AA.VV.: De Corot à l’art moderne. Souvenirs et variations. Exposition du musée de Reims, du 20 février au 24 Mai 2009, 228 X 220 mm, 215 pages, ISBN-EAN13 : 9782754103800, 39 euros
(Editions Hazan, Paris 2009)
 
Rezension von Laura Fanti, Università La Sapienza (Roma)
 
Anzahl Wörter : 1926 Wörter
Online publiziert am 2009-08-28
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=735
 
 

 

Il testo in esame è il catalogo di una recente mostra al Musée des Beaux-Arts di Reims, museo che possiede ben ventisette dipinti di Camille Corot (1796-1875), frutto di un mercato che si sviluppò precocemente nella città dopo la morte del pittore. Ottima occasione per ripresentare il lavoro del grande artista in una lettura trasversale, non in ordine cronologico ma a sezioni tematiche. Il catalogo, proprio per questo suo intento, è piuttosto complesso e in parte non risponde alle aspettative dichiarate fin dal titolo Souvenirs et variations, dove souvenir sta a ricordare un termine caro al pittore, che preferiva parlare di ricordo interiorizzato della visione natura, e dove le variations consistono nel modo di arricchire tale visione con la propria emotività e con presenze immaginarie e nelle riprese di alcuni modelli corotiani da parte dei suoi successori, elementi che secondo i curatori del catalogo Vincent Pomarède e Michael Pantazzi, sarebbero alla base della modernità dell’artista, modello persino per l’astrattismo. Ma procediamo con ordine.
 
Il primo capitolo è dedicato al tratteggio della figura di Corot, amabile, cordiale, amante del cibo e delle donne, grande conoscitore del proprio valore “commerciale” (era pur sempre il figlio di commercianti di tessuti) anche se non ebbe riconoscimenti in vita eccezion fatta per la medaglia d’onore ottenuta grazie all’aiuto dei suoi amici (1874) dopo anni di indifferenza ai Salons; e dell’artista Corot vero e proprio, che nasce solo a ventisei anni grazie alla dote di una sorella morta prematuramente che gli permette indipendenza economica. Questi due elementi molto materiali sembrano lontanissimi dalla figura dell’artista alla quale siamo abituati ma aiutano a ricollocare Corot nel proprio contesto e a ridefinire le coordinate del suo contributo alla pittura dall’Impressionismo in poi. Nello stesso capitolo si accenna alla difficoltà di periodizzazione dei suoi dipinti nei quali si intrecciano romanticismo, realismo, lirismo, sublime in tutte le fasi creative, complesso mix che ha interessato il collezionismo francese ed americano. Si parla degli artisti che lo hanno amato, da tutti gli Impressionisti a Gauguin, Picasso, Matisse, Braque e Derain (molti grazie alla mostra al Salon d’Automne del 1909). Per gli Impressionisti non fu solo un maestro di tecnica ma anche un sostegno costante, ricordo che Corot (insieme con Daubigny) si dimise da giurato del Salon nel 1870 perché il resto della giuria rifiutò un dipinto di Monet. Si pensa che questo gesto sia stato il movente che portò Renoir, Monet, Morisot e Degas a non partecipare al Salon per la prima mostra impressionista nonostante il consiglio di Manet.
 
Les débuts et l’Italie è un capitolo di “riepilogo”, poiché fa il punto sulla storia della pittura di paesaggio, il cui capostipite è considerato Pierre Henri de Valenciennes (1750-1809). Proprio con un suo allievo, Achille Michallon (1796-1822), Corot nel 1822 inizia gli studi en plein air, ma per poco tempo perché Michallon morirà a settembre dello stesso anno, sostituito da Jean-Victor Bertin (1767-1842). A quasi trent’anni (1825) Corot ottiene dal padre il permesso di recarsi a Roma, dove i suoi maestri avevano soggiornato. Inizia a sperimentare punti di vista inusuali e visita molte località della provincia (dai Castelli Romani a Nepi e Civita Castellana, al nord di Roma), anzi, è più attratto dalla luce di questi borghi che dalle rovine storiche e dai fremiti cittadini. Vi soggiornerà fino al 1827, quando visiterà Napoli, la Costiera e Genova, Pisa, Venezia e altri importanti centri del nord. Vi ritornerà due volte, nel 1834 e nel 1843.
Questo capitolo manca di intensità, ossia non sono ben chiariti i primi passi dell’artista e in cosa consistevano le sue prime “pulsioni” e interessi pittorici e stilistici.
 
Nel capitolo Campagnes de France et ateliers sono segnalati i luoghi preferiti dall’artista nel paese natale, in primis Barbizon, dove visse accanto a Daubigny, Diaz, Rousseau, Bary e Decamps. C’è un’insistenza eccessiva sulle località frequentate dall’artista che stanca un po’ la lettura.
Il successivo è il capitolo più interessante del catalogo e quello che fa comprendere lo scopo della mostra. Cadrage et espace, vues panoramiques et perspectives mette in luce il modo corotiano di comporre il dipinto e di “incorniciarlo” e la variazione dei suoi temi operata dai suoi epigoni. Si fa il punto sull’importanza della sua pittura, che prosegue la tradizione del paesaggio francese e, al contempo, propone soluzioni estetiche nuove: è il motivo per cui il suo esempio fu seguito dai tradizionalisti, dagli accademici e dai pittori “moderni” (p.70). Corot obbediva alle leggi della prospettiva lineare e seguiva rigorosi principi ma era interessato anche alla destrutturazione dello spazio e alla sua ricostruzione con luci ed ombre, ciò è particolarmente evidente in En forêt de Fontainebleau. Pins et Bouleaux dans les rochers dove le luci sono “innaturali” e le forme assumono una volumetria che sarà cara a Cézanne e poi a Braque e Picasso (p.73).
 
Seguono due capitoli, l’uno dedicato al fascino esercitato dal teatro e dalla musica, al punto che alcuni dipinti con figure mitologiche sembrano dei décor teatrali (p.92), dove il paesaggio è “schiacciato” in secondo piano; Pomarède scrive: “Talvolta, la presenza di un albero sospeso su uno stagno o in un sottobosco – sempre in primo piano nel dipinto- genera uno squilibrio generale della composizione e anima, come l’eroe di un dramma lirico, un paesaggio d’altronde molto classico nella forma[1]. Il metodo di Corot di riportare i ricordi sulla tela è musicale, sembra dipingere una partitura. L’altro capitolo, sulla falsariga delle teorie di Roger de Piles secondo il quale il pittore introduce il proprio stato d’animo attraverso l’elemento acquatico - che è anche il più difficile da rappresentare- dimostra che Corot che amava riprodurre le acque calme, e che il suo era un rapporto sereno con la natura e con la propria anima. Si ribadisce il ruolo di Corot che fa da cerniera tra le teorie neoclassiche sul paesaggio (osservazione, memoria e studio) e il romanticismo di Delacroix. Egli esprimeva uno stato d’animo, un’emozione intima sia con il colore sia con la complessa strutturazione del dipinto: per questo sarà seguito dagli Impressionisti ma anche dai Cubisti e dagli Espressionisti.
 
Il capitolo Muses, Nymphes et Musique è molto interessante ma al contempo un’occasione mancata per restituire l’“altro Corot” alla storia: il pittore di figure. Corot dipinse, infatti, esclusi i ritratti, ben trecento dipinti di figure, e saranno proprio questi soggetti ad ammaliare Degas, Renoir, Gauguin, (in particolare La dame en bleu del 1874); Paul Valéry li chiamò “une sorte de mystique de sensations” (cit. p. 118). Alcuni erano delle figure di fantasia, quasi moderne allegorie dove l’artista sperimentava originali accostamenti di costumi e di colori. Anche queste figure, prevalentemente donne, erano indagini sugli stati d’animo e nel saggio l’autore (Michael Pantazzi) fornisce un contributo storico importante sulle modelle preferite da Corot. In mostra le opere degli artisti suggestionati da queste figure, di nuovo Matisse e Picasso sopra tutti.
 
Corot, à l’origine de l’abstraction secondo me è l’altro capitolo interessante e stimolante. Partendo dalla soggettività dello sguardo che in Corot assume un’importanza capitale, dal suo panteismo e da alcuni commoventi appunti nei carnets, Pomarède arriva a collocare l’artista tra i pionieri (inconsapevoli) dell’arte astratta. “Il bello nell’arte, è la verità immersa nell’impressione che abbiamo ricevuto di fronte alla natura”, “Bisogna interpretare la natura con spontaneità e secondo il vostro sentimento personale, distaccandovi completamente da ciò che conoscete degli antichi maestri o dei contemporanei[2] sono tra le dichiarazioni di poetica più struggenti e rivoluzionarie soprattutto per chi ha sempre visto Corot come un artista dotato e commovente ma un po’ ripetitivo.
Altro elemento che va a formare l’immagine di un Corot proto-astrattista è il rinnovamento della pratica neoclassica del ressouvenir trasformata in souvenir: l’artista non rappresenta sulla tela ciò che ricorda di un evento, di un altro quadro, e così via, ma si allontana dall’aneddoto e rende il dipinto un’esperienza soggettiva, al punto di arrivare ad affermare: “Voglio che, mentre guarda la mia tela, che tuttavia non si muove, lo spettatore provi l’impressione che le cose si muovano[3]. In un attimo con Corot la pittura si libera dall’accademismo e dall’esigenza “sfrenata” di realismo, aprendo le porte alla pittura contemporanea. La narrazione si trasforma in una “evocazione astratta, affettiva e intellettuale degli stati d’animo e delle impressioni visive provate davanti alla natura[4].
Gli ultimi due capitoli ricostruiscono il mercato fiorente a Reims (Collection et collectionneurs) formato soprattutto da nuovi borghesi attratti da opere più posate e meno innovative che andranno a costituire il nucleo del museo, e dalla posizione di Corot nel panorama giapponese, da sempre attratto dall’arte occidentale, in particolare dalla pittura ad olio, in questa direzione l’artista, che sintetizza tutti i cambiamenti della pittura dell’Ottocento, diventa paradigmatico (Un peintre du XIX siècle- plus que jamais présent au Japon).
 
Il testo è ricco di immagini, settantadue sono le schede delle opere in mostra che formano il nucleo centrale con esaurienti notizie storico-bibliografiche, ventisette le illustrazioni delle opere nella collezione del museo e ben cinquantasei quelle a corredo dei saggi. Tutte di ottima qualità sebbene queste ultime a volte di dimensione un po’ ridotta.
Un catalogo molto interessante ma un po’ duro e non del tutto riuscito nel suo intento, inoltre sarebbe stato molto utile e interessante mostrare più lavori di autori non francesi suggestionati dalla modernità di Corot, anche solo con dei riferimenti in catalogo o con delle piccole immagini. In questo senso il lavoro, che resta ad ogni modo un ottimo aggiornamento della figura dell’artista e del suo inquadramento storico, pecca di campanilismo, facendo involontariamente coincidere arte moderna con arte francese.
 
Sommaire

Essais :
 
Corot, vie et œuvre (Vincent Pomarède), p. 16
Harmonies irrésistibles: dans le sillage de Corot (Michael Pantazzi), p. 32
 
Catalogue :
 
Les débuts et Italie (Michael Pantazzi), p. 44
Campagnes de France et ateliers (Vincent Pomarède), p. 60
Cadrage et espace, vues panoramiques et perspectives (Vincent Pomarède), p. 70
Rideaux d’arbres, rideaux de scène (Vincent Pomarède), p. 90
Reflets, réflexions, rêveries; des eaux (Vincent Pomarède), p. 104
Muses, nymphes et musique (Michael Pantazzi), p. 118
Corot à l’origine de l’abstraction (Vincent Pomarède), p. 138
 
Collections et collectionneurs :
 
Corot à Reims (Vincent Pomarède), p. 152
Catalogue sommaire des œuvres du musée des Beaux-Arts de Reims, p. 159
Un peintre du XIXe siècle plus que jamais présent au Japon (Akiya Takahashi), p. 188
 
Annexes :
 
Chronologie, p. 195
Section bibliographique, p. 206
Index des noms propres et des œuvres de Corot, p. 212

 

 


 

 

[1] “Quelquefois, la présence d’un arbre penché sur un étang ou dans un sous-bois –toujours au premier plan du tableau- produit un déséquilibre général de la composition et anime, tel le héros d’un drame lyrique, un paysage par ailleurs très classique dans sa forme” (p.93).

[2] “Le beau dans l’art, c’est la vérité baignée dans l’impression que nous avons reçue à l’aspect de la nature”, “Il faut interpréter la nature avec naïveté et selon votre sentiment personnel, en vous détachant complètement de ce que vous connaissez des maîtres anciens ou des contemporaines”, Carnet 9, citato in Camille Corot. Carnets des dessins suivis des lettres des voyages en Italie, Paris 1996, p.36.

[3] “Je veux qu’en regardant ma toile, qui cependant ne bouge pas, le spectateur ressente l’impression du mouvement des choses” : Alfred Robaut, “Journal des derniers jours de Corot” in Alfred Robaut et Étienne Moreau-Nélaton, L’Œuvre de Corot. Catalogue raisonné et illustré précédé de l’Histoire de Corot et de ses œuvres par Étienne Moreau-Nélaton, Paris 1905, 5 vol.

[4] “La narration se métamorphosait ainsi en une évocation abstraite, affective et intellectuelle des états d’âme et des impressions visuelles ressentis devant la nature”, catalogue p. 142.