Albertocchi, Marina (a cura di): Gela. Il Thesmophorion di Bitalemi: la fase arcaica, scavi P. Orlandini 1963-1967. Monumenti antichi 27, 820 p., 24 x 34 cm, ISBN 9788876893360, 170 €
(Giorgio Bretschneider, Rome 2022)
 
Compte rendu par Rosina Leone
 
Nombre de mots : 2727 mots
Publié en ligne le 2024-03-20
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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       L’imponente volume curato impeccabilmente da Marina Albertocchi, ma in realtà per gran parte di sua mano, presenta finalmente alla comunità scientifica i risultati dello scavo condotto tra il 1963 e il 1967 da Piero Orlandini nel santuario di Bitalemi a Gela. La pubblicazione riguarda solo la prima fase di frequentazione del santuario, quella nota dalle precedenti pubblicazioni come strato 5, collocabile tra la seconda metà del VII secolo a.C. e il 550 circa.

 

       L’interesse principale dello studio è dichiaratamente rivolto agli aspetti storico-religiosi del santuario, testimoniati archeologicamente dalle quasi 3000 deposizioni votive rinvenute in maggior parte in giacitura primaria; il volume non trascura tuttavia la presentazione dei materiali rinvenuti nei contesti illustrati. In appendice si propone inoltre la trascrizione della versione integrale dei giornali di scavo degli anni Sessanta, integrati dalla relazione preliminare dell’indagine di scavo del 1994.

 

       Il primo capitolo inquadra il sito e le attività archeologiche che vi sono state condotte. Dopo un breve inquadramento topografico della collinetta di Bitalemi e alcune considerazioni sul rapporto tra l’area del santuario e l’impianto urbano, il secondo paragrafo presenta le indagini archeologiche che sono state condotte nel sito, a partire da quelle di Paolo Orsi all’inizio del XX secolo. Già Orsi al termine della sua campagna di scavo aveva interpretato l’area come sede di un santuario dedicato a Demetra e Core, impiantato al momento della fondazione di Gela e abbandonato intorno alla metà del V secolo a.C. Il paragrafo successivo si concentra sugli scavi di Piero Orlandini e sui risultati raggiunti da quegli interventi che portarono in tempi brevi alla pubblicazione preliminare, corredata da planimetrie e da alcune sezioni stratigrafiche, qui opportunamente riprodotte.

 

       Le fasi di frequentazione dell'area furono articolate in cinque “strati”, di cui i due ultimi riferibili al santuario greco. Il quarto strato, datato tra la metà del VI sec. e la distruzione cartaginese del 405, ha restituito i resti di tre edifici (G1, G2, G3) impiantati intorno alla metà del V sec. e di tre strutture più antiche (G4, G5, G6) rimaste in funzione per un secolo circa, interpretati dallo scavatore come naiskoi. Ben distinguibile era il sottostante strato sabbioso 5, sigillato superiormente da una gettata di argilla e mattoni crudi, che corrisponde al primo periodo di vita del santuario. In questo livello, oltre a ridotti setti murari, fu messa in luce una sola struttura integra, a pianta rettangolare (G8), che Orlandini interpretò come una skené e che anche secondo Albertocchi rivestiva una funzione analoga a quella svolta dalle skenai come luogo di ricovero delle fedeli e di svolgimento dei pasti: si tratta di un edificio dalla tecnica costruttiva molto semplice, realizzato in mattoni crudi con fondazioni poggianti direttamente sulla sabbia, e che doveva essere coperto da un tetto stramineo a baldacchino, interpretabile quindi come un recinto piuttosto che come un oikos. La sua costruzione, sulla base della datazione degli oggetti rituali rinvenuti, dovrebbe risalire al primo quarto del VI secolo a.C.

 

       I capitoli terzo e quarto sono dedicati ai materiali rinvenuti negli scavi Orlandini. Il terzo capitolo è dedicato al catalogo dei materiali rinvenuti nelle 2979 deposizioni votive in giacitura primaria, mentre il quarto presenta una rassegna dei materiali frammentari non da deposito. Si tratta esplicitamente di una presentazione preliminare che non ha lo scopo di fornire uno studio tipologico delle classi presenti, ma di offrire una panoramica di tutti i rinvenimenti del livello in esame. Le brevi schede sono corredate dalle illustrazioni raccolte nelle 210 tavole al fondo del volume.

 

       Nel quarto capitolo viene presentato il catalogo dei materiali rinvenuti non in deposito per classi di produzione ceramiche, al loro interno articolate per forme, cui seguono le terrecotte, i balsamari configurati, gli oscilla, le lucerne, i pesi e le fuseruole, i metalli, i vetri, varia e ossa.

 

       L’ampio quinto capitolo è destinato al commento alle classi di materiali, presentate iniziando da quelle più attestate – a partire dalla ceramica corinzia – e divise per forme; ne viene fornito un sintetico inquadramento tipologico e cronologico “utile principalmente a definire la scansione temporale, i rapporti formali attestati nelle deposizioni e le loro associazioni funzionali”.  Il quadro proposto è piuttosto accurato sia nella descrizione, sia nella “diffusione e funzione” e nelle “associazioni”. A questo capitolo hanno collaborato, sempre coordinati da Albertocchi, R. Padovano, A. M. Catania, C.W. Neeft per la ceramica corinzia, P. Persano per quella attica, R. Padovano per la ceramica achea e le imitazioni corinzie, M. Camera per la ceramica di tradizione greco-orientale e per quella locale acroma, S. M. Bertesago per la coroplastica greca, F. Mirandola per i pesi da telaio, C.  Tarditi per i metalli.

 

       Il sesto capitolo è dedicato alla prima fase di frequentazione del santuario; l’analisi della documentazione di scavo ha permesso ad Albertocchi di distinguere tre sottofasi indicate con lettere dell’alfabeto, non pienamente corrispondenti con quelle proposte da Orlandini; discriminanti per la loro distinzione sono la presenza o meno di strutture a carattere stabile e la diversa frequenza delle varie classi di oggetti rituali. L’esposizione dei dati è articolata secondo due aspetti: quello relativo al funzionamento del santuario e quello relativo al volume delle offerte. Per quanto riguarda il primo aspetto, la prima sottofase (5c), distinta per le tracce di bruciato, costituisce il limite inferiore del livello più antico della frequentazione cultuale, attestata almeno dall’ultimo quarto del VII secolo a.C. dalla presenza di tracce di sacrifici, consumo di pasti e deposizioni di offerte, rituali per il cui svolgimento non sono necessarie strutture stabili. In un momento successivo (sottofasi 5a e 5b) si procedette alla creazione di strutture a carattere stabile di cui G8 è la meglio conservata. Le strutture saranno poi distrutte in occasione della riorganizzazione del santuario intorno alla metà del VI secolo a.C. Albertocchi ribadisce qui la funzione già proposta per G8 come edificio per lo svolgimento di riti comunitari.

 

       Per quanto riguarda l’aspetto relativo al volume delle offerte sono stati identificati 67 depositi riferibili alla prima frequentazione cultuale del santuario (sottofase 5c). Alcuni materiali precedenti l’ultimo quarto del VII secolo potrebbero attestare una frequentazione sacra occasionale dell’area poco dopo la metà del VII secolo, ma bisogna attendere l’ultimo quarto del secolo per osservare un notevole incremento delle offerte con le prime deposizioni di metallo e solo alla fine del secolo l’area dovrebbe essere stata destinata “in modo più organizzato” alla celebrazione di festività demetriache. Alla sottofase 5b sono sicuramente ascrivibili le 186 deposizioni singolo o miste, mentre alla sottofase 5c si riportano 514 depositi: è qui da notare la presenza di un nutrito numero di deposizioni di offerte metalliche, l’assoluta predominanza dei depositi singoli e la pressoché totale assenza del vasellame da cucina.

 

       Il settimo capitolo è dedicato alle conclusioni in ordine alla prassi votiva e rituale. Il primo paragrafo è dedicato a sacrifici e pasti collettivi. L’uccisione degli animali avveniva verosimilmente all’interno del santuario, come attestato dalle tracce di macellazione sulle ossa e le numerose dediche di coltelli; le analisi osteologiche hanno permesso di individuare il suino giovane come l’animale più sacrificato. La carne era cotta in pentole; in base ai resti osteologici si è supposto che la quantità di carne offerta fosse superiore al numero presunto di partecipanti, fatto che apre alle ipotesi sulle modalità di consumo della quota eccedente. L’esistenza di atti libatori è provata dalla presenza di vasellame potorio e per versare, mentre il rinvenimento di un ridotto numero di frammenti di cratere farebbe propendere Albertocchi per il consumo non già di vino, bensì di una mistura con effetti inebrianti, forse l’hydromele.

 

       Il secondo paragrafo è dedicato alle dinamiche di trasformazione della prassi votiva e rituale nelle tre sottofasi. Per la sottofase più antica (5c) Albertocchi enfatizza il contesto costituito dal deposito 2885, già oggetto di precedenti pubblicazioni, che per le sue caratteristiche potrebbe essere riferibile al passaggio alla prima fase di frequentazione più strutturata dell’area sacra; nello specifico il deposito potrebbe essere letto in relazione alla consacrazione effettiva del santuario e forse all’attività rituale di un gruppo di sacerdotesse. Nella sottofase 5b la composizione dei depositi presenta mutamenti significativi che indiziano una mutata prassi rituale: l’incremento delle offerte, tra cui si distingue la ceramica miniaturistica, fa ipotizzare che la consumazione di pasti rituali comuni fosse ora più occasionale, soppiantata in molti casi dalla dedica di oggetti “allusivi” della prassi stessa. Le variazioni più evidenti sono riferibili alla fase più superficiale del livello arcaico di frequentazione. Manca ora un “chiaro marcatore archeologico relativo al consumo partecipato di carni sacrificate e cucinate nell’area sacra”, mentre cresce il volume delle dediche individuali dal carattere simbolico e commemorativo dell’azione rituale svolta. Il terzo paragrafo è dedicato ai frequentatori del santuario a partire dalla partecipazione femminile per classi di età e status. Nel livello di frequentazione arcaica sono più riconoscibili le offerte riconducibili alla sfera privata (in particolare i contenitori per profumi, i gioielli, i pesi da telaio). Alcuni dati testuali ed archeologici ricavati da altri contesti permettono di postulare anche a Bitalemi una limitata partecipazione maschile, cui forse potrebbero riferirsi alcuni tipi di offerta (attrezzi agricoli o da lavoro). Manca una chiara evidenza archeologica in questo senso.

 

       Il quarto paragrafo è dedicato a forme e interpretazione dei depositi. I depositi di Bitalemi sono principalmente di carattere rituale/primario; ciononostante si evidenzia l’esistenza di altre tipologie minoritarie, fra cui va segnalata quella dei depositi di dismissione già individuata da Orsi. Condivisibile la scelta di ritenere discriminante l’intenzionalità della formazione dei depositi stessi piuttosto che la loro morfologia, come risulta chiaro dalla accurata descrizione delle modalità di deposizione degli oggetti, già delineata da Orsi e da Orlandini. Voluta risulterebbe anche la defunzionalizzazione selettiva della ceramica figurata, con una fratturazione intenzionale dei vasi di cui solo alcuni frammenti erano lasciati in situ (o venivano portati già in stato di frammento dal dedicante nel santuario e lì deposti al termine della cerimonia?). Una percentuale altamente maggioritaria tra le attestazioni delle varie classi presenti nei depositi è costituita dal vasellame, ma è presente anche una discreta percentuale di offerte metalliche e di coroplastica. Il numero dei depositi isolati è molto superiore rispetto a quello dei depositi multipli e la categoria più rappresentata per le deposizioni singole è la ceramica miniaturistica; la maggior parte delle offerte singole è di fabbrica locale, dunque i contenitori importati dovevano costituire una dedica di pregio, come pure lo erano la coroplastica, che si ritiene ora utilizzata in ambito cerimoniale e deposta alla fine della prassi rituale, e i metalli, di cui la percentuale più rilevante è rappresentata dai coltelli che rimandano al set sacrificale. Le offerte singole vengono interpretate come frutto della devozione individuale mentre le multiple sarebbero “traccia della pratica rituale condotta in base a una ripartizione codificata per gruppi”. Nella sottofase 5a sono preponderanti le dediche isolate, che attesterebbero una progressiva partecipazione della collettività meno vincolata al gruppo familiare. I depositi multipli (due o più oggetti) rappresentano il 15% del totale, per lo più composti da due oggetti; anche in questo caso è prevalente la ceramica. Si segnalano inoltre 25 depositi “di grandi dimensioni” formati da un numero di pezzi superiori alla ventina: la quasi totalità è composta da offerte metalliche.

 

       Nella disamina molto analitica qui proposta viene dedicato spazio anche all’associazione di oggetti nei depositi misti: si identifica una sorta di “specializzazione funzionale” nella composizione dei depositi, dove un ruolo polivalente viene giocato dalla ceramica miniaturistica. Come già detto, in pochi casi, quasi tutti nella sottofase più antica, si riscontra la presenza di un set sacrificale completo.

 

       Nell’ottavo capitolo si arriva infine alle considerazioni conclusive sul culto praticato nel santuario di Bitalemi in epoca arcaica. Nel primo paragrafo vengono ripresi i dati epigrafici: dagli scavi Orlandini si segnala il rinvenimento di alcuni graffiti vascolari recanti il nome della divinità a cui era tributato il culto (Demetra) e la menzione delle festività (tesmoforia) indicate attraverso l’epiclesi della dea. Un frammento reca un riferimento alla skenè di Dikaiò. Segue nel secondo paragrafo l’analisi dei dati archeologici, ribadendo la ricostruzione già proposta per l’area archeologica e per l’edificio G8; si passa quindi alla rassegna dei rinvenimenti del livello arcaico di frequentazione, a partire dalla coroplastica (e dai balsamari configurati) che riportano alla sfera femminile e a cerimonie legate a particolari momenti della vita delle donne (matrimonio e parto). Altri manufatti collegati al mondo muliebre sono rappresentati da pesi da telaio, fuseruole e rocchetti. Peculiare di Bitalemi è poi la deposizione di oggetti metallici, seppure concentrata in un numero ridotto di depositi. Nella sottofase più antica gli oggetti sono principalmente collegati con la pratica sacrificale e con la preparazione del cibo; nella fase centrale accanto questi aumentano i frammenti di aes formatum e di lamine, mentre nella terza fase aumenta la quantità di frammenti di metallo a testimonianza di dediche fatte per il valore rappresentato dal metallo stesso. Albertocchi passa infine ad analizzare il significato della rilevante presenza di vasellame: qui si identificano strumenti liturgici utilizzati per libagioni ma spesso anche per trasporto, conservazione e consumo di alimenti e liquidi in ambito cerimoniale. Funzione prevalentemente commemorativa di un atto rituale avrebbe la numerosa quantità di vasellame miniaturistico, molto rappresentato fra le offerte singole. Nel terzo paragrafo segue la ricostruzione del gesto dell’offerta con una sintesi di quanto già illustrato nel corso della trattazione sulle deposizioni e sulle tre sottofasi individuate.

 

       Il quarto paragrafo inserisce il culto di Bitalemi nel panorama di Gela in età arcaica. Sulla base di tutti i dati analizzati Albertocchi arriva a ritenere plausibile che la prima frequentazione dell’area sacra fosse prevalentemente riservata a gruppi della élite cittadina, per allargarsi nelle due successive sottofasi 5b e 5a a gruppi più ampi di popolazione; contestualmente si dovette assistere a una strutturazione del culto di Demetra in senso comunitario. Un mutamento significativo si verificherà intorno alla metà del VI secolo: queste questioni saranno oggetto del volume in preparazione, dedicato alla fase tardo arcaica e classica di frequentazione del santuario.

 

       Nel paragrafo conclusivo l’autrice e curatrice riprende la questione del culto tributato a Bitalemi, che ritiene propriamente tesmoforico già dalle più antiche fasi di vita del santuario. Dopo avere enucleato gli elementi fondanti del culto di Demetra, Marina Albertocchi sottolinea la conferma archeologica a Bitalemi delle prescrizioni rituali nei Thesmophoria che prevedevano la partecipazione femminile allo svolgimento di banchetti comunitari con consumo di prodotti cerealicoli e di carne, mentre resta più problematico identificare l’evidenza archeologica nella pratica del megarizein. Albertocchi ritiene che l’area sacra fosse destinata nelle fasi iniziali a un culto della Thesmophoros riservato alle donne dell’aristocrazia della prima comunità di Gela; l’area sacra poteva ospitare anche altre celebrazioni. Al termine del testo seguono le tabelle dei singoli depositi per sottofasi.

 

       Chiudono il volume tre appendici: la prima contiene la trascrizione del giornale di scavo degli anni Sessanta, la seconda la relazione preliminare dello scavo 1994, la terza l’esito delle analisi archeozoologiche.  Il volume è corredato da 210 tavole fotografiche che danno conto dei materiali di cui si discute nel testo.

 

       Si tratta di un lavoro importante che, con impostazione metodologica rigorosa, permette agli studiosi dell’archeologia della religione greca di avere finalmente a disposizione l’accurata edizione di scavo, per ora delle fasi più antiche in attesa dell’annunciato secondo volume, di uno dei più importanti contesti sacri della Sicilia greca. Le ipotesi interpretative che chiudono il volume sono proposte da Marina Albertocchi in modo argomentato, con il solido sostegno dei dati archeologici presentati con tanta acribia e in costruttivo ed equilibrato dialogo con gli studi precedenti.

 

 

Indice

 

ABSTRACT XI

 

PREFAZIONE (Paola Pelagatti) XIII

 

INTRODUZIONE (Marina Albertocchi) XV

 

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE (a cura di Silvia Martina Bertesago) XXI

 

PIERO ORLANDINI. UNA NOTA BIOGRAFICA (Marina Castoldi) LIX

 

I - IL SITO E LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE (Marina Albertocchi) 1

 

II  - LE STRUTTURE ARCHITETTONICHE (Marina Albertocchi) 21

 

III - CATALOGO DEI DEPOSITI (Sara Potente, Rosanna Padovano) 27

 

IV - CATALOGO DEI MATERIALI NON IN SITU (Sara Potente, Rosanna Padovano) 125

 

V - COMMENTO ALLE CLASSI DI MATERIALI (Maria Albertocchi e altri) 163

 

VI - LA PRIMA FASE DI FREQUENTAZIONE DEL SANTUARIO (Marina Albertocchi) 395

 

VII - PRASSI VOTIVA E RITUALE (Marina Albertocchi) 411

 

VIII - CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE IL CULTO NEL SANTUARIO DI BITALEMI IN EPOCA ARCAICA (Marina Albertocchi) 445

 

Appendice 1 - GIORNALE DI SCAVO (Piero Orlandini, a cura di Marina Albertocchi e Maddalena Pizzo) 491

 

Appendice 2 - LO SCAVO DEL 1994 (Maddalena Pizzo) 519

 

Appendice 3. LE ANALISI ARCHEOZOOLOGICHE (Silvia Di Martino) 521

 

INDICE PER MATERIE (Marina Albertocchi) 525

 

REFERENZE ICONOGRAFICHE 533

 

TAVOLE