Marki, Efterpi: Η Νεκρόπολη της Θεσσαλονίκης στους Υστερορωμαiκούς και Παλαιοχριστιανικούς χρόνους (μέσα του 3ου έως μέσα του 8ου αι. μ.Χ.)
La nécropole de Thessalonique aux époques tardo-romaine et paléochrétienne (milieu du IIIe-milieu du VIIIe s. ap. J.-C.)
320 p., 74 pl. 173 dessins (grec avec résumé en français), 45 €,
ISBN 960-214-501-3
(Ministère grec de la Culture - Caisse des recettes archéologiques, Athènes 2006)
 
Compte rendu par Paolo Bonini Università di Padova – Accademia di Belle Arti “Santa Giulia” di Brescia
 
Nombre de mots : 1745 mots
Publié en ligne le 2009-09-26
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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L’impetuoso sviluppo urbano cui anche Tessalonica è andata incontro nel XX secolo ha riportato in luce, specialmente a partire dagli anni ’60, una grande quantità di dati sulle necropoli che sorgevano fuori dalle mura della città, lungo le strade dirette a Est verso Costantinopoli e ad Ovest verso la Grecia meridionale. Oltre quaranta anni di archeologia d’emergenza avevano però finora prodotto una massa di pubblicazioni ineguali, talora dettagliate ed esaurienti, talora invece (le più lontane nel tempo) abbozzate come semplici resoconti di scavo, magari editi in forma preliminare. Spetta a Efterpi Marki il grande merito di aver raccolto e uniformato tutto questo materiale, approntando un catalogo che le è poi servito da base fondamentale per un interessante studio dalle molte sfaccettature e qualità.

 

L’introduzione al volume precisa fin da subito, in maniera molto chiara, le finalità dello studio (p. 33): presentare le caratteristiche e lo sviluppo diacronico dei più antichi sepolcreti cristiani di Tessalonica dal loro primo costituirsi, anche in rapporto ai luoghi dell’uccisione dei martiri, fino all’abbandono ed al reimpiego dei materiali, ossia lungo un arco cronologico compreso fra la seconda metà del III e la metà dell’VIII secolo d.C. Si tratta in sostanza di ricomporre, dalla miriade dei dati puntuali anche già editi, un quadro integrato delle necropoli tessalonicesi fra il tardoantico e la prima età bizantina, rivolgendo uno sguardo peculiare alle prime sepolture cristiane: un progetto senza dubbio ambizioso ma, come si vedrà, pienamente conseguito dall’Autrice. Completano poi l’introduzione una succinta storia delle scoperte, che si precisa iniziarono sporadicamente già ai primi del ‘900, e l’anticipazione della struttura cui si confanno il saggio ed il catalogo, collocato in appendice al volume.

 

Anche il primo capitolo è di carattere interlocutorio, poiché rappresenta una sorta di premessa storica che offre al lettore le coordinate fondamentali in base alle quali collocare nel contesto appropriato i monumenti e i fenomeni oggetto di specifica analisi: lo studio percorre le linee salienti della storia cittadina, con un interesse particolare per il diffondersi del Cristianesimo fra la predicazione di San Paolo e le incursioni barbariche (pp. 37-48). Chi vi ricerchi una esposizione sistematica ed approfondita della storia di Tessalonica, oltretutto lungo un arco cronologico tanto ampio, non potrà che restare deluso, ma non è questo il corretto approccio alla lettura: pur nella sua brevità, il taglio attribuito all’inquadramento storico lo rende infatti essenziale perché orientato all’esposizione delle problematiche centrali del saggio. La scelta dell’autrice è quindi pienamente legittima, ed anzi opportuna.

 

Il discorso entra nel merito affrontando le questioni topografiche, legate all’ubicazione delle necropoli e alla relativa organizzazione interna e sviluppo cronologico (pp. 49-68): dapprima limitate alle aree nei pressi delle porte urbiche e formate da una sola fila di monumenti ai fianchi delle strade, nel corso del tempo le necropoli si estendono in profondità, via via occupando superfici più ampie fra una porta e l’altra. Dopo aver discusso la disposizione complessiva dei sepolcreti orientale e occidentale, l’Autrice dedica un paragrafo specifico al sepolcreto ebraico che sorgeva in diretta contiguità con l’area necropolare orientale: la sua estensione, non più verificabile dopo le massicce distruzioni del 1943, è ricostruita anche attraverso il ricorso alla fotografia aerea anteriore a tale data. Il capitolo si conclude con una rassegna delle costruzioni correlate al culto dei morti ma non destinate alla sepoltura: le pergole e gli ambienti per il banchetto funebre, le cisterne e le altre strutture di servizio sono poco numerose, ma senz’altro di un certo interesse per gli aspetti riconducibili da un lato alla ritualità e al culto dei morti, dall’altro alla ben più prosaica (ma necessaria) quotidiana gestione delle aree cimiteriali. A prima vista quest’ultimo paragrafo può sembrare poco legato al resto del discorso, per via del taglio strettamente architettonico; probabilmente però la scarsità dei dati su queste strutture funzionali sconsigliava la stesura di un capitolo ad esse appositamente dedicato.

 

Poiché il sorgere dei primi cimiteri cristiani di Tessalonica è strettamente connesso allo sviluppo del culto dei martiri locali ed al perpetuarsi della loro memoria, prima di rivolgersi alla tipologia delle sepolture l’Autrice affronta l’esame dei martyria, ossia quelle “strutture che furono costruite sopra le tombe dei martiri ed ebbero forma di mausolei” (p. 69). Tali martyria, di tipo sepolcrale, onorario o memoriale, secondo la celebre ripartizione proposta da André Grabar, circondavano l’abitato sui lati Est, Nord ed Ovest (pp. 69-99). Che essi costituissero dei veri e propri punti focali nella topografia cristiana della città è provato dal fatto che intorno alla maggior parte, nel corso dei secoli successivi, si svilupparono dei monasteri, come accade precocemente nel caso di Santa Anysia (pp. 74-75). A cominciare dal più antico, scoperto presso l’ospedale di San Demetrio e datato al IV secolo (pp. 69-74), l’Autrice esamina singolarmente ciascun martyrium noto, descrivendone nel dettaglio la posizione e le caratteristiche sia architettoniche sia decorative; non mancano casi di particolare interesse agli occhi dello storico dell’architettura, poiché progettati e realizzati secondo modelli prestigiosi a planimetria mistilinea, a triconco o perfino pentaconco. La discussione delle basiliche cimiteriali completa il quadro sin qui delineato, insistendo soprattutto sulla basilica scoperta in via 3 settembre: a quanto pare fondata da Teodosio, la basilica era affiancata da un martyrium cruciforme che ospitava verosimilmente i resti mortali di Sant’Alessandro di Pidna; intorno ad esso, secondo l’usanza della sepoltura ad sanctos, furono costruite le tombe dei primi vescovi tessalonicesi (pp. 95-98).

 

Il capitolo successivo introduce l’analisi delle sepolture propriamente intese (pp. 100-119): si descrivono dettagliatamente i tipi e le relative varianti, offrendo al lettore come corredo al testo alcuni rilievi e disegni ricostruttivi di grande efficacia; numerose fotografie sono inoltre impaginate in fondo al volume, a mo’ di tavole. La classificazione tipologica non è, naturalmente, fine a se stessa, ma ricondotta nell’alveo della storia sociale. Fino a tutto il III secolo i cittadini più agiati prediligono costosi sarcofagi marmorei, mentre quelli meno abbienti si devono accontentare di semplici tombe a fossa; ai ceti medi è invece riferibile il tipo della tomba a cista, ossia una sepoltura interrata, di forma quadrangolare, e rivestita di lastre marmoree o lapidee. A partire dalla fine del III secolo compaiono altre tre tipologie di monumento funerario in muratura. Il termine cubiculum è utilizzato, in conformità a quanto si ricava dalle iscrizioni romane, per designare la camera funeraria seminterrata e dotata di tombe in arcosolio; in città se ne conoscono finora solo due, rispettivamente datate alla seconda metà del III e al primo quarto del IV secolo: le coincidenze formali con i cubicula delle catacombe di Roma lasciano intendere, come spiega l’Autrice, che i committenti ne conoscessero bene il modello. I complessi di più vani costituiscono invece delle vere e proprie tombe gentilizie o di categorie professionali, costruite per garantire un culto funebre comune. Di gran lunga più diffusa però, specialmente dalla fine del III secolo, è la tomba a camera con copertura voltata, una sorta di cappella funeraria di grande fortuna per tutta l’epoca bizantina e che è talvolta ancora oggi attuale, come provano le fotografie del cimitero di Milo, suggestivo nel suo rincorrersi di volte a botte intonacate di bianco.

 

La rassegna per tipologia di monumento funerario e la relativa caratterizzazione sociale dei committenti offrono uno spunto di rilevante interesse nella prospettiva del confronto interculturale, un filone che da qualche tempo anima la ricerca anche in ambito archeologico e sul quale si è molto discusso durante l’ultimo convegno AIAC, tenutosi a Roma nel 2008. Indipendentemente dall’identità etnica, infatti, pagani, cristiani ed ebrei condividono le medesime tipologie tombali, che scelgono in base alle proprie possibilità economiche nella logica autorappresentativa tipica dei ceti privilegiati della società romana imperiale. Solo l’onomastica o la lingua di certe iscrizioni consentono, insieme a motivi ornamentali di specifica pregnanza, di riconoscere l’appartenenza etnica e il credo religioso del defunto, poiché le medesime forme architettoniche sono compatibili con cultualità funerarie di differente tradizione: l’immagine offerta dalle necropoli sembra rivelare quindi una società tessalonicese multietnica e, almeno apparentemente, integrata. Soltanto i Goti stanziati in città paiono mettere in opera soluzioni esclusive, come una lastra marmorea con figura antropomorfa intagliata nella superficie (p. 103), e ritagliarsi spazi necropolari appartati, come il recinto scoperto in via Manika 14, che racchiude alcune tombe in muratura di forma trapezoidale (p. 54).

 

La parte più consistente del saggio (pp. 120-204) è di carattere storico-artistico, in quanto dedicata alla pittura funeraria. Nonostante infatti solo il 15% delle tombe scoperte conservi una decorazione pittorica, si tratta pur sempre di un dossier di qualità elevata e di relativa antichità ed estensione cronologica, poiché le prime attestazioni risalgono alla fine del II secolo e le più recenti raggiungono invece l’VIII. Dopo una premessa di ordine metodologico e una breve precisazione sugli aspetti tecnici delle pitture, l’Autrice scandisce la materia in senso cronologico e procede a una dettagliata disamina dei motivi ornamentali e dei temi figurati. Ventisei tavole di fotografie a colori sono un buon complemento alla lettura, che è ancor più facilitata dai numerosi disegni a china inseriti nel testo. È impossibile, nello spazio concesso alla recensione, seguire l’Autrice mentre traccia uno spaccato significativo della storia della pittura antica; basti rilevare in questa sede che fino a tutto il III secolo il repertorio non si discosta da quello noto, sebbene molto parzialmente, nell’edilizia residenziale di rango: nelle tombe di Tessalonica e nelle sontuose dimore di Atene, rinvenute durante i lavori per la nuova metropolitana, compaiono i medesimi pannelli a false incrostazioni marmoree e i medesimi motivi a ghirlanda floreale, ora più ora meno stilizzata. Il confronto incrociato fra Tessalonica e Atene consente di acquisire un dato importante: fino alla media età imperiale il repertorio pittorico espresso in ambito privato, domestico e funerario, è sostanzialmente unitario in tutta la Grecia. A partire dal IV secolo invece sembra andare specializzandosi una pittura specificamente funeraria e orientata in senso dichiaratamente cristiano: compaiono infatti sempre più spesso immagini allegoriche e scene raffiguranti episodi desunti dalle Sacre Scritture; lo zoccolo delle pareti, tuttavia, e più in generale le parti secondarie della scansione parietale si arricchiscono di graziose raffigurazioni con fiori, frutta, piccoli volatili immersi nella vegetazione. La tendenza naturalistica e allegorica si esaurisce verso la metà del V secolo, quando prende a poco a poco il sopravvento il motivo della croce e il repertorio si riduce a una serie ripetuta di immagini dal pregnante valore simbolico, quali agnelli e colombe: in questa direzione si procede fino all’VIII secolo.

 

L’ultimo, breve, capitolo serve all’Autrice per trarre le fila del lungo discorso e sintetizzare i dati esposti rileggendoli alla luce della vita quotidiana antica, così da offrire al lettore uno spaccato efficace sulla cultualità funeraria nella Tessalonica cristiana (pp. 205-210).

Completa il volume il catalogo dei rinvenimenti (pp. 211-230), composto da 103 schede dedicate ad altrettante sepolture, suddivise per tipologia di monumento funerario. Ciascuna scheda è articolata in una serie di voci distinte (ubicazione, anno di scavo, misure, descrizione, decorazione, reperti, iscrizioni, cronologia, bibliografia) che agevolano la consultazione e la ricerca di confronti, presentando in forma sintetica ma esaustiva tutti i dati disponibili.

La ricchezza del materiale esaminato e l’attenzione di Efterpi Marki, studiosa impegnata sul campo in quest’ambito fin dal 1981 (p. 11), producono dunque ottimo risultato, poiché si pone proficuamente all’incrocio tra filoni di ricerca diversi, troppo spesso mantenuti distinti a scapito di una piena comprensione dell’antico: la topografia funeraria, la storia dell’architettura e dell’arte, la storia sociale e religiosa, che l’Autrice fa accortamente interagire per scrivere un saggio di rilievo, che si auspica possa presto trovare una traduzione tale da favorirne una più ampia, meritata, diffusione.