| G. La France, Robert: Bachiacca. Artist of the Medici Court, xii-442 pp con 64 tavv. f.t. a colori e 80 in b.n., ISBN: 9788822257642, 140 euros (Olschki Editore, Florence 2008)
| Compte rendu par Antonella Fenech, Université Paris I Panthéon-Sorbonne Nombre de mots : 1916 mots Publié en ligne le 2009-04-27 Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700). Lien: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=584 Storico dell’arte italiana del Rinascimento attualmente responsabile del
dipartimento d’arte pre-moderna al Krannert Art Museum, Robert G. La France pubblica
un’utilissima monografia su Francesco d’Ubertino Verdi (1494-1557), detto Bachiacca, uno dei numerosi
artisti della corte medicea della prima metà del Cinquecento.
In vita,
Bachiacca è stato un artista di successo attivo tanto per la corte medicea
che per numerosi ricchi mecenati. Paradossalmente però il pittore ha
interessato raramente e puntualmente la storiografia artistica.
Chi è veramente
Bachiacca ? Lo studio di Robert La France si apre proprio con un doppio ‘ritratto’
dell’artista. Fulcro del capitolo liminare è Agnolo Bronzino, figura
indiscutibilmente più conosciuta e apprezzata : se nella sua Discesa di Cristo al Limbo, questi raffigura
Bachiacca accanto al proprio autoritratto non è soltanto in segno di
quell’amicizia che univa i due artisti della corte di Cosimo I de’ Medici, ma
ugualmente per rispetto e stima ‘professionale’. Una stima condivisa da altri
artisti come Battista del Tasso o Benvenuto Cellini, ma a cui la storiografia,
a cominciare proprio da Vasari, ha tuttavia scelto di non dare voce. La seconda
immagine di Bacchiacca che Rober G. La France cerca di ricostruire è stilistica :
contrariamente ai colleghi più conosciuti, Bachiacca opta per una pittura
descrittiva non-monumentale filtrata dalla pittura nordica, e per un’imitazione
eclettica ma sistematica di modelli.
Quest’immagine
valorizzante del pittore non corrisponde tuttavia alla testimonianza faziosa e
frammentaria trasmessa dalle Vite del
Vasari (1568) : il biografo dedica a Bachiacca alcuni paragrafi
sparsi nelle biografie di Perugino, Franciabigio, Tribolo, Granacci e
Aristotile da Sangallo, fissandone per lungo tempo quell’immagine di pittore
secondario apprezzato esclusivamente per le sue « figure piccole » e
a cui l’invenzione faceva difetto. La
France fa notare come il giudizio negativo e il carattere
riduttivo delle notizie del biografo, distogliendo l’attenzione dalla
produzione effettiva del Bachiacca, siano forse legati a un’interpretazione
distorta e capziosa di quel passo pliniano (XXV, 37, 53) in cui è questione di minoris picturæ.
L’origine della
« sfortuna critica » del pittore è dunque vasariana, e bisognerà
aspettare più di quattro secoli prima che la storiografia d’arte s’interessi a
Bachiacca in modo più adeguato e approfondito (Morelli, 1890 ; Tinti 1921
e 1925 ; McComb, 1926 ; Salvini, 1939 ; Merrit, 1958 ; Bachiacca and his Friends, 1961 :
Zeri, 1962 ; Nikolenko, 1966 ; Colbert, 1978).
Il secondo
capitolo del saggio è dedicato alla ricostruzione storica delle vicende della
famiglia Verdi estintasi interamente all’inizio del Seicento : attraverso una
ricognizione attenta di documenti d’archivio (presentati in appendice), La France stabilisce che la
discendenza d’Ubertino di Bartolomeo Verdi, orafo e padre del pittore, contava
tra cinque (documentati) e otto artisti, le cui carriere possono considerarsi
legate. L’autore ipotizza che alcuni dei lavori attribuiti al Bachiacca, fra i
meno riusciti, possano essere opere di mano della bottega familiare, posteriori
alla morte del pittore.
La prima fase della
carriera dell’artista – delineata nella terza sezione del libro – comincia a
Firenze nella bottega del Perugino dove il Bachiacca assimila la maniera del
maestro ; qui egli integra la pratica della rielaborazione di modelli e
del riuso di motivi. Questo apprendistato lo mette ugualmente in contatto
diretto con quelle istanze nordiche, presenti nell’atelier peruginesco, che
caratterizzeranno definitivamente lo
stile « ibrido » di Bachiacca (p. 48). L’eredità del Perugino, il
fascino per l’opera di Fra Bartolomeo e per i paesaggi nordici sono evidenti
nelle composizioni e nella gamma cromatica delle prime opere di mano del Bachiacca
(1510-1515) : la Resurrezione di Dijon, il Noli me tangere di Oxford oppure il Marcus Curtius di Londra. Questo esordio mostra già chiaramente
come il pittore accordi un’attenzione particolare tanto al dettaglio quanto al
paesaggio ; se le sue figure restano anatomicamente imprecise, la qualità
dei drappeggi tende a nascondere questa debolezza. Dopo la partenza del
Perugino, Bachiacca si accosta alla cerchia d’Andrea Del Sarto dove incontra
Pontormo, Franciabigio e Granacci. Qui l’interesse per la pittura fiamminga, stimolata
dalla circolazione delle stampe d’artisti nordici, è forte. È proprio
nell’ambito sartesco che Bachiacca partecipa alla decorazione della Camera
Borgherini, per la quale realizza sei panelli in cui sono leggibili
l’esperienza peruginesca e il fascino per quegli effetti coloristici e quei
motivi pittorici provenienti dal Nord. Nel periodo appena successivo Bachiacca
ottiene la prima commissione medicea, i Santi
Cosimo e Damiano (Biblioteca Laurenziana), realizza soprattutto dipinti di
piccolo formato e anche la celebre ‘replica’ del Tondo Doni.
La predella con
storie di sant’Acazio (1521) segna il momento in cui si cristallizza nell’opera
del pittore un particolare senso dell’imitazione caratteristico della sua
pittura – combinazione e ibridazione di elementi nordici (soprattutto
paesaggistici) con una serie di modelli italiani. Con le due spalliere dipinte
da Bachiacca per l’anticamera Benintendi (1523), la collaborazione con Andrea
del Sarto, Pontormo e Franciabigio è reiterata. Non si conoscono opere
documentate durante il periodo successivo e fino al 1539, ma le fonti attestano
un viaggio a Roma con il fratello Baccio. L’autore del saggio propone di
ascrivere a questo lasso di tempo una serie di dipinti, fra cui la pala di San Sebastiano, dall’insolito grande
formato, eseguita nel villaggio natale di Borgo San Lorenzo, probabilmente
quando la peste imperversava a Firenze ; ma ugualmente due ritratti
allegorici (Dresda e New Orleans), una serie di Madonna con Bambino (New York, Milano, Baltimore ) o anche la Maddalena
di Palazzo Pitti.
Nella
ricostruzione della carriera pre-medicea del Bachiacca, La France conclude che il
successo del pittore è dovuto principalmente al fatto che lo stile
« ibrido », il formato ridotto - adatto alla decorazione delle dimore
private -, il riuso esplicito d’illustri modelli autoctoni e settentrionali,
costituisce una risposta adeguata ad una specifica e crescente domanda locale.
È la carriera
medicea che interessa La France
nel quarto capitolo. Nessun documento permette di delineare precisamente la
carriera del Bachiacca durante gli anni ’30 e di dire se questi entrasse in
contatto con il duca Alessandro de’ Medici. Questo periodo è segnato da un
accentuato interesse per l’opera di Michelangelo che comincia a leggersi
in filigrana nelle composizioni di Bachiacca databili in quegli anni (Ritratto allegorico - Liberalità, Los
Angeles). L’elezione di Cosimo I segna l’avvicinamento – documentato – del
pittore alla cerchia della nascente corte : eseguito per l’apparato
festivo del matrimonio di Cosimo e Eleonora nel 1539, il disegno del Ritorno di Cosimo il Vecchio dall’esilio
segna l’inizio della carriera medicea del Bachiacca. Nel 1540 questi abbandona la Corporazione e riceve
il primo stipendio dal giovane duca, entrando così a far parte del gruppo di
artisti e artigiani chiamati a operare nel grande cantiere di rinnovamento di
Palazzo Vecchio. L’importanza del Bachiacca fra gli artisti di corte è
testimoniato dall’entità dello stipendio attribuitogli che in quegli anni è
pari o appena inferiore a quello del Bronzino o del Pontormo.
Immediatamente
dopo aver eseguito la decorazione dello Scrittoio del duca, prima impresa
pittorica per il Palazzo Vecchio (1542-1543), Bachiacca è chiamato a realizzare
i cartoni per le dieci preziose spalliere ad arazzo destinate alla Sala delle
Udienze le cui pareti affrescate sono appena state ultimate dal Salviati. Le
spalliere sono finite di tessere nel 1549 e, l’anno successivo, Bachiacca
comincia i cartoni per un ciclo di quattro arazzi di grandi dimensioni dedicati
alla rappresentazione dei Mesi e alle
attività loro correlate (la cui tessitura è completata da Nicolas Karcher nel
1553). La France
afferma che, se nei cartoni per le spalliere, il pittore aveva dato prova di
quella maestria nel saper combinare invenzioni e motivi derivati da modelli
nordici e italiani, nelle composizioni dei Mesi
– probabilmente voluti dalla duchessa Eleonora –l’artista accentua il riuso
di motivi già sperimentati nella Camera Borgherini e nella Raccolta della manna. A questo proposito, La France parla dei Mesi come di « un’enciclopedia
della carriera del Bachiacca ». Durante l’esecuzione di questi cartoni, il
pittore è chiamato a lavorare alla decorazione della terrazza della duchessa
(1552-1554). La quantità di lavoro che incombe allora sulle spalle dell’artista
fa si che pochi elementi siano di sua mano nella terrazza (ma quel poco è prova
di una qualità rinnovata) rispetto a ciò che è dipinto dagli aiuti. Un altro
aspetto importante della produzione del Bachiacca in questa ultima fase della
sua carriera è la realizzazione per il duca Cosimo di un’ampia serie di disegni
di piante e animali. L’interesse zoologico di Cosimo è accompagnato da
un’operazione di registrazione delle specie ; i disegni (perduti) di pesci e animali
illustravano le indubbie doti di precisione e fedeltà della pittura del
Bachiacca e fornivano al duca il materiale visivo per stimolare lo studio e
curiosità.
Le pitture della
Grotticina di Madama sono l’ultima commissione ducale ricevuta da Bachiacca
(prima del 1555). Infatti, in questo stesso periodo muore il cognato del
pittore e architetto di palazzo, Battista del Tasso, sostituito dal
Vasari. Con la sua morte si conclude anche la carriera a corte di Bachiacca,
messo immediatamente da parte dall’aretino. Alle doti di questi – pittore di
paesaggi e di grottesche e ideatore d’arazzi – Vasari preferisce infatti quelle
di Marco da Faenza e di un ‘vero fiammingo’ come Jan van der Straet
(Stradanus).
Durante gli anni
passati come artista di corte, Bachiacca continua a produrre alcune opere per committenza
privata : ne è un esempio documentato la pala del Battesimo di Cristo di Buggiano Castello, ma anche altri dipinti
che La France
assegna, per ragioni stilistiche, a diverse fasi tra la metà degli anni ’40 e
la metà del decennio successivo (Madonna
col bambino, Pittsburg ; San
Giovanni Battista, Utah ; Ritratto
di donna, Los Angeles ; Decapitazione,
Berlino…). L’autore del saggio sottolinea come la produzione del periodo di
maturità sia caratterizzata da un interesse particolare per l’opera dei
colleghi Bronzino e Salviati e anche da un ampliamento dei formati utilizzati,
che Bachiacca continua tuttavia a popolare di quel repertorio di figurine che
aveva animato i precedenti dipinti. Il rinnovamento della sua pittura e del suo
repertorio non riesce dunque a compiersi interamente.
La France conclude la sezione studiando le sorti
della bottega della famiglia Verdi dopo la morte di Francesco. Insieme al
soprannome ‘Bachiacca’, la bottega costituita da nipoti e figli – tutti artisti
polivalenti, ricamatori e fornitori di materiali – sfrutta l’arsenale che
Francesco aveva costituito durante tutta la sua carriera. Il ripiego
dell’atelier su se stesso e l’estinzione della famiglia Verdi nel 1600
conducono inevitabilmente allo svilirsi dello stile e al disfacimento della
‘marca’ Bachiacca.
Nel capitolo
successivo, molto appropriatamente, La France cerca di decifrare proprio il significato
dell’imitazione nella maniera del Bachiacca. Se questi è considerato come un
artista eclettico, bisogna pure definire precisamente la natura di questo eclettismo
e definire il concetto d’imitazione ma anche quello di plagio e copia nella
cultura artistica e letteraria del Cinquecento. Seguendo uno studio di E.
Cropper (2005), La France
spiega « la strategia d’imitazione creativa » di cui Bachiacca
dà prova durante tutta la sua carriera. Se è una pratica comune per molti
artisti e letterati, la « colpa » di Bachiacca sarebbe di avere ricorso
all’imitazione in modo immoderato, senza peraltro intaccare la leggibilità
delle citazioni, allo scopo di rispondere ai desideri dei committenti
fiorentini e provocare in questi il piacere intellettuale del riconoscimento.
Nel capitolo
finale, La France
si sofferma proprio sul soprannome di Francesco di Ubertino Verdi, detto
appunto Bachiacca. « Nomina sunt
consequentia rerum », afferma l’autore facendo eco a Dante : il
soprannome dell’artista deriverebbe dalla parola che significa il gesto di
battere i rami d’un albero per coglierne i frutti. Il nome sarebbe dunque una
sorta di metafora dello stile dell’artista, che coglie qua e là, ispirazioni e
motivi.
Il volume include un catalogo ragionato delle opere attribuite a Bachiacca
e un catalogo delle opere che l’autore assegna invece alla bottega familiare.
Un’importante appendice documentaria (lettere, documenti d’archivio,
genealogie…) e un utilissimo indice dei nomi, delle opere e dei luoghi
arricchiscono e concludono lo studio.
Questi sono, in sintesi, i contenuti principali della monografia che,
bisogna sottolinearlo, è anche molto ben illustrata. Tuttavia il macchinoso
sistema di rinvio alle immagini rende fastidioso e lento il passaggio dal
saggio al catalogo e dal catalogo alle illustrazioni e ai documenti.
Il duplice
interesse di Robert G. La
France per Francesco Bachiacca e la sua famiglia e il
materiale offerto nell’appendice offrono molti spunti stimolanti per proseguire
la ricerca sul pittore. Si vuole tuttavia introdurre una nota critica al saggio
peraltro ammirevole di La
France : l’autore non ha colto l’occasione di un approfondimento
su quel particolare momento artistico che si organizza intorno alla prima corte
cosimiana, un momento che è stato messo in ombra proprio dall’arrivo a palazzo –come
nella letteratura artistica– dell’ingombrante figura del Vasari. Il volume di
Robert G. La France
coglie comunque nel segno, esplorando attentamente l’opera e la vita di un
pittore che la storiografia non apprezza e non conosce ancora adeguatamente. |