza dell’oro non ha solo lo scopo di indicare una traslazione simbolica della luce che rimanda al Divino», ma l’oro stesso è luce. Una convinzione che emerge dalle ricerche scientifiche dell’epoca, dagli «studi fondativi di ottica, che indagano la natura fisica e il comportamento della luce, ricavandole leggi, principi e geometrie». Proprio da questi studi, l’arte barocca ricavò nuove possibilità di orientamento della visione e della percezione sensoriale.

 

       Tali considerazioni ci portano nel cuore del modo di lavorare di Bernini, evidenziando caratteri che ritroviamo in tutta una produzione esemplare per coerenza di metodo.

 

       Il progetto del baldacchino risulta ideato fondamentalmente in funzione della sua evidenza visiva. D’Amelio illustra come, preliminarmente, fu condotto uno studio del variare della luce all’interno della basilica nelle diverse ore del giorno, premessa essenziale per modulare la percezione del baldacchino come fulcro prospettico dell’edificio e, insieme, dare la massima evidenza al centro del rituale salvifico offerto ai fedeli.

 

       Condividendo questi obiettivi, Borromini realizzò i disegni, oggi all’Albertina di Vienna, che studiano, in sequenza, il posizionamento e la percezione prospettica del baldacchino in rapporto ai piloni della cupola e alla navata della basilica. Le sue riflessioni grafiche portarono a modificare l’altezza dell’architrave del baldacchino stesso e ad armonizzarlo maggiormente con quello dell’ordine architettonico della crociera, essendo questi elementi percepibili in un unico sguardo.

 

       La ricerca di effetti di luce fu potenziata con l’inserimento di un articolato sistema di illuminazione all’accesso nella confessio e all’area dell’altare, collocando lampade e cornucopie in metallo sulle balaustre. Per questo aspetto, assai appropriata risulta la riproduzione della suggestiva acquaforte colorata di Louis Jean Deprez e Francesco Piranesi a conclusione della sequenza delle illustrazioni del libro. Eseguita nel 1787, enfatizza la luminosità che la presenza dei metalli del baldacchino e delle lampade diffondeva nella crociera della basilica. Dico diffondeva perché lo scintillio dei metalli si è attenuato nel tempo, un altro aspetto studiato con attenzione nel libro.

 

       Infine: nelle sue conversazioni parigine con Paul de Chantelou Bernini afferma che le proporzioni di un’oggetto vanno determinate tenendo conto di quanto gli è accanto, che le modifica rispetto a quelle che si osservano nell’oggetto isolato. Tale assunto si traduce nella poetica «dei contrapposti» che fa dello scultore Bernini un architetto che agisce in piena sintonia con le acquisizioni della scienza sperimentale dell’epoca, in particolare con l’idea della relatività della percezione che mette in crisi pretese regole assolute e universali per le proporzioni architettoniche.

 

       Bernini usa costantemente gli schizzi come strumento di ideazione. Lo schizzo, infatti, fornisce rapidamente l’idea complessiva di un’opera intesa come immagine da percepire. Da tale assunto deriva anche il ripetuto e costante uso di modelli tridimensionali, e, per le architetture, di modelli “in grande”, cioè a scala 1:1, preferiti ai disegni dettagliati. 

 

       Modelli in grande furono messi in cantiere anche nell’elaborazione del baldacchino, e sono illustrati da D’Amelio nel libro, un ulteriore tassello di un lavoro prezioso perché ci permette di seguire passo per passo e nel risultato complessivo, il modo di lavorare di questo geniale e moderno artista.