Conti, Cinzia (ed.): Lectures on Trajan’s column and its architect Apollodorus of Damascus. 796 p, 5 pp. plates. ISBN 9788891310057, 450 €
(“L’Erma” di Bretschneider, Roma 2022)
 
Recensione di Annarena Ambrogi, Università degli Studi di Roma, Tor Vergata
 
Numero di parole: 3227 parole
Pubblicato on line il 2024-10-09
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=4701
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       Il volume, dedicato alla memoria di Amanda Claridge e Frank Lepper, realizzato con il patrocinio dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, costituisce una raccolta di oltre quarant’anni di studi sulla Colonna Traiana, iniziati negli anni Ottanta del secolo scorso in occasione della fortunata campagna di restauri che la legge Biasini avviò per la protezione del patrimonio archeologico di Roma. Dal 1981 al 1988 i lavori a opera dell’Istituto Centrale del Restauro, diretto da Giovanni Urbani, si concentrarono sulla Colonna Traiana, permettendo agli studiosi, ai restauratori, disegnatori e ai fotografi un contatto diretto e privilegiato per la conoscenza del monumento, come sottolineato nella prefazione da Alfonsina Russo.

 

       Il volume costituisce l’editio princeps del «più importante monumento urbano della scultura romana» (Coarelli, p. 1), si compone di ben ventisette capitoli, letture con testo bilingue, inglese e italiano, ad eccezione delle note, delle didascalie e dei titoli dei capitoli, che sono solo in inglese. L’opera è frutto di accurate indagini dirette sul monumento e di puntuali ricerche che raccolgono e sintetizzano una straordinaria «quantità di dati, informazioni e spunti» emersi nell’arco dei quasi dieci anni (1981-1988), durante i quali si sono svolte le complesse attività di restauro, che hanno permesso agli studiosi di visionare in modo ravvicinato e prolungato il monumento fin nei più minuti dettagli tecnici e formali.

 

       L’opera rivela puntualità e rigore critico e metodologico nella ricerca documentaria, nell’indagine dei dati e nella loro interpretazione, così come nell’esposizione dei risultati.

 

       L’ampia e aggiornata bibliografia, suddivisa in fonti primarie, edizioni e fonti secondarie, non è stampata nel volume, ma è consultabile online. A parere di chi scrive sarebbe stato preferibile inserire la bibliografia all’interno del volume, per una più agevole e diretta consultazione e per la completezza del prodotto editoriale.

 

       Le letture sono precedute dai paragrafi introduttivi di A. Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, di E.F.M. Emanuele, Presidente Onorario Fondazione Roma, di A. Sassano, Direttore di Rai Teche, e dal prolegomenon di Filippo Coarelli (pp. 1-22). Quest’ultimo prende in esame il contesto in cui è inserita la Colonna Traiana, fornendo una sintesi aggiornata degli studi precedenti, in particolare riguardo alla discussa localizzazione del templum divi Traiani, la cui tradizionale localizzazione nell’area a nord del Foro di Traiano, come codificato da Italo Gismondi e sostenuto dalla maggior parte della bibliografia sull’argomento, è stata messa in dubbio da Eugenio La Rocca e Roberto Meneghini[1], secondo i quali nell’area settentrionale si elevava l’ingresso principale al complesso forense. Sulla base dei nuovi dati emersi dagli scavi effettuati dal 2005 al 2019 nei sotterranei di Palazzo Valentini, che hanno messo in luce il podium di un grande tempio ottastilo, periptero, Coarelli ribadisce quanto sostenuto da Paola Baldassarri in diversi saggi[2]: i resti vanno identificati nel templum divi Traiani et divae Plotinae, eretto nell’area settentrionale del Foro in stretta relazione con la Colonna istoriata e le due biblioteche. La rilettura di un frammento dei fasti Ostienses permette a Coarelli di inquadrare la costruzione dell’edificio ad opera di Adriano in un lasso di tempo che va dall’inizio del 118 al 126, quando il tempio fu dedicato. Lo studioso, inoltre, sottolinea due funzioni importanti della Colonna: quella sepolcrale del basamento, la cui posizione intra moenia rivela il processo di divinizzazione di Traiano, e quella di piaculum risarcitorio dell’eliminazione dei santuari abbattuti con il taglio della collina, tra cui l’atrium Libertatis, le cui funzioni vennero reintegrate nel complesso centrale con la corte, le due biblioteche e la basilica.

 

       Il merito di questo corposo volume è nell’analisi complessiva, meditata e aggiornata di tutta l’imponente letteratura antiquaria e scientifica sulla Colonna, le cui notizie basilari sono sintetizzate da Cinzia Conti e Giangiacomo Martines, in due capitoli (cap. 3, pp. 61-66; cap. 5, pp. 95-142), riguardanti la struttura di Columna cochlis, la cronologia, gli elementi costitutivi e la narrazione figurata, mentre un utile approfondimento tecnico sulle attività di restauro condotte negli anni Ottanta sono relazionate nella seconda lettura (pp. 35-57).

 

       Due interventi di Matthias Bruno riguardano in primo luogo le cave di Fantiscritti presso Carrara (cap. 4, pp. 69-94), da cui furono ricavati i vari elementi destinati alla costruzione della Colonna Traiana, con un excursus sull’uso del marmo lunense in epoca romana. Lo studioso si sofferma su alcuni punti, quali i termini mons et locus dell’iscrizione sul basamento, l’eccezionale qualità del marmo di Fantiscritti, evidente nella nitidezza e precisione dei dettagli, e la grandissima perizia tecnica rivelata nel cavare, trasportare e mettere in opera i pesantissimi monoliti. Nel secondo capitolo Bruno (cap. 6, pp. 143-162) si occupa della solea, cioè del piano d’imposta della costruzione, formata da blocchi in lapis tiburtinus, che sigillano il dado di fondazione in conglomerato di pozzolana e schegge di basalto, poi coperto dalla pavimentazione del cortile intorno alla Colonna, spoliata in età post-antica.

 

       Alcuni aspetti tecnici sono affrontati nell’ottava (pp. 183-197) e nella nona lettura (pp. 199-222), nelle quali Conti e Martines si occupano dell’esecuzione delle scanalature del fusto della colonna, tracciate con il metodo dei cerchietti in asse ai listelli, e dei 19 rocchi, che compongono la base, il fusto e il capitello. Si sottolinea che nella collocazione delle 40 finestrelle, inserite dopo l’esecuzione del bassorilievo, non c’è alcuna opposizione tra scultura e architettura. Dai segni di lavorazione si riconoscono gli strumenti utilizzati, di cui il maestro Daniele De Tomassi tratta specificatamente nel decimo capitolo (pp. 225-233). A Cinzia Conti si deve l’approfondimento sull’epigrafe incisa sul podio (cap. 11, pp. 235-249), di cui si analizza il testo, trascritto nella sua interezza, prima del danneggiamento medioevale, nell’Itinerarium dell’Anonymus Einsiedlensis, e l’impaginazione, soffermandosi anche sulla fortuna nel Rinascimento come Alphabetum Romanum per la sua eleganza. La stessa autrice (cap. 15, pp. 333-340) evidenzia gli espedienti tecnici ideati dal progettista e utilizzati per migliorare la veduta da lontano dei fregi della Colonna: la ruvidità della superficie del rilievo, le figure contornate nettamente, la precisione dei dettagli, le corrispondenze di momenti del racconto sulla stessa verticale, le finestrelle come punti di riferimento.

 

       L’aver ripercorso con grande acribia la storiografia del Novecento sulla Colonna Traiana, aggiornandola con la bibliografia più recente, ha permesso la risoluzione di alcune problematiche rimaste finora aperte o lasciate in secondo piano, con una puntualità di argomentazioni convalidate dall’esame autoptico del fregio, soprattutto sui lati nord e ovest, meglio conservati grazie alla patina giallastra di ossolato di calcio, cosiddetta “scialbatura”, che ha rivestito la superficie del bassorilievo, permettendone una più chiara lettura (cap. 16, pp. 343-353). Tra le questioni aperte, Cinzia Conti (cap. 17, pp. 356-373) affronta il tema della policromia sulla superficie della Colonna, ribaltando l’opinione comune che la riteneva assente. Le analisi effettuate alla fine del secolo scorso hanno rivelato in modo inconfutabile la presenza di colori: il rosso e il giallo-arancio. L’uso della policromia e l’aggiunta delle armi e degli arnesi in metallo, la cui presenza è rilevata dai buchi nei pugni dei soldati, conferisce maggiore leggibilità a distanza e prospettiva alla scena.

 

       Gli interventi della Conti e di Martinez (in particolare il cap. 18, pp. 375-497) hanno confermato con analisi puntuali e approfondimenti le grandi intuizioni di Bianchi Bandinelli sull’unico Maestro progettista, da identificarsi con Apollodoro di Damasco, l’architetto del Foro di Traiano, che disegnò il progetto su un rotulus illustrato (cap. 7, pp. 165-182; anche nei capp. 23 e 24), sulla cooperazione di assistenti esecutori, sull’esecuzione del bassorilievo sui rocchi già montati (la vexata quaestio è anticipata nel cap. 9), con andamento dal basso verso l’alto, avanzando in senso orizzontale, lungo l’elica. In base ad un criterio morfologico morelliano, documentato da disegni ed immagini, la Conti individua 5 maestri (T ‘Tozzo’, SP ‘Spazio circolare’, C ‘cesellatore’, A ‘gambe affusolate’, P ‘Paratassi’), aiutati da 2 maestri “a completare” (E degli ‘elmi’, L delle ‘figure laureate’). Per meglio comprendere le modalità scultoree del Maestro, la studiosa introduce un interessante confronto con i criteri esecutivi di Michelangelo, da cui si evince che entrambi, dopo aver disegnato il contorno delle figure, proseguivano scolpendo le parti più rilevate e poi le più aderenti al fondo.

 

       Ad Apollodoro sono dedicate varie letture che ne tracciano la biografia (cap. 3, pp. 61-66) e il pensiero scientifico (“voce”), che cercano di ricostruirne il volto (cap. 23, pp. 630-647) e di analizzare la portata innovativa delle sue imprese ingegneristiche (cap. 22, pp. 611-627), come il ponte sul Danubio, la cui descrizione realistica nelle scene 98-100 (XV spira) trova puntuali riscontri nel testo interamente conservato dei Poliorceticá, lettera sull’arte dell’assedio indirizzata a Traiano nel 115 d.C. in occasione delle guerre partiche. Il progetto della Colonna si basa sull’imitazione della natura (cavare l’interno come una conchiglia) e sulle eccellenti conoscenze scientifiche di Apollodoro: l’intera struttura è una colossale vite di Archimede, in marmo e fissa. La puntualità e il verismo dei riferimenti e delle notazioni nel bassorilievo rivela che Apollodoro di Damasco aveva certamente seguito Traiano in guerra come ingegnere militare.  

 

       Alcune letture si concentrano sui motivi ricorrenti nella narrazione, quali i ritratti di Traiano, le macchine belliche, le architetture e i paesaggi. Cinzia Conti (cap. 12, pp. 252-283; cap. 13, pp. 285-299), analizzando i 58, forse 59 ritratti dell’imperatore, ritiene che a realizzarli furono autori diversi, rifacentisi soprattutto a modelli numismatici, attenti ad evidenziare quelle caratteristiche fisionomiche e fisiche (l’altezza e la robustezza), caratteriali (la soavità e giocondità) e comportamentali (il camminare spesso a piedi, tra i suoi soldati), già sottolineate dalle fonti antiche. I ritrattisti eseguirono le teste in una fase distinta, forse dopo il completamento dell’intera scena, utilizzando alcuni espedienti tecnici per migliorare la lettura da lontano, quali il solco di contorno, ottenuto con lo scalpello, assente nei volti generici, ma presente anche nelle teste di alcuni personaggi del gruppo imperiale, tra i quali si riconoscono i ritratti di Decebalo, di Apollodoro (forse nella scena 99) e di alcuni luogotenenti: Lucius Licinius Sura e Lusius Quietus. La successione temporale della narrazione è sottolineata dal realismo dei ritratti, che mostrano i segni dell’età nell’evolversi della narrazione.

 

       Nel capitolo 14 (pp. 301-331) G. Martines si occupa delle machinae belliche, con un approfondimento sui trattati di Poliorcetica, a partire da quello di Apollodoro, arricchito dalle immagini tratte da Parangelmata Poliorcetica, antologia del X secolo del c.d. Erone di Bisanzio. Nel capitolo 21 (pp. 559-609) lo stesso autore completa il discorso, analizzando l’accurata riproduzione tecnica di macchine, congegni e armi da lancio (cfr. Tabella 21.1 con elenco degli oggetti e le scene di riferimento). Si evidenzia l’alto livello scientifico raggiunto dagli ideatori e la straordinaria padronanza della geometria greca e della matematica superiore dei meccanici che le realizzarono. Le macchine di Apollodoro appaiono leggere, maneggevoli e destinate ad azioni rapide.

 

       Conti e Martines dedicano a Giuseppe Zander il capitolo sui tipi di architettura e di paesaggio ricorrenti nel fregio istoriato (cap. 24, pp. 649-719). Con l’ausilio di una ricca documentazione letteraria si ripercorrono le tappe dei progressi tecnici raggiunti in età antica, medievale e moderna in campo difensivo e offensivo, con numerose citazioni estrapolate dai testi e un ricco apparato illustrativo costituito da codici e stampe. I riscontri con le fonti antiche e altomedioevali evidenziano la veridicità e precisione delle rappresentazioni e le notevoli conoscenze del Maestro riguardo agli studi prospettici, alle misurazioni gromatiche, a tutte le attività civili e militari che si svolgevano nelle colonie e negli accampamenti romani. I documenti grafici a disposizione del Maestro erano le mappe di guerra dei Gromatici e le tabulae pictae portate in trionfo; il riferimento letterario doveva essere il Bellum Dacicum di Traiano, di cui restano solo cinque parole. Le scene di paesaggio sono improntate al naturalismo della scultura di ‘genere’ alessandrina e si arricchiscono con l’inserimento anche della fauna. L’analisi puntuale delle scene permette di rilevare che alcune consuetudini considerate tipicamente romane, come l’uso delle botti (scene 2 e 3) e il trasporto dei neonati sulla testa della mamma (scena 76), i Romani le appresero in realtà dai popoli danubiani. Molto utile la tabella 24.1 che elenca i tipi di architettura e urbanistica: città castra e oppida, riconoscibili sul bassorilievo, di cui si evidenziano alcune corrispondenze con località note delle guerre daciche (cfr. fig. 24. 37-38). La scarsezza delle fonti è bilanciata dal progressivo aumento degli scavi archeologici in Romania.

 

       Marcello Gaggiotti (cap. 27, pp. 739-755) propone una nuova interpretazione di omen Victoriae delle scene Cichorius 8-10, in cui l’uomo caduto dal mulo con il contenitore di un formaggio rotolato via, diventa messaggio favorevole alla guerra, inviato dagli dei.

 

       Alla storia post-antica del monumento sono dedicati alcuni capitoli: uno della Conti (cap. 1, pp. 25-32) sull’iscrizione in greco bizantino incisa sulla sommità della scala, relativa ad una preghiera dedicata a Costantino IV (668-685). Michele Campisi (cap. 19, pp. 500-530) si occupa delle trasformazioni in età medievale e rinascimentale dell’area intorno alla Colonna. Vengono sottolineati il valore epocale dell’investimentum del 1162, che testimonia una vera e propria “coscienza” del valore delle Antichità, e i progetti di risistemazione del basamento e del terreno circostante nel Cinquecento, tra cui si ha notizia di un incarico a Michelangelo, non altrimenti documentato. Inoltre, le voluminose opere murarie presenti all’interno della cella nel podio, viste durante i lavori del Boni, vengono ricondotte dall’autore ai lavori eseguiti dopo il terremoto del 1703 per il rinforzo e il sostegno delle pesanti strutture elevate. Allo stesso Campisi si deve il capitolo successivo (20, pp. 533-557) sui graffiti e sulle 162 firme incise sul fusto istoriato e all’interno, lungo la scala “a vite”, da artisti, architetti e visitatori occasionali, di cui si riporta un catalogo completo alle pp. 553-556. L’individuazione dei soggetti, insieme ad una ricerca negli archivi e nelle fonti letterarie ha permesso di ricostruire un’altra storia della Colonna, riguardante le vicende del monumento e le sue “frequentazioni” da parte di personaggi, alcuni famosi, altri meno, ma dei quali è stato possibile rintracciare un profilo biografico, a volte di grande interesse.

 

       Nell’ultima parte del volume si susseguono un’intervista a Vittorio Storaro, maestro del Cinema, vincitore di tre premi Oscar, e alla figlia Francesca, architetto della Luce (cap. 25, pp. 721-727), autori del nuovo impianto di illuminazione notturna, grazie al quale la Colonna è visibile anche di notte, persino dall’aereo. Nella successiva intervista Zeno Colantoni (cap. 26, pp. 729-737), che ha partecipato alle campagne fotografiche della Colonna Traiana e di quella Antonina, svela le tecniche utilizzate per una migliore lettura e comprensione del bassorilievo. Laura Plahuta (cap. 28, pp. 757-763) racconta dell’eccezionale diretta televisiva effettuata nel 1972, dal titolo Io e … la Colonna Traiana, in cui Ranuccio Bianchi Bandinelli su un elevatore dei Vigili del Fuoco ha raccontato con emozione la Colonna, osservandone il fregio di notte con luce artificiale.

 

       Nella Postfazione (pp. 765-773) è riportato lo studio di fattibilità per una struttura in vetro a protezione della colonna di Marco Aurelio, come laboratorio per i restauri del 1981-1988 con un’intervista al professore Andrea Bruno del Politecnico di Torino, che presentò il progetto alla Biennale di Venezia del 1986.

 

       Bianchi Bandinelli aveva definito se stesso «uno degli ultimi rappresentanti di una razza di mammiferi in via di estinzione, i critici d’arte […] che hanno un rapporto diretto con la forma artistica». Questa definizione colpisce ancora oggi, conferendo un valore aggiunto al progetto editoriale: i saggi degli autori permettono al lettore di stabilire una relazione diretta, attiva con il bassorilievo della Colonna, attraverso il racconto puntuale della loro esperienza, maturata nel cantiere degli anni Ottanta e arricchita da decenni di studio. Si notano, tuttavia, alcune criticità nella scelta di pubblicare solo online la bibliografia, ampia ed esaustiva, ma con alcune lacune rispetto alle opere citate in forma abbreviata nelle note, e nell’organizzazione un po’ farraginosa delle letture, non sempre in successione tematica. I risultati della ricerca, seppur notevoli per la grande quantità di aspetti, notizie, proposte interpretative e informazioni storiche e tecniche, rimangono frammentati nei singoli interventi; si sente la mancanza di un capitolo conclusivo di sintesi, in cui raccogliere, evidenziandoli, gli importanti risultati raggiunti: le conferme delle ipotesi convalidate dalla ricerca più recente e le certezze acquisite su problematiche ancora aperte.

 

       A conclusione va sottolineata la prestigiosa veste editoriale: L’Erma di Bretschneider conferma l’alta qualità dei suoi prodotti per l’accuratezza dell’impaginato e della stampa e per l’ottima resa dell’apparato iconografico, costituito da disegni illustrativi, immagini fotografiche e riproduzioni a colori degli apparati documentali, come codici manoscritti e stampe. Oltre alle figure e alle tavole all’interno dei testi, cinque grandi tavole fuori testo illustrano alcuni argomenti trattati: I) i pugni forati dei guerrieri; II) l’epigrafe; III) le apparizioni di Traiano; IV) le maestranze; per finire con V) un ‘Silent Chart’ del fregio istoriato. Le riprese fotografiche sono state eseguite da Eugenio Volpi e Antonio Di Carlo, in occasione dei restauri per l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; i disegni sono realizzati dalla Società Cooperativa Modus. E-processing di Zeno Colantoni (Archivi della Soprintendenza Archeologica di Roma).        

 


[1] Una sintesi delle ricerche in: E. Bianchi, R. Meneghini, Il Foro di Traiano nell’Antichità. I risultati degli scavi 1991-2007, Oxford 2022 (BAR Int. Series 3097), in part. pp. 309-314.

[2] Si cita l’ultimo contributo: P. Baldassarri, Il tempio dei divi Traiano e Plotina e i suoi desiecta membra: novità dalle indagini a Palazzo Valentini, in Bull.Com. 122, 2021, pp. 157-182.


 

Contents

 

Preface, Alfonsina Russo

 

Fondazione Roma alongside Beauty, Emmanuele Francesco Maria Emanuele

 

RAI Teche for Trajan’s Column, Andrea Sassano

 

Acknowledgements

 

Note on Usage

 

Prolegomenon, Filippo Coarelli, 1

1.   A Byzantine Prayer, Cinzia Conti, 25

2.   The 1981-1988 Restoration, Cinzia Conti, 35

3.   Trajan’s Column: A Few Facts and Figures, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 61

4.   Fantascritti Quarry and the Marble of Trajan’s Column, Matthias Bruno, 69

5.   Columna Cochlis Traiani: Order and Structure, Giangiacomo Martines, 95

6.   The Solea around the Pedestal of Trajan’s Column: Traces and Evidence of Construction Site Operations, Matthias Bruno, 143

7.   Squaring the Storied Frieze, Cinzia Conti, 145

8.   The Small Circles on the Capitals, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 183

9.   The Workmanship of the Stonecutters and Sculptors, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 199

10. The Tools, Daniele De Tommasi, 225

11. The Epigraph on the Podium: Plan and Letters, Cinzia Conti, 235

12. Trajan’s Portraits, Cinzia Conti, 251

13. Trajan’s Smile, Cinzia Conti, 285

14. The Devices below the Walls of Sarmizegetusa Regia, Giangiacomo Martines, 301

15. View from afar, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 333

16. Fantasies on the Colour, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 343

17. That Special Ancient Colour, Cinzia Conti, 355

18. The “Maestro delle Gesta di Traiano” and his Stonemasons, Cinzia Conti, 375

19. The Walled up Cella inside the Podium, Michele Campisi, 499

20. Graffiti and Signatures on Trajan’s Column: A Backstage History, Michele Campisi, 533

21. The Technical Portrayal: Devices on the Storied Friezes, Giangiacomo Martines, 559

22. The Engineering Feats of Apollodorus for Trajan: Architectural Milestones, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 611

23. The Death of Apollodorus, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 629

24. A Catalogue of the Types of Architecture and Landscape on the Storied Frieze, Cinzia Conti and Giangiacomo Martines, 649

25. Lighting Trajan’s Column, Francesca and Vittorio Storaro, 721

26. Photographing Trajan’s Column, Zeno Colantoni, 729

27. Omen Victoriae, Marcello Gaggiotti, 739

28. Ranuccio Bianchi Bandinelli, “Io e … la Colonna Traiana” 1972, Laura Plahuta, 757

 

Afterword: Feasibility Study for a Glass Structure to Protect the Column of Marcus Aurelius as a Workshop for the 1981 Restorers, Andrea Bruno, 763