Branca, Mirella (a cura di): Il polittico di Taddeo Gaddi in Santa Felicita a Firenze. Restauro, studi e ricerche. (Fondazione Carlo Marchi Quaderni, vol. 38), 17x24 cm, viii-102 pp. con 48 tavv. f.t. a colori, ISBN 978 88 222 5781 9, 25,00 euros
(Leo S. Olschki Editore, Firenze 2008)
 
Rezension von Laura Fenelli, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck Institut
 
Anzahl Wörter : 1751 Wörter
Online publiziert am 2011-02-24
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=788
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          Il volume miscellaneo Il polittico di Taddeo Gaddi in Santa Felicita a Firenze conclude, con la pubblicazione di alcuni saggi specialistici, il restauro del polittico della la Madonna con il bambino e santi conservato nella sagrestia della chiesa fiorentina di S. Felicita, effettuato grazie al generoso contributo della Fondazione Carlo Marchi. L’opera di recupero ha coinvolto sia la pellicola pittorica, sia la carpenteria, restituendo splendore all’imponente macchina da altare e venendo a completare il riordino della sagrestia rinascimentale del convento benedettino dove è da anni conservato ed esposto il dipinto.

          Mirella Branca, nel primo contributo (Il polittico di Taddeo Gaddi in Santa Felicita), che segue alla presentazione del volume di mano di Anna Maria Petrioli Tofani, presidente della fondazione Carlo Marchi, offre una ricostruzione sia delle caratteristiche iconografiche del dipinto, sia di alcuni elementi utili per comprenderne la commissione e le circostanze di esecuzione, soffermandosi su alcuni snodi storico-critici ancora da chiarire.

          La Branca inquadra il polittico nella tradizione fiorentina trecentesca, descrivendone con attenzione i dettagli figurativi e soffermandosi con precisione su alcune caratteristiche, come le virtù in monocromo che decorano il trono della Vergine – chiaro richiamo giottesco – o le corrispondenze tra i santi a figura intera dei laterali e i personaggi dell’Antico Testamento che decorano le cuspidi. Assai interessanti sono, soprattutto nell’ottica del restauro, che ha ridato piena leggibilità allo splendore fiammeggiante degli elementi dorati, le osservazioni sulla tecnica di Taddeo e soprattutto sull’impatto che determinate scelte tecniche potevano avere su una committenza e un pubblico assai attento alla valutazione degli elementi cromatici e decorativi. L’ultima parte del saggio della Branca è dedicata alla ricostruzione delle vicende ottocentesche del dipinto, a cui, nel 1843/1844 fu data una nuova cornice, a sostituzione di quella originale evidentemente danneggiata: il nuovo apparato ligneo, eseguito sul modello di quello antico – come testimonia la somiglianza con quello, ancora trecentesco, del coevo polittico pistoiese di S. Giovanni Fuoricivitas – apre una nuova serie di problemi, ancora irrisolti.

          Nella predella ottocentesca figurano infatti tre stemmi, che si ipotizza – ma manca ancora una prova certa – riproducano gli originali trecenteschi: i blasoni delle famiglie Guicciardini, Gherardini della Rosa (e non Passavanti, come la critica sosteneva in passato) ed Ebriachi, pur suggerendo il collegamento del dipinto con tre ricchissime famiglie cittadine, non permettono, a oggi, di chiarire le circostanze delle commissione e soprattutto del primo allestimento. Non si sa, infatti, da che data il polittico fosse esposto in sagrestia, né, nonostante le ricerche della Branca, si trova menzione dell’imponente macchina da altare nelle antiche descrizioni: da questo punto di vista si spera che la pubblicazione del volume, insieme al restauro e alla restituzione di una piena leggibilità del dipinto, apra a nuovi studi e indagini archivistiche.

          In questo senso assai utili sono il Regesto documentario con nota descrittiva sull’Archivio Storico Parrocchiale di Santa Felicita a Firenze a cura di Maria Cristina Francois, che pubblica i documenti relativi al polittico quasi tutti prodotti nell’Ottocento in occasione dell’esecuzione della nuova cornice, e la lunga nota dedicata sia alla storia del monastero benedettino, sia, soprattutto, all’organizzazione del suo patrimonio documentario: si auspica che, sulla base di queste ricerche, nuove scoperte possano giungere a illuminare le circostanze della commissione del dipinto, eseguito probabilmente, come già suggeriva la Branca, per una cappella della famiglia Guicciardini.

          I due contributi seguenti presentano i risultati delle indagini preliminari e del restauro. Roberto Buda (Il supporto ligneo: tecniche costruttive) analizza i dati emersi dall’analisi del supporto e documenta gli interventi volti a consolidarlo e a prevenire danni futuri, mentre Daniele Rossi (Il restauro del polittico) presenta i principali risultati relativi al recupero del polittico. Le indagini – fluorescenza, infrarosso falso colore e riflettografia a infrarosso – hanno permesso di studiare a fondo soprattutto la tavolozza del pittore, le cui scelte cromatiche sono state indagate in base ai dati chimico-fisici; il restauro conservativo, invece, che ha coinvolto sia il supporto, sia, soprattutto la pellicola pittorica, ha permesso di ridare perfetta leggibilità al polittico, attraverso una reintegrazione delle parti più danneggiate, eseguita sia ad acquarello con abbassamento di tono sia a tratteggio verticale.

          Il contributo di Erling Skaug, The Santa Felicita altarpiece and some observations on Taddeo Gaddi’s punchwork and halo style c. 1345-1355 è dedicato a un aspetto particolare della tavola, la decorazione a punzoni delle aureole. Da anni Skaug si occupa di ricostruire le specifiche tecniche e i dettagli operativi dell’utilizzo dei punzoni nelle botteghe medievali e il saggio contenuto in questo volume, oltre a studiare nello specifico il tipo di lavorazione dell’oro presente nel polittico di Taddeo Gaddi, getta nuova luce sulle attività di doratura intorno alla metà del Trecento, confrontando la produzione contemporanea ma tecnicamente opposta di Taddeo e Bernardo Daddi. L’analisi approfondita delle decorazioni punzonate, confrontate con un ricco materiale comparativo, permette di stabilire una forbice cronologica molto stretta per l’esecuzione del dipinto, 1350-1355: lo stesso intervallo di anni è suggerito, nel saggio che conclude il volume, da Tripps, per ragioni stilistiche.

          A un altro aspetto solo in apparenza minore è dedicato l’intervento di Isabella Bigazzi, Motivi tessili nel polittico di Taddeo: raffronti e approfondimenti o l’ «arte dell’inganno». La studiosa, esperta di tessuti trecenteschi, lavora su una doppia pista di ricerca, apportando elementi nuovi sia sulla composizione del polittico, sia sulla sua fortuna critica tra Otto e Novecento. I motivi tessili utilizzati da Taddeo nel polittico di S. Felicita – la serpentina, gli elaborati pattern dei galloni dell’abito della Madonna e dei manti dei santi – sono confrontati con la contemporanea produzione dell’artista, in particolare con l’altare pistoiese di S. Giovanni Fuoricivitas e la Madonna di Castiglion Fiorentino, per ricostruire le pratiche operative delle botteghe di pittori del primo Trecento, che erano solite fornire anche i cartoni per i ricami tessili. Lo studio dei tessuti mimetizzati nella pittura serve anche a comprendere in che contesto venne rivalutata e riesaminata criticamente l’arte dei giotteschi fiorentini, tra il 1910 e il 1930, negli stessi anni in cui sorse per la prima volta un interesse critico e documentario verso i tessuti antichi e le arti decorative in genere. Del resto, l’attenzione quasi filologica nel recupero dei modelli medievali e degli elementi decorativi trecenteschi era già evidente negli anni Quaranta dell’Ottocento, quando – come si accennava – venne approntata la nuova cornice, completata da un predella decorata a motivi floreali e geometrici sicuramente ispirati alla cornice originaria.

          Il contributo che chiude il volume, di Johannes Tripps, Il «miglior maestro di dipingere che sia in Firenze». Taddeo Gaddi attorno al 1350, tira le fila dei lavori nati in occasione del restauro del polittico di S. Felicita, e, compilando un bilancio complessivo e articolato dell’opera dell’autore, senza mancare di illuminare i punti ancora oscuri, conclude la raccolta, aprendo, si spera, nuove piste di ricerca. La definizione che l’autore usa per il titolo del suo saggio deriva da un elenco di artisti compilato nel 1347 dagli operai pistoiesi di S. Giovanni Fuoricivitas: Taddeo vi compare al primo posto e infatti è a lui, all’apice di una brillante carriera  fiorentina, che viene affidata l’esecuzione della tavola dell’altar maggiore, saldata nel 1353: quest’ultimo dipinto, secondo la ricostruzione che emerge da tutto il volume, in base a differenti confronti documentari, stilistici ed esecutivi, sarebbe la tavola eseguita dal pittore prima di quella di S. Felicita, che Tripps data, stilisticamente, al 1352-1355, come già, per altre ragioni, Skaug. In questa direzione il polittico con la Madonna in Trono è inquadrabile nella fase matura dell’autore, in cui l’influenza di Bernardo Daddi appare ormai perfettamente superata. Il saggio di Tripps non manca di sottolineare i punti ancora oscuri relativi alla commissione di S. Felicita: la committenza, forse Guicciardini, se è da considerarsi attendibile lo stemma nella predella, e l’originaria collocazione del polittico, che quasi sicuramente non era stato concepito per la sagrestia, dove fu spostato in date non specificate.

          Il contributo è anche l’occasione per presentare altri elementi utili alla ricostruzione della personalità di Taddeo intorno agli anni Cinquanta del Trecento. Tripps ritorna infatti sulla convincente ipotesi, già formulata  in un articolo apparso su «Arte Cristiana» nel 2007,  che sia da attribuire a Taddeo e alla sua bottega la decorazione vitrea della cappella maggiore di S. Croce, articolata in 24 formelle, sottolineando come la ricca somma di 2500 fiorini d’oro, pagata dagli Alberti tre il 1348 e il 1352, poteva sicuramente riuscire a coprire le spese sia della decorazione a fresco, sia della vetrata. Stringenti a questo proposito sono i confronti tra i santi vitrei delle bifore meridionali dell’abside della chiesa francescana fiorentina e il san Giacomo e il san Luca del polittico di S. Felicita.

          Interessante è anche, nelle ultime pagine del contributo, la segnalazione di un frammento di decorazione a fresco nella chiesa di S. Maria Novella: la committenza domenicana giunge a ulteriore riprova del successo della bottega di Taddeo in città e della ricchezza degli incarichi ricevuti. Secondo quanto segnalato da numerosi autori antichi (Antonio Billi, l’anonimo Magliabecchiano, il Gelli, il Vasari in entrambe le edizioni delle Vite) il pittore sarebbe stato responsabile dell’esecuzione di un san Girolamo accanto a un san Ludovico di mano di Giotto. A questa antica indicazione Tripps collega, forse mancando di evidenziare i non pochi punti problematici della ricostruzione, due figure di sante, di cui una identificabile con S. Caterina d’Alessandria, in piedi davanti a una specchiatura di finti marmi. La segnalazione, suggestiva, pur nella mancata rispondenza iconografica con le attestazioni documentarie, che parlano – lo si ricordi – di un san Girolamo, è significativa perché permette di aggiungere un tassello alla decorazione trecentesca del convento domenicano, profondamente alterata dal riassetto tardo cinquecentesco. L’affresco attribuito già da Boskovits a Taddeo, nella prima campata della navata sinistra, fu infatti occultato dall’altare di Santi di Tito con la resurrezione di Lazzaro e fotografato soltanto quando nel 1857 il dipinto soprastante fu rimosso per essere restaurato. Dopo la ricollocazione della pala d’altare, la foto resta come unica e problematica attestazione dell’operato di Taddeo in S. Maria Novella.

 

          Una ricca documentazione fotografica, di 86 tavole, quasi tutte a colori, chiude, come indispensabile appendice, il volume: accanto a foto d’insieme e dei dettagli, viene presentata la documentazione preliminare al restauro (fluorescenza, infrarosso falso colore, riflettografia) e il corredo illustrativo dei vari saggi, con i particolari dei punzoni e dei motivi decorativi dei tessuti, ricostruiti anche graficamente, e i confronti stilistici con la produzione di Taddeo intorno agli anni Cinquanta del Trecento.